Un capomastro lavorava da molti anni alle dipendenze di una grossa società edile. Un giorno ricevette l’ordine di costruire una villa esemplare secondo un progetto a suo piacere. Poteva costruirla nel posto che più gradiva e non badare alle spese.
I lavori cominciarono ben presto. Ma, approfittando di questa cieca fiducia, il capomastro pensò di usare materiali scadenti, di assumere operai poco competenti a stipendio più basso, e di intascare così la somma risparmiata.
Quando la villa fu terminata, durante una festicciola, il capomastro consegnò al Presidente della società la chiave d’entrata.
Il Presidente gliela restituì sorridendo e disse, stringendogli la mano: «Questa villa è il nostro regalo per lei in segno di stima e di riconoscenza».
Bruno Ferrero, «C’è qualcuno lassù?», Editrice Elle Di Ci
Quando Marco Menale ha lanciato il tema di questo Carnevale della Matematica, «Matematica e Futuro», ha detto di declinarlo come si preferiva: «tempo verbale, congetture da risolvere, nuove teorie, IA, vita su Marte ecc ecc». Dopo qualche giorno di riflessione, ho realizzato che, in quanto insegnante, il futuro lo tocco con mano ogni giorno, contribuendo a plasmarlo, ma cosa può avere a che fare questo con la matematica?
Nel momento in cui ho scelto il mio di futuro, non ho scelto solo di studiare matematica e non ho scelto di fare l’insegnante, ho scelto di fare l’insegnante di matematica: le due cose sono state, per me, inscindibili da subito. Quando ho fatto questa scelta, frequentavo le scuole medie e avevo un’idea molto limitata della matematica: fondamentalmente, mi piaceva svolgere espressioni e piccoli problemi, e ho mantenuto la passione anche al liceo, nonostante abbia riflettuto ultimamente su quanto sia più facile far amare la fisica, rispetto alla matematica. La fisica si presenta, almeno all’inizio, con una veste abbastanza semplice, richiedendo poco più dell’algebra per la soluzione di problemi che descrivono una realtà ovattata. Eppure, anche se limitata da piani senza attrito e moti perfettamente uniformi, la fisica conquista e affascina, perché tenta una descrizione della realtà. Ben diverso è il percorso della matematica, che mostra fin da subito il suo lato spinoso. Chi si diverte con il calcolo, spesso prosegue alle superiori con l’algebra senza troppi intoppi, ma chi rifugge il rigore, rischia di restare incastrato nei meccanismi del calcolo letterale. Poi ci si scontra con la geometria analitica e con i problemi: da studenti che subiscono passivamente equazioni e disequazioni, gli alunni sperimentano quanto diceva Maryam Mirzakhani, «Fare matematica per me è come una lunga escursione senza un sentiero tracciato né un traguardo visibile». All’ultimo anno poi, lo studio di funzione costituisce l’apice del percorso e dell’astrazione, ed offre l’opportunità di effettuare quegli approfondimenti che non hanno trovato spazio in precedenza. Ma l’esame di stato è alle porte e, che si sia studenti in un liceo scientifico oppure no, tutto viene assorbito da quello e non resta spazio per far amare questa splendida disciplina. E così, anche noi insegnanti in qualche modo diventiamo oggetto di questo odio, che non si capisce più se nasca contro la matematica e poi si estenda anche a noi, o se siamo noi insegnanti che non siamo capaci di generare simpatia, né per noi né per la nostra disciplina.
Temo che questo “odio” abbia a che fare con la richiesta di semplificazione che arriva da più parti, una sorta di ricerca di riassunti, schemi, che possano aiutare a capire, ma, al tempo stesso, rendere più veloce il tempo di apprendimento. Credo che la chiave del problema sia proprio in questa “fretta”: il processo di apprendimento in generale, non solo quello della matematica, richiede tempo e pazienza e, a volte, costa fatica, e cercare di spianare la strada ai nostri alunni non li aiuta a imparare. Qualcuno più famoso di me, e molto prima di me, l’ha detto meglio: «Non esistono vie regie»!
Sono consapevole di non essere la sola a vivere questa fatica, come ha ben dimostrato su Facebook un post del 15 ottobre scorso di Giuseppe Mingione, docente di Analisi all’Università di Parma: dopo aver richiesto la soluzione di un semplice esercizio ai suoi studenti e non averne ottenuto alcuna risposta, l’ha somministrato a ChatGPT, ottenendone una soluzione perfetta. Ha quindi chiesto ai suoi studenti che compito si assumerebbero e quale affiderebbero a ChatGPT, tra risolvere esercizi e raccogliere pomodori: «i ragazzi hanno stavolta correttamente risposto, e, preoccupati, hanno capito cosa sta succedendo».
Non ho potuto non parlare in classe di questo post, invitando i miei studenti a riflettere sul fatto che la scelta di studiare determinati argomenti ci permette di ampliare il ventaglio di possibilità che il futuro ci offre. Resto sempre un po’ perplessa quando, arrivati all’ultimo anno di liceo, alcuni miei alunni, posti di fronte alla scelta del percorso da seguire all’università, vanno alla ricerca del corso di laurea che non prevede un esame di matematica. Ho ritrovato questo mio malessere ben argomentato, proprio ieri, da Federico Benuzzi, che ha raccolto, al termine di un suo spettacolo, la frase, pronunciata da un alunno di una terza media: «Andrò al linguistico perché c’è poca matematica». Benuzzi dà voce a questa frustrazione scrivendo: «il percorso di studi si sceglie “per”, non “contro”».
