«I misteri dell’ipercubo» è stato pubblicato nel 2020 da Edizioni Dedalo. L’autore, Tommaso Castellani, ci propone “un’avventura matematica a più dimensioni”, come viene definita in copertina, che è il seguito de Il professor Z e l’infinito, scritto nel 2017.
Questo secondo capitolo è ambientato nel campeggio Cetorelli e i protagonisti sono ancora Ivano e Giulio, che ritroviamo nell’estate della seconda media, mentre vivono le proprie vacanze insieme alle rispettive nonne. Gli altri protagonisti della vicenda sono Pac-Man, Autan, Dino, Andrea Campitello, Scatolé, Andrea Lucci e poi ci sono Barbara, Saliva, Mosca e Maria Elisabetta. Ad accompagnare quest’avventura c’è anche la matematica, grazie alle letture e alle domande che il professor Z ha lasciato ai nostri protagonisti come compiti estivi. Una domanda, in particolare, troverà la sua soluzione solo al termine del percorso: “Ci sono più punti su un segmento o in un quadrato?”.
Durante le vacanze, Ivano e Giulio (soprannominato “Senza” per colpa di una pizza Margherita senza mozzarella) cominciano l’esplorazione dei dintorni e realizzano una piantina che rappresenta il campeggio e i luoghi nei quali si trovano. Dopo aver scoperto il Fiume Nord e il Fiume Sud, che delimitano il loro orizzonte, contando i passi e tentando una misurazione artigianale, si rendono conto che c’è una Zona Oscura, alla quale non possono avere accesso. Durante le loro misurazioni, hanno inoltre occasione di confrontarsi con la geometria e, in particolare, con i frattali, come mostrato dalla costa della Bretagna. Le loro riflessioni matematiche accompagnano tutta la narrazione: la definizione di dimensione, apparentemente così semplice, li porta a incontrare la curva di Koch e la curva di Peano, mentre facendo riferimento a Flatlandia Ivano cerca di guidare la comprensione di questi concetti. In questa estate di mare, Ivano e Giulio incontrano anche un Giustiziere e un ladro: sono i due misteri che accompagnano la loro vacanza. Il ladro ha fatto sparire anche la borraccia di Giulio e il Giustiziere sembra intervenire ogni volta che avviene qualcosa di profondamente ingiusto, mettendo in atto una piccola punizione nei confronti di chi si è reso responsabile della prepotenza, che si tratti di un adulto o di un ragazzo. Ivano, con la sua passione per le indagini, aiuta Giulio ad affrontare le proprie paure, mentre gli amici li accompagnano in questa avventura.
Al termine del percorso, Ivano e Giulio non solo risolveranno il mistero, ma incontreranno anche la quarta dimensione, con l’ipercubo nominato proprio nel titolo. Secondo i protagonisti, l’ipercubo è la “dimostrazione dei limiti del nostro pensiero”, ma al tempo stesso “della sua sconfinata potenza”, permettendoci di avvicinare con più leggerezza la matematica e facendoci “sognare un mondo a noi inaccessibile”. Per i nostri protagonisti, la matematica è anche una metafora che descrive la vita, e crescere significa aumentare le proprie dimensioni, mentre il mondo esterno sembra avere una dimensione in meno rispetto al loro universo interiore.
Esattamente come il capitolo precedente, anche questo libro è alla portata dei ragazzi delle medie ed è ricco di spunti e di idee anche per un insegnante che abbia voglia di trovare un modo diverso di avvicinare i propri studenti ai misteri non solo dell’ipercubo ma della matematica in generale.
«Il professor Z e l’infinito» è stato pubblicato nel 2017 da Edizioni Dedalo. L’autore, Tommaso Castellani, ha conseguito un dottorato in fisica teorica all’Università La Sapienza e si è poi dedicato alla didattica e alla comunicazione della scienza. Ha scritto “Risolvere problemi difficili. Sudoku, commessi viaggiatori e altre storie” per Zanichelli (2013) e “Equilibrio. Storia curiosa di un concetto fisico” per Dedalo (2013), scrive inoltre regolarmente sulla rivista “Sapere”, di cui è editor.
