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Mercoledì, 30 Dicembre 2020 15:46

La donna di Einstein

«La donna di Einstein», pubblicato da Piemme nel 2017, è stato scritto da Marie Benedict, che ha lavorato in passato come avvocato a New York, ma la cui passione per la storia è stata lo stimolo per dedicarsi a romanzi storici come quello in questione. È la stessa autrice a dirci che non conosceva molto Einstein e di fatto non sapeva nulla della prima moglie Mileva Marić: l’ha conosciuta quando si è ritrovata ad aiutare il figlio Jack a preparare una relazione sul libro per bambini Who was Albert Einstein, e il fatto che si accennasse solo di sfuggita alla prima moglie, a sua volta una studiosa di fisica, l’ha incuriosita. È così quindi che nacque questo romanzo: è l’autrice stessa nella nota finale, nella quale elenca anche la bibliografia che l’ha aiutata nella stesura, a sottolinearci quali siano gli aspetti puramente inventati della vicenda e quali invece realmente accaduti. «Ogni qual volta mi è stato possibile, nell’arco generale della storia (date, luoghi, nomi) ho cercato di attenermi ai fatti, prendendomi libertà necessarie ai fini narrativi». Ci ricorda inoltre che scopo del libro non è quello di «sminuire i contributi dati da Albert al genere umano e alla scienza ma far conoscere l’umanità delle persone dietro quei contributi scientifici. La donna di Einstein si propone di narrare la storia di una donna brillante la cui luce è andata perduta nella gigantesca ombra gettata da Albert: quella di Mileva Marić.»
Marie Benedict immagina che Mileva, l’altra Einstein – come suggerisce il titolo originale del libro –, ripercorra la propria vita alla ricerca di una risposta: «Come ho fatto a smarrire la strada?»

Il romanzo ha inizio il 20 ottobre del 1896 a Zurigo, la prima volta che Mileva mette piede al Politecnico: è proprio durante una lezione del professor Heinrich Martin Weber che incontra Albert Einstein, che attira subito la sua attenzione con la sua «zazzera scarmigliata di riccioli scuri», visto che non le levava gli occhi di dosso. Il libro si conclude il 29 luglio del 1914 a Berlino, il giorno in cui, dopo aver preso accordi per il divorzio, Mileva rientra con i figli a Zurigo. Al termine di tutto c’è l’epilogo del 4 agosto del 1948, il giorno della morte di Mileva, nel quale essa dà una spiegazione delle tre parti in cui è stato suddiviso il libro: quasi come in un tributo a Newton e alla fisica, le tre parti sono scandite dai tre principi della dinamica dato che, ci dice Mileva, «da fanciulla pensavo che il principio si applicasse unicamente ai corpi inanimati; soltanto più tardi ho compreso che anche le persone agiscono in sua conformità.»

Prima dell’arrivo a Zurigo la vita di Mileva «ha continuato a snodarsi in linea retta finché non è intervenuta una forza esterna. Albert è stato quella forza». La seconda parte, con il secondo principio della dinamica, inizia il 12 Aprile del 1898 e si chiude il 14 Marzo 1913: inizia con il ritorno di Mileva a Zurigo, dopo la frequenza di un semestre a Heidelberg in Germania, e si chiude nel momento in cui Mileva cambia di nuovo la sua traiettoria. «La forza Albert ha agito su di me in conformità con la seconda legge del moto. Sono stata risucchiata nella sua direzione e nella sua velocità, e la sua forza è diventata la mia». Nella terza parte, con il terzo principio della dinamica, Mileva, non riuscendo più a reggere la forza di Albert, ha «esercitato una forza uguale in grandezza e contraria in direzione rispetto alla sua», ovvero rispetto a quella di Einstein. Ed è così quindi che si conclude questa storia d’amore.

Nelle sue ricerche, Marie Benedict ha scoperto che Mileva è diventata «il punto focale di un dibattito assai vivace nel mondo della fisica. La discussione, che verteva intorno alla parte da lei avuta nella formulazione delle pionieristiche teorie del marito del 1905, era divampata ancora di più in seguito al ritrovamento, negli anni Ottanta, del carteggio intercorso tra i due dal 1897 al 1903.» È abbastanza evidente che Mileva abbia avuto un ruolo nelle scoperte di Einstein e nell’annus mirabilis, il 1905, durante il quale furono pubblicati i quattro articoli sugli Annalen der Physik. Quale sia stato questo ruolo però non è dato sapere: sono molti i dubbi attorno alla loro storia: non si sa se Mileva sia stata semplicemente una «cassa di risonanza per le idee di Albert» oppure se l’abbia aiutato solo con la matematica oppure ancora se il suo ruolo sia stato di gran lunga più cruciale. L’autrice sposa proprio quest’ultima ipotesi.

