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Ho pochi ricordi del mio rapporto con la matematica alla scuola primaria, forse perché mi veniva facile e naturale, ma mi è rimasto impresso il disegno alla lavagna di un trapezio e la sua trasformazione in un triangolo equivalente, a spiegare perché per calcolare l’area fosse necessario sommare le basi e moltiplicarle per metà altezza. Forse in quel momento mi sono innamorata della geometria.

I ricordi più vividi sono quelli della scuola media: ricordo quando il professore assegnava delle espressioni da svolgere e le proponeva come sfida alla classe, tanto che in quei momenti, quando capitava che due persone si alzassero nello stesso momento, si assisteva a vere e proprie gare di corsa per raggiungere prima la cattedra. Ricordo, in particolare, che a volte arrivavi alla cattedra, soddisfatto del tuo lavoro e trepidante, ma il professore scuoteva la testa guardando il risultato e allora tornavi al tuo banco per riprovare, intestardendoti alla ricerca della strada corretta.

Del percorso liceale ricordo che l’errore in matematica ha cominciato a presentarsi con una maggiore frequenza, se penso ai problemi di geometria euclidea e analitica o di trigonometria, magari con tanto di discussione e sistemi parametrici al seguito. Capitava di intestardirsi su un problema che non dava il risultato corretto: al mattino, condividevo la mia frustrazione con mia cugina, che era in una classe parallela alla mia, e mi confrontavo con lei, che magari stava litigando con lo stesso problema (avevamo lo stesso insegnante) e ne parlavamo, ripercorrendo insieme le fasi della soluzione, mentre camminavamo verso la scuola. A volte succedeva che trovassimo la soluzione prima di arrivare in aula, e trascrivere i passaggi sul quaderno era solo la conferma di quanto avevamo già capito lungo il cammino. Altre volte, ancora, mi capitava di continuare a pensare al problema durante tutto il pomeriggio, senza riuscire a trovare una soluzione, ma al mattino mi svegliavo con la consapevolezza di conoscere quella soluzione e, prendendo in mano carta e penna, verificavo i passaggi, prima ancora di essere completamente sveglia: è stato in quel momento che ho capito l’importanza del “dormirci su”. Ancora adesso, con maggiore consapevolezza, se ho un problema che non riesco a risolvere (che sia di matematica o di altro) ci penso un attimo prima di addormentarmi, perché la mia testa possa continuare a lavorarci mentre riposo. È la stessa strategia che suggerisco ai miei alunni (per quanto, durante una verifica sia un po’ più difficile riuscire a “dormirci su”…). Mi fa ripensare a Poincaré che, dopo essersi concentrato a lungo e inutilmente su un problema, decise di partire per un gita e, mettendo piede sull’omnibus di Coutances, riuscì a trovare la soluzione (secondo il racconto fatto nel libro Le ostinazioni di un matematico, che racconta l’originale storia di Armand Duplessis, che avrebbe sprecato la propria vita nel tentativo di dimostrare la congettura di Goldbach).

Credo si sia colto il comune denominatore di questi tentativi: la testardaggine… e se penso al percorso universitario, questa mia caratteristica ha avuto un ennesimo banco di prova. Mi sono ritrovata nelle parole di Roberta Fulci che, durante la diretta con Ilaria Fanelli, Una matematica a Radio3 Scienza, ha risposto alla domanda di uno spettatore che chiedeva di essere rassicurato in merito alle sue difficoltà universitarie: Roberta ha raccontato che, avendo scelto matematica dopo il liceo classico, si è trovata ad affrontare grandi difficoltà durante il primo anno di corso ed ha avuto la sensazione di passare “dall’essere brava all’essere un rapa”. Come al solito, Roberta ha espresso il concetto in modo colorito e simpatico, come è tipico suo, e io ho capito perfettamente cosa intendesse, perché l’ho provato sulla mia pelle, anche se avrei dovuto essere più facilitata di lei, visto che alle spalle avevo un liceo scientifico! In realtà, arrivare alla fine del mio percorso universitario, alla tanto desiderata laurea in matematica, ha richiesto un bel po’ di caparbietà, tanto che a chi mi chiedeva che cosa avessi imparato dal mio percorso universitario rispondevo: “Ho imparato ad abbattere i muri a testate”.
Ho concluso il percorso universitario, nonostante… nonostante tutto! Per questo, forse, ho sempre ritenuto la caparbietà una componente fondamentale della buona riuscita in matematica. Addentrandomi sempre più nella storia della matematica, ho scoperto che essa è costruita sulla determinazione, sulla tenacia, sulla caparbietà. Uno dei primi libri che ho letto è L’ultimo Teorema di Fermat di Simon Singh: i tentativi di dimostrare il teorema si dipanano lungo i secoli, dando luogo a una staffetta espressione di un lavoro corale, come se ognuno dei matematici che ha preso parte a questo percorso avesse contribuito alla soluzione del puzzle apportando la propria piccola tessera, fino ad arrivare al risultato finale di Andrew Wiles. Per questo, forse, si parla di comunità matematica, pensando a quelle occasioni in cui i singoli matematici concentrano tutti le proprie forze per raggiungere un obiettivo comune, attraverso un lavoro continuo.

