«Oltre le stelle più lontane», pubblicato nel 2021 da Mondadori, è un dialogo tra Amalia Ercoli, classe 1937, e sua figlia Elvina Finzi, classe 1976. L’una, Amalia, un’ingegnere (con l’apostrofo!), professoressa emerita al Politecnico di Milano, prima donna a laurearsi in ingegneria aeronautica in Italia, ma soprattutto fra i principali investigator della missione Rosetta. L’altra, Elvina, doppia laurea con lode al Politecnico di Milano e all’Ensta di Parigi, e dottorato di ricerca in ingegneria nucleare.
Il libro, pensato per ragazzi delle medie, è un ottimo dialogo che mette in luce le differenze di vita tra Amalia ed Elvina: la prima ha vissuto la sua infanzia sul finire della Seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra, mentre la seconda a fine anni ’80, e quindi il confronto fra le loro vite è un confronto anche di due epoche. Amalia ha dovuto combattere contro una serie di stereotipi rappresentati dalla madre, che la definiva “maschiaccio” perché non si interessava a quelle che erano considerate le faccende femminili, perciò nei confronti di Elvina ha cercato di essere supportiva e di spingerla a cercare di realizzarsi innanzitutto come donna. La storia di Amalia Ercoli è una vera fonte di ispirazione: si pone come una role model non solo per la figlia, che poi in qualche modo seguirà le sue orme, ma anche per la nipotina Nicole, che ritroviamo in un interessante dialogo proprio nelle ultime pagine. Nel libro si alternano capitoli in cui scrive Amalia a capitoli in cui scrive Elvina da piccola nel proprio diario, quindi da un lato ci sono i racconti “un po’ sfilacciati” della vita di Amalia, come li definisce la stessa Elvina nella postfazione, e dall’altro ritroviamo la freschezza di un diario con quelli che sono anche i momenti di rabbia di una ragazzina in crescita, che si deve scontrare con una madre dalla personalità molto forte.
Alla luce della sua esperienza, Amalia ricorda a ognuna di noi che dobbiamo realizzare il nostro potenziale, ascoltando ciò che abbiamo dentro: «Se una donna invece desse sempre retta a quello che le dicono gli altri intorno… finirebbe per non ascoltare più la voce che le viene da dentro». Amalia ci offre il suo esempio: la sua scelta di studiare ingegneria, in un’epoca in cui erano poche le donne a farlo, la scelta di andare contro i progetti familiari e di dedicarsi a un lavoro impegnativo nonostante una famiglia numerosa.
In un recente intervento pubblico, Amalia Ercoli ha dichiarato di saper parlare bene di due cose: le donne, «perché sono una femminista antesignana» e lo spazio. Dopo il libro dedicato allo spazio, «La signora delle comete», scritto da Tommaso Tirelli per Dedalo, nel quale Amalia racconta l’avventura della missione Rosetta, l’obiettivo di questo libro è di raccontare le scelte delle donne ai bambini, andando oltre gli stereotipi, attraverso la storia di una vita vissuta ascoltando la propria voce interiore. Nel libro, sono numerose le frasi che andrebbero citate, ma su tutte scelgo di citare Elvina nella postfazione: «Io spero che le ragazze di oggi siano consapevoli delle grandi opportunità offerte dalle cosiddette discipline STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) e che queste non sono loro precluse. Al contrario: nel futuro della società tecnologica che le aspetta, complessa e in rapidissima trasformazione, l’intelligenza, l’intuito e la passione femminile faranno la differenza. Le ragazze STEM non saranno poche stelle isolate. Saranno intere costellazioni che illumineranno il cielo».
«F***ing Genius», pubblicato nel settembre 2020 da HarperCollins Italia, è una delle ultime fatiche di Massimo Temporelli. Fisico di formazione, si occupa da vent’anni della diffusione della cultura scientifica, tecnologica e dell’innovazione, attraverso scritti, articoli, speech, e in particolare tramite l’attività per Storie libere, una piattaforma di podcast indipendente. Massimo Temporelli si definisce un «defibrillatore culturale», più che un divulgatore scientifico, visto che il suo obiettivo primario, come dice nell’introduzione, «è scaldare i cuori, scuotere la carne, accendere la vita e il respiro umano intorno alla scienza e alla tecnologia». Anche con questo libro, vuol accendere la curiosità nel lettore, con la sua passione e il suo entusiasmo, desiderando di poter fare «la differenza tra il prima e il dopo»
L’autore ci presenta gli otto personaggi di questa rassegna con grande vivacità, senza andare in profondità, come potrebbe fare una biografia vera e propria, ma stimolando nel lettore la voglia di approfondire ulteriormente gli argomenti trattati. Gli otto personaggi scelti non sono i soliti che potremmo trovare in una raccolta di biografie e pur essendoci degli aspetti in comune tra di loro, sono stati scelti perché da ognuno di loro si possa imparare «una lezione per provare a migliorarci […] una lezione per imparare a diventare un po’ più simili a questi straordinari pensatori scientifici, capaci di cambiare la traiettoria della nostra evoluzione». Questi personaggi hanno una genialità «quasi fastidiosa […] che ci obbliga a ripensarci».