Il libro è un romanzo piacevole, raccontato in prima persona da Mileva. Le emozioni che la donna ci permette di vivere attraverso il suo racconto sono intense, tant’è che ho faticato ad arrivare all’ultima pagina del romanzo sapendo fin dall’inizio quale sarebbe stato il triste epilogo di questa storia, sapendo cioè che Mileva, dopo essere vissuta all’ombra del marito durante il loro matrimonio, sarebbe tornata poi nell’ombra di una vita anonima al momento del loro divorzio. «Ho assistito alla canonizzazione di Albert come santo laico. Ciò nonostante, mai una volta ho provato il desiderio di tornare al ruolo di sua moglie. Tutto ciò a cui sempre avrei voluto tornare è il ruolo di madre di Lieserl.»

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Lunedì, 09 Novembre 2020 21:55

Il matematico indiano

«Il matematico indiano», pubblicato in Italia da Mondadori, è stato scritto nel 2007 da David Leavitt, scrittore statunitense, nonché docente di lettere inglesi alla University of Florida, dove insegna nel programma di scrittura creativa. Il libro nel 2009 ha vinto il XVIII premio Grinzane Cavour per la narrativa straniera.

È un romanzo abbastanza impegnativo che racconta la vicenda del matematico indiano Srinivasa Ramanujan usando diversi piani di narrazione. Da un lato abbiamo una conferenza di Hardy nel 1936 ad Harvard, in parte realmente accaduta e in parte reinventata, che apre e accompagna la narrazione: l’autore la usa per riempire i buchi della narrazione stessa. Poi abbiamo le biografie di Hardy e di Littlewood, i due matematici che hanno un ruolo di primo piano nella scoperta del genio di Ramanujan, e il racconto della vita di Ramanujan stesso. Dopodiché nel corso della narrazione, incontriamo anche altri personaggi comprimari, come la sorella di Hardy, Gertrude, l’amante di Littlewood e gli altri insegnanti e allievi del Trinity College. La vicenda di Ramanujan permette di entrare in contatto con l’Inghilterra degli inizi del Novecento, con le usanze del Trinity College (basti pensare al Tripos) e con il legame esistente tra l’Inghilterra e l’India, sua colonia.

Partendo da una vicenda realmente accaduta, la narrazione è un mosaico di molti fatti storici verificati e di altri che sono pura invenzione dell’autore e un esempio è dato dal matematico Eric Neville, che in qualche modo con sua moglie Alice favorì il viaggio di Ramanujan in Inghilterra: per quanto lo studioso sia realmente esistito, il fatto che la moglie si sia poi innamorata di Ramanujan è pura invenzione dell’autore. Nelle note conclusive, l’autore ristabilisce il giusto equilibrio tra realtà e finzione, specificando quali aspetti ha enfatizzato o inventato per dare maggior tono alla narrazione ed elencando anche le numerose fonti che gli hanno permesso di scrivere questo romanzo. Hardy, reale protagonista del romanzo, colpisce per la sua freddezza che maschera in realtà la sua riservatezza e la sua omosessualità, in un periodo storico in cui sarebbe stato condannato dalla società. Secondo quanto viene riportato da Wikipedia, Leavitt, che ha affrontato a più riprese la tematica dell’omosessualità nei suoi libri – basti pensare al libro dedicato ad Alan Turing «L’uomo che sapeva troppo. Alan Turing e l’invenzione del computer» – avrebbe dichiarato: «Ho scritto quello che avrei voluto leggere quando ero adolescente, ma che nessun libro raccontava».

Questo libro può essere letto anche da chi non abbia alcuna preparazione matematica, perché di fatto ci sono solo alcuni brevi riferimenti alle ricerche di Hardy e Ramanujan. La lettura è piacevole e si finisce con l’affezionarsi alle stranezze di Hardy o con il soffrire per il disagio di Ramanujan, mentre lo stupore per questa vicenda non abbandona mai il lettore. L’incontro tra Hardy e Ramanujan ha dell’incredibile e l’accanimento di Hardy perché venisse riconosciuta la grandezza dell’amico è eccezionale nella misura in cui si è consapevoli della personalità schiva del matematico inglese.

Nella sua conferenza a Harvard, parlando di Ramanujan, Hardy dice: «L’ho visto e gli ho parlato ogni giorno per parecchi anni, e soprattutto ho attivamente collaborato con lui. Devo più a lui che a chiunque altro al mondo, con una sola eccezione [Littlewood], e il mio rapporto con lui è stata l’unica vicenda romantica della mia vita. […] Per me dunque la difficoltà non consiste nel non sapere abbastanza di lui, ma è di sapere troppo, di sentire troppo, e di non poter essere imparziale.»