La mia convinzione che determinazione e caparbietà possano essere un’arma vincente anche a scuola mi ha portato a proporre, all’inizio di ogni percorso scolastico, una citazione di John Wooden, uno dei più grandi allenatori nella storia del basket delle università americane:

«Quando si migliora un po’ ogni giorno, alla fine si raggiungono grandi risultati. Quando si aumenta l’allenamento giorno dopo giorno, si ottiene un netto miglioramento della forma fisica. Non sarà domani, né dopodomani, ma poi i progressi saranno notevoli. È inutile puntare a grandi risultati in tempi brevi, conviene invece cercare di migliorare un po’, un giorno dopo l’altro. È l’unico modo per ottenere risultati duraturi.»

Gigliola Staffilani, prima donna italiana full professor al MIT, alla domanda rivoltale da Roberto Natalini in un’intervista del 2018 «Quanto del tuo lavoro è intuizione e quanto è solo duro lavoro?» ha dato una bella risposta: «Credo che l’intuizione arrivi quando ti sei chiarita abbastanza della tua mente da poterla ricevere. E per chiarirti devi lavorare duramente per cercare di eliminare tutti quei tentativi che non portano da nessuna parte.» Secondo la leggenda, pare che al re Tolomeo, che chiedeva un metodo rapido per studiare la geometria, Euclide abbia risposto che non esistono “vie regie”, ovvero percorsi privilegiati: in altre parole, ci sono stati matematici grandissimi nella storia, ma questo non significa che per loro le cose siano state più facili, perché avevano talento. Il duro lavoro resta una componente fondamentale per la buona riuscita in matematica!

Nei giorni scorsi, durante una lezione nella mia terza liceo scientifico, mentre le idee continuavano ad accumularsi intorno al tema della caparbietà, ho chiesto ai miei alunni quale potesse essere la caratteristica che una persona deve possedere per garantirsi un successo in matematica. Sono rimasta molto colpita dalle loro risposte: innanzi tutto perché molti di loro, invece di indicarmi una caratteristica, hanno risposto fornendo una strategia, che passava attraverso il ragionamento, la comprensione o la spesa di un po’ di tempo per creare collegamenti mentali, ma qualcuno ha risposto: «bisogna sapere le regole per poterle applicare meccanicamente» e, davanti alle mie proteste, si è difeso parlando di una strategia personale. Mi ha colpito, inoltre, che qualcuno ritenga importante il calcolo o “farsi piacere la matematica”, perché se è vero che, per certi aspetti, l’apprendimento è reso più facile dalla passione, non è certo possibile imporsi a comando di amare una disciplina. Dopo aver indicato la necessità di fare molti esercizi, qualcuno ha parlato di perseveranza e costanza, della capacità di non abbattersi per un risultato negativo, di forza di volontà e determinazione… e poi c’è il mio foglietto con scritto: caparbietà.

Ho voluto approfittare di queste risposte per riflettere con loro, a partire dalla storia di Sophie Germain (è mia intenzione partecipare a #peopleformath2024 lanciato dal canale IlariaF Math…). La sua vicenda biografica ha tutte le caratteristiche di un romanzo, con l’assunzione dell’identità di Antoine Le Blanc, per poter interloquire con i matematici più importanti dell’epoca come Lagrange e Gauss, e per approfondire la sua vita ho fatto riferimento al libro di Cecilia rossi Sophie Germain. Libertà, uguaglianza e matematica.

Al momento di costruire una bibliografia, mi sono imbattuta anche in Nothing stopped Sophie, di Cheryl Bardoe, con le illustrazioni di Barbara McClintock: si tratta di un libro per bambini, disponibile solo nella versione inglese, nel quale troviamo, ripetuto più volte, “Nothing stopped Sophie”, perché effettivamente niente riuscì a fermarla! Nel momento in cui i suoi genitori hanno cercato di ostacolarla nella sua passione per la matematica, lei ha trovato il modo di andare avanti, ad esempio.

Le donne che hanno scritto di lei considerano la caparbietà uno dei suoi lati più positivi, ma non è così se la sua vicenda viene interpretata da uomini: nel libro Il genio delle donne, Piergiorgio Odifreddi ha dedicato alla Germain il capitolo La prima vera matematica, ma non le risparmia il suo sarcasmo, visto che la definisce una giovane dal «carattere difficile e [dai] modi arroganti». Parlando poi del suo scontro con l’astronomo Joseph de Lalande, che l’aveva omaggiata del suo “Astronomia per le dame”, una delle pubblicazioni dell’epoca che trattava le donne con condiscendenza e proponendo una divulgazione in versione semplificata, dice che lei «disdegnava i testi divulgativi, e rivolse presto la sua attenzione alle difficili Disquisizioni aritmetiche», come se in realtà Sophie Germain peccasse di presunzione e non fosse realmente in grado di comprendere un testo del genere. Come insegnante ho imparato a considerare la presunzione e l’arroganza una necessità, per i giovani: senza presunzione, non potrebbero mettere in dubbio i tanti “ipse dixit” con i quali si trovano a confrontarsi quotidianamente, e senza un po’ di arroganza non avrebbero il coraggio di competere con gli adulti. Franco Pastrone, del Dipartimento di matematica dell’Università di Torino, nel suo intervento per l’Associazione Subalpina Mathesis, che è diventato l’introduzione nel libro di Maria Rosa Menzio Il Signor Le Blanc, ha un giudizio a tratti tranchant: riferendosi all’infanzia, parla di episodi «forse un po’ forzati al fine di esaltare la determinazione della ragazza», che descrive come una persona timida in pubblico, anche se, quando si trattava di ottenere dei risultati scientifici «la sua timidezza scompariva, anzi riusciva a mostrare una cocciuta aggressività».
Mi è parso quasi di cogliere che questa caparbietà, così positiva quando esercitata dagli uomini, diventasse un aspetto quasi negativo se declinato al femminile. Eppure, quando parliamo di Andrew Wiles, la sua determinazione viene celebrata, e la sua capacità di isolarsi dal resto del mondo per lavorare in autonomia alla dimostrazione non viene presa per presunzione, semmai gli viene riconosciuto il coraggio di aver rischiato tanto. Andrew Wiles ha avuto il coraggio di affrontare una sfida che aveva attraversato i secoli e, quando viene individuato un errore nella sua dimostrazione, prova a correggersi, impegnando altro tempo.