Il percorso comincia con Charles Darwin e Leonardo da Vinci, Ada Lovelace e Charles Babbage occupano il terzo capitolo, non possono mancare Albert Einstein che ha rivoluzionato la fisica del Novecento e Marie Curie che gli è stata in qualche modo compagna, si procede con Elon Musk, che sta modificando il nostro modo di vedere la tecnologia, e in chiusura troviamo Isaac Newton e Steve Jobs. Ognuno di questi personaggi ha in qualche modo innovato il tempo e l’ambito nel quale si è trovato a operare e in questa innovazione ha usato quelle caratteristiche, che danno il titolo al capitolo. Ogni personaggio è presentato in alcuni capitoli compresi tra l’introduzione e il capitolo finale, intitolato “take away”, a significare ciò che il lettore deve in qualche modo assorbire. Secondo Temporelli, per essere dei veri innovatori dobbiamo essere giovani, perché è la gioventù che ci dà l’incoscienza e lo stimolo per abbattere i confini nei quali ci troviamo ad operare, e dobbiamo accettare di lavorare in squadra, non possiamo vivere isolati. Possiamo commettere degli errori, ma dobbiamo andare avanti con passione e caparbietà, senza lasciarci vincolare dalle barriere della singola disciplina, costruendoci da soli quando ci ritroviamo a partire svantaggiati rispetto ai nostri coetanei. Dobbiamo aver voglia di competere con gli altri e con noi stessi, perché la competizione può portarci a migliorare le nostre capacità.
Gli otto geni sono accompagnati da personaggi secondari ai quali vengono dedicate solamente un paio di facciate, che aiutano ad evidenziare un aspetto particolare. Così, ad esempio, nel momento in cui si parla di Darwin, ci ritroviamo Jeanne Baret, un’esploratrice a me sconosciuta. Leonardo da Vinci è accompagnato dai fratelli Wright, proprio a fare da cassa di risonanza alle sue grandi invenzioni. Ada Lovelace e Charles Babbage sono seguiti da Pascal, con la sua pascalina. Einstein è seguito da Bertha Benz, che, moglie dell’inventore tedesco che progettò la prima auto della storia, ha il merito di aver fatto compiere a questa auto un viaggio molto lungo, mostrando le potenzialità di questo mezzo di trasporto. Marie Curie è accompagnata da Almon Strowger, l’inventore della telefonia automatica, giunto a questo risultato solo per far rifiorire la sua impresa di pompe funebri. Elon Musk è seguito da Morse, il professore pittore e insegnante di disegno alla New York University che inventò il telegrafo. Newton è seguito da Bíró e Bich, per l’invenzione della penna a sfera che ha completamente cambiato il nostro modo di scrivere e di vivere. Infine, Steve Jobs è accompagnato dalla storia di Mark Zuckerberg, che nel logo di Facebook ha inglobato anche il logo di Sun per ricordare questo fallimento, «così che tutti capiscano che se smetti di innovare, muori, anche se hai fatto la storia».
Insomma, sono storie particolarmente ispiranti, scritte con una leggerezza che permette di correre attraverso le pagine come in una chiacchierata, e di esplorare gli aspetti di tutti questi personaggi straordinari. La conclusione è che noi non dobbiamo far altro che seguire questi “f***ing” geni, perché ognuno di noi ha la responsabilità, attraverso le proprie scelte, di progettare quello che sarà il nostro futuro. Un gran messaggio, presentato in modo eccezionale e unico.
«Quanti e misteri» è stato pubblicato ad aprile 2021 dalla casa editrice Scienza Express nella collana Scienza Junior. Gli autori sono Riccardo Bosisio, Tommaso Corti, Luca Galoppo e Matteo Tagliabue: i tre fisici, Bosisio, Corti e Galoppo avevano già collaborato alla stesura di «Elementare, Einstein» nel 2018, pubblicato sempre da Scienza Express; Matteo Tagliabue è insegnante di letteratura in un liceo di Monza. Le illustrazioni sono state curate da Anna Civello.