Questo è il primo libro di una serie di tre. Il protagonista è Giulio, dodicenne che frequenta la seconda media in un istituto di Roma: ci racconta della sua amicizia con Ivano che lo aiuta ad appassionarsi alla matematica e a vincere il bullismo, che si presenta con le sembianze di un peluche di Coccolino. Tutto comincia con il teorema di Pitagora, le infinite terne pitagoriche e i difficilissimi problemi proposti dal professor Z, il “cattivissimo” insegnante di matematica, che ha l’abitudine di fare “domande strane”. D’altra parte, “il professor Z era il contrario esatto della chiarezza”, se condividiamo con Giulio la sua idea di chiarezza: “una spiegazione chiara è come un giallo che inizia con la rivelazione del nome dell’assassino”. È lo stesso Giulio a specificare che, per poter capire le lezioni di matematica, è necessario “un certo sforzo”: solo dopo aver scelto di farlo, grazie ad Ivano, le lezioni del professor Z si trasformeranno in qualcosa di appassionante. Questo professor Z non può che piacere: apparentemente agli antipodi rispetto al bravo – secondo gli alunni – insegnante di matematica, riesce a sfidare i propri studenti e ad appassionarli, grazie alla curiosità che riesce a suscitare.
Il racconto comincia con la scomparsa di Michele Bernocchi, compagno di classe dei due protagonisti, che dall’oggi al domani smette di frequentare la scuola. Alla soluzione del mistero non contribuiscono solo Giulio e Ivano, ma anche i compagni di classe, come Davide Rosso, apparentemente il bullo della classe, Chao, e Valentina Cirri, “una di quelle che prendevano sempre i voti più alti”. A raccontarci la vicenda è un Giulio adulto, che ricorda la sua frequenza delle scuole medie negli anni ’90. La narrazione è alla portata di qualsiasi studente delle medie e contiene tutta una serie di stereotipi sui matematici, sulla matematica, sulla vita in generale, che vengono in qualche modo smantellati. Al centro di questo racconto c’è la scuola e non manca la presentazione degli insegnanti in chiave umoristica: sono descritti con le loro manie e il loro piacere per il dramma nei rapporti umani, come dimostrano le incomprensioni tra Michael Jackson, come è soprannominata l’insegnante di educazione artistica, e la professoressa di italiano De Mattei.
Il fatto che, sulla copertina, il libro sia descritto come un “giallo matematico” ci suggerisce che la sparizione di Michele possa non essere l’unico mistero da risolvere: in seconda media si incontrano i numeri irrazionali, ci si confronta con l’infinito numerabile e il professor Z sfida i propri alunni con l’ultimo teorema di Fermat. Tutto questo ci permette di percepire la ricchezza del libro dal punto di vista matematico, e dà l’opportunità a ogni studente di incontrare una matematica un po’ diversa da quella che si studia a scuola. Un libro per i ragazzi delle medie, che può avere qualcosa di importante da dire anche agli adulti.
«Matematici in prima linea», pubblicato nel 2021 dalla Casa Editrice Mateinitaly, è stato scritto da Simonetta Di Sieno e Angelo Guerraggio. Simonetta Di Sieno è docente di matematiche complementari presso l’Università di Milano e si occupa di storia della matematica italiana, di comunicazione, di didattica della matematica e ha curato la mostra MaTeinItaly del 2014 presso la Triennale di Milano; Angelo Guerraggio è direttore del centro Pristem dell’Università Bocconi ed è direttore editoriale del mensile Prisma. Entrambi si sono occupati della storia della matematica in particolare del periodo post-unitario e Guerraggio ha numerose pubblicazioni al riguardo, come La scienza in trincea per Raffaello Cortina nel 2015.
«Matematici in prima linea» contiene la storia di dieci matematici che, dal 1848 sino alla soglia del terzo millennio, hanno contribuito a vario titolo alla vita e alle vicende del Paese, grazie alla propria passione civile. Idealisti, hanno combattuto per ciò in cui credevano, tentando di esportare la razionalità scientifica nella vita civile, come i due autori ripetono a più riprese.