Non parla di presunzione, Gauss che, una volta conosciuta l’identità di Sophie Germain, le scrive:

«Il fascino di questa scienza sublime si rivela in tutta la sua bellezza solo a chi ha il coraggio di esplorarla. Una donna, a causa del suo sesso e dei nostri pregiudizi, incontra molti più ostacoli di un uomo nel familiarizzarsi con problemi complessi. Tuttavia, quando supera queste barriere e penetra nelle profondità più recondite, rivela di possedere il coraggio più nobile, un talento straordinario e un genio superiore.»

Per concludere, non può mancare un riferimento all’ultimo premio Abel, Michel Talagrand, che dichiara che «il segreto del successo in matematica è di lavorare ogni giorno fino a essere esausti ma non di più». Ne parlano, con dovizia di particolari, Beatrice Mautino ed Emanuele Menietti nel podcast del Post Ci vuole una scienza: Talagrand parla delle proprie difficoltà in matematica, legate a un “cervello lento” e a una “memoria terribile”, eppure dichiara di aver usato questo metodo proprio per superare le sue difficoltà. E direi che, visti i successi, non ci resta che fidarci!

Ricordo ora che anche Maryam Mirzakhani si è sempre definita una matematica lenta, ma è riuscita, nella sua breve vita, a raggiungere risultati eccezionali. Alex Eskin, dell’Università di Chicago, con il quale ha collaborato a lungo, racconta, nel film Secrets of the Surface, l’esperienza di lavoro con Maryam, paragonando il loro percorso a una camminata in montagna. Si trattava, come spesso succede, di una montagna inesplorata, e, a un certo punto, i due matematici hanno avuto l’impressione di poter raggiungere agevolmente la cima, quando un burrone ha sbarrato loro la strada. Con un sorriso dolce-amaro, Eskin racconta lo scoraggiamento che hanno provato, dato che quel burrone è costato loro due anni di duro lavoro e fatica. In tutto questo, Maryam si è mostrata positiva, anche se per un anno mezzo non ci fu nessun tipo di progresso. Per affrontare una fatica del genere e uscirne vittoriosi, è necessario avere una grande stabilità mentale e fiducia in sé stessi.

Aggiungendo queste caratteristiche alla caparbietà, credo proprio che il successo sia assicurato!

Si può dire che p sia il protagonista del programma di seconda liceo scientifico: nella prima parte dell’anno scolastico, ci si immerge nell’insieme dei numeri reali e gli irrazionali sono posti al centro della scena. Come dimenticare l’irrazionale per eccellenza?

Nell’immagine è riportata una rappresentazione visiva di alcune cifre decimali di p, 180 per la precisione, che è facile ricostruire assegnando al colore la cifra corrispondente. L’immagine è stata realizzata per uno dei cartelloni esposti durante la seconda partecipazione al Festival di BergamoScienza dell’istituto dove insegno, che ha avuto come protagonista il cerchio.

La classe seconda è il momento in cui si alza il livello di difficoltà: dopo aver risolto equazioni, disequazioni e sistemi lineari, si affrontano, con gli irrazionali nella cassetta degli attrezzi, i problemi di secondo grado ed ecco che in geometria fa la sua comparsa la circonferenza, definita come il luogo geometrico dei punti del piano equidistanti da un punto fisso, il centro.

 

Uno dei primi teoremi che si incontrano riguarda la circonferenza passante per tre punti non allineati, e la dimostrazione permette, in realtà, di fare una semplice costruzione con Geogebra, evitando di usare lo strumento “Circonferenza – tre punti”. Il teorema fa intravedere i teoremi sulle corde, che presto permetteranno di vederne la lunghezza in relazione alla loro distanza dal centro, e di realizzare che davvero l’asse di una corda passa per il centro.

Il passo successivo è quello di considerare le circonferenze in relazione alle rette e, in particolare, in relazione alle tangenti. Così, può capitare di dover imparare a costruire le rette tangenti a una circonferenza tracciate da un punto esterno, basandosi sul fato che una retta tangente a una circonferenza è perpendicolare al raggio passante per il punto di tangenza. Questo risultato ci regala un anticipo sui triangoli rettangoli inscritti in una semicirconferenza.