Il sottotitolo, «Un giallo tra gatti, fisica e ornitorinchi», ci informa che il genere in questione, questa volta, è quello del giallo, ma la protagonista è ancora la fisica, insieme a Pietro, Francesco ed Elisa, ex alunni della seconda media di «Elementare, Einstein», ora frequentanti la classe prima del liceo scientifico delle scienze applicate. Il racconto ha inizio con Pietro che a dieci anni, per una sfida con un paio di amici, si era ritrovato alla Casa del Diavolo, un rudere nascosto nel fitto del bosco: «Nessuno sa di preciso dove si trovi e addirittura c’è chi dice che non esista affatto, ma girano tante storie e leggende al riguardo, che parlano di ragazzini andati a cercarlo e mai più tornati, o di maledizioni, fantasmi, assassini e sette sataniche». Pietro è riuscito a entrare nella casa, ma ne è fuggito terrorizzato: quell’evento cambierà il corso della sua vita, visto che per tutta estate nessuno lo rivedrà più in giro. Un bel giorno, all’inizio della prima superiore, Francesco informa i due amici che Cosimo Pontecorvo, suo vicino di casa, non dà sue notizie da otto giorni: appassionato di gialli, al ragazzo non sembra vero di poter essere protagonista della soluzione di un mistero. Quando mostra il giornale con la fotografia ai due amici, Pietro reagisce in modo strano, ma pian piano si lascia coinvolgere nella soluzione del mistero, insieme all’insegnante di matematica delle medie, il prof. Lapierre, uno dei protagonisti di «Elementare, Einstein». Districandosi tra l’esperimento della doppia fenditura, il gatto di Schrödinger e il fenomeno dell’entanglement, i tre ragazzi scoprono che Cosimo Pontecorvo ha illustri natali, visto che è nipote di Bruno Pontecorvo, uno dei ragazzi di via Panisperna.
Il racconto è estremamente interessante e coinvolgente, il giallo ha un buon ritmo e il fiato rimane in sospeso fino alla fine, mentre i riferimenti alla fisica moderna, nello specifico alla fisica quantistica, sono spiegati con semplicità e chiarezza. Al termine troviamo anche un paio di appendici: il prof. Lapierre ci spiega l’esperimento della doppia fenditura e il principio di funzionamento dei computer quantistici.
Il libro si presta alla lettura fin dalle medie, perché l’argomento della meccanica quantistica, nonostante non sia semplice, è trattato con una certa leggerezza e questo lo rende accessibile a tutti. Potrebbe essere un modo interessante di introdurre l’argomento anche in una quinta liceo scientifico: l’idea di cominciare usando un alone di mistero potrebbe essere buona e potrebbe aiutare a conquistare i ragazzi all’inizio di un percorso non semplice.
«Elementare, Einstein» è stato pubblicato a novembre 2018 dalla casa editrice Scienza Express, nella collana scienza junior. Gli autori sono tutti e tre fisici: Riccardo Bosisio e Tommaso Corti, che pur lavorando in altri settori collaborano con le scuole in progetti di divulgazione scientifica, e Luca Galoppo, che insegna matematica e fisica presso un liceo scientifico di Erba. Il libro è arricchito dalle illustrazioni di Sara Boscacci.
Il sottotitolo «Alla scoperta della fisica con un pugno di indizi» ci dà già l’idea di cosa ci aspetta. La storia è ambientata in autunno in una seconda media: all’improvviso i ragazzi si ritrovano alcuni messaggi misteriosi che accompagnano alcuni oggetti di uso comune e un sasso, il tutto siglato dalle iniziali U.P., delle quali i ragazzi ricostruiscono l’acronimo, ma non il significato. Solo dopo un’indagine che si protrae per tutto l’autunno, i ragazzi riescono a trovare il responsabile di questi messaggi e, con il suo aiuto, ricostruiranno il percorso che sono stati guidati a fare e che li porterà alla comprensione della teoria della relatività. L’intera classe mostra grande entusiasmo e tanta voglia di imparare ed è guidata in questo percorso dal professore di matematica, il prof. Lapierre, oltre che dal misterioso personaggio che ha disseminato gli indizi. Inserite nella narrazione, troviamo cinque schede di approfondimento che ci presentano altrettanti esperimenti di fisica che hanno a che fare con la teoria della relatività: si comincia con l’ottica geometrica, si procede con la misurazione della velocità della luce attraverso gli esperimenti di Rømer e Fizeau, e dopo l’interferenza luminosa si chiude con l’esperimento di Michelson e Morley.
