La storia della teoria degli insiemi: una piccola introduzione, passando dal paradosso del barbiere e giungendo fino agli assiomi di Zermelo-Fraenkel.
Bibliografia:
Albrecht Beutelspacher, Matematica da tasca, Ponte alle grazie, Milano 2002
Piergiorgio Odifreddi, La matematica del Novecento, Einaudi, Torino 2000
Piergiorgio Odifreddi, Le menzogne di Ulisse, Longanesi, Milano 2004
Piergiorgio Odifreddi, C’era una volta un paradosso, Einaudi, Torino 2001
Francesco Speranza, Matematica per gli insegnanti di matematica, Zanichelli, Bologna 1992
TRAMA:
L’autore, Roberto Fieschi, esplora il legame della fisica con le altre scienze, ma parte dalla bellezza di questa scienza, così difficile da cogliere, visto il suo complesso linguaggio.
La fisica cerca spiegazioni causali a fenomeni naturali ed è una conoscenza sempre in divenire. Fieschi esordisce esaminando il rapporto tra tecnologia e fisica: da un lato, la fisica apre la strada alla tecnologia, come dimostrano la scoperta della radiazione cosmica di fondo, la scoperta di Kapitsa del comportamento anomalo dell’elio a basse temperature e la scoperta dell’elettrone, dovuta alla tecnica del vuoto. Per contro, la tecnologia permette il progresso della fisica: per secoli, la tecnica ha preceduto la scienza, come dimostrato dall’industria tessile e dagli sviluppi della macchina a vapore. Solo nella seconda metà dell’Ottocento lo studio dei fenomeni elettrici ha cambiato le cose: le scoperte teoriche sono diventate il fondamento delle telecomunicazioni e senza lo sviluppo della chimica, non ci sarebbero stati i reattori nucleari.
Nella seconda parte del libro, Fieschi parla del rapporto della fisica con le altre branche della scienza: comincia con l’astrofisica e con i suoi nuovi e potenti strumenti di indagine, procede con la geofisica, che impiega le tecniche e i metodi della fisica per studiare i fenomeni terrestri e che grazie alla radioattività ha potuto determinare in modo più preciso l’età della Terra, studiandone anche la deriva dei continenti. Numerosi sono i fisici che hanno dato importanti contributi alla biofisica e alla genetica: Mendel, Schrödinger, Gamow, Delbrück e Dulbecco, appassionato di fisica fin dall’adolescenza. Nel campo della medicina, la fisica viene applicata sia in ambito diagnostico che per la terapia: raggi X, TAC, risonanza magnetica, PET, ecografia e ultrasuoni sono le tecniche che le scoperte fisiche hanno messo a disposizione della medicina. Non solo le nuove tecniche, ma anche i materiali, sconosciuti fino a duecento anni fa, hanno cambiato il nostro mondo: grazie a solide conoscenze scientifiche, abbiamo a disposizione numerosi e nuovi materiali.
Matematica era la mente di von Neumann – che però ha dato contributi di altissimo livello anche alla fisica – che realizzò il primo calcolatore nel 1944, ma fisico fu l’inventore del World Wide Web, Berners-Lee, previsto in un protocollo redatto nel 1989 al CERN di Ginevra, in collaborazione con Cailliau. La fisica ha un ruolo centrale anche nell’economia, visto che la capacità di elaborare modelli, l’attitudine a manipolare quantità di dati e l’abilità con gli strumenti informatici, ha portato a introdurre il termine “econofisica”.
Parte della storia della fisica è occupata dal capitolo riguardante il rapporto tra la fisica e gli armamenti, visto che molti dei progressi della fisica sono avvenuti per realizzare nuove armi: per quanto l’osservazione e la ricerca delle leggi che regolano la natura dovrebbero essere indipendenti dalle convinzioni dello scienziato, capita che egli sia spesso influenzato dal mondo in cui vive, come dimostrano i numerosi esempi della Germania nazista oppure la biologia proposta dal sovietico Lysenko. Paradossalmente, spesso lo scienziato sceglie di contribuire alla realizzazione di un’arma micidiale per allontanare il rischio di una guerra, oltre che per la ricerca del successo e del prestigio, come è successo ai fisici che hanno partecipato al Progetto Manhattan. Non dimentichiamo che gli scienziati non hanno solo l’amore per la ricerca in quanto accesso alla conoscenza: le dispute per la priorità delle scoperte e le polemiche accese in passato sono una dimostrazione di quanto la gloria sia una delle molle per accedere alla conoscenza.
