Martedì, 25 Giugno 2024 16:19

L'esame che vorrei

Il secondo giorno di prove orali dell’Esame di Stato non è stato meno ricco di spunti del primo.

Al primo candidato è stata proposta la raccolta di novelle Vita dei campi di Giovanni Verga: non ho trovato collegamenti tra Verga e la matematica (il che non esclude che ci siano), ma Verga viene sempre associato a Charles Dickens (e in effetti anche il candidato ha virato subito dopo sulla letteratura inglese). Nella ricerca di collegamenti tra Dickens e la matematica, mi sono imbattuta in un articolo di Brittany Carlson, dell’Università della California, che paragona il blocco dello scrittore all’ansia per la matematica, che spesso si esprime nel guardare impotenti un problema, senza riuscire a trovare un approccio. Nonostante la sua amicizia con Charles Babbage e Ada Lovelace, Dickens non aveva una buona opinione della matematica: nutriva un certo sospetto nei confronti di questa disciplina, soprattutto per l’uso che ne era stato fatto nelle statistiche, che avevano portato a deumanizzare e depersonalizzare i meno abbienti, appiattendo la situazione: la sua riprovazione è rivolta alle New Poor Laws del 1834, ma ha da ridire anche sull’educazione matematica, visto che non accettava che fosse insegnata, nel XIX secolo, usando la memorizzazione. Nella mia ricerca, ho trovato anche un articolo pubblicato sul numero 268 di Le Scienze, nel dicembre 1990, e riproposto nel 2012: è intitolato Il Teorema di Natale di Fermat ed è stato pubblicato nella rubrica L’angolo matematico di Ian Stewart. La lettura è davvero divertente: si tratta di un Canto di Natale modificato, con un Mister Stooge (=fantoccio) come protagonista (al posto di Scrooge=Tirchio), che incontra il Fantasma dei Teoremi del passato, il Fantasma delle Intuizioni future e il Fantasma delle Dimostrazioni presenti. Costellato da una serie di curiosità matematiche, a partire dai fattoriali e dai frattali, fino al “moduloscopio” che modifica i numeri, accarezza la Congettura di Fermat (nel 1990 non era ancora l’Ultimo Teorema), fino ad arrivare a Minkowski, alla relatività einsteiniana e alla “geometria dei numeri”.

Il secondo candidato si è visto proporre il romanzo Jane Eyre, di Charlotte Bronte, nel quale i temi sono l’amore, l’indipendenza e la figura della donna in epoca vittoriana. Ho trovato un articolo comparso sul numero 9 di Prisma, nel luglio 2019, scritto da Paola Magrone e Ana Millán Gasca, autrici del libro I bambini e il pensiero scientifico, che ha per protagonista Mary Everest Boole, una donna in epoca vittoriana. Moglie di George Boole e nipote di George Everest, «fece della ricerca della verità il filo conduttore della sua vita». Avrebbe potuto studiare matematica a Cambridge, ma, come sentì dire dal padre: «Che cosa può fare una ragazza studiando matematica?». È di fatto costretta a formarsi autonomamente, dimostrando una grande determinazione. Il marito dà un grande contributo al suo percorso, tributandole molta stima, come mostrato dalla lettera scritta ad Augustus de Morgan: «Non c’è assolutamente nessuna persona [in Irlanda] con cui io discuta di logica eccetto mia moglie». L’obiettivo di Mary Everest Boole era di formare i bambini al pensiero scientifico per avere adulti migliori, mostrando le difficoltà della scienza per farla amare, consapevole che una semplificazione eccessiva avrebbe annoiato i bambini, smorzandone la passione.

Il terzo documento è stato preso dal sito Our World in data e si tratta di una serie di tre grafici, proposti dagli economisti Branko Milanovic e Christoph Lakner, che mostra la storia della disuguaglianza economica globale. «Ciò che più conta per stabilire quanto tu sia sano, ricco e istruito, non è chi sei, ma dove sei», è dichiarato in apertura dall’autore dell’articolo Max Roser. I grafici mostrano una situazione di povertà nel 1800, che evolve in una grande disparità nel 1975, fino ad arrivare al 2015, quando l’estrema povertà è crollata come mai prima d’ora.

Il quarto collegamento è stato davvero inaspettato: si parla di letteratura spagnola, che non conosco molto, e protagonista è l’opera di Rafael Alberti. Prima ho trovato la poesia Alla divina proporzione, contenuta nella raccolta Poesie dell’esilio e dell’attesa, probabilmente scaturita dalla lettura della Divina proportione di Luca Pacioli del 1509. Si tratta di un sonetto che, come viene ribadito nel blog Literary, è la «forma poetica rinascimentale simbolo per eccellenza di perfezione metrica lucida e ragionata su parametri matematici non solo nel computo sillabico dell’endecasillabo, ma anche nello schema prosodico in seno a ogni verso». La cosa simpatica è che, letta nella lingua originale, presenta in apertura di strofa “A ti”, che crea un’assonanza con phi, il simbolo della sezione aurea. Cercando ulteriori conferme, sono approdata al blog di Marco Fulvio Barozzi, Popinga, che propone El ángel de los números, dalla raccolta Sobre los angeles del 1928, «in cui affiorano i ricordi di scolaro affascinato dal freddo suono del gesso sulla lavagna e dall’azione del cancellino sulle parole e sui numeri».

La mattinata si è davvero chiusa in bellezza con il documento che rimandava al celebre Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde. Complice la citazione presente nella prova di matematica dell’Esame di Stato del liceo scientifico («Le forme create dal matematico, come quelle create dal pittore o dal poeta, devono essere belle: le idee, come i colori o le parole, devono legarsi armoniosamente. La bellezza è il requisito fondamentale: al mondo non c’è posto perenne per la matematica brutta!»), ho subito pensato al matematico Godfrey H. Hardy. Cercando sul web, mi sono imbattuta nel blog Robiland, che riporta una descrizione del matematico, stralciata dal libro di Robert Kanigel L’uomo che vide l’infinito, pubblicato nel 2003 per Rizzoli. In apertura del quarto capitolo, dedicato ad Hardy, Kanigel scrive: «Era oggetto di studio sull’eterna giovinezza. Un giorno della primavera del 1901, Hardy portò l’amico Lytton Strachey nel prato privato dietro il Trinity College, cui aveva accesso in quanto fellow del college, per una partita a bocce. “È il genio matematico per eccellenza” scrisse Strachey a sua madre “e ha l’aspetto di un bambino di tre anni.” Persino dopo aver superato i trent’anni, Hardy si vedeva spesso rifiutare la birra e almeno una volta, mentre pranzava con altri docenti del Trinity, venne scambiato per uno studente.» Direi che non potrebbe esserci esempio migliore, soprattutto perché L’apologia di un matematico (citata appunto nella seconda prova di matematica) permette una chiusura (di questo articolo) provocatoria: «La matematica greca è “perenne”, ancora più della letteratura greca. Archimede sarà ricordato quando Eschilo sarà dimenticato, perché le lingue muoiono ma le idee matematiche no. “Immortalità” forse è una parola ingenua, ma un matematico ha più probabilità di chiunque altro di raggiungere quello che questa parola designa.»

 

Prima giornata di prove orali: L'esame che farei

Terza giornata di prove orali: L'esame che amerei

Letto 368 volte Ultima modifica il Sabato, 10 Agosto 2024 15:45
Altro in questa categoria: « L'esame che farei L'esame che amerei »

© 2020 Amolamatematica di Daniela Molinari - Concept & Design AVX Srl
Note Legali e Informativa sulla privacy