Durante la lettura, sembra davvero di trovarsi all’interno di una classe e di sentire la partecipazione di tutti i ragazzi: non era certo facile dare voce a tutti, ma gli autori riescono a realizzare una sorta di inclusione, che si realizza anche attraverso il coinvolgimento di Amir, ragazzino immigrato che sembra far fatica ad inserirsi all’interno di questa classe, nella quale è arrivato solamente in corso d’anno.
L’abile narrazione mostra tutta la sua forza nel coinvolgere il lettore attraverso concetti di fisica non sempre facili da digerire ed è proprio questo che rende la lettura adatta anche ai ragazzi delle medie, nonostante si parli di teoria della relatività: il lettore può essere invogliato ad approfondire l’argomento, grazie agli indizi disseminati nel corso della storia. Il libro non è consigliato solo ai ragazzi delle medie, ma anche a quelli delle superiori, che possono in esso trovare uno stimolo per affrontare le difficoltà concettuali della fisica moderna, attraverso la passione e la curiosità che questo libro fa nascere.
«Fisica sognante» è stato pubblicato come bollettino trimestrale dell’Associazione per l’Insegnamento della Fisica a settembre 2013. Si tratta della seconda pubblicazione di Federico Benuzzi, dopo l’ebook «Giocolieri si diventa – manuale pratico di giocoleria», con Giochidimagia Editore. I due testi racchiudono le due anime dell’autore, che è insegnante e giocoliere, ma anche attore e presentatore: dotato di una personalità poliedrica, gestisce anche un blog, www.federicobenuzzi.com, e ha un canale YouTube che conta ormai più di duemila iscritti.
Il libretto è a metà tra il saggio scientifico e l’autobiografia, visto che numerose sono le riflessioni dell’autore sul proprio percorso e sull’insegnamento in particolare. È un saggio scientifico, perché tra le pagine possiamo trovare la spiegazione fisica del funzionamento del monociclo, del diablo o della giocoleria, ma l’inizio è dato dalle risposte alle domande che sono state poste allo stesso Benuzzi al termine degli spettacoli di giocoleria attraverso i quali divulga la fisica. Il ritmo narrativo è veloce e sembra di sentire la voce dell’autore che, come succede nei video pubblicati su YouTube, ci guida nella conoscenza dell’affascinante mondo della fisica. In alcuni punti è importante avere a portata di mano carta e penna, per poter seguire efficacemente i calcoli che vengono svolti. La parte di riflessioni, però, è forse il vero punto di forza del libro, soprattutto se, come nel mio caso, vi capiterà di leggere anche «Lo spettacolo della fisica», recente pubblicazione per la casa editrice Dedalo: si può entrare in contatto con il modo di essere di questo poliedrico insegnante di matematica e fisica e fare tesoro della sua esperienza per migliorare anche il proprio stare in classe. Federico Benuzzi è un insegnante che sa mettersi in discussione, ma che non è disposto a stravolgere il proprio modo di essere solo per ottenere più consensi, è un insegnante che sa usare le regole della scuola per creare un’alleanza con gli studenti, è un insegnante che riesce a spingere i suoi studenti a fare del proprio meglio, esattamente come ha chiesto al lettore, con questo libro, di vincere la propria paura della matematica per acquisire una maggiore consapevolezza delle cose.
Questo libro mi è stato regalato da una collega che aveva assistito ad uno spettacolo di Federico Benuzzi durante il Festival di BergamoScienza ed è rimasto a lungo nella mia libreria in attesa che lo prendessi in mano e gli dedicassi un po’ di tempo. Averlo letto dopo «Lo spettacolo della fisica» mi ha permesso di coglierne gli elementi di continuità e, al tempo stesso, le differenze che li rendono complementari.
«Lo spettacolo della fisica», pubblicato a marzo 2021 dalla casa editrice Dedalo, è stato scritto da Federico Benuzzi. Nella presentazione del suo blog, www.federicobenuzzi.com, Benuzzi dice di essere «professore, conferenziere, presentatore, giocoliere, attore…»: è, in effetti, un personaggio poliedrico, che ha al suo attivo non solo spettacoli teatrali, ma anche libri, come «Fisica sognante», pubblicato come bollettino trimestrale dell’Associazione per l’Insegnamento della Fisica, «La legge del perdente», pubblicato nel 2018 sempre per la casa editrice Dedalo, l’ebook «Giocolieri si diventa – manuale pratico di giocoleria», con Giochidimagia Editore ed è anche gestore del canale YouTube che porta il suo nome.
