«Il Signor Le Blanc» è stato pubblicato da Scienza Express nel settembre del 2020: si tratta della trascrizione di uno spettacolo teatrale, che è stato rappresentato in prima assoluta a novembre del 2018. L’autrice è Maria Rosa Menzio, ex matematica, nota per la formulazione e dimostrazione del teorema di Menzio-Tulczjew in geometria simplettica, che ha fondato l’associazione culturale “Teatro e Scienza”, essendo diventata nel frattempo drammaturga e saggista. Maria Rosa Menzio dirige il Festival “Teatro e Scienza” che ha luogo in autunno a Torino dal 2007 (con la sola esclusione dell’edizione del 2012), e che nell’edizione del 2018 ha avuto come tema Matematica e altri demoni. Il testo dello spettacolo è preceduto dalla trascrizione di un intervento del professor Franco Pastrone, del Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino, pubblicato in Conferenze e Seminari dell’Associazione Subalpina Mathesis. Nel suo intervento, Franco Pastrone formula giudizi abbastanza pesanti nei confronti di Sophie Germain, la matematica alla quale quest’opera è ispirata, parlando di «episodi rimasti famosi, forse un po’ forzati al fine di esaltare la determinazione della ragazza», e, pur riconoscendo che all’epoca una donna con un interesse intellettuale era vista come una «curiosità da salotto […] ma non su un piano di parità», la descrive come una persona dal «carattere non facile, spigoloso, con un fondo di presunzione che concorse a guastarle i rapporti con illustri matematici». Forse la scelta di certe sottolineature è il riflesso di un periodo meno dotato di sensibilità in merito al gender gap, visto che la conferenza risale al 1994-1995.
Il sottotitolo dell’opera teatrale è «Matematica e Resistenza nella Francia occupata dai Nazisti» e infatti Maria Rosa Menzio pensa proprio ad un connubio tra matematica e resistenza. I protagonisti della rappresentazione teatrale sono un narratore, testimone di quanto succede in Francia durante la Seconda guerra mondiale e testimone del dramma dei lager, una protagonista femminile, Marianne, che rappresenta la Francia occupata dai nazisti e, inizialmente indifferente a quanto sta succedendo, poi diventa un’eroina partigiana, il professor Levi, docente di matematica ebreo imprigionato dai nazisti e amante di Marianne, e Von Guderian, ufficiale nazista crudele, che seduce Marianne con l’inganno. La vicenda si svolge tra il 1943 e il 1944 e fin da subito scopriamo che il professor Levi e Von Guderian si conoscono da tempo: il nazista non ha mai perdonato al professore la bocciatura in matematica. Durante la prigionia il professore comincia a raccontare a Marianne, secondo quella che sembra essere una prassi consolidata, la vicenda di Sophie Germain, che assume l’identità del Signor Le Blanc per poter studiare matematica e che sarà una delle poche a riconoscere il genio di Evariste Galois. Sophie Germain è riuscita a crearsi un posto in un mondo prettamente maschile, anche se per molto tempo non le è stata riconosciuta la sua grandezza, come dimostrato dall’assenza del suo nome sulla Tour Eiffel, nonostante sia stata una pioniera nello studio dell’elasticità dei metalli.
Il racconto è piacevole, originale e coinvolgente: per quanto vedere lo spettacolo sarebbe stato meglio, la lettura permette di immaginare la rappresentazione teatrale. Le metafore aiutano lo spettatore / lettore a cogliere tutta la negatività del nazismo e la necessità dell’eroismo, per poter far trionfare la giustizia.
Nella quarta di copertina leggiamo: «Amore, tradimento e redenzione, fino allo scontro tra due carri armati e alla morte di Marianne (travestita da ufficiale nazista proprio col nome di Le Blanc) in un finale commovente e inaspettato».
TRAMA:
Nel settembre del 1941, Heisenberg si reca in Danimarca, a Copenaghen, per incontrare il suo mentore, Niels Bohr. Su ciò che Heisenberg sperava di ricavare dall’incontro, su ciò che si sono detti e su come sia avvenuto l’incontro, sono state avanzate congetture di tutti i tipi. Solo nel 1947, Heisenberg ebbe la possibilità di tornare a trovare l’amico, forse per trovare una versione comune del loro primo incontro. Ma questo secondo incontro non fece che sancire ciò che di fatto era già chiaro: i due famosi fisici avevano perso la loro amicizia. Il testo teatrale di Michael Frayn parte dall’incontro del 1941, ma, allontanandosi dai dati storici, suppone che tutte le persone siano ormai morte e che discutano ulteriormente la questione, forse per arrivare a una comprensione migliore di ciò che è successo.