Il percorso in matematica assomiglia a una danza, con un passo avanti e uno indietro, a creare una coreografia, ritornando su cose già viste, ma affrontandole in maniera diversa, e così nel capitolo successivo le circonferenze incontrano i triangoli, sempre inscrivibili in e circoscrivibili a una circonferenza, ma non solo:

 

Tra il circocentro (E) come punto di incontro degli assi e centro della circonferenza circoscritta, l’incentro (I) punto di incontro delle bisettrici e centro della circonferenza inscritta, il triangolo ABC incontra anche altre tre circonferenze, di centri rispettivamente M, L e G, detti excentri, punti di incontro della bisettrice dell’angolo interno non adiacente con le bisettrici degli altri due angoli esterni e quelle blu sono le circonferenze exinscritte, tangenti a un lato e al prolungamento degli altri due. È stato vedendo un’opera di Lanfranco Bombelli (1921/2008), pittore, incisore e architetto, che ho pensato a questa rappresentazione e…

Ripensare al Cerchio per nove punti è stato un attimo: eccola in tutta la sua bellezza! Indicata in rosso passa per tre terne di punti: quelli rappresentati in verde sono i punti medi dei lati del triangolo; quelli in fuxia sono i piedi delle altezze relative ai lati e poi ci sono gli ultimi, più difficili da definire, perché, individuato con O l’ortocentro (il punto di incontro delle altezze di un triangolo), essi sono i punti medi del segmento che ha per estremi O e un vertice del triangolo. Ho scoperto, giusto oggi, che questa circonferenza è nominata come Cerchio di Feuerbach (almeno, stando a quanto dichiarato su Wikipedia), matematico tedesco, fratello del più famoso filosofo. Qualcuno, invece, la nomina come cerchio di Eulero, ma credo che, in questo caso, il celebre matematico potrebbe accontentarsi della paternità della retta, che passa per tre punti notevoli: ortocentro, baricentro, circocentro.

Mentre scorro le pagine del libretto di Bruno Munari intitolato Il cerchio (e scopro ora che ci sono anche Il quadrato e Il triangolo…) dove ho trovato il riferimento a Lanfranco Bombelli, mi imbatto nelle voci “Raggio decrescente” e “Raggio crescente”:

Mi è parso così interessante, che non ho resistito alla tentazione di realizzare quello crescente con Geogebra, arrivando fino al poligono di 14 lati (inventandomi metodi ingegnosi per rappresentare quelli da 7, 9, 11 e 13 lati). Mi piace citare, in particolare, ciò che scrive Munari, oltre alle indicazioni per la costruzione: «Può sembrare che il raggio, aumentando oltre ogni limite, diventi infinito; invece si avvicina a un limite che è circa dodici volte quello del raggio del cerchio primitivo», esattamente come quello decrescente «si avvicina a un limite che è circa un dodicesimo di quello del raggio del cerchio primitivo».

Non ho resistito alla tentazione di riprendere in mano anche questa simpatica dimostrazione senza parole, che utilizza le lunule e il triangolo di Pitagora. Il triangolo rappresentato è rettangolo e ha come lato di appoggio l’ipotenusa. Sui due cateti vengono costruite (e colorate) le lunule, la «parte di piano compresa fra due archi circolari di raggio diverso aventi in comune gli estremi e giacenti dalla stessa parte rispetto alla corda comune». In questo caso, il raggio delle semicirconferenze esterne è pari a metà del cateto e il centro è il punto medio del cateto, mentre l’arco più interno è la semicirconferenza con raggio pari a metà dell’ipotenusa e centro nel punto medio della stessa. La prima differenza è facile, la seconda, invece, ha a che fare con il teorema di Pitagora: come riportato sul sito del Giardino di Archimede, il museo della matematica: «Nell’enunciato del teorema di Pitagora, i quadrati possono essere sostituiti da altre figure, come ad esempio triangoli, esagoni, o anche figure irregolari, purché simili tra loro». Chi ha avuto modo di visitare il museo, avrà provato a mettersi alla prova con i diversi puzzle realizzati proprio con questo teorema di Pitagora generalizzato.

Sul sito, troviamo poi il caso particolare delle lunule di Ippocrate:

In questo caso, l’area indicata in rosso ha la stessa estensione di quella indicata in blu.

«Se poi il triangolo è isoscele, una lunula è uguale a mezzo triangolo. Questo è il primo caso storicamente accertato (la dimostrazione è attribuita a Ippocrate di Chio) in cui si è dimostrato che una figura rettilinea (il triangolo) è uguale a una curvilinea (la lunula).» Questo ci porta al logo della Mathesis:

Una scelta non casuale, visto che la Mathesis è la «Società italiana di scienze matematiche e fisiche fondata nel 1895».

Il 14 marzo è, dal 2020, la Giornata internazionale della matematica e quest’anno il tema dei festeggiamenti è: Giocare con la matematica. Non potevano mancare un paio di giochi, in chiusura, presi dalle ultime due edizioni di Matematica senza Frontiere:

L’immagine a sinistra è stata proposta quest’anno: dopo averne indicato la costruzione, si chiedeva di determinare l’area della parte colorata, in funzione del lato del quadrato (indicato con a). continuando la tassellazione con altre circonferenze, è stato abbastanza semplice sottrarre, dall’area della circonferenza con raggio pari a metà diagonale del quadrato, un quadrato di lato a e moltiplicare il risultato per 2, ottenendo . Il disegno più colorato, invece, è stato proposto nella competizione dell’anno scorso e dovrebbe rappresentare la finestra con il vetro temperato di una chiesa. Sapendo che per il verde sono stati usati 400 cm2 di vetro, che superficie è necessaria per ricoprire il blu? (E scopriamo che si tratta ancora di 400 cm2).