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Sabato, 07 Novembre 2020 18:32

La diva geniale

«La diva geniale», pubblicato da Piemme nel 2019, è l’ultimo romanzo di Marie Benedict pubblicato in Italia. Avvocato di New York, leggiamo sul suo sito che la sua passione per la storia l’ha spinta a scrivere di donne dimenticate dalla storia stessa, per riportarle alla luce del presente, ora che possiamo cogliere il peso dei loro contributi e apprezzare la loro visione dei problemi moderni. Per questo ha scritto La donna di Einstein, pubblicato nel 2017 e dedicato a Mileva Maric, e Lady Clementine, appena uscito e non ancora pubblicato in Italia, dedicato alla moglie di Winston Churchill, che comincia con l’episodio emblematico di Clementine che salva la vita del marito nel 1909.

Il romanzo «La diva geniale» è scritto in prima persona ed ha inizio nel maggio del 1933, quando Hedy Kiesler è protagonista dello spettacolo del Theater an der Wien di Vienna dedicato all’imperatrice Sissi e, tra il pubblico, Fritz Mandl ha già deciso che sarà sua. Impauriti dal potere di Mandl e dalle conseguenze alle quali potrebbero andare incontro se la figlia scegliesse di non frequentarlo, i genitori insistono perché lei accetti la sua corte e, dopo pochissimo tempo, la sua proposta di matrimonio: Hedy è affascinata da quest’uomo di potere, proprietario di una fabbrica di armi, amico di Mussolini, e, anche se il futuro marito le impone di ritirarsi dalle scene in cambio di una vita dorata e protetta, accetta la proposta. La vita dorata rivela tutte le sue insidie con il passare del tempo e dopo la morte del padre, mentre nuovi equilibri si stanno creando sulla scena politica austriaca, Hedy non si sente più protetta dal marito: a fine agosto del 1937, dopo aver pianificato per lungo tempo la sua fuga, Hedy riesce ad allontanarsi da Vienna e a raggiungere l’Inghilterra. Il fatto di aver lasciato la madre, che la raggiungerà in un secondo momento, e di aver taciuto tutte le informazioni sul Terzo Reich delle quali era venuta a conoscenza durante le cene organizzate dal marito, saranno per lei «un pesante segreto da espiare», una colpa che la spingerà, durante la seconda guerra mondiale, a collaborare con George Antheil, compositore incontrato a una festa a Hollywood. «Avrei preso tutto ciò che sapevo di quella forza maligna che era Hitler e mi sarei affilata come una lama. Poi avrei conficcato quella lama nel cuore del Terzo Reich.». Il suo viso perfetto ha incantato i registi di Hollywood, ma la sua intelligenza non era inferiore alla sua bellezza, visto che dopo aver cercato di ricordare le conversazioni delle lunghe cene organizzate dal marito, Hedy scrive tutto quanto ricorda: «In quegli appunti speravo di trovare la via dell’espiazione, una maniera di usare le informazioni segrete in mio possesso per aiutare le persone che avevo abbandonato.»

Nella nota conclusiva, Marie Benedict ci ricorda che «maneggiamo oggi un pezzo di storia delle donne», il telefono cellulare, perché il frequency hopping, inventato da Hedy e George per rendere i segnali irraggiungibili, si può trovare nel funzionamento dei dispositivi wireless così diffusi. «È un ricordo tangibile della sua vita, al di là dei film per i quali è più famosa».

La vicenda di Hedy Lamarr, conosciuta soprattutto come attrice e solo ultimamente riscoperta per le sue doti geniali, affascina e coinvolge: non si può non condividere il suo dolore per la morte del padre, non si può che restare con il fiato sospeso quando le frequentazioni con il marito la portano vicino a Hitler, non si può non fare propria la sua voglia di riscatto. Marie Benedict riesce ad andare oltre la superficie, oltre il ricordo di una donna superficiale e inquieta, per farci conoscere la sua genialità e la sua tenacia. Non possiamo che ringraziare l’autrice per questo ritratto così affettuoso e coinvolgente: finalmente un romanzo che restituisce alla figura di Hedy Lamarr il suo giusto peso nella storia.

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Venerdì, 11 Settembre 2020 09:26

Einstein forever

«Einstein forever» è stato pubblicato nel gennaio del 2020 dalla casa editrice Bollati Boringhieri. L’autrice, Gabriella Greison, è una scrittrice laureata in fisica e un’attrice che porta i suoi spettacoli in tutta Italia, approfittandone per divulgare le sue conoscenze in particolare sulla fisica moderna e sulle grandi donne che ne hanno permesso lo sviluppo.

