Daniela Molinari

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Martedì, 05 Agosto 2014 14:52

Più per meno diviso

TRAMA:

Nel primo libro pubblicato a stampa, Larte de labbacho – meglio noto come l’Aritmetica di Treviso – comparso nel dicembre del 1478, le quattro operazioni sono indicate con et per l’addizione, de per la sottrazione, in per la divisione e fia per la moltiplicazione. Dopo questa, le pubblicazioni si susseguono, in un crescendo di passione per le abbreviazioni.

I segni per l’addizione e la sottrazione compaiono nel 1481, nella Mercantile Arithmetic or Behende und hüpsche Rechenung auff allen Kauffmanschafft (l’aritmetica mercantile ovvero il calcolo agile e pulito per tutti i mestieri), del 1489 di Johannes Widmann. Per quanto riguarda il segno grafico di “=”, che sostituisce la frase “uguale a”, il merito va a Robert Recorde che nel suo “The Whetstone of Witte” del 1557, sceglie queste linee parallele proprio perché uguali tra loro.

Per la moltiplicazione, la croce di Sant’Andrea (×) è stata introdotta da William Oughtred, un reverendo che passa il proprio tempo a dar ripetizioni di matematica ai figli dei notabili locali. Nel 1631 pubblica un volumetto di piccole dimensioni, solo 88 pagine, suddiviso in 20 brevi capitoli, un testo elementare, noto come il Clavis. Solo più tardi John Collins proporrà il pallino, il simbolo più sintetico. Attualmente, ci viene proposta la croce alle elementari, ma, già alle medie, preferiamo il simbolo di Collins, fino ad arrivare al calcolo letterale, nel qual caso la moltiplicazione non è indicata con nessun segno.

Per quanto riguarda la divisione, possiamo trovare l’obelus (÷) sulle calcolatrici elettroniche, mentre abitualmente usiamo il colon ( : ): il primo è stato introdotto da John Pell, professore di matematica, anche se il libro è opera del suo allievo svizzero Johann Rahn, ma, come dichiara lui stesso, si tratta di “copie di documenti prodotti in sua presenza o che lui gli aveva dato da trascrivere”. Leibniz invece propone il secondo, che verrà diffuso da un suo allievo.

 

COMMENTO:

Il libretto, pubblicato come e-book per la collana Altramatematica, è una breve storia della matematica, limitata allo studio del percorso di chi ha inventato i segni delle quattro operazioni.

La vicenda mette in luce alcuni particolari interessanti: la difficoltà di introdurre nuove notazioni dà l’idea di un mondo, quello matematico, che si muove molto lentamente prima di accettare un’innovazione e anche il fatto che il passaggio dall’algebra retorica all’algebra sincopata avvenga abbastanza naturalmente, mentre è più difficile introdurre dei simboli. Il primo passaggio è istintivo, visto che tutti tendiamo ad abbreviare per scrivere più velocemente, mentre per il secondo la maggiore diffusione è legata al numero di persone che ne fanno uso, in particolare riferito agli allievi dei grandi matematici, che li pubblicizzano, non solo attraverso i libri ma anche e soprattutto con la corrispondenza.

Per quanto riguarda le quattro operazioni, non ci sono grandi nomi della matematica, tranne per quanto riguarda Leibniz, e non è facile reperire informazioni. Peppe Liberti condivide con noi questo percorso, che ci viene presentato con grande semplicità e con aneddoti che ne alleggeriscono il contenuto.

TRAMA:

In questa trilogia dedicata al mondo della scuola primaria, Anna Cerasoli ci porta a visitare il mondo dell’aritmetica, con i numeri e le quattro operazioni nel primo volume, le frazioni e il calcolo delle probabilità nel secondo volume e la geometria nel terzo. Nel primo libro, dalle tacche sugli ossi alle cifre indo-arabiche, la maestra presenta i numeri paragonandoli al legno lavorato dal falegname: per svolgere al meglio il proprio lavoro, questi ha bisogno dei propri attrezzi, che in matematica corrispondono alle operazioni. L’autrice parte con l’addizione e prosegue con la moltiplicazione e i numeri primi, con la sottrazione che porta alla nascita dei numeri negativi, lo zero con le sue particolarità, la divisione che porta ai numeri decimali e infine le potenze.