Purtroppo, nonostante il progredire della scienza, la superstizione sembra dominare la nostra società e la razionalità viene vinta dagli oroscopi. Eppure anche la scienza non è solo dominio della razionalità: lo scienziato viene coinvolto dall’entusiasmo della scoperta, per quanto sappia che servono conferme e ulteriori prove e Galilei, in tal senso, ribadisce che la fiducia nella ragione umana deve essere illuminata dalla consapevolezza dei propri limiti.
COMMENTO:
Il libro di Roberto Fieschi ci offre una panoramica sul mondo della fisica, attraverso le riflessioni maturate in anni di dedizione alla ricerca e all’insegnamento. Le informazioni fornite sono esposte con chiarezza e mantengono sempre desta l’attenzione nel lettore: forse i capitoli brevi, forse perché tutto ciò di cui si parla non è solo raccontato in prima persona, ma anche vissuto in prima persona, la lettura prosegue speditamente. Pur riconoscendo alla fisica il ruolo essenziale svolto nello sviluppo anche di altri settori della scienza, l’autore non può che affermare la propria consapevolezza che in futuro le scoperte più importanti verranno dalla biofisica e dalle neuroscienze: proprio per questo motivo la fisica costituisce il fil rouge dell’esposizione, ma il testo può essere considerato una carrellata di tutte le scienze studiate attualmente.
TRAMA:
La lettera di Pascal, datata 24 agosto 1654, è l’esempio di come un singolo documento matematico possa cambiare il corso della storia: ha infatti segnato la nascita della moderna teoria della probabilità e al giorno d’oggi, affari, politica, difesa, guerra, scienza, ingegneria, medicina, sport, finanza, edilizia, trasporti, attività ricreative e molti altri aspetti della vita quotidiana sono regolati da calcoli probabilistici: “Ciò che ora diamo per scontato fu un immenso passo avanti nel pensiero umano, reso possibile soltanto da un significativo sforzo intellettuale”.
Il quesito affrontato da Pascal e Fermat è stato formulato per la prima volta nel 1494, nel libro di Luca Pacioli Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalita: in che modo dei giocatori dovrebbero spartirsi la posta, qualora fosse per loro necessario abbandonare la partita, prima del suo termine? Questo è noto come il problema dei punti e per risolverlo è necessario saper guardare al futuro. A Pascal e Fermat occorsero diverse settimane di intenso lavoro intellettuale per risolvere il problema, a dimostrazione del fatto che “anche gli esperti possono trovare difficile padroneggiare una nuova idea matematica”. Pacioli aveva ipotizzato che la soluzione fosse quella di dividere la posta in base alla situazione raggiunta di fatto, ma il ragionamento non è corretto, come venne dimostrato nel 1539 da Girolamo Cardano. Il problema venne proposto a Pascal da Antoine Gombaud, un giocatore d’azzardo. Pascal trovò una soluzione, ma, non sicuro della correttezza del ragionamento, chiese a Fermat se condivideva la sua strategia.
Nello scambio epistolare che seguì, Pascal dimostra di essere un matematico incredibilmente dotato, ma, come non fatica a riconoscere, Fermat era ancora meglio. I due uomini adottarono approcci diversi alla soluzione del problema: entrambi i metodi erano corretti, ma la soluzione di Fermat era di gran lunga la migliore. La soluzione di Pascal “è difficile da seguire anche per un matematico di professione”, mentre l’approccio di Fermat, “che va direttamente al fulcro del problema e fa soltanto ciò che è richiesto per ottenere la risposta cercata, dà prova di un’autentica genialità”.
“Pascal e Fermat non avrebbero mai compreso pienamente che il loro scambio epistolare avrebbe rivelato all’umanità un modo del tutto rivoluzionario con cui gettare un’occhiata nel futuro, cambiando drasticamente la vita umana”. Per loro si trattava probabilmente solo di un rompicapo matematico, senza alcuna utilità per la realtà quotidiana.
