«Il matematico indiano», pubblicato in Italia da Mondadori, è stato scritto nel 2007 da David Leavitt, scrittore statunitense, nonché docente di lettere inglesi alla University of Florida, dove insegna nel programma di scrittura creativa. Il libro nel 2009 ha vinto il XVIII premio Grinzane Cavour per la narrativa straniera.
È un romanzo abbastanza impegnativo che racconta la vicenda del matematico indiano Srinivasa Ramanujan usando diversi piani di narrazione. Da un lato abbiamo una conferenza di Hardy nel 1936 ad Harvard, in parte realmente accaduta e in parte reinventata, che apre e accompagna la narrazione: l’autore la usa per riempire i buchi della narrazione stessa. Poi abbiamo le biografie di Hardy e di Littlewood, i due matematici che hanno un ruolo di primo piano nella scoperta del genio di Ramanujan, e il racconto della vita di Ramanujan stesso. Dopodiché nel corso della narrazione, incontriamo anche altri personaggi comprimari, come la sorella di Hardy, Gertrude, l’amante di Littlewood e gli altri insegnanti e allievi del Trinity College. La vicenda di Ramanujan permette di entrare in contatto con l’Inghilterra degli inizi del Novecento, con le usanze del Trinity College (basti pensare al Tripos) e con il legame esistente tra l’Inghilterra e l’India, sua colonia.
Partendo da una vicenda realmente accaduta, la narrazione è un mosaico di molti fatti storici verificati e di altri che sono pura invenzione dell’autore e un esempio è dato dal matematico Eric Neville, che in qualche modo con sua moglie Alice favorì il viaggio di Ramanujan in Inghilterra: per quanto lo studioso sia realmente esistito, il fatto che la moglie si sia poi innamorata di Ramanujan è pura invenzione dell’autore. Nelle note conclusive, l’autore ristabilisce il giusto equilibrio tra realtà e finzione, specificando quali aspetti ha enfatizzato o inventato per dare maggior tono alla narrazione ed elencando anche le numerose fonti che gli hanno permesso di scrivere questo romanzo. Hardy, reale protagonista del romanzo, colpisce per la sua freddezza che maschera in realtà la sua riservatezza e la sua omosessualità, in un periodo storico in cui sarebbe stato condannato dalla società. Secondo quanto viene riportato da Wikipedia, Leavitt, che ha affrontato a più riprese la tematica dell’omosessualità nei suoi libri – basti pensare al libro dedicato ad Alan Turing «L’uomo che sapeva troppo. Alan Turing e l’invenzione del computer» – avrebbe dichiarato: «Ho scritto quello che avrei voluto leggere quando ero adolescente, ma che nessun libro raccontava».
Questo libro può essere letto anche da chi non abbia alcuna preparazione matematica, perché di fatto ci sono solo alcuni brevi riferimenti alle ricerche di Hardy e Ramanujan. La lettura è piacevole e si finisce con l’affezionarsi alle stranezze di Hardy o con il soffrire per il disagio di Ramanujan, mentre lo stupore per questa vicenda non abbandona mai il lettore. L’incontro tra Hardy e Ramanujan ha dell’incredibile e l’accanimento di Hardy perché venisse riconosciuta la grandezza dell’amico è eccezionale nella misura in cui si è consapevoli della personalità schiva del matematico inglese.
Nella sua conferenza a Harvard, parlando di Ramanujan, Hardy dice: «L’ho visto e gli ho parlato ogni giorno per parecchi anni, e soprattutto ho attivamente collaborato con lui. Devo più a lui che a chiunque altro al mondo, con una sola eccezione [Littlewood], e il mio rapporto con lui è stata l’unica vicenda romantica della mia vita. […] Per me dunque la difficoltà non consiste nel non sapere abbastanza di lui, ma è di sapere troppo, di sentire troppo, e di non poter essere imparziale.»