Nel secondo volume, il piccolo protagonista esplora il mondo delle frazioni, un mondo a parte in cui le cose funzionano al contrario, perché aumentando il denominatore di una frazione, questa diventa sempre più piccola. Nel libro, non mancano i riferimenti alla storia della matematica: Gauss, Sophie Germain, Sofja Kovalevskaja, Pitagora e la musica, Talete con le proporzioni.

Sia nel primo che nel secondo volume lo sviluppo della storia è intervallato dalle “furbate”, ovvero suggerimenti per affrontare al meglio la matematica: nel primo libro troviamo alcuni suggerimenti per svolgere più in fretta le operazioni, come le moltiplicazioni per 9, per 4, per 5… mentre nel secondo libro le “furbate” aiutano nel calcolo delle percentuali, sia a mente che con la calcolatrice. Il primo volume, inoltre, si conclude con alcune pagine quadrettate, intitolate “Provaci tu!”, mentre nel secondo volume compare il gioco del Memory Mat.

Il terzo volume è a sé ed è dedicato alla geometria: il protagonista ha un nuovo compagno di avventure, Nuvola, un cane al quale servirebbe conoscere la geometria per poter entrare nella cuccia con il suo osso. Anche in questo volume non manca il riferimento alla storia della geometria, visto che si comincia con i tenditori di corde in Egitto, si prosegue con Euclide, il quale ci ricorda che non esistono vie regie per accedere alla matematica, e poi si prosegue con l’esplorazione del mondo della geometria piana, fino ad arrivare alle formule per calcolare le aree dei poligoni. La geometria è “una palestra per irrobustire il nostro cervello” e la dimostrazione è data proprio dai ragionamenti che accompagnano il percorso.

 

 

COMMENTO:

La trilogia in questione è consigliata ai ragazzi della scuola primaria, che possono affrontare le proprie difficoltà in matematica facendosi accompagnare dal piccolo protagonista, che guida la scoperta di questo nuovo mondo così affascinante. 

Giovedì, 31 Luglio 2014 17:32

I cacciatori di numeri

TRAMA:

Usiamo abitualmente i numeri, senza renderci conto di quanto essi siano carichi di mistero: intrecciati da relazioni strane, con la realtà fisica hanno invisibili legami, che ci permettono di indagare i misteri più oscuri dell’universo. Tutto comincia con Hermann Minkowski, che si guadagna una punizione dal professore di fisica quando afferma che la materia è fatta di numeri. Già Galilei aveva affermato che il libro della natura è scritto con caratteri matematici e Minkowski si impone di decifrare questo libro della natura. Con Hilbert e Sommerfeld sono legati da un “sodalizio di pensiero e di amicizia”, come dimostrano le interminabili passeggiate durante le quali discutono di tutto, dalla filosofia alla poesia, dalla musica alla matematica. E c’è lo zampino di Minkowski quando Hilbert, nel 1900, all’apertura del Secondo Congresso Internazionale di Matematica, fa un discorso nel quale parla di ventitré problemi di portata universale, per stabilire in quale direzione stia andando la matematica. “Chi non sarebbe felice di poter alzare il velo dietro il quale si cela il futuro; gettare lo sguardo sui progressi dell’avvenire della nostra scienza e sui segreti del suo sviluppo nei secoli a venire?” è l’incipit del suo discorso. Tra i vari problemi proposti, alcuni ancora senza soluzione, spicca l’ottavo, il preferito di Hilbert: si tratta dell’ipotesi di Riemann, che, se venisse dimostrata, ci porterebbe a individuare la distribuzione dei numeri primi.