 

Il cerchio è davvero una figura eccezionale e Munari dichiara nell’introduzione del suo libretto: «Il cerchio è una figura essenzialmente instabile, dinamica: dal cerchio nascono tutti i ruotismi, tutte le inutili ricerche del moto perpetuo». E dal cerchio è giunto a noi p, come dimenticarlo?

Buon pi-day a tutti!

 

PS: In allegato i file Geogebra per realizzare le immagini

 

 

Il calcolo delle probabilità è parte integrante del programma di matematica del liceo scientifico: dopo un primo approccio in seconda, con un cenno al Teorema di Bayes, si procede, in quarta, con un approfondimento, grazie ai nuovi strumenti offerti dal calcolo combinatorio e ad una maggiore capacità di astrazione.
Il calcolo delle probabilità è anche estremamente utile per affrontare un percorso di educazione civica e il collegamento più immediato ha a che fare con l’azzardopatia, anche se, in generale, la probabilità ci offre un modo di interpretare la realtà, entrando nelle aule di tribunale, negli ospedali e nelle decisioni che prendiamo ogni giorno.

Ho cominciato il percorso con i miei alunni di seconda sfruttando il lavoro di Taxi1729, una società di consulenza, formazione e comunicazione scientifica, il cui lavoro, come recita l’homepage, ha «un unico filo conduttore: la decisione umana». Il primo video, Gratta e vinci: compulsivi per legge, mostra fin da subito che ci sono studio e pianificazione dietro la forza del gioco d’azzardo.

«Nel 1997, in una relazione alla Camera dei deputati sull’andamento dei Gratta e Vinci, il Ministro delle Finanze Visco si dichiara soddisfatto degli ultimi incassi ottenuti per lo Stato e fa una lista dei punti di forza di questo gioco, su cui investire negli anni successivi». I punti di forza sono l’intimità, data dal sentirsi protagonista del gioco, l’illusione della vincita, perché come lascia capire la pubblicità è facile vincere, le piccole vincite, visto che un biglietto su quattro è vincente, e le quasi vincite, che generano frustrazione, ma fanno anche venir voglia di riprovarci subito. Anche i mass media sono complici di questi incassi dello Stato, perché ogni volta che c’è una grande vincita, questa viene enfatizzata, invogliando gli spettatori a diventare giocatori, a tentare la fortuna. Anche se siamo consapevoli che le probabilità di vincita sono molto basse, il fatto che qualcuno vinca ogni tanto ci porta a illuderci di poter essere, un giorno, uno dei fortunati vincitori.

Insegno a Lovere, sul Lago d’Iseo, e sono a pochi minuti di auto da Rovetta (in provincia di Bergamo) dove «è stato centrato il 6 dei record al SuperEnalotto!» il 16 febbraio del 2023. Il giorno dopo, Paolo Canova e Diego Rizzuto di Taxi1729 hanno pubblicato il video Qui vinti 371 milioni di euro! proprio per parlare della vincita. Quando ho fatto il percorso con la seconda dell’anno scorso, la vincita è stata realizzata proprio il giorno che i miei alunni affrontavano la verifica scritta sull’argomento e il giorno della consegna ho mostrato il video. Come ricorda Diego verso la fine, quel 16 febbraio ha coinciso con «il 21° Bradbury day, ovvero il ventunesimo anniversario (a proposito di improbabilità) della improbabilissima vittoria olimpica del pattinatore australiano Steven Bradbury», vincitore della prima medaglia d’oro australiana alle Olimpiadi invernali.

La vittoria è stata così inaspettata per tutti che “doing a Bradbury” in Australia è diventato un modo di dire che indica «un successo clamoroso e altamente insperato». Allo stesso livello si pone quanto successo a Randy Johnson, che ha colpito un colombo lanciando una palla durante una partita di baseball, il 24 marzo 2001. Anche questo evento è altamente improbabile, e consapevolmente Randy ha usato l’unicità di quanto successo per farne il suo logo, ora che esercita la professione di fotografo.

