“C’è un numero che da anni mi perseguita. È una persecuzione dolce, che mi rende complice felice più che vittima indifesa, eppure quella presenza è continua, incombente, assillante.” Così esordisce Pietro Greco, che da quando aveva sei anni ha deciso di “seguire le vicende di questo numero fondamentale”. E quanto sia fondamentale, per la matematica ma non solo per lei, lo scopriamo, pagina dopo pagina, in questa breve storia della matematica, che comincia con i Babilonesi e si conclude con il pi-day, in un crescendo di sorprese e curiosità, visto che psembra essere davvero ovunque!
Archimede è il protagonista della prima metà del percorso, considerato che il primo capitolo si intitola “Prima di Archimede” e il quinto “Dopo Archimede”. Non potrebbe che essere così: Archimede, con il suo metodo di esaustione, ha anticipato il concetto di limite, proponendo quello che l’autore chiama un “metodo scientifico” per calcolare pe, senza altro strumento se non la sua mente, ha trovato un valore di questa costante estremamente preciso. Nella Grecia Antica tanti altri hanno legato il proprio nome a questa costante: basti considerare, per avere un’idea della sua importanza, i tre problemi dell’antichità, fra cui figura, appunto, la quadratura del cerchio oppure, citando i sempiterni “Elementi” di Euclide, il terzo postulato “dato un punto e un segmento è sempre possibile ottenere un cerchio”.
Con il sesto capitolo si torna in Europa, dopo la povera parentesi Romana e il lavoro intenso degli Indiani e degli Arabi, con Fibonacci e il suo “Practica geometriae”, pubblicato nel 1220. Nel XVI secolo, i tempi sono ormai maturi per ideare nuovi percorsi ed è il turno di Viète, con un metodo alternativo a quello di Archimede e, soprattutto, l’utilizzo di un’espressione analitica dove “vi fa capolino un assaggio di calcolo infinitesimale”. A questo punto, “la partita di caccia dei digit hunters è iniziata” e arriveremo alle 808 cifre decimali del 1948, senza l’utilizzo di alcuno strumento elettronico. Il calcolo infinitesimale di Newton e Leibnitz apre nuove porte anche a pe finalmente, nel 1706, i tempi sono maturi per dare un nome a questa costante: il nome viene proposto da William Jones, ma è la fama di Eulero che renderà universale la notazione tutt’ora in uso.
Pietro Greco ha setacciato tutta la storia della matematica, lo dimostrano le numerose citazioni di Kline e Boyer, alla ricerca del pi greco e questo dimostra come lo studio di p sia stato una presenza costante nel percorso di ogni matematico. La storia è rapida, Greco non ci risparmia i particolari, ma al tempo stesso il ritmo è incalzante. Il libro è semplice e alla portata di tutti, ma la leggerezza del testo non ci induca a considerarlo banale: la semplicità del percorso è una ricchezza e un invito a ulteriori approfondimenti.
TRAMA:
L’elenco dei «dieci esperimenti più belli nella storia della scienza» procede in senso cronologico, percorrendo 2500 anni di scienza e alternando la descrizione dell’esperimento, del contesto e dei protagonisti con un piccolo interludio, alcune pagine nelle quali l’autore analizza il concetto di bellezza nella fisica. La parola chiave del testo, infatti, è proprio “bellezza”.
L’elenco si apre con l’esperimento di Eratostene per la misura della circonferenza terrestre, accompagnato dal saggio “Perché la scienza è bella”: questo esperimento è bello perché ci fa «diventare più consapevoli del nostro posto nell’universo».
Il secondo e il terzo esperimento sono di Galileo Galilei: l’uno riguarda la caduta dei gravi ed è accompagnato dall’interludio “Esperimenti e dimostrazioni”, visto che comincia con la dimostrazione del 2 agosto 1971 realizzato dal Comandante David Scott durante la missione dell’Apollo 15 sul suolo lunare. Il secondo di Galileo è nominato come “esperimento alfa” e riguarda il piano inclinato, grazie al quale è stato introdotto il concetto di accelerazione: «permette a un principio fondamentale della natura di manifestarsi in quello che sembrerebbe dapprima solo un insieme di eventi casuali e caotici». È accompagnato dall’interludio “Il confronto Newton-Beethoven”, grazie al quale si «traccia una relazione elegante fra le scienze e le arti».