Dopo la pubblicazione dei rivoluzionari articoli di Einstein, allievo di Minkowski, quest’ultimo parla, nel settembre del 1908, a un’assemblea annuale di medici e naturalisti, presentando per la prima volta lo spazio-tempo, ovvero l’universo a quattro dimensioni, in termini puramente matematici. Anche Hilbert e Sommerfeld vedono nello spazio-tempo l’avvenire della fisica e la morte prematura di Minkowski non interrompe il procedere della scoperta: Sommerfeld riprende la conferenza, per migliorarne la presentazione matematica e, nel 1916, riesce a dimostrare che “il cuore della realtà vive di numeri!”, trovando un numero universale che regola la forza elettromagnetica, ovvero la “costante di struttura fine”. La strada percorsa da Sommerfeld viene seguita anche da Herman Weyl, uno dei matematici più influenti del XX secolo, che nel 1919 pubblica un articolo sugli “Annali di fisica” con strane speculazioni su un numero puro che dà il rapporto tra la forza elettromagnetica e quella gravitazionale e da Arthur Eddington, che nel 1931 scatena il caos quando parla del rapporto tra la massa del protone e quella dell’elettrone.

Alla luce di queste costanti, nell’estate del 1951 Einstein si domanda se Dio abbia avuto scelta creando l’universo, ma il fatto che le costanti non possano assumere valori diversi da quelli che hanno assunto lascia pensare che Dio non abbia avuto alcuna scelta, come afferma anche sir Roger Penrose, uno scienziato inglese, quarant’anni dopo. Tutti i numeri “su cui si basa il nostro universo sono dunque comparsi molto prima del primo secondo. Il tutto con precisione allucinante, corrispondente a uno scostamento inferiore al miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo.” L’obiettivo del Cern di Ginevra, negli ultimi anni, è stato proprio quello di indagare gli istanti successivi al Big Bang, grazie all’accelerazione delle particelle fino a una velocità prossima a quella della luce. La ricerca del “bosone di Higgs” porta con sé la convinzione che l’essenza dell’universo sia nel “numero dell’universo”, 10120 bit di informazioni, dove per informazione si intende la realtà numerica che codifica le proprietà dell’universo. In altre parole, non siamo così lontani dalla scuola di Göttingen e dai tre cacciatori.

 

COMMENTO:

Il libro ci presenta una carrellata di matematici: tra coloro che hanno “costruito” il mondo matematico di Hilbert, Minkowski e Sommerfeld, spiccano Riemann, Klein, Cantor e l’ostinazione di Kronecker che ha tentato di ostacolare in tutti i modi il progresso matematico, mentre tra coloro che hanno “fruito” del loro genio, ci sono anche dei fisici: Fermi, Feynman, Ramanujan, Weyl, Gödel, von Neumann.
Il libro tratteggia la storia di centocinquant’anni di matematica e di fisica. La lettura è alla portata di tutti: anche gli aspetti più complessi vengono spiegati con chiarezza, attraverso metafore che ci portano a capire in profondità persino le scoperte più recenti della fisica. Le numerose biografie dei vari personaggi che compaiono aiutano, inoltre, ad alleggerire la lettura e a sentire più vicini i progressi della fisica degli ultimi anni, spesso considerati così lontani.

Venerdì, 11 Luglio 2014 14:12

Il caso Cartesio

TRAMA:

Il romanzo parla della morte di Cartesio, tutt’ora oggetto di numerose congetture e ipotesi: la polmonite non convince il dottor Eike Pies, medico e storico tedesco, che ha scoperto una lettera scritta da Van Wullen, secondo medico della regina Cristina di Svezia, a un collega. Nella lettera, il medico descrive i sintomi di Cartesio, non riferibili alla polmonite, ma all’avvelenamento. Nel romanzo, Bondi parte dagli avvenimenti storici per presentarci la sua verità: ha incontrato personalmente il dottor Pies, dopo aver letto il suo libro, e ha deciso di scriverne a sua volta per riproporre la necessità di ristabilire la verità all’attenzione generale.