Nel percorso sulla probabilità è per me estremamente importante sottolineare come il nostro intuito non sempre ci aiuti ad affrontare le situazioni: spesso ci porta fuori strada, spingendoci a valutare erroneamente la probabilità di un evento. Ho continuato il percorso, quindi, parlando del paradosso di Monty Hall, che poi non è altro che un’applicazione del teorema di Bayes. Ho cominciato con un piccolo estratto del film 21, nel momento in cui il professore Mickey Rosa capisce che l’allievo del MIT Ben Campbell potrebbe essere un ottimo acquisto per la squadra che sta addestrando a vincere ai tavoli del Blackjack. Il professore offre a Ben «l’occasione di beccarsi un credito extra», parlando di quello che lui chiama «il problema del conduttore di quiz televisivo»: «Ben, diciamo che stai giocando in televisione e hai la possibilità di scegliere fra tre porte diverse, intesi? Dunque: dietro una delle porte c’è un’auto nuova, dietro le altre due: capre!» Sul sito Mathigon si può procedere con una simulazione del gioco e io lo faccio in classe, offrendo alla classe anche l’occasione di ripassare un po’ l’inglese. Una volta che è stata effettuata la scelta, il presentatore apre una delle porte non scelte e dietro la quale c’è, ovviamente, una capra. A questo punto del gioco, è più conveniente tenere la prima scelta o cambiare porta? Ben non ha dubbi e dà la risposta giusta, ma a me piace procedere leggendo la descrizione che ne fa Christopher, il protagonista del libro di Mark Haddon Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, perché offre anche l’occasione di riflettere su come funzioni la matematica: «Il signor Jeavons disse che mi piaceva la matematica perché mi faceva sentire al sicuro. Disse che mi piaceva perché la matematica serve a risolvere i problemi, poi aggiunse che questi problemi erano difficili e interessanti, ma che alla fine c’era sempre una risposta chiara e diretta per tutto. Ciò che intendeva era che la matematica non è come la vita perché nella vita non esistono risposte chiare e dirette. So che era questo che voleva dire perché è quello che ha detto. Perché il signor Jeavons non capisce i numeri». Per questo motivo, il capitolo 101 del libro (ovvero il 26°) è dedicato al paradosso di Monty Hall, che viene esplorato nel dettaglio, insieme alla vicenda di Marilyn vos Savant, che aveva spiegato il problema dalle pagine della rivista americana «Parade». La sua risposta giusta le è costata un forte attacco, visto che molti scrissero alla rivista contestando la sua risposta: «Il 92% delle lettere sostenevano che si era sbagliata, e molte provenivano da matematici e scienziati». Roberto Natalini, dalle pagine del libro Teorema di Bayes, ci ricorda che «persino il famoso matematico Paul Erdős pensava inizialmente che la soluzione proposta da Selvin e vos Savant fosse sbagliata» (Steve Selvin è lo statistico che risolse il problema per la prima volta nel 1975, e il fatto che lui non sia stato attaccato pesantemente come la vos Savant mi spinge a pensare che parte dell’attacco sia imputabile a una questione di genere).

 Per continuare a lavorare sui bias cognitivi legati alla probabilità, chiedo ai miei alunni di mettersi in gioco con il test proposto da Paolo Canova e Diego Rizzuto nel libro Fate il nostro gioco: ci sono 10 eventi diversi e gli alunni devono metterli in ordine, dal più probabile al meno probabile. Non è certo facile procedere senza calcoli e senza ricerche in rete, usando solo l’intuito: «Nei numerosi incontri che abbiamo fatto in giro per l’Italia, nessuno ha mai indovinato l’ordine giusto. Un po’ perché di alcune di queste cose sappiamo poco o niente, dunque facciamo fatica a stabilirne la probabilità, un po’ perché è molto difficile sottrarsi all’influenza delle speranze, delle paure, delle esperienze passate, dell’amplificazione mediatica o al nostro naturale istinto di accordarci alle opinioni altrui», dichiarano i due autori.

Parlando di nuovo del SuperEnalotto, non posso non dare ascolto ad un’altra voce autorevole nel campo dell’azzardopatia, Federico Benuzzi, docente, giocoliere, attore, autore del libro La legge del perdente e autore e protagonista dello spettacolo teatrale L’azzardo del giocoliere, di cui il video A cosa serve la matematica? Il SuperEnalotto non è che un estratto.

 

In modo molto coinvolgente, Federico Benuzzi descrive la vittoria al SuperEnalotto come la scelta di una carta, precedentemente firmata, in un mazzo con 600 milioni abbondanti di carte. Immaginando di mettere in fila tutte le carte, in un serpentone di 311 km, che si snoda da Bologna al casinò di Locarno, «camminate accanto al mazzo e quando finalmente siete paghi, vi fermate, vi chinate, ne pescate una e se è quella che avete scelto avete vinto 130 milioni di euro». Nonostante l’improbabilità che questo avvenga, «il fatturato del gioco d’azzardo, in Italia, è circa 90 miliardi l’anno! Quasi l’8% del PIL! […] Si stima che gli italiani spendano, in gioco d’azzardo, il 10% di quello che spendono come privati!»

In questa passeggiata tra le probabilità, mi piace fare riferimento a storie che in qualche modo possano restare impresse e che aiutino, quindi, a collocare meglio quanto dico dal punto di vista matematico. Per questo motivo, non può mancare Roy Sullivan, del quale ho sentito parlare per la prima volta quando ho visto online la conferenza di Paolo Canova e Diego Rizzuto al Salone del libro nel 2013. L’ho ritrovato, ovviamente, anche tra le pagine del loro libro, nel capitolo dedicato agli eventi improbabili, come «manifestazione empirica che l’improbabilità esiste e vive insieme a noi».

Roy Sullivan è un guardiaparco, che, nell’arco della sua vita, è stato colpito sette volte da un fulmine, a dimostrazione del fatto che anche ciò che indichiamo come «praticamente impossibile» potrebbe verificarsi. Nel corso della conferenza, la vicenda di Roy Sullivan è presentata per rispondere all’obiezione di chi potrebbe riconoscere che per quanto la vittoria al SuperEnalotto sia «praticamente impossibile», è fuor di dubbio che qualcuno, ogni tanto, vince! Diego e Paolo citano la legge dei numeri grandi, per sottolineare che anche se la probabilità di vincere, per il singolo, è molto bassa, quando ci sono molte persone che giocano, la probabilità che, all’interno della popolazione, qualcuno vinca potrebbe essere anche molto alta. In altre parole, se in un gruppo di cinque persone lanciamo un dado a sei facce e ognuno di noi scommette su una faccia diversa, la probabilità che qualcuno di noi riesca a vincere è molto alta (5/6), mentre la probabilità del singolo non è cambiata (1/6).