Frayn ha compiuto una vera e propria analisi storica, come dimostrano i due post scriptum al termine del testo: Heisenberg era un nazista e voleva in qualche modo coinvolgere nelle sue attività Bohr, magari estorcendogli informazioni importanti, soprattutto riguardanti il livello raggiunto dalla ricerca oltreoceano? Oppure voleva prendere le distanze dai nazisti, evitando però di farsi riconoscere come un traditore?
L’incontro viene rivissuto, per ben tre volte, alla ricerca di una verità, che non può che restare indeterminata, perché “tutti noi con il passare del tempo riorganizziamo i nostri ricordi, consciamente o inconsciamente”. Persino la pubblicazione delle trascrizioni di Farm Hall, dove Heisenberg era stato rinchiuso con gli altri scienziati tedeschi, non ha contribuito a rendere più chiaro il ruolo dello scienziato nella costruzione delle armi atomiche e i vari storici interpretano in modo diverso le sue parole.
Nel corso della prima ricostruzione, Heisenberg e Bohr escono per proseguire la loro chiacchierata in tranquillità e rientrano dopo solo dieci minuti: Bohr è arrabbiato e Heisenberg se ne va in tutta fretta. Bohr continua a parlare con la moglie Margrethe, per cercare di capire cosa sia realmente successo. Pare che Heisenberg abbia chiesto se come fisico aveva il diritto morale di lavorare allo sfruttamento pratico dell’energia atomica. Bohr ne dedusse immediatamente che Heisenberg ci stava lavorando e che stava cercando di fornire a Hitler armi nucleari.
Ripartono per una nuova simulazione, con più calma: per Margrethe, Heisenberg cercava l’assoluzione di Bohr, ma alla fine colui che ha partecipato al programma per la costruzione della bomba è stato Bohr, in America ed è Heisenberg allora che punta il dito, chiedendosi se ci sia mai stato uno, all’interno del programma, che si sia soffermato almeno un attimo a riflettere su quello che stavano facendo.
L’inizio del secondo atto si apre con la terza e ultima rievocazione. Insieme tentano di capire, ma la rievocazione si perde nei ricordi. I due fisici ricostruiscono il percorso della fisica di quegli anni, in particolare i tre anni, dal 1924 al 1927, durante i quali si ottiene l’interpretazione di Copenaghen. Forse alla fine fu un bene se Bohr lasciò Heisenberg nell’indeterminazione, senza una risposta alla sua domanda: non avendo un’indicazione di come comportarsi, non avendo alcuna conferma da parte di Bohr, Heisenberg non agì e fece tutta una serie di omissioni, consapevoli o meno, che determinarono l’insuccesso del programma atomico tedesco.
COMMENTO:
Leggere un testo teatrale non è sempre facile: meglio sarebbe assistere alla rappresentazione, perciò ho cercato su youtube e, quando ho riletto il libro la seconda volta, ho seguito sul libro le battute degli attori. Alla seconda lettura ho anche scelto di partire dai post scriptum di Frayn per capire meglio il testo e, in effetti, ha aiutato: conoscere il contesto storico, conoscere fino in fondo i fatti che erano solo accennati nello spettacolo ha davvero aiutato a comprendere meglio. Copenaghen aiuta ad addentrarsi negli sviluppi della fisica moderna, a conoscere più direttamente alcuni dei fisici coinvolti e ad avere un’altra prospettiva anche su alcuni fatti della seconda guerra mondiale.
“Adesso siamo tutti morti e sepolti, certo, e il mondo di me ricorda soltanto due cose. Una è il principio di indeterminazione, e l’altra è la mia misteriosa visita a Niels Bohr a Copenaghen, nel 1941. L’indeterminazione la capiscono tutti. O credono di capirla. Nessuno capisce il mio viaggio a Copenaghen.”