L’intreccio si sviluppa seguendo tre linee principali, che vengono presentate alternate: la morte di Cartesio, la conversione della regina Cristina e, ai giorni nostri, il test dell’assorbimento atomico sul teschio. Nella parte riguardante la morte di Cartesio, l’autore ci presenta le varie ipotesi di complotto che sono state indagate nel corso degli anni, con i personaggi che ruotano attorno alla figura del filosofo. La parte riguardante la conversione della regina Cristina ha, tra gli attori principali, Raimondo Montecuccoli, generale dell’impero asburgico, che, quattro anni dopo la morte del filosofo, riceve l’ordine di Ferdinando III d’Asburgo di recarsi a Stoccolma per un’importante missione diplomatica. Il generale ha il compito di accompagnare Cristina a Roma, visto che ha manifestato il desiderio di convertirsi al cattolicesimo, ma, nel corso della vicenda romanzata, Montecuccoli – che ha capito che la morte di Cartesio ha coinvolto emotivamente la regina – decide di indagare per capire le reali cause della morte del filosofo.

L’ultima parte della storia è ambientata nel presente, precisamente nel 2009 e tra i protagonisti, oltre al dottor Eike Pies, ci sono Elisabetta Palatini, dottoranda in filosofia presso l’Università di Parma, e Thomas Doyle, professore di filosofia presso la Oxford University. Partendo proprio da uno scritto lasciato da Montecuccoli, una sua lettera indirizzata al Papa e scritta sul letto di morte, i due studiosi vogliono stabilire la verità riguardo la morte di Cartesio e decidono di trafugarne il teschio, conservato al Musée de l’Homme di Parigi per poterlo sottoporre al test dell’assorbimento atomico.

 

COMMENTO:

L’intreccio delle tre vicende permette di avvicinarsi poco a poco alla conclusione, scoprendo la verità dell’autore sulla morte di Cartesio. Al termine del romanzo, inoltre, la nota di Bondi permette di ricostruire la verità storica della vicenda e stupisce scoprire quanto l’autore abbia mantenuto il legame con la realtà.

Il romanzo è davvero coinvolgente e alla portata di tutti, consigliato a chi vuole “incontrare” la figura di Cartesio in un modo non convenzionale. La verità sulla sua morte è ancora oggetto di congetture e ipotesi, ma chissà che prima o poi si possa giungere a una conclusione, grazie anche alle nuove analisi che la scienza ci mette a disposizione.

Martedì, 08 Luglio 2014 20:18

Il teorema vivente

TRAMA:

Da otto anni all’École Normale Supérieure di Lione, a marzo del 2008 Cédric Villani decide di dimostrare l’equazione di Boltzmann non omogenea. Fin dalle prime pagine, appare evidente che la matematica si costruisce grazie al confronto con gli altri matematici: Clément Mouhot, al quale sette anni prima ha “messo il piede nella staffa”, suggerisce a Villani di usare lo smorzamento di Landau e Étienne Ghys, forse il miglior conferenziere di matematica al mondo, suggerisce il collegamento con la KAM, ovvero la teoria Kolmogorov-Arnold-Moser.

Anche le piccole intuizioni vanno dimostrate e la strada è davvero lunga. Gran parte del lavoro verrà svolto, a distanza, da Villani e Mouhot, in un confronto continuo, gestito via posta elettronica. Con l’inizio dell’anno nuovo, Cédric Villani si trasferisce infatti a Princeton per sei mesi, per consacrarsi interamente ai propri “amori matematici”. L’invito arriva al momento giusto, dato che un soggiorno a Princeton significa “nessun libro, nessun incarico amministrativo, nessun corso”, ovvero Villani potrà dedicarsi alla matematica senza distrazioni.

Due mesi prima, Villani ha ricevuto la nomina come nuovo direttore dell’Institut Henri Poincaré: da un lato sarebbe una sfida stimolante, dall’altro ha paura di restare schiacciato dagli impegni amministrativi, oltretutto la moglie, Claire, ha ricevuto una proposta di lavoro allettante nei corsi dottorali in geoscienze dell’Università di Princeton. A fine febbraio, Villani riceve una mail dall’IHP, proprio quando ormai ha deciso di rifiutare l’offerta della dirigenza: decide di tornare in Francia alla fine del mese di giugno, visto che hanno accettato tutte le condizioni che lui aveva imposto.