Esattamente come ne «La legge del perdente», il libro comincia con un incontro: ai compagni di avventura della scorsa volta, ovvero a Fazioli, l’ingegnere in pensione, e ad Andrea, studente universitario alla facoltà di statistica, si aggiunge Sara, cameriera aspirante attrice. Nella premessa, Federico Benuzzi ci dice che le pagine che andremo a leggere saranno «pagine di fisica, di didattica e di giocoleria» e in effetti c’è tutto quanto premesso e anche molto altro: oltre alla vicenda dei quattro amici, c’è una descrizione accurata di Bologna che fa veramente venir voglia di visitarla, ci sono la fisica e la matematica della giocoleria e, parlando di didattica, l’autore non si rivolge solo agli insegnanti, ma anche agli studenti. L’attività di Federico diventa, come succede sul palco, un’occasione per coinvolgere i suoi amici e per spiegare la fisica, che ritroviamo negli equilibrismi, spiegati con tanto di diagrammi delle forze, nelle leve e nella loro classificazione, nell’equilibrio, stabile instabile e indifferente e nel funzionamento del monociclo.
Oltre alla narrazione, ci sono le illustrazioni di Emanuela Bellisario e, distribuiti tra le pagine, troviamo dei QR code che rimandano a video e link, in coerenza con quanto scrive lo stesso autore: «è fondamentale, quando si spiega, mischiare insieme più registri comunicativi: è nella loro integrazione il massimo potere esplicativo possibile.»
Il libro è alla portata di tutti e si legge molto agevolmente: non è consigliato solo agli insegnanti, ma anche agli studenti delle scuole superiori, visto che i contenuti di fisica sono ben spiegati, mai banalizzati, ma chiari e semplici da capire. Mi ha colpito molto il fatto che Federico Benuzzi non abbia paura di stimolare il lettore a puntare un po’ più in alto e presenti quindi anche un percorso fatto di formule che possano aiutare a capire meglio la fisica. Non si tratta solo di spettacolo della fisica, perché anche la matematica ha un suo ruolo, protagonista negli schemi della giocoleria: non solo aiuta a rappresentare le combinazioni che si possono realizzare, ma può aiutare a trovare nuove combinazioni, come nel caso della “6x44x6”, «definito a furor di popolo il più bello schema di giocoleria che sia mai stato scoperto», per il quale «tutti riconoscono che, senza la matematica, probabilmente non lo si sarebbe mai trovato.»
Dopo aver visto dal vivo «L’azzardo del giocoliere», dal quale è tratto il libro «La legge del perdente», posso confermare che ciò che cogliamo in queste pagine è ciò che Benuzzi presenta nei suoi spettacoli, ovvero un intrattenimento intelligente, ma al tempo stesso coinvolgente, come mi hanno dimostrato i commenti entusiasti degli insegnanti di altre discipline, che mi hanno confermato la chiarezza degli argomenti spiegati. Consiglio vivamente la lettura di questo libro e, se possibile, la partecipazione a uno dei suoi spettacoli, perché, durante le sue performances dal vivo, la giocoleria e l’insegnamento, ovvero le due passioni, le due anime dell’autore, «potranno fondersi nuovamente insieme, in uno spettacolo unico, che vedrà andar di pari passo l’arte e la scienza. La tecnica e la sua descrizione matematica. Fisica e giocoleria.»
«Marie e Bronia, un patto tra sorelle» è stato pubblicato In Italia dalla casa editrice Giralangolo nell’ottobre del 2020, ma in realtà l’edizione originale è del 2017. In Francia, il libro è stato finalista nel Prix Historia Jeunesse ed è stato nominato per undici premi letterari nel 2019. Da esso è stato tratto un adattamento teatrale dalla Compagnie du Saut de l’Ange con il titolo «Il patto delle sorelle», finalista al Prix Olympe de Gouges. Natacha Henry, l’autrice, è una saggista, storica e giornalista franco-britannica, che si è impegnata nella difesa della libertà di espressione personale delle donne e ha fondato, nel 2005, l’Associazione Gender Company, che analizza le disuguaglianze di genere e i pregiudizi della cultura popolare.