È il secondo libro che Greison dedica a Einstein, dopo «Einstein e io», ma questo si riferisce alla seconda parte della vita del fisico, a quella ambientata in America, dal 1932-33 quando lascia la Germania fino al 1955, l’anno della sua morte. Non è un caso che l’autrice si dedichi ancora alla figura del fisico, perché «l’eredità che abbiamo ricevuto da Albert Einstein è immensa»: la sua è una «dichiarazione d’amore nei confronti di chi ci ha insegnato a sognare, e ci ha rivelato il segreto di come restare bambini per sempre». D’altra parte, il celebre fisico è una “icona pop”, cioè un vero e proprio modello, una figura di riferimento negli ambiti più diversi.
Gabriella Greison ha svolto come sempre un grande lavoro di ricerca: presso gli archivi della Hebrew University di Gerusalemme e a Princeton, dove ha avuto modo di incontrare spesso Freeman Dyson, fisico e matematico britannico, mancato subito dopo la pubblicazione del libro. È lei stessa a raccontarci di come Dyson l’abbia fatta «viaggiare con la mente» permettendole la stesura di questo libro.

Suddiviso in tredici capitoli, non numerati ma distinti l’uno dall’altro con un simbolo scientifico, ogni capitolo è una risposta ad una lettera che Einstein ha ricevuto, nel corso della sua vita, dai bambini oppure a lettere a noi contemporanee: Gabriella Greison si avventura in una risposta un po’ più impegnativa, mentre Einstein, pur rispondendo a tutte, si limitava ad alcune battute. In ogni capitolo c’è una seconda parte, intitolata Extra, nella quale la Greison racconta degli aneddoti legati alla passione per la musica di Einstein che si esibiva spesso con il suo violino, che aveva chiamato Lina e del quale aveva molta cura. Non è la prima volta che l’autrice collega la sua narrazione alla musica, in questo caso alla musica che Einstein amava.
Ci sono cinque capitoli dedicati alla fisica, con la spiegazione della celeberrima formula E=mc2, la descrizione dello spazio-tempo, la nascita della fisica quantistica, la gravità, gli ultimi studi che Einstein ha fatto a Princeton e, come in una previsione del futuro, i viaggi su Marte. Due capitoli sono dedicati a due amicizie importanti, ovvero Bohr e Gödel e poi c’è spazio per la descrizione della sua vita, l’atteggiamento di Einstein nei confronti delle minoranze, il percorso che ha fatto per diventare il fisico che tutti conosciamo, il suo anticonformismo e il suo rapporto con Dio.

Il libro è una lettura interessante per chiunque, anche per coloro che non hanno conoscenze scientifiche approfondite, visto che anche i capitoli dedicati alla fisica hanno un carattere divulgativo: non dimentichiamo che Gabriella Greison è abituata a spiegare la meccanica quantistica a chiunque, con monologhi teatrali. Proprio in considerazione della sua bravura come attrice, ho approfittato della possibilità di leggerlo, attraverso la sua voce, con Audible.

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Lunedì, 31 Agosto 2020 00:00

Almarina

«Almarina» è un romanzo pubblicato nell’aprile del 2019 dalla casa editrice Einaudi. L’autrice è Valeria Parrella, scrittrice, drammaturga e giornalista, finalista con questo romanzo alla Settantaquattresima edizione del Premio Strega.

Il libro è raccontato in prima persona dalla protagonista, Elisabetta Maiorano, docente di matematica e scienze presso il carcere minorile di Nisida. Cinquantenne, ha perso il marito Antonio da tre anni quando si ritrova tra i propri alunni Almarina, una adolescente romena, fuggita da casa per gli abusi del padre e finita in carcere per furto. La vicenda è narrata come una sorta di flusso di coscienza perché di fatto Elisabetta alterna flashback del suo passato insieme al marito a vicende attuali. Si affeziona fin da subito ad Almarina tanto da decidere di adottarla, lei che aveva cominciato un percorso di adozione, che non si era mai concluso, con il marito. Perché proprio Almarina in mezzo a tutti gli studenti che sono passati per la sua aula nel corso della sua carriera? «Perché mi sembra che possa farcela, e non mi va di farle perdere questa unica occasione», risponde Elisabetta a chi le chiede le sue motivazioni. Con la consapevolezza che «non si realizza subito quando la vita sta cambiando», la protagonista passa attraverso questa vicenda con il peso del dolore della perdita, ma al tempo stesso con la speranza di poter cambiare le cose, almeno per Almarina, che porta in sé la promessa del futuro. Tant’è che dice a un certo punto: «Mi affido a peso morto alla tua presa, e tu con tutta la forza che tieni a diciassette anni mi tiri via dal pozzo e mi riporti in classe».

