Ci sono esperienze così totalizzanti, che riesci quasi a sentirti crescere. Per me è stato così durante le due settimane di BergamoScienza: le mie riflessioni di oggi prendono spunto da questa intensa avventura e non solo… Nel mio percorso di insegnante, c’è una costante: non smetto mai di farmi domande e di cercare risposte, di lasciarmi mettere in discussione da ciò che faccio e di vivere sull’onda del cambiamento!
Insegno al Liceo “Decio Celeri” di Lovere e per il secondo anno consecutivo abbiamo deciso di partecipare al Festival di BergamoScienza, diventando una delle 332 scuole protagoniste della manifestazione. Le vere protagoniste, però, non sono le scuole, ma i ragazzi, animatori volontari dei laboratori che ogni scuola decide di sostenere: nel nostro caso, l’argomento è stato il cerchio. Un argomento matematico, per dimostrare che la matematica non è solo fatica e per imparare a coglierne la presenza nella quotidianità. Tre laboratori e una mostra, per esplorare la complessità di questa figura geometrica, apparentemente banale, in realtà ricca di applicazioni e curiosità.
Come insegnante, sono abituata a essere al centro del cerchio, con i miei alunni tutti alla stessa distanza da me, per insegnare, per guidare e, a volte, anche per intrattenere. Durante BergamoScienza, devo abbandonare il mio centro per lasciare il posto ai ragazzi che abbiamo contribuito a formare: loro è la responsabilità di guidare e animare i laboratori, di coinvolgere i bambini che partecipano con le loro maestre e di fare in modo che tutti, dal primo all’ultimo, possano cogliere la bellezza della matematica nascosta. Quando l’insegnante sceglie di fare un passo indietro, gli alunni possono esprimere fino in fondo le proprie potenzialità: da questa investitura di responsabilità non può che nascere una consapevolezza che li spinge ad andare oltre e così diventano più consapevoli, mentre il coinvolgimento nel percorso li spinge a cercare nuove strategie. Io li osservo e mi gusto ogni attimo: assisto al loro percorso di crescita e cerco di imparare da loro. È proprio grazie a questi laboratori di BergamoScienza che ho cambiato un po’ la mia strategia di insegnamento: anziché proporre attività preconfezionate, cerco di lasciare ai ragazzi la guida, in un modus operandi che non costituisce solo un cambio tecnico, ma anche mentale, per me. Di esperienze innovative nella didattica è pieno il web e, proprio in questi giorni, mi sono imbattuta nell’esperienza di Gianluigi Boccalon, docente di matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado, che ha trovato il modo di sviluppare e proporre percorsi “attraversando territori (a volte inesplorati) al confine tra la matematica e altre discipline”. Il collega cita il prof. Quarteroni: «Ogni volta che noi abbassiamo il livello delle richieste e semplifichiamo i loro percorsi, stiamo “rubando” un pezzo di futuro ai nostri ragazzi.»
Questo mi porta alla seconda esperienza e, quindi, alla seconda riflessione: in occasione del Festival della Crescita, che si è tenuto a Milano dal 19 al 22 ottobre, sono stata invitata da Chiara Burberi a prendere parte al panel che è seguito al suo intervento di venerdì 20, dal titolo “Facciamo una scuola utile per tutti”. Chiara ha sottolineato come sia importante accompagnare i ragazzi nel loro percorso di crescita e apprendimento, stimolando la loro capacità di gestire il cambiamento e partendo proprio da dove è nata la necessità di imparare nuove cose: dal bisogno, dal piacere e dal divertimento. Ma dove si sono perse queste cose, man mano che la scuola si è arricchita di nuove strutture? Il mio rapporto con Chiara ha avuto inizio con la mail di una ex alunna che mi ha messo in contatto con i fondatori della neonata Redooc e da allora Chiara ha continuato a chiedermi più di quanto io pensassi di essere in grado di dare. E questa occasione non è stata da meno: quando mi ha inviato la prima mail, ho pensato di dover essere presente tra il pubblico, come spettatrice, ma poi ho scoperto che avrei avuto un ruolo attivo. Chiara ha sfidato le mie capacità, cosa che ognuno di noi dovrebbe fare in continuazione. È importante imparare a chiedere, anche ai nostri alunni, più di quanto loro si sentano in grado di dare: a volte è più facile cogliere negli altri le loro potenzialità e, quindi, chiedere loro una resa sulla base delle potenzialità che vi leggiamo. Questo diventa, a volte, occasione di scontro anche con i genitori, che vorrebbero in qualche modo proteggere i propri figli da richieste, a loro modo di vedere, esagerate. Ma in fondo, come possiamo sapere se saremmo in grado di raggiungere una vetta se non ci mettiamo continuamente alla prova? Un grazie, quindi, a Chiara per le sue richieste, mentre, dal canto mio, continuerò a chiedere ai miei alunni più di quanto loro si sentano in grado di dare. È uno dei consigli che ci vengono forniti da Janelle Cox, che si occupa di educazione da anni: anche negli Stati Uniti pare che gli studenti perdano il proprio interesse per la matematica tra gli anni delle elementari e quelli della secondaria di primo grado e non ritrovano quell’interesse finché arrivano all’università. È necessario motivarli a studiare la matematica, costruendo il percorso a partire dalle abilità che gli studenti hanno già acquisito, dimostrando l’utilità della matematica nel mondo reale, aiutandoli a stabilire degli obiettivi raggiungibili, presentando una sfida, inserendo la tecnologia nelle lezioni, essendo entusiasti, giocando e allettando gli studenti con problemi matematici che nascondano un po’ di magia.