Torno poi alle fasi iniziali della conferenza e lascio che Diego e Paolo raccontino l’incredibile vicenda del processo di O.J. Simpson, ripresa anche da Paolo Caressa in un articolo pubblicato su Prisma, La probabilità condizionata del Reverendo. La vicenda è quella del processo che ha fermato gli USA quando, il 3 ottobre 1995, stava per essere emanato il verdetto: O.J. Simpson era accusato di aver ucciso la ex moglie, Nicole Brown Simpson, ma alla fine del processo verrà giudicato “Not guilty!”, non colpevole. L’accusa aveva dimostrato la presenza di violenze domestiche durante il loro matrimonio, sposando la tesi secondo la quale, essendo un uomo violento, era molto probabile che fosse lui il responsabile della morte della ex moglie. La difesa, gestita dal cosiddetto Dream Team, ovvero il gruppo di avvocati migliore sulla piazza, aveva quindi proceduto con il calcolo delle probabilità, studiando le cifre dell’anno precedente: su 4 milioni di donne picchiate dal partner, “solo” 1600 erano state uccise, ovvero lo 0,04%, quindi era estremamente improbabile che O.J. Simpson fosse il responsabile della morte della ex moglie. Un dream team per l’accusa, con almeno un matematico, avrebbe forse potuto ribaltare il verdetto: c’è un errore macroscopico alla base del ragionamento, perché l’insieme di riferimento, ovvero l’insieme dei casi possibili, non può essere quello delle donne picchiate dal partner. Alla luce di quanto successo, l’insieme di riferimento deve essere quello delle donne che hanno subito violenza domestica E che sono state uccise. A questo punto, con questo nuovo insieme al denominatore costituito da 1800 donne, la probabilità diventa 1600/1800, ovvero dell’89%. Il Reverendo Bayes avrebbe potuto aiutare gli avvocati a fare realmente giustizia.

In classe, è stato necessario anche dedicare un po’ di tempo al calcolo, esplorando la teoria della probabilità attraverso alcuni esercizi, per capire ancora meglio i problemi che ci eravamo posti. Ho usato il libro del prof. Daddi Calcolo delle probabilità come supporto, ma ho avuto modo di utilizzare anche gli esempi proposti da Roberto Natalini nel suo libro Teorema di Bayes, pubblicato nella Collana di Le Scienze. Ci siamo divertiti con Il problema dei gattini, dove «una gatta ha partorito due gattini di cui almeno uno è maschio. Qual è la probabilità che anche l’altro sia maschio»?, che è indicato come un paradosso. Poi non ho potuto non parlare del problema dei test diagnostici e, seguendo le orme di Roberto Natalini, ne ho presentata una soluzione elementare, sottolineando come «la probabilità per una persona malata di essere positiva è diversa dalla probabilità per una persona positiva di essere malata».

In conclusione, sono tornata sul gioco d’azzardo con il video di Taxi1729 Il caso si fa bello.

Questa volta in scena ci sono Diego Rizzuto e Olmo Morandi: tutto comincia al casinò di Montecarlo, il 18 agosto del 1913, quando le persone che si trovarono davanti al tavolo della roulette videro uscire 19 neri consecutivi. Su cosa avreste puntato per il ventesimo lancio? Avreste fatto come i presenti e vi sareste giocati anche le scarpe? «La forza di un’anomalia come questa è capace di indurre in tentazione chiunque, persino i più scettici», dichiarano Paolo e Diego nel libro, e nel video sentiamo una fastidiosa vocina che continua a ripetere «Il rosso è più probabile!» Ma il rosso si negò ancora e i neri consecutivi arrivarono a 26. Il motivo per cui avremmo puntato sul rosso è legato all’idea errata di caso che abbiamo in testa: secondo gli psicologi Daniel Kahneman e Amos Tversky «tutti noi abbiamo in testa delle regole estetiche che il caso deve rispettare per potersi dire tale!». L’equità, l’alternanza e il disordine appartengono a quei bias cognitivi di cui siamo tutti vittime, in qualche modo, come dimostrato da Steve Jobs, che, con l’opzione shuffle dell’iPod «decise di correre ai ripari e di creare una riproduzione casuale non “veramente casuale”, ma che apparisse tale ai clienti».

Queste regole estetiche sono così radicate che trovano terreno fertile anche nel gioco del Lotto, con i numeri ritardatari, che sono riportati anche nel sito ufficiale del gioco del Lotto (quelli seguenti sono comparsi il 16 febbraio 2024):

Tendiamo a vedere una dipendenza tra i singoli eventi, ma non tutti gli eventi sono collegati tra loro, e sicuramente non sono collegate tra loro le estrazioni del Lotto. Il Lotto non ha memoria, come la moneta, come i dadi, come la roulette!

Dopo aver cercato di scardinare i bias cognitivi legati alla probabilità a suon di matematica, ho concluso il percorso riprendendo in mano l’articolo (già citato) di Paolo Caressa per parlare di un’altra vicenda giudiziaria complicata dal calcolo (errato) della probabilità, quella «dell’inglese Sally Clark, condannata nel 1999 per aver soffocato entrambi i figli: il giudice aveva stimato troppo improbabile che tutti e due fossero morti in culla, dato che la probabilità che un bimbo muoia di questa orribile sindrome era stimata 1 su 8543». Se noi consideriamo indipendenti tra loro le due morti, come ha fatto il pediatra interpellato, la probabilità, già bassa, di un singolo evento, diventa ancora più bassa quando si considerano i due eventi insieme, «poco più di un milionesimo per cento!» Bisogna aspettare il 2001 per avere l’intervento della Royal Statistical Society, che screditò l’ipotesi del pediatra: «la probabilità della morte in culla di un bambino è ben più alta se un suo fratello ha pure subito questa terribile sorte». Sally Clark venne scagionata nel 2003, ma la sua vita era ormai stata rovinata. Non ha avuto la fortuna di avere dalla sua parte il Dream Team di O.J. Simpson…

Fatto in questo modo, il percorso ha permesso di guardare in faccia i nostri bias cognitivi, dare alla teoria delle probabilità una parvenza umana attraverso il racconto di numerosi aneddoti, impedire che venisse percepito come mero calcolo, mostrare, ancora una volta, che la matematica è ovunque e che per l’educazione civica è una vera fonte di ispirazione!