La matematica fa capolino nella vicenda, approfittando delle occasioni in cui può contribuire a spiegare alcuni aspetti del mondo che Elisabetta legge attraverso i propri occhi matematici e al tempo stesso diventando l’unica possibilità per la protagonista di salvare i ragazzi che le vengono affidati. Quello di Valeria Parrella non è semplicemente un romanzo, ma un percorso che ci permette di immedesimarci nelle paure e nelle ansie della protagonista e al tempo stesso di sperare per Almarina, che è stata lanciata nella vita con una grande dose di sfortuna, in un futuro migliore.

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Giovedì, 28 Maggio 2020 00:00

Materia strana

«Materia strana» è il titolo di questo romanzo scientifico pubblicato dalle Edizioni Dedalo nella collana di narrativa scientifica ScienzaLetteratura, «pensata per chi ama leggere e vuole capire di cosa parliamo quando parliamo di scienza nel XXI secolo». È stato scritto da Gomez Cadenas, un fisico impegnato nella ricerca di particelle pesanti, e quindi particolarmente adatto per scrivere un’opera ambientata al CERN di Ginevra e in una centrale nucleare in Iran.

Il romanzo è ambientato in un’epoca imprecisata, nei primi anni 2000, in un arco temporale di sei mesi; l’inizio può essere un po’ disorientante, considerando i numerosi personaggi che vengono presentati nei primi capitoli. La protagonista femminile è Irene de Avila, fisica teorica, che è stata chiamata al CERN dalla sua direttrice, Helena Le Guin: qui si troverà a fare dei calcoli di probabilità, per prevedere la creazione di antimateria durante l’esperimento più importante che si svolge nel centro. Il suo incontro con Hector Espinoza, fisico e militare che sta svolgendo per l’ONU un lavoro della massima segretezza, è del tutto casuale, ma da quel momento le loro vite restano strettamente intrecciate e in questo intreccio trascinano con sé anche i personaggi che ruotano loro attorno. I momenti di contatto, però, sono anche più di quelli dati dalla loro frequentazione saltuaria e sporadica, visto che nel mezzo della sua missione in Iran Hector scoprirà poi un legame particolare con questa donna che non riesce a dimenticare. La vicenda è particolarmente coinvolgente e lascia il lettore in sospeso, invitandolo a non abbandonare la lettura.

Edito in Italia nel 2012, la sua prima pubblicazione risale al 2007 e proprio nel 2008 ci sarà l’inaugurazione ufficiale dell’LHC: da più parti si sentiva parlare dei rischi per la sopravvivenza dell’intera umanità sul pianeta, le cose quindi raccontate dall’autore non sono di pura invenzione, ma ricalcano in qualche modo quello che stava avvenendo, ovvero quello che avviene quando una ricerca scientifica di queste dimensioni diventa nota a tutti e quindi chiunque si permette un commento senza conoscere realmente i fatti.

La lettura è stata interessante, e mi sento di consigliarla non solo agli appassionati, ma anche a coloro che hanno sentito parlare soltanto vagamente del CERN. Questo genere di libri diventa un modo per muovere i primi passi in argomenti complessi come la fisica delle particelle, ma questo timido ingresso può diventare un’occasione per approfondire le proprie conoscenze. L’autore, al termine della vicenda, spende qualche pagina per spiegare con chiarezza quali siano gli argomenti scientifici trattati nel libro e per questo motivo è bene non interrompere la lettura una volta arrivati all’epilogo.

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Domenica, 01 Marzo 2020 18:36

Il matematico che sfidò Roma

Al centro di questo romanzo c’è la storia dell’assedio di Siracusa ad opera dei Romani, conclusosi con la morte di Archimede. La vicenda ha come voce narrante Dinostrato, prima servo e poi discepolo di Archimede, che racconta al generale romano, Marco Claudio Marcello, la vita di Archimede. «Sono due racconti diversi. Il mio padrone in pace, il mio maestro in guerra», esordisce Dinostrato. E così comincia a dipanarsi la vicenda, in due tempi diversi, in un’alternanza di pace e guerra, passato remoto e passato recente. La prima parte comincia nel 227 a.C. e attraversa un arco di dodici anni: dall’arrivo di Dinostrato presso Archimede come servo fino al suo nuovo ruolo da discepolo. La seconda parte parla dei due anni di assedio, dal 214 a.C., con le invenzioni di Archimede e gli interventi di Dinostrato per spingere il suo maestro a intervenire in difesa di Siracusa.

Dinostrato ci racconta la sua formazione, il suo rapporto sempre più stretto con Archimede, le difficoltà date dalla sua condizione di servo, le sofferenze che ha incontrato nella sua vita... Non manca nulla in questo racconto di vita, che ci presenta Archimede in “forma umana”, non solo come il genio un po’ svitato, nudo e urlante, della corona di Gerone. «I primi tempi – ricordo – le stranezze del mio padrone, il suo agire più affine agli usi felini che alle costumanze degli uomini, mi spaventavano», racconta Dinostrato all’inizio. Alla fine arriverà a dire: «È questo il grande traguardo del mio padrone: far comprendere agli uomini che l’arbitro dei potenti, le pretese dei tiranni, la spocchia dei nobili, la superbia dei re, di fronte alle Leggi Naturali sono nulla. La consapevolezza delle Verità Matematiche Uniche ed Eterne, dice il maestro, rende gli uomini uguali sotto il cielo.»