Nello stesso anno della morte di Pascal, il 1662, il libro Natural and Political Observations Made Upon the Bills of Mortality di John Graunt cambiò ulteriormente il modo di vedere la teoria della probabilità, segnando la nascita della statistica moderna. “Graunt e il suo pamphlet fecero uscire la teoria della probabilità di Pascal e Fermat dalle sale da gioco per portarla nella realtà quotidiana”:
Nel 1657, Christiaan Huygens pubblicò De ratiociniis in ludo aleae, considerato negli anni successivi un testo fondamentale per la teoria della probabilità: Huygens superò il lavoro di Pascal e Fermat, applicando i metodi della teoria della probabilità nella vita reale, con l’introduzione del concetto di “aspettativa”.
Il lavoro venne portato ulteriormente avanti dalla famiglia Bernoulli: Jakob enunciò la legge dei grandi numeri, dimostrando che la frequenza relativa di un evento permette di predirne la probabilità tanto più accuratamente, quanto più numerosi sono i casi osservati. Nikolaus pubblicò, nel 1709, il libro De usu artis conjectandi in jure, nel quale discuteva la stima della durata della vita umana, segnando un importante passo avanti nella gestione del rischio. Daniel consentì la soluzione dell’enigma noto come paradosso di San Pietroburgo, osservando il modo in cui la gente valutava soggettivamente i rischi e compiendo una profonda osservazione riguardo all’utilità.
Le idee di Nikolaus Bernoulli vennero riprese da Abraham de Moivre, che nel 1733, con il libro Doctrine des chances, mostrò come un insieme di osservazioni casuali si distribuiscono attorno al valore medio, ovvero studiò la distribuzione normale, che otto anni dopo Karl Friedrich Gauss comprese di poter usare per stimare il valore dei dati. La misura di de Moivre, nota come deviazione standard, permise di giudicare se un insieme di osservazioni fosse sufficientemente rappresentativo dell’intera popolazione.
L’ultimo personaggio della storia è Thomas Bayes: riconosciuto oggi come una mente matematica brillante, durante la sua vita non pubblicò nessuno scritto originale, ma furono notate le sue abilità scientifiche, visto che era un membro della Royal Society. Il suo approccio alla probabilità fu rivoluzionario e aveva una vasta gamma di applicazioni, visto che permetteva di rivedere la stima di una probabilità alla luce di nuove informazioni. Ignorato per quasi due secoli dagli statistici e dai teorici della probabilità, il metodo di Bayes divenne sempre più diffuso a partire dagli anni Settanta del Novecento, grazie anche alla disponibilità di potenti computer che hanno reso possibile eseguire iterativamente il processo. Il punto di forza dell’approccio di Bayes è nel fatto che può guidarci quando le nostre intuizioni sono sbagliate.
COMMENTO:
Siamo abituati a pensare ai grandi matematici del passato come a persone che non hanno mai avuto alcuna difficoltà a capire una formula, un procedimento mentale: Pascal è la dimostrazione che anche i grandi hanno avuto le loro difficoltà. Ma la chiave di tutto, la differenza tra noi e i grandi, sta forse nella tenacia, nella volontà di capire, di aprire nuovi orizzonti.
Un libro semplice, anche per non addetti ai lavori, che, a partire dalla lettera di Pascal del 1654, traccia la storia del calcolo delle probabilità fino alla nota formula di Bayes e fino alle intuizioni di de Finetti. Consigliato a tutti coloro che non nutrono grande simpatia per questa branca della matematica, solo all’apparenza semplice, ma in realtà complicata e affascinante, nella stessa misura in cui mette in crisi le nostre intuizioni e le nostre errate convinzioni.
TRAMA:
Nel diciottesimo secolo, la fisica, che riguardava solo i fenomeni meccanici, era analizzata solo dal punto di vista matematico. Più avanti, il calore e l’elettricità vennero spiegati con l’esistenza di fluidi imponderabili, ma si trattava di speculazioni qualitative, separate dalla scienza esatta ovvero dalla meccanica, nonostante i diversi tentativi di trattazioni matematiche. Oersted (1820) e Faraday (1831) riuscirono a collegare, con i loro esperimenti, le forze elettriche e quelle magnetiche; Joule stabilì l’equivalenza tra calore e lavoro meccanico e nel 1847 Helmholtz trattò i fenomeni di meccanica, calore, luce, elettricità e magnetismo come differenti manifestazioni dell’energia. Il modo in cui i problemi fisici della luce, del calore e dell’elettricità venivano trattati era tale da consentirne un’analisi matematica e ciò favorì molto l’unificazione della fisica. Ebbero particolare importanza gli esperimenti di Joule: mentre i fisici del diciottesimo secolo avevano considerato i processi meccanici e quelli non meccanici come processi relativi a differenti sistemi fisici, la dimostrazione dell’equivalenza tra lavoro meccanico e calore fatta da Joule negli anni Quaranta dell’Ottocento consentì, insieme alla legge della conservazione dell’energia, l’unificazione dei processi termici e meccanici. E così negli anni Cinquanta e Sessanta Thomson e W.J. Macquorn Rankine elaborarono un nuovo modello della teoria fisica in cui il concetto fondamentale era quello di energia, tentando di rendere più chiara la base matematica e fisica del principio di conservazione dell’energia.
