TRAMA:
“Memorie d’infanzia” di Sofja Kovalevskaja è “un libro scritto da un matematico di alta classe, di prestigio indubbio, ma sotto forma narrata, autobiografico, nel quale il personaggio rivela di sé le più umane passioni” (dalla prefazione di Bruno D’Amore).
Giovane e appassionata, Sofja è la seconda figlia di una ricca famiglia che, al congedo del padre dall’esercito nel 1856, si stabilisce nella dimora di famiglia di Palibino, nella provincia di Vitebsk. Qui Sofja trascorre l’infanzia con la sorella Anjuta, di sei anni più grande e il fratellino Fedja, di tre anni più piccolo. Sofja è nata nel 1850, quando i genitori si trovavano in grandi difficoltà economiche per i debiti di gioco del padre e la sua nascita ha deluso i genitori, visto che avrebbero desiderato un maschio: per questi motivi, Sofja si sente poco amata. Con il trasferimento a Palibino, cambia l’organizzazione interna della famiglia: viene assunta una governante inglese e, in casa, ogni membro della famiglia ha i propri spazi, così separati che si incontravano tutti solo a pranzo e per il tè della sera. Miss Smith, l’istitutrice inglese che si occupa di Sofja, organizza le sue giornate in modo rigido: la sveglia alle 7, le lezioni impegnative, la marcia igienica dopo pranzo e le punizioni, che hanno più l’aspetto delle umiliazioni, nel momento in cui Sofja non si comporta come dovrebbe, come quando viene sorpresa a leggere, quando invece dovrebbe giocare con la palla, e il padre la lascia per mezz’ora in piedi in un angolo del proprio studio senza rivolgerle la parola.
Nel quadro della famiglia si inseriscono anche due zii: un fratello del papà, un anziano eccentrico ma molto colto, responsabile dell’incontro di Sofja con la matematica e il giovane fratello della mamma, per il quale Sofja nutre una vera e propria passione, tanto da ferire con un morso la compagna di giochi, colpevole di aver stuzzicato la sua gelosia. Da entrambi gli zii, Sofja sente quell’amore che ritiene di non ricevere dai genitori e ha modo inoltre di ampliare le proprie conoscenze, intrattenendosi con loro in dotte conversazioni.
La seconda metà del libro è dedicata alla sorella maggiore, Anjuta: dopo aver vissuto l’adolescenza passando da una passione all’altra, la ragazza entra in contatto con le idee che fervevano nelle grandi città e decide di dedicarsi alla scrittura. I suoi primi tentativi letterari vengono inviati, in gran segreto, a Dostoevskij, redattore di una rivista: dopo la pubblicazione del primo racconto, Anjuta ne prepara un altro, ma la lettera con la conferma dell’avvenuta pubblicazione viene intercettata dal padre, che si mostra adirato e deluso. Solo l’intercessione della madre permette ad Anjuta di continuare questa corrispondenza e di incontrare a San Pietroburgo il grande scrittore: Sofja è affascinata da lui e resta molto male quando si accorge che lui è in realtà innamorato della sorella e le chiede di sposarlo. Solo il rifiuto di Anjuta e il ritorno in campagna permette alle sorelle di rinsaldare il loro legame di amicizia.
Nel capitolo conclusivo, Sofja traccia un breve profilo autobiografico – scritto pochi mesi prima di morire – ripercorrendo le varie fasi del suo innamoramento per la matematica e rivivendo l’ostilità del padre, che nutriva “un forte pregiudizio verso tutte le donne istruite”. Era costretta a leggere di notte, alla fioca luce di una lampada, per non farsi scoprire e solo l’intervento di un proprietario terriero che abitava vicino a loro, il professor Tjrtov, che perorò la necessità che le fosse impartita un’istruzione rigorosa, le permise di cominciare le lezioni con il professor Strannoljubskj, a cui fece seguito, dopo il matrimonio con Kovalevskj, l’incontro con Weierstrass, che la prese sotto la sua ala protettrice. La laurea summa cum laude all’Università di Gottinga, la pubblicazione di uno dei suoi lavori sul giornale di Crelle – ritenuta la più seria pubblicazione di matematica in Germania – furono seguiti da un periodo di scarsa attività scientifica, visto il ritorno dei coniugi in Russia e la loro dedizione a imprese commerciali che si conclusero con il fallimento. Ripresi i giri per l’Europa, Sofja ebbe modo di incontrare eminenti matematici e di veder pubblicati alcuni dei suoi lavori; l’incontro con Mittag-Leffler, uno degli allievi di Weierstrass, le fruttò un invito a Stoccolma a tenere lezioni di matematica, dove – dopo un primo anno da privatdozent – le fu offerto un incarico stabile nel 1884. Grazie ai suoi lavori, ottenne un premio dell’Accademia delle Scienze di Parigi, per il quale le furono tributati “onori su onori”.
COMMENTO:
L’introduzione di Laura Guidotti permette al lettore di conoscere l’autrice, Sofja Kovalevskaja, prima ancora di cominciare a leggere le sue memorie. In questo modo, si leggono questi ricordi da bambina inserendoli in un quadro più completo e in questa visione d’insieme trovano spazio le enormi difficoltà che Sofja ha incontrato nella sua breve vita per affermarsi come matematica in un mondo dominato – e controllato – dagli uomini. Le difficoltà che incontra da bambina per farsi amare da genitori che ci appaiono troppo distanti diventano in questo modo un banco di prova per ciò che si troverà ad affrontare nella sua vita di adulta. Le cotte adolescenziali, l’amore per la matematica, nato fortuitamente grazie alla mancanza di tappezzeria in una stanza, ce la fanno sentire vicina: una bambina come tante, che legge il mondo che cambia attorno a lei, senza avere gli strumenti adeguati per interpretare ciò che vede.