Nella versione italiana, il sottotitolo dice «L’affascinante storia di Marie Curie», ma di fatto non si tratta solamente della storia di Marie Curie ed è il titolo a dirci qual è il centro di questo romanzo, ovvero il «patto» tra le due sorelle, Bronia e Maria. Il testo comincia con la storia d’amore dei genitori e procede con la loro nascita, fino ad arrivare al momento in cui, nella Polonia di fine Ottocento controllata dai russi, alle ragazze è vietato l’accesso agli studi universitari. Le due sorelle, inizialmente, seguono le attività dell’Università Volante, un’università clandestina che permetteva alle donne di proseguire negli studi, ma che era rischioso frequentare. Bronia, che desiderava diventare un medico dalla morte della madre e della sorella, comincia a sentire la frustrazione del non poter realizzare il proprio sogno ed è Maria a proporre il patto: la sorella maggiore andrà a Parigi a studiare e poi, una volta laureata, manterrà Maria a Parigi con il suo stipendio da dottore. Il romanzo racconta la storia delle due sorelle in parallelo fino al 1903: la vita a Parigi di Bronia, dove conosce Kazimierz Dłuski, suo futuro marito e le vicende di Maria che, in Polonia, fa l’istitutrice e vive la sua prima storia d’amore, con Kazimierz Zorawski, che le sarà vietato sposare, in quanto lei è di un’estrazione sociale inferiore. Dopo questa delusione, Maria decide di abbandonare il suo sogno di studiare, ma la frequentazione del laboratorio di chimica grazie al cugino Jozef le restituisce un po’ di entusiasmo. Maria è quindi pronta per raggiungere Bronia e sarà ospite sua e del marito, mentre porterà avanti i propri studi. Durante il suo percorso, Maria conosce Pierre Curie e, dopo un po’ di dubbi, deciderà di stabilirsi definitivamente a Parigi.
In questo romanzo, ciò che appassiona è il fatto che le due sorelle vengono viste nella loro quotidianità e anche attraverso gli scontri che appartengono ad ogni rapporto di sorellanza. Il racconto si concentra, quindi, sul lato più umano di una giovane Marie. Il patto tra le due sorelle è stato reso possibile dal sostegno del padre, che riteneva che non ci fosse nulla che poteva essere loro negato solo perché donne: «lui ci ha incoraggiate a sfidare la mentalità di chi voleva relegare le donne in casa, ed era certo che saremmo state capaci di andare fino in fondo», dice Marie nella fase finale. E Bronia fa diventare questo esempio vincolante per entrambe, come madri: dice a Marie che entrambe dovranno «insegnare alle [proprie] figlie che niente è impossibile».
Nonostante conoscessi già la storia di questo patto – secondo me uno degli aspetti più affascinanti nella vicenda di Marie – mi è piaciuto molto leggere questo romanzo: scorrevole, reso molto dinamico dalla ricchezza di dialoghi, l’ho trovato una lettura alla portata dei ragazzi delle medie. Ne consiglierei la lettura in particolare alle ragazze, che possono trovare in Marie e Bronia un’ispirazione e un modello.
«Hawking» è il titolo della graphic novel pubblicata dalla Bao Publishing nel giugno del 2020. L’autore è Jim Ottaviani, l’illustratore Leland Myrick e il loro non è un sodalizio nuovo, visto che insieme hanno scritto anche la graphic novel Feynman, pubblicata nel 2012. Ingegnere nucleare e scrittore prolifico che si occupa soprattutto di storie scientifiche, Ottaviani ha raccontato anche le vite di Bohr e Turing.
Il libro è una biografia di Stephen Hawking narrata in prima persona. Il testo unisce la forza della comunicazione di Jim Ottaviani alla forza narrativa della graphic novel. Tra le particolarità del fumetto, ci sono delle vignette con tonalità di colore seppia che riguardano gli eventi che si riferiscono al passato, che danno la sensazione di sfogliare un vecchio album di ricordi, oppure il declino delle abilità comunicative di Hawking mostrato attraverso delle differenze di colore nel carattere, con una prevalenza di grigio man mano che la malattia progredisce, fino ad arrivare al carattere maiuscolo quando il fisico comincia a comunicare tramite un computer. La fisica era davvero presente nella vita di Stephen Hawking, che di fatto vi viveva totalmente immerso, come se fosse chiuso nel suo mondo mentre la vita gli scorreva attorno. Il fumetto rende bene quest’idea, attraverso i fumetti dei suoi pensieri che si sovrappongono a quelli dei discorsi che si svolgono attorno a lui o le vignette nere nelle quali si “vede” che Hawking continuava a elaborare teorie anche quando avrebbe dovuto dormire.
I primi anni in cui Hawking si occupava di cosmologia, questa branca della scienza era molto trascurata, ma da un certo punto in poi ha attraversato una vera e propria età dell’oro, con i fisici sempre più concentrati su questi studi: sono numerosi i grandi nomi che compaiono nel percorso descritto, da Penrose fino ad arrivare a Wheeler.
Il fumetto ci permette di cogliere fino in fondo il funzionamento del metodo scientifico, quando Hawking ci racconta dei colleghi che, una volta conosciuti i suoi studi, «cominciarono a fare ciò che riesce loro meglio. Cercarono falle nelle [sue] teorie, supposizioni sbagliate che [aveva] adottato ed errori nei [suoi] calcoli.» La spiegazione della fisica è aiutata dalla grafica, con i disegni presentati nei libri divulgativi di Hawking stesso, ma ad un certo punto il protagonista ci dice che è difficile visualizzare ciò che avviene realmente ed è per quello che le vignette sono bianche.
