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In questa nuova vita, nell’era della pandemia, è parso, almeno a un certo punto, che la scienza fosse diventata il centro di ogni discorso, con le sue risposte e le speranze di sconfiggere il Covid19. Ma siamo proprio sicuri che l’idea di scienza che domina i nostri discorsi sia quella corretta? Nella puntata del 21 aprile di Radio3Scienza, si è parlato di intelligenze collettive con Guido Tonelli, fisico all’università di Pisa e al CERN di Ginevra. Intervistato da Rossella Panarese, Tonelli ci guida in una riflessione sulla scienza, proprio in considerazione dell’aumentata attenzione nei confronti di questa disciplina. Sembrano esserci degli elementi che fanno ben sperare, ad esempio sembra diffusa la consapevolezza che si debba dare ascolto agli scienziati. Ed è proprio in questo clima che gli scienziati hanno una grande responsabilità e sono obbligati a lavorare insieme, a trovare il modo di collaborare. La posta in gioco è elevata e se lasciamo spazio all’egocentrismo, il fallimento è garantito. Per quanto sia umano arrivare ad uno scontro di caratteri, soprattutto quando c’è in gioco una sfida di tale entità, nella discussione in pubblico non bisogna denigrare gli altri, ma ammettere i propri dubbi e riconoscere ciò che ancora è ignoto.…
«È stato battezzato il Gioco della Vita, poiché segue, a modo suo, una regola naturale: si muore se si è troppo isolati oppure se c’è un eccessivo affollamento.»* Il primo a parlare di una macchina in grado di riprodursi è stato John Von Neumann e questo «ha portato ad una rappresentazione concettuale avente come punto di partenza proprio uno spazio omogeneo diviso in celle elementari», con gli automi cellulari. Le regole stabilite erano molto complicate, ma John Horton Conway, nel 1970, ne ha proposto una versione più semplice, il gioco della vita, con solo tre regole. La seconda regola recita appunto: «Un organismo muore, lascia cioè la cella vuota, se ha quattro o più vicini oppure se ne ha soltanto uno o nessuno». La presentazione di Peiretti è estremamente chiara, ma l’animazione a computer (e questa è solo una delle tante disponibili in rete) ha un fascino particolare, che si coglie con immediatezza. I Rudi Matematici sul loro blog di Le Scienze hanno annunciato la morte di John Horton Conway (26.12.1937/11.04.2020), citando una battuta circolata in rete nei giorni scorsi: «A causa del distanziamento sociale, non aveva due vicini che potevano tenerlo in vita». Soprannominato Mary da un insegnante della…
Grafici, tabelle, dati... persino coloro che si sono sempre ritenuti incapaci in matematica, in questi giorni stanno rispolverando le proprie competenze per tentare di capire un po’ di più cosa stia succedendo con la pandemia. Ma, una volta tanto, sono i matematici a dirci che non è così semplice: se fosse semplice non troveremmo interpretazioni (e conclusioni) completamente diverse sui giornali e «perché mai, se i dati sono dati, la matematica è oggettiva e i numeri non mentono mai, ogni analisi e ogni modello sembra dare risposte diverse?». Samuele Mongodi, ricercatore di Geometria presso il Politecnico di Milano, cerca di darci una spiegazione al riguardo, servendosi di alcuni esempi: «volete comprare un frullatore su Amazon e finalmente trovate il modello che fa per voi; ci sono due venditori, con prezzi sostanzialmente identici, uno ha una soddisfazione del 90% con 20 recensioni, l’altro ha una soddisfazione dell’88% con 200 recensioni. Qual è meglio? E se il primo profilo avesse avuto il 90% su 30 recensioni?». Già queste due domande dimostrano che l’interpretazione dei dati non ha nulla a che fare con l'intuizione: «i DATI non ci dicono niente, i numeri non “parlano da sé”, non sono mai chiari, lampanti, è rarissimo…
«Non sopportavo l’idea che le meraviglie che voi avete realizzato, padrone, restassero ad ammuffire nelle segrete del Palazzo. Volevo che il popolo le ammirasse, che ne condividesse i benefici.» «Vuoi dire “che condividesse il piacere che la visione di quelle macchine aveva dato a me”» corresse Archimede. Assentii. «È così, padrone. Come fate a sapere?» Il maestro abbozzò un sorriso. Un gesto lieve, quasi timido. «Una volta, Dinostrato, io ero proprio come te. Ingenuo, orgoglioso. Credevo fosse mio dovere usare la matematica per donare un futuro roseo agli uomini. Mi illudevo di essere in grado di cambiare il mondo, o almeno di contribuire col mio lavoro a tratteggiare un domani migliore.» «Ma voi potete, padrone!» protestati. Lui scosse la testa. «Ho tentato, anni fa. E ho fallito. Gli uomini, Dinostrato, non vogliono essere aiutati. Meno che mai dalla Scienza. Sai perché? […] Gli uomini, Dinostrato, non credono che il domani possa essere migliore dell’oggi. L’Età dell’Oro, c’insegnano sin da bambini, non è un tempo di là a venire, ma si trova alle nostre spalle. Solo ripetendo pedissequamente le azioni dei nostri avi, ci vien detto, possiamo aspirare a raggiungere la condizione di felicità che abbiamo perduto. Tutto ciò che suona…
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