Il lavoro con Mouhot è, a tutti gli effetti, un lavoro di squadra: quando uno è titubante, è l’altro che trascina, quando uno è pessimista, l’altro fa l’ottimista e quando, a marzo, Clément ha una nuova idea, Cédric sente la paura che il suo subalterno lo stia superando. Il lavoro è diventato più intenso, con un centinaio di mail scambiate a febbraio e il doppio a marzo. Con la modifica numero 36, Clément e Cédric sono a quota 130 pagine, ma c’è ancora parecchio da fare: “Ci sono talmente tante cose sulle quali dovrei concentrarmi che lavoro fino alle due di mattina da diversi giorni”. E il tempo incalza: “annuncio il risultato a Princeton tra due giorni…”, “la dimostrazione è corretta almeno al 90 % e tutti gli ingredienti significativi sono stati identificati”. L’accoglienza è polemica, ma le critiche permetteranno al lavoro di progredire più rapidamente: bisogna “mettersi in posizione vulnerabile per diventare più forti”.

È arrivato anche l’ultimo giorno a Princeton, il 26 giugno: siamo “riusciti a far stare in piedi la dimostrazione, abbiamo riletto tutto. Che emozione quando abbiamo messo on line il nostro articolo!”. A fine giugno, Villani è a Lione, per prendere le proprie cose e cominciare come direttore all’IHP dal primo luglio: “Il lavoro effettuato a Princeton mi ha trasformato, come un alpinista di ritorno a valle che ha ancora la testa piena delle cime che ha esplorato. La sorte ha deviato la mia traiettoria scientifica a un punto tale che non potevo immaginare sei mesi fa.”

A ottobre, ottiene la risposta dalla rivista Acta Mathematica, la “rivista di ricerca matematica che molti considerano come la più prestigiosa di tutte”: l’editore non è convinto che i risultati riportati nel mastodontico articolo di 180 pagine siano definitivi e quindi lo rifiuta. Villani è disgustato. Nonostante contemporaneamente riceva la notizia di aver vinto il premio Fermat, questo non basta a compensare la frustrazione del fallimento.

All’ennesima critica, Villani decide di riprendere tutto in mano e così, a fine novembre, è “Tutto rifatto, tutto semplificato, tutto riletto, tutto migliorato, tutto riletto ancora una volta.”

A febbraio del 2010, mentre Villani è impegnato nella riorganizzazione dell’ufficio, riceve la telefonata di László Lovász, il presidente dell’Unione matematica internazionale che gli comunica la vittoria della medaglia Fields, che Villani accetta con entusiasmo, promettendo di mantenere il segreto per sei mesi. La medaglia gli viene conferita a Hyderabad, in India, il 19 agosto: “Circa tremila persone mi acclamano nella gigantesca sala conferenze dell’hotel di lusso che ospita il Colloquio internazionale dei matematici, annata 2010.”

A febbraio del 2011, finalmente l’articolo è accettato anche da Acta Mathematica!

 

“Non ha prezzo un sentiero senza illuminazione! Quando non c’è la luna, non si ha neanche una visibilità di tre metri. Il passo accelera, il cuore batte un po’ più in fretta, i sensi restano sul chi vive. Uno scricchiolio nei boschi fa drizzare le orecchie, ci si dice che la strada è più lunga del solito, ci si immagina un malintenzionato in agguato, ci si trattiene a malapena dal mettersi a correre. Questa galleria buia è un po’ come la fase buia che caratterizza l’inizio di un progetto matematico.”

 

COMMENTO:

Un libro che non può mancare nella biblioteca di un insegnante di matematica: l’avventura di Villani è l’avventura di chiunque voglia convivere con la matematica, a qualsiasi livello. Il cammino di “scoperta” del teorema è il cammino di chiunque voglia risolvere un problema: le false partenze, le fatiche, le vittorie, i momenti di stanchezza, le paure, l’entusiasmo, la passione… non manca nulla!