Quando dico che, come insegnante, plasmo il futuro, non mi riferisco, però, solo al futuro dei miei studenti: a loro tento di dare quegli strumenti che, credo, saranno fondamentali non solo per la loro professione, ma per la loro vita, e nel costruire qualcosa per loro costruisco anche qualcosa per me, come il capomastro del racconto iniziale. Il mio pensiero torna a quel giorno in cui, in pronto soccorso, sono stata accolta da un ex alunno che lì lavorava come infermiere: quando guardo i miei alunni, nell’età più ingrata della loro vita, cerco di non dimenticare che un domani saranno adulti, e potrebbero essere direttori/direttrici della casa di riposo in cui passerò gli ultimi anni della mia vita.
Facendo l’insegnante di matematica, sento di contribuire a costruire la vita dei ragazzi attraverso la matematica, anzi sono consapevole che sarà proprio la matematica ad offrire loro una vita diversa. Sempre citando Giuseppe Mingione: «una maggiore alfabetizzazione matematica serve anche a difendersi da certe frottole ben raccontate».
Abraham Lincoln, politico e avvocato statunitense nonché sedicesimo presidente degli USA, scrisse una celebre lettera all’insegnante di suo figlio il primo giorno di scuola. Alla ricerca di idee per questo articolo, non potevo non restare colpita da questa edizione per bambini della Einaudi, suggerita sul suo profilo Instagram da Alessandro Barbaglia, autore de L’invenzione di Eva, romanzo e biografia di Hedy Lamarr: «Gli insegni, se può, che 10 centesimi guadagnati valgono molto di più di un dollaro trovato; a scuola, o maestro, è di gran lunga più onorevole essere bocciato che barare.» La scuola è un ambiente protetto, nel quale è importante che vengano proposte sfide, anche al di sopra delle proprie capacità: è come una palestra nella quale ci si allena a vincere le gare della vita, costruendo strumenti importanti per il futuro.
Rileggendo ciò che ho scritto fino ad ora, mi rendo conto che nella mia vita la matematica, forgiando il mio passato, mi ha permesso di costruire un presente nel quale ho il potere di plasmare il futuro. In altre parole, posso declinare la matematica al passato, al presente, al futuro, ma credo che, consapevoli o meno, sia una cosa che ognuno di noi può fare. Mentre ascoltavo la TED-talk di Alberto Saracco, docente di geometria all’Università di Parma, intitolata Matematica per il futuro, riflettevo non solo sull’impossibilità di studiare solo ciò che può essere utile un domani (come si fa a sapere cosa ci sarà non solo utile, ma necessario?), ma mi ponevo anche un’altra domanda: dove si deve fermare lo sguardo? Quando insegno, il mio sguardo non si ferma all’orizzonte dell’esame di stato, ma va oltre, e credo che lo sguardo di un matematico sia simile: i matematici hanno trovato il modo di toccare l’infinito (basti pensare al piano proiettivo), e allo stesso modo possono toccare il futuro, come dimostrato dalla trasformata di Radon-Nikodym del 1917, che è diventata la chiave per uno degli esami diagnostici più importanti, la TAC. Chi avrebbe potuto vedere un futuro così brillante in una matematica così complessa e, per i più, oscura? È sempre Alberto Saracco, nel parlare della ragionevole efficacia della matematica, che dice: «La matematica è potente nel descrivere il mondo e chi sa utilizzarla per il proprio tornaconto ha a disposizione un vantaggio enorme».
Insegno matematica e plasmo futuro ogni volta che propongo sfide, ogni volta che chiedo ai miei studenti di ragionare, ogni volta che stimolo uno sguardo critico sulla realtà, ogni volta che chiedo un piccolo impegno continuo, perché il futuro non si improvvisa, esattamente come una verifica di matematica. Non mi faccio illusioni, però: non ho idea di quanto loro ricordino di ciò che cerco di trasmettere, ma ho imparato che, se dico qualcosa di errato durante una spiegazione (e lo faccio più frequentemente di quanto vorrei), loro lo ricorderanno sicuramente. Purtroppo, questi errori hanno una vita lunga, come dimostrato dal video realizzato pochi giorni fa dal canale Kurzgesagt – In a Nutshell. Il titolo del video rimanda alla «più vecchia bugia di Internet» e racconta della ricerca delle fonti per la frase: «I tuoi vasi sanguigni si estendono per l’incredibile lunghezza di 100.000 chilometri, abbastanza da avvolgere la Terra due volte!» Ci è voluto un anno per trovare l’origine di questa affermazione e non voglio rovinare la sorpresa, ma basti sapere che l’affermazione è nata, innanzi tutto, da una serie di approssimazioni, e si trattava di una cosa di poca importanza inserita in un libro che aveva ben altri meriti. Eppure, ciò che ha trovato la strada per Internet, da un libro di oltre un secolo fa, è stata un'affermazione sbagliata.