Durante tutto il processo di analisi dei dati, ci siamo resi conto di ciò che avremmo dovuto cambiare, in parte per semplificare il nostro lavoro e in parte per rendere ancora più attendibile la nostra indagine statistica, evitando ambiguità:

  • prima di diffondere il sondaggio, potrebbe essere utile farlo compilare ad alcune persone, per valutare la chiarezza delle domande e poter, quindi, procedere con eventuali correzioni;
  • formulare delle domande chiuse, semplici, chiare e senza una dubbia interpretazione per evitare errori da parte di chi deve compilare il sondaggio; ridurre il più possibile le risposte aperte per rendere più facile l’analisi dei dati;
  • nel caso dell’impiego, inserire delle opzioni di risposta che consentano di ricondurre facilmente la professione alle categorie indicate dall’ISTAT;
  • una domanda che abbia per risposta “spesso” o “qualche volta” risulta poco oggettiva: dovremmo precisare quanto è “spesso” dal nostro punto di vista (tutti i giorni? Più volte al giorno?).

Queste riflessioni si riveleranno particolarmente utili nel momento in cui procederemo alla stesura di un nuovo questionario, avente per oggetto la matematica nella quotidianità.

 

IL NUOVO QUESTIONARIO

Nell’ottica di mettere a frutto quanto imparato con questa indagine e con l’obiettivo di realizzare un nuovo questionario (che però verrà somministrato e analizzato da un’altra classe), ci siamo concentrati sulla presenza della matematica nella nostra vita quotidiana. Nel proporre il questionario non abbiamo potuto non tenere conto di alcuni aspetti legati anche all’ambito lavorativo, perché riteniamo che in qualche modo questo possa influenzare l’uso che se ne fa nel resto della giornata. È più probabile che ricorra alla matematica per la soluzione di problemi quotidiani un docente di matematica, ad esempio, rispetto a qualcuno il cui lavoro non ne prevede una grande applicazione. Per la formulazione delle domande, e soprattutto delle scelte multiple, abbiamo riflettuto sulle varie azioni e sui singoli momenti della giornata, per poter capire quanto la matematica sia parte della nostra vita. Abbiamo analizzato anche le diverse branche della matematica per capire quali potessero essere le loro applicazioni, chiedendo aiuto ad altre persone per arricchire la casistica, in modo anche da avere un’idea di quanto la gente possa essere consapevole delle applicazioni quotidiane.

Per le prime domande, ci siamo volute soffermare su due informazioni personali che abbiamo ritenuto importanti, ovvero il grado di istruzione e la fascia d’età, per poter valutare l’impiego della matematica in funzione del proprio titolo di studio. Per i quesiti successivi, ci siamo concentrate su richieste generali che ci aiuteranno a comprendere quanto la matematica sia riconosciuta dalle persone. La prima domanda è una versione quotidiana di quella proposta alla fine del precedente questionario: al posto di «Pensa che potrebbe lavorare senza matematica?», abbiamo proposto «Pensa che la sua vita sarebbe uguale se non ci fosse la matematica?», mentre la domanda successiva chiede di quantificare l’utilizzo della matematica nella quotidianità.
«Che cosa applica della matematica nel suo lavoro?» è diventata: «In quali attività utilizza di più la matematica?» e abbiamo proposto alcune risposte, collegando l’argomento matematico a un esempio tratto dalla quotidianità. Per trovare le possibili risposte a questa domanda e chiarire i dubbi che ci erano sorti, abbiamo chiesto ai nostri genitori e a conoscenti in quali attività ritenevano che questa disciplina fosse fondamentale: valutare le offerte al supermercato, gestire le finanze personali, modificare una ricetta per adeguarla al numero di persone usando le proporzioni… Tra le alternative possibili abbiamo messo anche i viaggi e lo sport, pensando ai fusi orari, al cambio monetario e alle combinazioni delle squadre durante i tornei.
Abbiamo ritenuto fosse il caso di chiedere con quale frequenza venga usata la calcolatrice per risolvere semplici problemi aritmetici, pensando alle ricette o alla suddivisione del conto in pizzeria, per riuscire a cogliere quanta dimestichezza abbiano le persone con la matematica.

Quella più bella, a nostro modo di vedere, è quella riguardante le differenti competenze matematiche a seconda del luogo in cui si vive: siamo consapevoli che esista una matematica diversa a seconda del contesto in cui si vive, basta confrontare tra loro una tribù indigena e un tipico abitante di New York e ci piacerebbe vedere quale potrebbe essere la risposta a questa domanda.

Ci sono anche tante altre domande, ma non è il caso di rovinarvi la sorpresa…

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