La rassegna comincia con tre intellettuali impegnati nel periodo risorgimentale: Francesco Brioschi, che ha contribuito all’istituzione del Politecnico, Quintino Sella, che ha introdotto gli strumenti matematici nella cristallografia e dal punto di vista politico aveva come obiettivo di fare di Roma la capitale non solo politica ma anche scientifica d’Italia, e Luigi Cremona, che ha collaborato a vario titolo con entrambi e ha contribuito a costruire la scuola italiana. Nella generazione successiva troviamo Vito Volterra, che ha aperto un nuovo settore di studi, l’analisi funzionale, e ha studiato il modello preda-predatore, permettendo l’applicazione della matematica ad altre discipline. Vito Volterra è noto anche per le vicende che l’hanno coinvolto durante il fascismo, visto che, insieme ad altri undici docenti universitari, si è rifiutato di sottoscrivere il giuramento al fascismo e per questo motivo ha danneggiato irreparabilmente la propria carriera, ma è noto soprattutto perché ha avuto un ruolo fondamentale nella fondazione del CNR, di cui è stato il primo presidente. Eugenio Elia Levi, di una generazione successiva rispetto a Volterra, ha vissuto l’epoca della Prima guerra mondiale, alla quale ha contribuito con la vita e con la costruzione delle tavole di tiro. Renato Caccioppoli si è opposto al fascismo pagando con l’internamento, visto che per impedire che venisse incarcerato la sua famiglia ha denunciato ipotetici problemi mentali che lo riguardavano: il suo valore nel mondo matematico è riconosciuto grazie al suo “possente ingegno”. Bruno De Finetti, che ha guadagnato l’immortalità matematica con la definizione di probabilità, è stato arrestato per ciò in cui credeva e perché ha cercato di difendere i diritti degli obiettori di coscienza al servizio militare. Emma Castelnuovo è un’icona della matematica del Novecento: con la didattica del fare, ha cambiato il modo di fare matematica, dando il proprio contributo come formatrice di altri insegnanti fino alla fine della sua vita. Si è spesa molto per la scuola, anche riorganizzando la didattica della matematica e contribuendo a costruire i programmi di matematica della scuola media nel 1977. Lucio Lombardo Radice è stato incarcerato, giovanissimo, nell’epoca del fascismo per la sua fede comunista, e nel secondo dopoguerra, mostrando il suo dissenso rispetto alla linea ufficiale del partito, è rimasto ai margini, senza riuscire a fare una vera e propria carriera politica. La sua attenzione era volta soprattutto alla divulgazione scientifica, tanto che fu anche consulente e ideatore di programmi televisivi. Il percorso si conclude con Ennio De Giorgi, il risolutore del diciannovesimo problema di Hilbert. Ha contribuito con numerose idee pionieristiche in vari ambiti matematici e, dal punto di vista civile, ha partecipato alla fondazione di Amnesty International sezione Italia, ha lottato in favore dei dissidenti sovietici e ha contribuito al progetto dell’Università dell’Eritrea in Somalia.
Altro elemento comune di questi matematici è la scuola e, parafrasando Massimo D’Azeglio, potremmo dire che, fatta l’Italia, era ora di costruire una scuola italiana, visto il notevole impegno speso in tal senso: Brioschi, Sella e Cremona, che hanno vissuto da protagonisti il periodo risorgimentale, hanno contribuito alla nascita della scuola matematica italiana, Bruno de Finetti parteciperà attivamente all’organizzazione delle prime gare matematiche e sarà presidente della Mathesis, dove porterà tutta la sua contrarietà all’insegnamento basato su formule da mandare a memoria, Emma Castelnuovo contribuirà a riorganizzare la didattica della matematica, Lucio Lombardo Radice mostrerà un’attenzione costante verso l’insegnamento e la scuola.