Il testo è, per quanto possibile, semplice, tanto che, visto l’amore del protagonista per la divulgazione, potrebbe essere stato scritto dallo stesso Hawking: non per niente dalla bibliografia cogliamo quanto Ottaviani abbia attinto a piene mani proprio dalle sue opere. Nella nota finale, è proprio l’autore a raccontarci come ha lavorato a questo libro, ricordando che, per quanto si tratti di una storia vera, non tutte le battute e i pensieri riportati sono citazioni dirette. Inoltre, la maggior parte degli eventi è avvenuta come riportato nel fumetto, anche se alcuni eventi sono stati compressi e alcuni personaggi sono stati uniti, anche in considerazione del fatto che «la vita di Hawking ha toccato innumerevoli esistenze».
«Dipartimento di teorie folgoranti», edito da Mondadori nel 2020, è stato scritto da Tom Gauld, fumettista scozzese che collabora regolarmente con il Guardian, il New Yorker e il New Scientist. In particolare, questi fumetti sono apparsi originariamente proprio sul New Scientist.
Le vignette sono precedute da un’introduzione di Francesco Guglieri, editor di Einaudi, che collabora con il quotidiano “Domani” e con il mensile “Il” del Sole24ore e ha scritto articoli, racconti e reportage su vari giornali e riviste. L’introduzione, definita dallo stesso autore “folgorante”, è una storia a bivi (tipologia nata proprio nel mondo dei fumetti) che di fatto è come un viaggio tra le varie dimensioni della scienza. Guglieri ci racconta che, come Coleridge seguiva le lezioni di chimica della Royal Institution «per arricchire la sua riserva di metafore», Tom Gauld «con gli strumenti dell’ironia e della genialità grafica ha capito una cosa: che la scienza, con le sue scoperte, i mondi che ci dischiude… con i suoi giochi, anche… può essere uno straordinario deposito di bellezza». È proprio per questo motivo che «gli scienziati non sono secondi ai più visionari tra i poeti». E questa è l’impressione che si ha navigando fra queste 150 vignette che spaziano nel mondo scientifico, prendendo in giro alcune manie degli scienziati, ma mostrandoci anche i lati più nascosti della ricerca, protagonista in questo percorso. Gauld ci mostra cosa succede quando la ricerca va male, ma poi c’è spazio per la meccanica quantistica, il gatto di Schrödinger, il cane di Pavlov e la diffusione dei virus, c’è un generatore di titoli per libri divulgativi di successo, c’è spazio per la storia della scienza con Newton e Archimede, ad esempio, ci sono situazioni paradossali, c’è il confronto con la vita reale e la reinterpretazione della vita reale, ci sono gli appunti per lo scienziato pazzo in una conferenza stampa, ma c’è anche un vignetta nella quale vengono mostrati i vari stati della materia e che potrebbe essere usata con fini didattici… insomma c’è un po’ di tutto!
Leggendo questo libro mi sono ritrovata non solo a ridere spesso, ma anche a fotografare numerose pagine per poi inviarle ai miei contatti e per ognuno di loro e a seconda di quello che era il loro ruolo nell’ambito della ricerca scientifica, poteva esserci qualcosa di interessante all’interno di questo libro. Insomma, io già adoro i fumetti ma questo «Dipartimento di teorie folgoranti» offre uno spaccato della ricerca scientifica davvero entusiasmante e credo che non perderò occasione per utilizzare queste vignette nel presentare gli argomenti più complessi in classe. Grazie a Tom Gauld per questo momento di svago, ma al tempo stesso di approfondimento perché, come dice Guglieri nell’introduzione, «riesce a mettere in comunicazione la pancia con la testa».
«La donna di Einstein», pubblicato da Piemme nel 2017, è stato scritto da Marie Benedict, che ha lavorato in passato come avvocato a New York, ma la cui passione per la storia è stata lo stimolo per dedicarsi a romanzi storici come quello in questione. È la stessa autrice a dirci che non conosceva molto Einstein e di fatto non sapeva nulla della prima moglie Mileva Marić: l’ha conosciuta quando si è ritrovata ad aiutare il figlio Jack a preparare una relazione sul libro per bambini Who was Albert Einstein, e il fatto che si accennasse solo di sfuggita alla prima moglie, a sua volta una studiosa di fisica, l’ha incuriosita. È così quindi che nacque questo romanzo: è l’autrice stessa nella nota finale, nella quale elenca anche la bibliografia che l’ha aiutata nella stesura, a sottolinearci quali siano gli aspetti puramente inventati della vicenda e quali invece realmente accaduti. «Ogni qual volta mi è stato possibile, nell’arco generale della storia (date, luoghi, nomi) ho cercato di attenermi ai fatti, prendendomi libertà necessarie ai fini narrativi». Ci ricorda inoltre che scopo del libro non è quello di «sminuire i contributi dati da Albert al genere umano e alla scienza ma far conoscere l’umanità delle persone dietro quei contributi scientifici. La donna di Einstein si propone di narrare la storia di una donna brillante la cui luce è andata perduta nella gigantesca ombra gettata da Albert: quella di Mileva Marić.»