Per gli alunni leggere questo libro potrebbe essere un’illuminazione, un modo per comprendere, finalmente, che la matematica è un’avventura, un percorso a volte accidentato e pieno di ostacoli, ma ricco di soddisfazioni. E il matematico, al contrario di quanto pensa l’alunno medio, non è colui che non fa fatica, ma colui che riesce a mettere la propria passione al di sopra della fatica.

Martedì, 24 Giugno 2014 23:01

I numeri magici di Fibonacci

TRAMA:

Keith Devlin ci parla di numeri – e non solo – in dieci capitoli che, come omaggio a Fibonacci, sono numerati con le “Novem figure indorum” ovvero1 2 3 4 5 6 7 8 9“cum his itaque novem figuris, et cum hoc signo 0, quod arabice zephirum appellatur, scribitur quilibet numerus”[con queste nove figure e con il segno 0, che gli arabi chiamano zephirum, è possibile scrivere qualsiasi numero].

Keith Devlin, matematico e scrittore inglese, autore di numerosi libri di divulgazione scientifica accessibili anche al grande pubblico, si occupa in questo libretto della famosa opera di Fibonacci, ovvero del Liber abbaci, “L’avventurosa scoperta che cambiò la storia della matematica”, come recita il sottotitolo. Partendo, infatti, dalla considerazione che LA NOSTRA VITA È PIENA DI NUMERI, ormai diventati indispensabili, il Liber abbaci di Fibonacci è in realtà UN PONTE DI NUMERI, che ha permesso alla matematica indo-arabica di raggiungere le sponde europee del Mediterraneo, per rinnovare la nostra cultura.

Fibonacci era UN BAMBINO PISANO, nato al centro del mondo culturale e commerciale, che ha avuto la fortuna di fare UN VIAGGIO MATEMATICO a Bugia, uno dei più importanti porti islamici sulla costa nord-africana, dove il padre assunse la sua carica diplomatica. Fibonacci ebbe così occasione di incontrare la matematica araba e forse LE FONTI cui si è ispirato non possono che essere i testi arabi di al-Khwarizmi e Abu Kamil, anche se non c’è alcuna certezza al riguardo.

IL LIBER ABBACI è abbastanza corposo: diviso in quindici capitoli, contiene la dimostrazione di tutti i metodi descritti e, soprattutto, numerosi esempi. Gran parte del testo è occupata dalla matematica ricreativa, che ci descrive una matematica della quotidianità. Non dimentichiamo che il testo di Fibonacci non era scritto per matematici, ma per commercianti che usano la matematica senza necessariamente conoscerla.

LA FAMA di Fibonacci si accrebbe notevolmente tra la prima e la seconda edizione del Liber Abbaci (ovvero tra il 1202 e il 1228), periodo durante il quale pubblicò altri tre testi che sono giunti fino a noi: il De practica geometrie, destinato ad agrimensori e topografi, il Flos, che conteneva le sue soluzioni a una serie di problemi e il Liber quadratorum, nel quale Leonardo dà la miglior prova del proprio talento matematico. La sua fama divenne così grande che nel 1225 fu convocato per un’udienza con l’imperatore Federico II di Svevia, che aveva mostrato una particolare passione per l’apprendimento in particolare nell’ambito scientifico e matematico (fondò infatti l’università di Napoli, che ancora porta il suo nome). IL DOPO FIBONACCI è interessante tanto quanto le fonti che l’hanno preceduto: numerosi furono i testi che imitarono l’opera di Fibonacci e in parallelo, nacquero anche le “scuole d’abbaco”, alle quali venivano mandati i futuri uomini d’affari per circa due anni, per impratichirsi nell’uso di questo nuovo sistema numerico. Purtroppo, nonostante questa capillare diffusione, non fu facile per il sistema numerico indo-arabico diffondersi ovunque, visto che ci furono parecchie opposizioni, in particolare da parte dei contabili, che sostenevano che le nuove cifre erano facilmente alterabili, e quindi non affidabili.