Questi dieci personaggi hanno contribuito a migliorare la nostra Italia con fervore e convinzione ammirevoli e ci hanno dimostrato che i matematici sono davvero figure a tutto tondo, pur soffrendo per non potersi dedicare a tempo pieno alle proprie ricerche. La lettura è sicuramente adatta a tutti e consigliata soprattutto agli insegnanti delle superiori che possono trovare numerosi spunti per gestire il percorso di educazione civica, mostrando come lo studio della matematica possa portarci a vivere in modo più consapevole nella società.
«La scienza in trincea», edito da Raffaello Cortina Editore nel 2015, è stato scritto da Angelo Guerraggio, docente di matematica generale presso l’Università dell’Insubria di Varese e l’Università Bocconi di Milano, direttore del centro di ricerca Pristem e direttore editoriale della rivista di divulgazione matematica Prisma.
Il sottotitolo “Gli scienziati italiani nella prima guerra mondiale” dichiara quale sarà il periodo storico che troveremo nel testo, seppur esplorato da un punto di vista completamente diverso: pur non rinunciando alla visione storica dell’evento, Guerraggio focalizza la propria attenzione sul ruolo della scienza e degli scienziati durante il conflitto.
Dopo una breve prefazione, il primo capitolo è dedicato all’evoluzione dei rapporti tra la scienza e il mondo militare, dall’antichità fino all’École Polytechnique, mentre il secondo descrive la situazione politica e scientifica prima della grande guerra. L’aspetto propagandistico è protagonista del terzo capitolo, ma Guerraggio si concentra in particolare sul ruolo di primo piano vissuto dagli intellettuali in questa fase. Il quarto e il quinto capitolo descrivono la partecipazione degli scienziati alla guerra, definita industriale e tecnologica proprio per sottolineare le grandi differenze con i conflitti precedenti. Il sesto capitolo contiene in sé la descrizione del grande cambiamento attraversato dalla scienza: come la scienza ha permesso di combattere una guerra diversa e più innovativa, così la guerra ha dato un nuovo impulso alla ricerca, obbligando gli scienziati a organizzarsi diversamente per poter in qualche modo reggere il ritmo di ricerca loro imposto. Gli inventori diventano scienziati veri e propri, come dimostra il cambio di ruolo dell’Ufficio Invenzioni, e la nuova organizzazione a livello mondiale porta alla nascita del CNR, espressione nazionale di un organismo internazionale. Il dopoguerra è descritto con dovizia di particolari, per mostrare le difficoltà incontrate dagli scienziati nel ricucire i rapporti, dopo essersi ritrovati su due opposti schieramenti. L’ultimo capitolo ci regala uno sguardo sul futuro, essendo riservato agli scienziati pacifisti, mentre un’attenzione particolare è dedicata alla figura di Einstein, pacifista per eccellenza.
Quando si parla del binomio “scienza e guerra”, si pensa subito al Progetto Manhattan o all’operazione Enigma durante la Seconda guerra mondiale, ma, per quanto ci siano sempre state applicazioni militari, è fuor di dubbio che «la prima guerra mondiale rappresenti un tornante di notevole pendenza» per la scienza: era quindi necessario dedicare un libro proprio alla grande guerra. Guerraggio ci parla dell’atteggiamento degli uomini di scienza italiani, del loro ruolo nel dibattito precedente all’intervento armato, dei loro contributi in termini di invenzioni e applicazioni, ma senza «dare un giudizio sull’intelligenza e la coerenza del comportamento tenuto dagli uomini di scienza».
Il libro è davvero interessante e va a raccogliere tutta una serie di informazioni, dandone una visione unitaria, che permetta al lettore di cogliere il fenomeno in tutte le sue sfaccettature. La lettura è alla portata di tutti, perché il testo non è pensato solo per lo scienziato o l’insegnante di materie scientifiche: è un libro che è necessario leggere per rendersi conto che non si può parlare della Prima guerra mondiale solo dal punto di vista storico, senza coinvolgere l’ambito scientifico. Gli eventi narrati, purtroppo, sono di incredibile attualità, se pensiamo anche solo al Manifesto Fulda, firmato da 93 scienziati tedeschi, e lo confrontiamo con il manifesto firmato dai matematici russi nei giorni dell’invasione dell’Ucraina.