Il quarto esperimento è nominato come experimentum crucis, visto che è stato cruciale per la storia della scienza: è la scomposizione della luce tramite i prismi, realizzato da Newton. Il saggio “La scienza distrugge la bellezza?” analizza le reazione dei alcuni poeti e artisti del Settecento, che hanno visto in Newton un nemico che ha «distrutto tutta la poesia dell’arcobaleno, riducendola ai colori del prisma».
Il quinto esperimento è quello di Cavendish, che misura ancora una volta la Terra, ma nella sua densità, realizzando una misurazione che non poté essere migliorata per oltre un secolo. Nell’interludio l’autore riflette sull’idea di scienza che il mondo dell’arte e della cultura ci regalano attraverso gli spettacoli teatrali e i film, presentandoci spesso immagini stereotipate di una scienza fredda e distante.
Il sesto esperimento è la scoperta del carattere ondulatorio della luce dovuto a Young, mentre nell’interludio si riflette sul legame tra “Scienza e metafora”, utile secondo alcuni, fuorviante per altri.
Il settimo esperimento è la dimostrazione della rotazione terrestre grazie al pendolo di Foucault e nell’interludio “La scienza e il sublime”, l’autore sottolinea che «tutti gli esperimenti scientifici hanno un tocco di sublimità, rivelando che la natura è infinitamente più ricca dei concetti e delle procedure con cui ci accostiamo a essa».
L’ottavo esperimento è quello di Millikan, ovvero la scoperta della carica dell’elettrone. L’interludio “La percezione nella scienza” è una riflessione su ciò che gli scienziati riescono a vedere durante le loro ricerche, attraverso una visione che è qualcosa di più di una semplice visione sensoriale.
Il penultimo esperimento riguarda la scoperta del nucleo atomico, che evidenzia le “Capacità artistiche nella scienza” mostrate da Rutherford. L’ultimo esperimento non ha un solo nome a rappresentarlo, trattandosi dell’interferenza quantistica di elettroni singoli. È stato indicato come l’esperimento più bello, forse perché «porta la realtà del mondo quantistico dinanzi ai nostri occhi in modo efficace, economico ed evidente». L’ultimo interludio è dedicato agli “Sconfitti”, ovvero a quegli esperimenti comunque nominati dai lettori, ma che non sono entrati nella rosa dei dieci.
Il libro si conclude con l’esperimento più bello per Crease, ovvero la misurazione del cosiddetto «momento magnetico anomalo del muone» e con la riflessione riguardo il ruolo della passione nella ricerca: forse ci si concentra più sul valore storico-scientifico di una scoperta e si dimenticano le passioni e gli uomini che le hanno vissute. Crease, con il suo libro, colma questo vuoto.
COMMENTO:
La progressione cronologica con cui sono presentati gli esperimenti rappresenta anche una progressione di difficoltà, ma l’autore si muove bene in tutti gli ambiti, riuscendo a farci capire ogni aspetto della fisica. Il libro è adatto a tutti e può costituire un’ottima occasione di approfondimento personale, visto che non presenta particolari difficoltà. Dal canto mio, lo userò per introdurre gli argomenti nuovi a scuola o per approfondire le descrizioni degli esperimenti quando li ritrovo nel programma di fisica.
TRAMA:
Chiunque abbia interesse a “scoprire la bellezza e l’utilità” della matematica è seriamente invitato a leggere questo libro! Dedicato agli alunni della scuola secondaria di primo grado, il libro si presta in realtà a vari livelli di lettura, grazie anche alla struttura pensata dalla Cerasoli: il testo è costituito da tre parti che possono essere lette separatamente, ma che si intersecano l’una con l’altra. La parte principale è la narrazione dedicata specificamente a p, la seconda è data da una ventina di box azzurri e la terza da una ventina di box arancioni.