Il concetto di campo emerse intorno al 1850, nella fisica britannica, quando Thomson e Maxwell formularono le teorie dell’elettricità e del magnetismo. La concezione meccanicistica della natura ricevette un ulteriore supporto negli anni Cinquanta e Sessanta con lo sviluppo della teoria cinetica dei gas elaborata da Clausius e Maxwell, nella quale il moto delle particelle era descritto come fenomeno meccanico. I dubbi sorti dopo questa spiegazione indussero Maxwell a introdurre il paradosso del «demone», per dimostrare che le interpretazioni molecolari dovevano basarsi su un’analisi statistica del moto di un immenso numero di molecole.
Con l’enunciazione dell’equivalenza tra massa ed energia e l’abbandono di spazio e tempo assoluti, la teoria della relatività di Einstein segna una «rivoluzione» nella storia della fisica: per quanto l’accento che si pone generalmente sulla discontinuità tra fisica classica e moderna sia appropriato quando serve a distinguere le assunzioni filosofiche della fisica sette-ottocentesca dalle dottrine relativistiche e indeterministiche della fisica del nostro secolo, e a distinguere una fisica prima e una fisica dopo lo sviluppo della meccanica quantistica negli anni Venti, questa frattura è esagerata e trascura, in un modo che risulta alla fine fuorviante, la continuità di idee che pur esiste tra il periodo classico e il periodo moderno.
COMMENTO:
Una storia della fisica approfondita ed interessante, che può essere affrontata con le conoscenze che si sono acquisite con la scuola superiore. Il linguaggio non rende la lettura sempre agevole, ma con un po’ di concentrazione ed attenzione si può capire ogni cosa.
TRAMA:
A partire dalla matematica dell’antichità, essenzialmente greca, Cresci tratteggia la storia della matematica attraverso i secoli, seguendo il percorso con brevi descrizioni delle curve piane. Non ci sono trattazioni matematiche o dimostrazioni: ci siamo sforzati di legare ogni curva che viene presentata nel testo al suo ideatore e di quest’ultimo tratteggiare la personalità: le biografie dei matematici sono spesso ricche di episodi, di avvenimenti, di aneddoti curiosi, e la parte matematica delle curve non può prescindere dalle circostanze della loro creazione.
Grazie ai tentativi dei greci di ottenere le soluzioni dei tre grandi problemi dell’antichità – la quadratura del cerchio, la duplicazione del cubo e la trisezione dell’angolo – si ottennero altre curve: le lunule di Ippocrate, la trisettrice di Ippia, la quadratrice di Dinostrato.
Procedendo nella storia, incontriamo Archimede: al suo nome sono legate la spirale, una curva piana, tracciata da un punto che si sposta uniformemente lungo una semiretta, mentre questa a sua volta ruota uniformemente attorno al suo estremo e la circonferenza, visto che il genio dell’antichità raggiunse una buona approssimazione del p, inventando un procedimento iterativo.
Nel XVII secolo si celebra l’inizio della geometria analitica: René Descartes operò una vera rivoluzione, identificando una relazione algebrica, e cioè un insieme di simboli formali, con una curva, o meglio con un luogo geometrico, e cioè con l’insieme di tutti i punti che soddisfano ad una data proprietà geometrica. L’utilizzo delle coordinate non era una novità, perché già Apollonio aveva utilizzato un sistema analogo. Le coniche erano già comparse secoli prima: Menecmo le definì e utilizzò per primo, ricavando la parabola, l’ellisse e l’iperbole dall’intersezione di coni circolari retti (rispettivamente con angolo al vertice retto, acuto e ottuso) e piani perpendicolari alla generatrice del cono. Euclide scrisse quattro libri sulle sezioni coniche, probabilmente andati perduti perché superati dall’opera di Apollonio, Le coniche, trattato nel quale dà alle curve il nome con cui le conosciamo anche oggi ed effettua una generalizzazione, ottenendo le curve da uno stesso cono e variando l’inclinazione del piano di sezione. Le sue sono innovazioni coraggiose e profonde.