Ed ecco il terzo gradino del mio percorso: venerdì pomeriggio con un piccolo gruppo di alunni ed ex alunni e una collega, siamo stati invitati all’Elogio della mentepresso l’Università Cattolica di Brescia. Si tratta di una Giornata in onore di Martin Gardner, colui che ha fatto riscoprire i giochi matematicial grande pubblico con la sua rubrica “Mathematical Games”. Per noi è stata l’occasione per riproporre le tassellazioni della scorsa edizione di BergamoScienza, ma soprattutto per divertirci con la matematica! Credo che la ricetta del successo in fondo sia questa: per poter far amare la matematica, per poter trasmettere l’entusiasmo, dobbiamo essere noi stessi entusiasti. Del pomeriggio in Cattolica mi resterà l’entusiasmo per la sfida, con i giochi matematici che ho proposto e che mi sono stati proposti, mi resterà il divertimento, perché è stato piacevole mettersi in gioco e sfidarsi a vicenda. Ritengo che questo genere di esperienze sia utile tanto per noi quanto per i ragazzi: come insegnanti, abbiamo bisogno di riscoprire il nostro entusiasmo e di spendere le nostre energie in esperienze che alimentino questo entusiasmo, non solo per preparare o correggere verifiche. Dobbiamo innanzi tutto trasmettere passione: solo questo permetterà ai nostri ragazzi di scegliere il percorso che fa per loro, nonostante le difficoltà, le fatiche e i fallimenti. Se alimentiamo la nostra, e quindi la loro, passione, non potremo che mietere successi. Va in questa direzione anche la prima lezione dell’anno del prof. Riccardo Gianni, docente di matematica nella scuola secondaria di secondo grado, in occasione del suo primo giorno in una terza liceo scientifico: «Mi sono ritrovato, ponendo a loro la questione della Matematica come “ragione all’opera”, a riscoprirla vera per me.» Perché in fondo è così che funziona: si crede di insegnare, ma in realtà si impara. Ogni giorno di più. Non si può insegnare ciò che non si vive in prima persona: non posso insegnare l’amore per la matematica se io per prima non mi appassiono.
È per questo motivo che il mio modo di insegnare non è mai uguale: certi contenuti o certe richieste non possono certo cambiare, ma il mio modo di sviluppare il percorso cambia ogni anno, tanto che non riesco mai a “riciclare” il materiale usato negli anni precedenti. Non potrei mai, ad esempio, preparare una verifica prima di aver svolto il percorso, perché solo quando l’ho svolto so quali sono i contenuti sui quali ho insistito e, quindi, quali sono le richieste che devo effettuare. Funziona così anche per l’utilizzo delle nuove tecnologie: in classe uso abitualmente la lim e, pian piano, sto ampliando un po’ i miei orizzonti, cercando di utilizzarla in tutte le sue potenzialità. Ma, dal confronto con i colleghi, scopro anche nuove modalità di utilizzo delle nuove tecnologie: faccio già usare il cellulare durante lo svolgimento degli esperimenti di fisica in laboratorio, perché possano realizzare filmati o fotografie, ma una collega mi ha parlato di Kahoot, ad esempio, per rendere l’apprendimento più divertente e io non vedo l’ora di avere l’occasione di provarlo! Perché non usare la tecnologia come un’alleata invece che come una nemica? Perché non provare a sviluppare un nuovo linguaggioche sia più vicino alla quotidianità dei nostri ragazzi, per provare a capire il loro mondo invece di opporci ad esso?
Buona matematica! Ci sentiamo tra TRE settimane!
Daniela