La prima parte comincia con la presentazione di p, il numero che “non ha una fine”, e prosegue con la storia di Archimede, che fin da piccolo aveva imparato “a giocare con i numeri, a ragionare, a non spaventarsi di fronte ai problemi, a correggere gli errori senza scoraggiarsi”. Il metodo di Archimede per determinare le cifre decimali di pcon una grande approssimazione è descritto dettagliatamente e con molta semplicità: il lettore è invitato ad applicare delle semplici formule per il calcolo delle aree e a mettersi alla prova per trovare una nuova cifra decimale.
Non è possibile parlare di Archimede senza ricordare la Biblioteca di Alessandria e il ruolo svolto da Eratostene nel campo della cultura: è proprio da una lettera scambiata con Eratostene che possiamo conoscere il livello di precisione raggiunto da Archimede, per il quale “la circonferenza di un circolo è uguale al triplo del diametro, più una parte che è maggiore di 10/71 e minore di 1/7”. È proprio il legame tra la circonferenza e il suo diametro che ci permette di trovare la simpatica relazione secondo la quale aumentando di un solo metro la lunghezza di un nastro ipoteticamente avvolto intorno all’Equatore, gli permetterà di sollevarsi in ogni punto di circa 16 centimetri.
La storia di parriva fino ai giorni nostri, perché solo nell’Ottocento è stato dimostrato, da un matematico tedesco, che le sue cifre continuano all’infinito. Il fatto che la sequenza delle cifre sia infinita ci garantisce che “quella sequenza conterrà certamente ogni altra sequenza di cifre” e possiamo così ritrovare la nostra data di nascita o il nostro numero di telefono, o qualsiasi altra sequenza di numeri ci possa venire in mente.
Il calcolo dell’area del cerchio è affascinante, e probabilmente più facile da memorizzare, se si usa il metodo di Archimede, che ha immaginato di suddividere il cerchio in tante striscioline e di trasformarlo in un triangolo, ma nemmeno il grande scienziato ha potuto risolvere l’impossibile problema della quadratura del cerchio, con il solo utilizzo di riga e compasso. Il cerchio è ineguagliabile nella sua area, perché – a parità di perimetro – è il poligono che racchiude l’area maggiore, come ben sapeva la regina Didone, fondatrice di Cartagine. Archimede non si fermò all’area e al perimetro della circonferenza: determinò anche il volume e la superficie della sfera, mentre Eudosso determinò il volume del cono.
La storia si conclude con la morte di Archimede ad opera di un soldato romano, durante l’assedio di Siracusa, ma la sua morte rappresenta solo il termine della sua esistenza terrena, considerata l’immortalità delle sue opere e, in particolare, del suo metodo.
Nei box azzurri, che si alternano con quelli arancio alla narrazione, sono raggruppate attività da svolgere durante la festa di p, giochi per comprendere meglio questa costante e tante curiosità, come la nascita della festa che viene celebrata ogni anno il 14 marzo, ideata dal fisico americano Larry Shaw e proclamata ufficialmente da Obama nel 2009, come occasione che “incoraggi i giovani verso lo studio della matematica”. Sul risvolto della copertina troviamo inoltre il puzzle dello Stomachion, ideato da Archimede e le due facce della Medaglia Fields, il premio più ambito dai matematici di tutto il mondo. I box arancio, ricchi di approfondimenti e di quesiti matematici un po’ più impegnativi, ci raccontano la storia della misura del meridiano terrestre, ci spiegano i termini irrazionale e trascendente che descrivono il pe completano l’elenco delle scoperte di Archimede con la descrizione delle leve.
COMMENTO:
Un libro bellissimo sia nella veste grafica che nella sua realizzazione: anche questa volta la Cerasoli ci ha regalato un testo unico, costruito attorno all’affascinante irrazionale p. Sembra che il numero catalizzi attorno a sé le figure geniali del suo tempo e lo sviluppo storico nel quale ogni avvenimento è inserito ci permette di rileggere anche la storia romana, con le guerre puniche e l’assedio di Siracusa. Così, in questo misto di realtà e leggenda, storia e mito, l’irrazionale più famoso non può che restare impresso nella nostra memoria.