Altra curva degna di nota è la cicloide, “la bella Elena” della geometria, che non è altro che il percorso che fa nell’aria il punto di una ruota, quando essa rotola nel suo movimento normale, dal momento in cui il punto comincia a sollevarsi da terra, fino al momento in cui la rotazione continua della ruota l’abbia ricondotto a terra, dopo un giro completo. Se la curva fissa non è una retta ma una circonferenza, la cicloide diventa epicicloide se la circonferenza che rotola è all’esterno, ipocicloide se rotola all’interno. I moti epicicloidali furono usati da Tolomeo per descrivere il movimento di alcuni pianeti.
Tra le curve più famose citate nel libro: la concoide di Nicomede, la cissoide di Diocle, la lumaca di Pascal (padre), la lemniscata di Bernoulli, la spirale logaritmica, la catenaria, la cardioide, la nefroide, la strofoide, la clotoide – studiata inizialmente da Eulero –, la versiera di Gaetana Agnesi – nota in inglese come witch of Agnesi –, la funzione di Gauss, la funzione logistica di Verhulst – per lo studio della crescita demografica di una popolazione –, la curva di Peano, la polvere di Cantor, la curva a fiocco di neve, il setaccio apolloniano e i frattali di Mandelbrot.
Le appendici che concludono il testo riprendono tre argomenti oggetto di presentazione nel testo: la biblioteca di Alessandria, l’invenzione della Pascaline e la storia di Lady Lovelace e Charles Babbage, che precorsero i tempi concependo l’Analytical Engine – il predecessore dell’odierno pc – già nel XIX secolo.
COMMENTO:
Visto l’elevato numero di argomenti, curve, aneddoti, non si può che trattare di un “assaggio” di storia della matematica, da sottoporre a ulteriori approfondimenti. Semplice e scorrevole, la sua lettura è consigliata a tutti.
TRAMA:
Nella notte tra il 18 e il 19 febbraio del 1512, durante il sacco di Brescia ad opera dei soldati francesi, Niccolò Tartaglia cercò riparo dentro il Duomo, ma i francesi assalirono i rifugiati e uno di essi gli inferse cinque ferite in volto. Niccolò guarì nel giro di qualche mese, grazie alle cure della madre, ma le ferite alla bocca gli causarono la balbuzie: i coetanei lo prendevano in giro per questo suo difetto chiamandolo “tartaglia” ed egli adottò questo nomignolo come cognome.
Nato a Brescia presumibilmente nel 1499 da una famiglia molto povera, Niccolò Tartaglia lavorò autonomamente alla propria formazione scientifica, studiando le opere di Euclide, Archimede e Apollonio. Tra il 1516 e il 1518 si trasferì a Verona, dove rimase fino al 1534; qui acquisì notorietà e rispetto, con il ruolo di maestro d’abaco. La fama raggiunta da Tartaglia è testimoniata dai quesiti da lui posti a numerosi interlocutori. A quei tempierano di gran voga in Italia le disfide tra matematici, di rango universitario e non: veri e propri duelli scientifici il cui svolgimento ricalcava i canoni dei tornei cavallereschi. Uno studioso inviava a un secondo alcuni problemi, che rappresentavano il guanto di sfida di queste particolari tenzoni, e lo sfidato doveva cercare di risolverli entro un termine prestabilito, proponendo a sua volta all’avversario ulteriori quesiti. La consuetudine voleva poi che ogni duello dall’esito contrastato culminasse in un pubblico dibattito, nel corso del quale i contendenti erano tenuti a discutere dei problemi scambiati e delle relative soluzioni alla presenza di giudici, notai, governanti e di una platea di spettatori sovente assai folta. Non era infrequente, inoltre, che tali disfide si facessero parecchio incandescenti, sconfinando dal piano scientifico a quello dell’invettiva personale. D’altra parte, la posta in palio poteva essere molto alta: il vincitore di una pubblica disfida matematica, ossia colui che aveva risolto il maggior numero di problemi, non guadagnava solo gloria e prestigio, bensì più concretamente anche un eventuale premio in denaro, nuovi discepoli paganti, l’acquisizione o la conferma di una cattedra, aumenti di stipendio e spesso incarichi professionali ben remunerati. La carriera dello sconfitto, invece, rischiava di rimanere seriamente compromessa.