Marie Benedict immagina che Mileva, l’altra Einstein – come suggerisce il titolo originale del libro –, ripercorra la propria vita alla ricerca di una risposta: «Come ho fatto a smarrire la strada?»
Il romanzo ha inizio il 20 ottobre del 1896 a Zurigo, la prima volta che Mileva mette piede al Politecnico: è proprio durante una lezione del professor Heinrich Martin Weber che incontra Albert Einstein, che attira subito la sua attenzione con la sua «zazzera scarmigliata di riccioli scuri», visto che non le levava gli occhi di dosso. Il libro si conclude il 29 luglio del 1914 a Berlino, il giorno in cui, dopo aver preso accordi per il divorzio, Mileva rientra con i figli a Zurigo. Al termine di tutto c’è l’epilogo del 4 agosto del 1948, il giorno della morte di Mileva, nel quale essa dà una spiegazione delle tre parti in cui è stato suddiviso il libro: quasi come in un tributo a Newton e alla fisica, le tre parti sono scandite dai tre principi della dinamica dato che, ci dice Mileva, «da fanciulla pensavo che il principio si applicasse unicamente ai corpi inanimati; soltanto più tardi ho compreso che anche le persone agiscono in sua conformità.»
Prima dell’arrivo a Zurigo la vita di Mileva «ha continuato a snodarsi in linea retta finché non è intervenuta una forza esterna. Albert è stato quella forza». La seconda parte, con il secondo principio della dinamica, inizia il 12 Aprile del 1898 e si chiude il 14 Marzo 1913: inizia con il ritorno di Mileva a Zurigo, dopo la frequenza di un semestre a Heidelberg in Germania, e si chiude nel momento in cui Mileva cambia di nuovo la sua traiettoria. «La forza Albert ha agito su di me in conformità con la seconda legge del moto. Sono stata risucchiata nella sua direzione e nella sua velocità, e la sua forza è diventata la mia». Nella terza parte, con il terzo principio della dinamica, Mileva, non riuscendo più a reggere la forza di Albert, ha «esercitato una forza uguale in grandezza e contraria in direzione rispetto alla sua», ovvero rispetto a quella di Einstein. Ed è così quindi che si conclude questa storia d’amore.
Nelle sue ricerche, Marie Benedict ha scoperto che Mileva è diventata «il punto focale di un dibattito assai vivace nel mondo della fisica. La discussione, che verteva intorno alla parte da lei avuta nella formulazione delle pionieristiche teorie del marito del 1905, era divampata ancora di più in seguito al ritrovamento, negli anni Ottanta, del carteggio intercorso tra i due dal 1897 al 1903.» È abbastanza evidente che Mileva abbia avuto un ruolo nelle scoperte di Einstein e nell’annus mirabilis, il 1905, durante il quale furono pubblicati i quattro articoli sugli Annalen der Physik. Quale sia stato questo ruolo però non è dato sapere: sono molti i dubbi attorno alla loro storia: non si sa se Mileva sia stata semplicemente una «cassa di risonanza per le idee di Albert» oppure se l’abbia aiutato solo con la matematica oppure ancora se il suo ruolo sia stato di gran lunga più cruciale. L’autrice sposa proprio quest’ultima ipotesi.
Il libro è un romanzo piacevole, raccontato in prima persona da Mileva. Le emozioni che la donna ci permette di vivere attraverso il suo racconto sono intense, tant’è che ho faticato ad arrivare all’ultima pagina del romanzo sapendo fin dall’inizio quale sarebbe stato il triste epilogo di questa storia, sapendo cioè che Mileva, dopo essere vissuta all’ombra del marito durante il loro matrimonio, sarebbe tornata poi nell’ombra di una vita anonima al momento del loro divorzio. «Ho assistito alla canonizzazione di Albert come santo laico. Ciò nonostante, mai una volta ho provato il desiderio di tornare al ruolo di sua moglie. Tutto ciò a cui sempre avrei voluto tornare è il ruolo di madre di Lieserl.»