La vicenda, già di per sé affascinante, è impreziosita da racconti che la rendono più che attuale: per molti aspetti, gli scienziati sono ancora malvisti dai più, mentre molti preferiscono cercare un rimedio nelle superstizioni. L’autore fa dire ad Archimede che gli uomini mostrano rispetto per il suo operato solo in tempo di guerra, un po’ come oggi cerchiamo le risposte della scienza solo in caso di emergenza.

Geniale il capitolo iniziale: Cicerone e Terenzia, centocinquant'anni dopo la morte di Archimede, cercano la sua lapide, mentre il magistrato evoca con ammirazione la figura del grande scienziato. «La scoperta della tomba di Archimede da parte di Cicerone è stato il maggior contributo dato dal mondo romano alla matematica. Forse l’unico.» (Carl Benjamin Boyer)

 

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Venerdì, 26 Luglio 2019 16:22

L'incredibile cena dei fisici quantistici

«L’incredibile cena dei fisici quantistici», pubblicato per Salani nel settembre del 2016, è uno dei primi libri di Gabriella Greison: fisica, scrittrice, giornalista professionista, Gabriella ha una vera passione per la fisica quantistica, «mi faccio accompagnare dalla fisica quantistica, la sfioro, l’accarezzo, tutto qui. Ma l’unica certezza che ho in cambio è il meraviglioso dubbio che mi crea». «1927 – Monologo quantistico» è lo spettacolo teatrale tratto da questo libro.

Il libro è a metà tra un romanzo e un saggio: da un lato il racconto della cena che si è svolta presso il Salon de la Taverne Royale di Bruxelles, il 29 ottobre del 1927 al termine del V Congresso di Solvay (quello della famosa foto che si trova sulla copertina, per intenderci), dall’altro non solo le biografie dei fisici che parteciparono al congresso, ma anche le riflessioni sulla fisica quantistica, guidate in qualche modo dai dialoghi avvenuti durante la cena. I dialoghi sono inventati, ovviamente, ma sono in qualche modo attendibili, visto che sono stati ricostruiti dalle lettere, dalle carte, dalle biografie dei singoli fisici: «Questa storia è l'intreccio di cose vere, cose veritiere, cose probabili e cose inventate». La distribuzione dei posti a tavola, ad esempio, disegnata da Lorentz, è stata in parte rispettata e in parte cambiata e ci sono dei personaggi fittizi: le persone invitate sono venti, tra le quali ci sono cinque donne, dieci premi Nobel e i reali del Belgio. Sono tutti puntuali e di buonumore, appaiono rilassati, ma è solo apparenza. Heisenberg, Pauli, Dirac, Ehrenfest non sono stati invitati, mentre Schrödinger e Planck, invitati, rifiutarono, l’uno perché detestava i ritrovi convenzionali, l’altro perché troppo stanco per andarci. Tra gli assenti anche Fermi e Marconi, che non furono invitati né alla cena né al congresso.

La storia ha la durata della cena: ci sono sette portate, ovvero sette capitoli, il cui titolo è una rivisitazione di titoli di famosi teoremi di fisica, che la Greison non riesce a «togliersi dalla mente», nonostante siano passati un po’ di anni dalla laurea in fisica. Ogni capitolo è diviso in due parti: dopo i dialoghi tra gli invitati, ci sono gli approfondimenti di fisica.

Si comincia con un’introduzione, ovvero l’aperitivo, che è una breve storia della fisica quantistica e che permette di fare il punto della situazione, fornendoci lo stato dei lavori all’inizio del congresso. La prima portata permette ai commensali di prendere confidenza gli uni con gli altri, ma poi si procede con il racconto del cinquantesimo anniversario di dottorato di Lorentz, nel dicembre del 1925, quando è avvenuto il primo incontro tra Bohr e Einstein. Con la seconda portata, ci sono i racconti che riguardano gli assenti, un modo per l’autrice di rendere parte attiva tutti i fisici coinvolti nella meccanica quantistica. La terza portata apre il discorso sugli scambi epistolari e quindi è l’occasione per citare le lettere più importanti scritte da Einstein. La quarta portata ricorda le rappresentazioni teatrali dei fisici, ma anche la triste conclusione della vita di Ehrenfest. La quinta portata permette il ritorno alle origini, ovvero al precedente congresso, quello di Como, al quale Einstein non era presente: il discorso di Bohr (riportato integralmente) sancisce la nascita della fisica quantistica. Con la sesta portata, vengono riportate le discussioni tra i fisici, ovvero il confronto grazie al quale la ricerca può progredire. L’ultima portata rimette in gioco lo scontro tra Einstein e Bohr, mentre si arriva, in qualche modo, a una mediazione tra le due posizioni, senza dimenticare, però, che «le discussioni sulla fisica quantistica sono ancora attuali».