Il secondo protagonista di questa storia è Gerolamo Cardano: nato a Pavia il 24 settembre 1501, si laureò in medicina nel 1526, ma solo nell’estate del 1539 fu accolto dal Collegio dei medici di Milano, che aveva osteggiato la sua elezione a causa dei suoi illegittimi natali. Divenne in seguito il medico più famoso e richiesto della città. Informato da un matematico che Tartaglia aveva trovato la formula risolutiva delle equazioni di terzo grado, si mise in contatto con lui all’inizio del 1539 per avere la formula, ma Tartaglia rispose negativamente alla richiesta: “quando vorrò pubblicar tal mia inventione la vorrò publicar in opere mie et non in opere de altri”. Dopo una corrispondenza dai toni abbastanza vivaci, Tartaglia si recò a Milano da Cardano in primavera: ebbero a disposizione diverso tempo per discorrere tra loro e confrontarsi su vari temi, uno dei quali non poteva che essere la questione delle equazioni cubiche e delle loro regole risolutive. Cardano giurò a Tartaglia che non avrebbe mai svelato la formula risolutiva e questi si lasciò convincere a rivelarla. I due smisero di scriversi nel gennaio del 1540 e non sono documentati ulteriori contatti personali o epistolari.
Mentre Tartaglia rivelava la formula, Cardano era in compagnia di un giovanissimo allievo, Ludovico Ferrari. Nato a Bologna il 2 febbraio 1522, Ferrari discendeva da una famiglia milanese: rimasto presto orfano, fu mandato a Milano come servitore nell’abitazione di Cardano, il quale, accortosi della sua predisposizione agli studi, si prese cura della sua istruzione. Nel 1542 si recarono a Bologna per far visita a un matematico: questi mostrò loro un vecchio taccuino appartenuto al suocero, Scipione Dal Ferro, nel quale i due trovarono la formula risolutiva delle equazioni cubiche. Dopo aver appreso la formula, Cardano e Ferrari si persuasero della necessità di diffondere in tutto il mondo scientifico le nuove conoscenze acquisite e Cardano, in particolare, si sentì svincolato dal giuramento fatto a Tartaglia. Nel 1545, Cardano pubblicò il volume Artis magnae, sive de regulis algebraicis più noto come Ars Magna, un testo destinato a imprimere una svolta profonda nella storia dell’algebra, determinando l’avvio di una nuova era per le ricerche matematiche. Nel suo trattato, Cardano attribuì agli autori delle formule risolutive i dovuti meriti e riconobbe i contributi di Ferrari, con il quale aveva collaborato. La formula risolutiva delle equazioni cubiche è spesso denominata «formula cardanica» poiché, pur non essendone stato lo scopritore, fu Cardano a farla conoscere al mondo scientifico, e per di più completa di dimostrazione.
Nel 1546, Tartaglia pubblicò Quesiti et inventioni diverse, nel quale si scagliò contro Cardano, che non aveva tenuto fede al giuramento di silenzio. Cardano non replicò all’attacco, ma lo fece Ferrari: il 10 febbraio 1547, inviò a Tartaglia un pubblico «cartello di matematica disfida», proponendogli di misurarsi con lui in un pubblico “duello”. I due continuarono a scambiarsi cartelli dal giugno all’ottobre del 1547 e si scontrarono il 10 agosto 1548 a Milano. Tartaglia abbandonò la disputa dopo il primo giorno, perché la riteneva invalidata dal comportamento del pubblico presente, apertamente schierato a favore dell’avversario, ma dichiarò di esserne il vincitore, contestando alcune delle risposte di Ferrari. Non possiamo sapere come siano andate davvero le cose, ma la maggior parte delle fonti riconosce in Ferrari il vincitore dello scontro.
Tartaglia morì a Venezia il 13 dicembre 1557, in solitudine e povertà. Ferrari morì a soli quarantatre anni, probabilmente avvelenato dalla sorella. Cardano morì il 20 settembre 1576, dopo aver visto giustiziare uno dei suoi figli per uxoricidio ed essere stato condannato dall’Inquisizione.