Eppure CHI È STATO IL PADRE DELLA RIVOLUZIONE? Nel 2003 la studiosa italiana Raffaella Franci ha confermato che si tratta di Fibonacci. Si è imbattuta in un manoscritto anonimo custodito nella Biblioteca Riccardiana di Firenze, databile intorno al 1290, composto in Umbria e, rispetto al Liber abbaci, più breve e meno completo che si è rivelato essere il Libro di merchaanti detto di minor guisa di Leonardo, oggi perduto, ovvero l’anello mancante che collega Fibonacci ai manoscritti successivi. Questo ci dimostra che L’EREDITÀ DI FIBONACCI IN LAPIDI, PERGAMENE E CONIGLI non è solo quella conosciuta ai più, ovvero la serie di Fibonacci, ma è l’intera aritmetica moderna.*

 

COMMENTO:

Un simpatico libretto che ci permette di addentrarci nella storia della matematica e di approfondire le origini del nostro sistema di numerazione. Dalla nascita dei numeri fino alle scuole d’abbaco, Devlin ci descrive il ruolo di Fibonacci, Copernico della matematica, senza annoiare e con un linguaggio semplice e accessibile a tutti. Le moderne scoperte riguardo l’eredità di Fibonacci ci permettono infine di cogliere il continuo divenire della storia della matematica e di sentire la grande attualità di questa innovazione.

 

*In maiuscolo i titoli dei dieci capitoli

Venerdì, 20 Giugno 2014 07:51

Giovanni Keplero aveva un gatto nero

TRAMA:

Dopo una “Dotta premessa”, nella quale Marco Fulvio Barozzi (meglio conosciuto nel web come Popinga) ci spiega la differenza tra limerick, clerihew, fib, incarrighiana e verso maltusiano, ci addentriamo a suon di versi nel mondo della fisica e della matematica. Mentre leggo, mi annoto alcuni componimenti, pensando di usarli come introduzione alle spiegazioni scolastiche e scopro che, nella sezione “rime didattiche”, ci sono dei componimenti nati con questo scopo: “Testati coi ragazzi, dopo un iniziale sconcerto, sembrano aver conseguito almeno un risultato importante: si è riso.” E in effetti, farsi spiegare la differenza tra calore e temperatura da un rospo della Gallura è divertente ma, al tempo stesso, potrebbe aiutare a memorizzare alcuni concetti importanti. Nella parte dedicata alla fisica, scopriamo che il titolo altri non è che metà di un clerihew: “… che storceva le vibrisse se sentiva cerchio e non ellisse”, un altro modo simpatico per memorizzare le leggi di Keplero, studiando la gravitazione universale.

I due limerick che mi hanno davvero conquistata sono “Il pignolo”, di argomento matematico e in particolare riguardante la relazione di congruenza tra segmenti (erroneamente spesso indicata come uguaglianza) e “Pace rovinata” che, ricordando come esordio “La vispa Teresa” di Sailer, fa riflettere sul legame tra campo elettrico e campo magnetico.

 

COMMENTO:

Arguzia, fantasia e conoscenza sono le tre parole magiche per i componimenti di Marco Fulvio Barozzi: argutamente, sfrutta la sua fantasia per mostrarci la sua conoscenza, ma questi componimenti perderebbero parte del loro fascino se mancasse la passione che li anima. La stessa passione che emerge dalle pagine del blog per il quale l’autore è noto nel web.

Giovedì, 19 Giugno 2014 21:17

a.s. 2013/2014

Esame di terza media: prova di matematica

Per gentile concessione di www.invalsi.it

Giovedì, 19 Giugno 2014 21:02

Copenaghen

TRAMA:

Nel settembre del 1941, Heisenberg si reca in Danimarca, a Copenaghen, per incontrare il suo mentore, Niels Bohr. Su ciò che Heisenberg sperava di ricavare dall’incontro, su ciò che si sono detti e su come sia avvenuto l’incontro, sono state avanzate congetture di tutti i tipi. Solo nel 1947, Heisenberg ebbe la possibilità di tornare a trovare l’amico, forse per trovare una versione comune del loro primo incontro. Ma questo secondo incontro non fece che sancire ciò che di fatto era già chiaro: i due famosi fisici avevano perso la loro amicizia. Il testo teatrale di Michael Frayn parte dall’incontro del 1941, ma, allontanandosi dai dati storici, suppone che tutte le persone siano ormai morte e che discutano ulteriormente la questione, forse per arrivare a una comprensione migliore di ciò che è successo.