Sullo sfondo, resta una descrizione generale dei fisici, attraverso le loro manie, le gaffe abituali, la loro inettitudine nella vita quotidiana, i tic e le regole che si impongono: se non fosse che l’autrice appartiene alla categoria, potremmo essere portati a considerarlo il solito elenco di luoghi comuni sulla categoria. In realtà, la narrazione stessa è caratterizzata da momenti intensi – perché parlare di fisica quantistica non è certo facile – alternati a momenti di leggerezza, ovvero quelli in cui la Greison cerca di rendere i fisici protagonisti del primo Novecento più umani. Grazie a questi momenti di leggerezza, la lettura è stata scorrevole, proprio come se si fosse trattato di assistere a uno spettacolo dell’autrice, senza dimenticare il vantaggio di imparare comunque qualcosa di nuovo, che si tratti di una curiosità sulla vita di un fisico o di un aspetto della fisica quantistica che non avevo considerato.

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Giovedì, 14 Febbraio 2019 09:02

Einstein e io

«Einstein e io», pubblicato per Salani nell'autunno del 2018, è l'ultima fatica di Gabriella Greison. Fisica, attrice e giornalista, la Greison ha fatto della divulgazione la sua missione: la fisica del Novecento e il ruolo delle donne nella scienza sono i suoi cavalli di battaglia e in questo libro si coniugano armonicamente. Il romanzo è scritto in prima persona, immaginando che il punto di vista sia quello di Mileva Maric, dal suo arrivo al Politecnico di Zurigo fino alla separazione da Einstein. Inizialmente al centro della scena c'è Mileva, con la sua tenacia e le sue ambizioni, ma chiusa nel suo mondo, fatto di numeri, di obiettivi da raggiungere e povero di relazioni. Albert Einstein pian piano riesce ad abbattere le sue difese e a far breccia nel suo cuore: con il suo essere fuori dagli schemi e la sua irriverenza, in un primo momento la indispone, ma è proprio la sua perseveranza che la conquista. «Gli scambi intellettuali tra di noi continuarono, aumentando esponenzialmente fino alla fine del secondo semestre. Avevamo gli stessi stimoli, le stesse idee, portavamo avanti pensieri e teorie, cercando gli autori più disparati per trovare conferma delle nostre congetture. Eravamo perfetti insieme. E l'infinito non mi faceva più paura.» Mileva tenta di fuggire andando all'università di Heidelberg, ma Einstein mantiene un contatto epistolare e al suo rientro a Zurigo, necessario vista l'impossibilità per una donna di laurearsi in Germania, il magnetismo che li aveva attratti fin dall'inizio compie la sua opera. «Era una spirale, Albert. E io ci ero finita dentro.» Le lettere che si scambiavano ci mostrano un Einstein innamorato, che però continua a mettere al primo posto la fisica e le sue riflessioni sulle nuove scoperte, che con il tempo sfoceranno nelle pubblicazioni del suo «Annus mirabilis». È proprio durante il lavoro agli articoli che il rapporto tra i due comincia a incrinarsi: mentre all'inizio Mileva è la spalla di Albert, aiutandolo con i calcoli, le ricerche e la stesura in bella copia degli articoli, in un secondo momento Albert si appoggia all'amico Michele Besso, che lo affianca anche all'Ufficio Brevetti di Berna. Sempre più consapevole di non riuscire a tenere il passo con gli studi del marito, delusa per non aver raggiunto i propri obiettivi, Mileva si incattivisce, tanto da non piacere più nemmeno a se stessa. «Non eravamo più una clessidra che si ricaricava incessantemente, un sistema in cui l'energia passava da uno all'altra. La clessidra ormai era stata bloccata in una posizione e la mia metà sarebbe rimasta per sempre vuota.» Mentre Einstein, astro nascente della fisica, acquista sempre più splendore, Mileva si spegne nella quotidianità della vita casalinga, delusa, forse incattivita, abbandonata a se stessa, impegnata nella gestione dei figli, uno dei quali estremamente problematico. La narrazione è gestita con originalità: anziché essere numerati, i singoli capitoli sono indicati con simboli scientifici o formule, spiegati al termine del libro: è l'occasione per affacciarsi sulle profondità della fisica. Come già era successo con il libro «Sei donne che hanno cambiato il mondo», Gabriella Greison associa l'ascolto di una canzone ad ogni capitolo, ma in questa occasione va anche oltre: consiglia, «prima (o durante) la lettura di ogni capitolo, di bere un bicchiere di vino» (consiglio che non ho ritenuto opportuno seguire, visto che ho letto il libro abbastanza in fretta). Il punto di vista di Mileva è preponderante durante la prima parte, fino alla nascita del primo figlio legittimo, che più o meno coincide con le pubblicazioni del marito: da questo momento, al centro della scena c'è solo Albert, che si impone al mondo scientifico con le sue innovazioni. Mileva riporta i successi del marito e i dialoghi, che non sono vissuti in prima persona, ma riportati dai racconti di Einstein. È in questa ultima parte e in particolare nei dialoghi che si nota di più l'influenza della biografia di Isaacson, dalla quale è tratta anche la prima stagione della serie «Genius». Il romanzo ha una certa leggerezza, visto che non sono descritte le profondità scientifiche di cui Einstein è ideatore, ma consente un primo approccio alla figura del grande fisico, grazie anche alle numerose lettere originali che arricchiscono la narrazione.