COMMENTO:
Quanto è raccontato in questo libro costituisceun complesso di vicende tanto sorprendenti e appassionanti da richiamare, crediamo, la curiosità anche dei non addetti ai lavori: vicende ricche di situazioni dal sapore romanzesco – intrighi, segreti, arroventate dispute erudite – e animate da personaggi affascinanti, geniali e bizzarri, capaci di eccellere nella loro epoca sia per virtù di intelletto che per umane debolezze. Con queste parole nell’introduzione, l’autore ci fornisce un ottimo motivo per leggere questo libro. Per molte persone, è difficile immaginare che tante passioni possano animare la scoperta di una formula matematica: per questo tutti coloro che considerano la matematica arida e priva di passionalità dovrebbero leggere questa storia.
Le ultime righe del libro:
Nella prima metà del Cinquecento, di fatto, Scipione Dal Ferro, Niccolò Tartaglia, Gerolamo Cardano e Ludovico Ferrari furono i quattro scintillanti moschettieri che illuminarono il cielo dell’algebra con le loro straordinarie e feconde scoperte. Scoperte originate non solo da genio creativo e abilità tecnica, ma altresì da passione, dedizione, perseveranza, competizione, gelosia, ambizione, stima, risentimento, impeto, sofferenza. Insomma, da tutto il carico di umanità che si può nascondere anche dietro una formula matematica.
TRAMA:
Dall’introduzione:
Le vicende in cui ci imbatteremo hanno a che fare con la religione, l’amore e l’imbroglio non meno che con la scienza oggettiva e la tecnologia. Ci faranno spaziare dalle strade di Amburgo durante un bombardamento della seconda guerra mondiale alla mente di Alan Turing, geniale inventore del computer, perseguitato proprio dalle autorità del paese che aveva salvato; da Michael Faraday, nato nei bassifondi e tenuto in scarsa considerazione dai suoi contemporanei a causa della sua fede religiosa (grazie alla quale, però, fu il primo a vedere le forze elettriche intrecciarsi invisibili nello spazio), a un pittore, Samuel Morse, che si candidò entusiasta a sindaco di New York con un programma di persecuzioni contro i cattolici, e che apprese più di quanto non fosse mai disposto ad ammettere sul funzionamento dei telegrafi da un pioniere il quale non riusciva a credere che qualcuno volesse brevettare un’idea così ovvia.
Incontreremo un esuberante immigrato in America poco più che ventenne, Alexander Bell, deciso a tutto per conquistare l’amore di una studentessa adolescente sorda, e il quarantenne Robert Watson-Watt, che invece cerca disperatamente di sfuggire a un matrimonio noioso e al tedio della città di Slough degli anni 1930. E ancora Otto Loewi, che si sveglia la notte prima di Pasqua rendendosi conto di aver risolto il problema di come l’elettricità opera nel nostro corpo, ma che il mattino dopo, disperato, non riesce a leggere gli appunti scarabocchiati che ha buttato giù accanto al letto durante la notte; e il ragazzo scozzese di campagna, James Clerk Maxwell, che per anni alla scuola elementare viene trattato da tonto dai compagni prepotenti, eppure diviene il massimo scienziato teorico del XIX secolo, capace di concepire la struttura intima dell’universo in modo che gli scienziati delle epoche successive riconosceranno profondamente vero. Tutte queste vicende mettono in luce come la forza immensa dell’elettricità fu gradualmente svelata, come fu sottratta al suo regno occulto, e che cosa noi, esseri umani imperfetti, abbiamo fatto dei poteri accresciuti che essa ci ha conferito.
COMMENTO:
Una delle caratteristiche principali del libro è la sua semplicità: i passaggi più complessi sono lasciati alle note in fondo al testo, che spiegano il funzionamento delle macchine descritte, mentre il resto della trattazione è alla portata di tutti.
La storia degli uomini che hanno reso possibili le comodità del mondo attuale è coinvolgente: in alcuni tratti della storia del radar, ad esempio, si ha quasi l'impressione di leggere un romanzo di Ken Follett, vista la suspense! E poi le vicende di questi uomini, si tratti delle slealtà di Morse o della solitudine di Turing, rendono tutto il mondo della fisica più vicino alla nostra quotidianità.