Frayn ha compiuto una vera e propria analisi storica, come dimostrano i due post scriptum al termine del testo: Heisenberg era un nazista e voleva in qualche modo coinvolgere nelle sue attività Bohr, magari estorcendogli informazioni importanti, soprattutto riguardanti il livello raggiunto dalla ricerca oltreoceano? Oppure voleva prendere le distanze dai nazisti, evitando però di farsi riconoscere come un traditore?

L’incontro viene rivissuto, per ben tre volte, alla ricerca di una verità, che non può che restare indeterminata, perché “tutti noi con il passare del tempo riorganizziamo i nostri ricordi, consciamente o inconsciamente”. Persino la pubblicazione delle trascrizioni di Farm Hall, dove Heisenberg era stato rinchiuso con gli altri scienziati tedeschi, non ha contribuito a rendere più chiaro il ruolo dello scienziato nella costruzione delle armi atomiche e i vari storici interpretano in modo diverso le sue parole.

Nel corso della prima ricostruzione, Heisenberg e Bohr escono per proseguire la loro chiacchierata in tranquillità e rientrano dopo solo dieci minuti: Bohr è arrabbiato e Heisenberg se ne va in tutta fretta. Bohr continua a parlare con la moglie Margrethe, per cercare di capire cosa sia realmente successo. Pare che Heisenberg abbia chiesto se come fisico aveva il diritto morale di lavorare allo sfruttamento pratico dell’energia atomica. Bohr ne dedusse immediatamente che Heisenberg ci stava lavorando e che stava cercando di fornire a Hitler armi nucleari.

Ripartono per una nuova simulazione, con più calma: per Margrethe, Heisenberg cercava l’assoluzione di Bohr, ma alla fine colui che ha partecipato al programma per la costruzione della bomba è stato Bohr, in America ed è Heisenberg allora che punta il dito, chiedendosi se ci sia mai stato uno, all’interno del programma, che si sia soffermato almeno un attimo a riflettere su quello che stavano facendo.

L’inizio del secondo atto si apre con la terza e ultima rievocazione. Insieme tentano di capire, ma la rievocazione si perde nei ricordi. I due fisici ricostruiscono il percorso della fisica di quegli anni, in particolare i tre anni, dal 1924 al 1927, durante i quali si ottiene l’interpretazione di Copenaghen. Forse alla fine fu un bene se Bohr lasciò Heisenberg nell’indeterminazione, senza una risposta alla sua domanda: non avendo un’indicazione di come comportarsi, non avendo alcuna conferma da parte di Bohr, Heisenberg non agì e fece tutta una serie di omissioni, consapevoli o meno, che determinarono l’insuccesso del programma atomico tedesco.

 

COMMENTO:

Leggere un testo teatrale non è sempre facile: meglio sarebbe assistere alla rappresentazione, perciò ho cercato su youtube e, quando ho riletto il libro la seconda volta, ho seguito sul libro le battute degli attori. Alla seconda lettura ho anche scelto di partire dai post scriptum di Frayn per capire meglio il testo e, in effetti, ha aiutato: conoscere il contesto storico, conoscere fino in fondo i fatti che erano solo accennati nello spettacolo ha davvero aiutato a comprendere meglio. Copenaghen aiuta ad addentrarsi negli sviluppi della fisica moderna, a conoscere più direttamente alcuni dei fisici coinvolti e ad avere un’altra prospettiva anche su alcuni fatti della seconda guerra mondiale.

 

 

“Adesso siamo tutti morti e sepolti, certo, e il mondo di me ricorda soltanto due cose. Una è il principio di indeterminazione, e l’altra è la mia misteriosa visita a Niels Bohr a Copenaghen, nel 1941. L’indeterminazione la capiscono tutti. O credono di capirla. Nessuno capisce il mio viaggio a Copenaghen.”

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