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Domenica, 13 Gennaio 2019 18:46

La radice quadrata della vita

«La radice quadrata della vita», pubblicato da Rizzoli, è il primo romanzo di Lorella Carimali. Docente di provata esperienza, di matematica e fisica nelle scuole superiori, riconosciuta nel 2017 tra i dieci migliori insegnanti italiani dall’Italian Teacher Prize, nel 2018 è stata selezionata tra i 50 finalisti del Global Teacher Prize, noto anche come Nobel per l'insegnamento.

In questo romanzo, Lorella Carimali porta la propria esperienza come insegnante, l’amore per i ragazzi e la passione per la matematica e amalgama i tre ingredienti armonicamente. Il fil rouge di questa narrazione è la matematica, come maestra di vita e come fonte di ispirazione per gestire la complessità dei rapporti umani, visto che la matematica «ti permette di superare anche i problemi personali. Certo, puoi sbagliare, ma poi puoi sempre recuperare». È quanto la saggia Donatella, insegnante di matematica ormai prossima alla pensione, spiega a Bianca, docente di italiano alla sua prima esperienza lavorativa.

Ambientato nel liceo scientifico Margherita Hack di Milano, il romanzo ha per protagonista Bianca, padre iraniano e madre italiana, che deve gestire la sfida del nuovo incarico e la complessità del rapporto con il padre, che non accetta la sua indipendenza. La presenza amorevole di Donatella, che fin dall’inizio è molto protettiva nei suoi confronti, la aiuta a fare chiarezza dentro di sé, sia attraverso il racconto dell’esperienza di vita dell'amica, sia grazie alla matematica. Così Bianca troverà il proprio equilibrio, ma imparerà anche ad amare la matematica, con la quale ha sempre avuto un rapporto conflittuale. Il merito è, in parte, anche degli alunni: non solo sanno indicarci una diversa prospettiva nell’osservare le cose, ma a volte, con le loro passioni, sanno coinvolgerci e stupirci. È il caso di Matteo, con la sua tesina “Matematica e letteratura”: «Poiché l’immaginazione e la fantasia sono i principali ingredienti della creatività matematica, combinare questa disciplina con la letteratura, che va considerata un ampliamento della realtà, è indispensabile per stimolare queste doti già presenti in ognuno di noi».

Il romanzo si legge con piacere, perché le vicende di Bianca coinvolgono e appassionano. La matematica che, spesso, in romanzi di questo tipo, sembra una forzatura, in questo caso è coprotagonista con naturalezza, forse proprio grazie al fatto che l’intera vicenda è ambientata in una scuola. Inoltre, non è così strano che un’insegnante di matematica alla fine della carriera cerchi di risolvere ogni situazione come se si trattasse di un problema di matematica. Come insegnante, ho apprezzato alcuni spunti didattici originali e, per gli alunni, sicuramente stimolanti. Consiglio la lettura a chiunque, anche solo per il regalo originale di Mimmo a Donatella, quando le chiede di sposarlo: «con quel teorema mi stava incoraggiando a compiere un passo la cui sensatezza non era dimostrabile». Si tratta del teorema di Gödel. «Il fatto che esistano proposizioni indecidibili in matematica minava i fondamenti logici della disciplina. Proprio come la sua proposta di matrimonio minava quelli della mia vita».

 

«La Scuola è un ambiente vitale, luogo di relazioni, di dialogo, di collaborazione, di scambio reciproco, di crescita personale. Di tutti questi suoi aspetti, però, si parla poco.
La Scuola è stata ed è un mio amore.
La matematica è la mia passione nonché la mia maestra di vita.
La fiducia e la speranza nei giovani è l’anima del mio lavoro.»

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