«L’equazione del cuore», edito da Mondadori, è l’ultimo libro di Maurizio De Giovanni, scrittore (perlopiù di romanzi gialli) e autore della serie del “Commissario Ricciardi” e dei “Bastardi di Pizzofalcone”, dalle quali sono state tratte delle serie televisive, interpretate, rispettivamente, da Lino Guanciale e Alessandro Gassman.
Il romanzo è bellissimo ed è immerso nella matematica, dato che il protagonista, Massimo De Gaudio, è un professore di matematica in pensione e interpreta tutto ciò che vive alla luce di questa disciplina: per lui, niente ha valore se non può essere descritto attraverso le leggi della logica. Questo suo modo di agire potrebbe farlo sembrare una persona fredda, o un sociopatico – come si definisce lui stesso ad un certo punto del libro – ma non è così: questo distacco è il suo modo di affrontare i momenti difficili con il piccolo Checco, e ad un certo punto la gravità di ciò che sta vivendo riesce a oltrepassare la corazza con la quale ha convissuto per tutta la vita.
Il libro è piacevole e si legge tutto d’un fiato, con l’impazienza di capire cosa sia successo alla figlia di Massimo, Cristina, e a suo marito Luca, nell’incidente d’auto che li ha uccisi e che ha fatto precipitare il piccolo Checco in un limbo. Mentre restiamo sospesi, in attesa di sapere se “Petrini Francesco detto Checco” riuscirà a riemergere dal coma, la vicenda che si dipana è quella che ha per protagonista Massimo, un padre che cerca di ricostruire la vita della figlia, così lontana da lui. In mezzo al racconto, ritroviamo la matematica, mentre, al capezzale del nipote, Massimo racconta se stesso a Checco usando il linguaggio della matematica: in questi monologhi, trovano spazio la geometria frattale e il caos deterministico, la meccanica quantistica e i sistemi complessi, mentre il matematico è descritto come colui che guarda le cose senza pregiudizi, cerca le relazioni tra gli oggetti per creare confronti e trovare leggi e regole.
La matematica descritta da de Giovanni è una matematica umana, che si rende utile anche nella vita, perché di fatto essa è ovunque per chi la sa vedere, come dice Massimo a un certo punto. L’autore non ha una formazione matematica specifica, ma in qualche modo ha sempre amato questa disciplina ed è forse per questo che riesce a fornirne un’immagine così nitida e a descriverci la passione del protagonista con tanta vivacità.
«Tu sei qui, nell’intuizione di Alba che magari è un calcolo velocissimo, e in qualche equazione nascosta che forse ti riporterà indietro, e che mi consentirà di provare a fare il nonno, non avendo saputo fare il padre.»
«Chiamatemi pi greco» è stato pubblicato a febbraio dalla casa editrice Dedalo. Dopo «Matematica in relax» (2001), «Matematica in pausa caffè» (2014), «Matematica in pausa pranzo» (2016), «Scimmie digitali» (con Paolo Artuso nel 2018) e «Numeralia» (2019), Maurizio Codogno torna con un libro dedicato ai giovani lettori. Dalle pagine del Post, dove scrive con regolarità, si definisce un “matematto divagatore”.
Il libro in questione è una storia della matematica in forma leggera, grazie al fatto che pi greco è «capace di spuntare ovunque quando si fa matematica»: cominciando dalla Bibbia e proseguendo con i Babilonesi, il libro arriva fino all’era moderna, con i computer che hanno permesso di aumentare il numero delle sue cifre note. Se è vero che «in matematica non ci sono vie regie», per rubare le parole a Euclide nella sua risposta a Tolomeo, questo libro è quanto di più vicino a una via semplificata per accedere alla matematica, visto che Maurizio Codogno guida il lettore nel mondo della matematica, semplificando il percorso il più possibile. Il libro è nato da una lezione preparata per i compagni di classe di Jacopo e Cecilia, i figli gemelli dell’autore, e avrebbe dovuto celebrare la Prima Giornata Internazionale della Matematica (2020). L’intromissione della pandemia ha compromesso i piani di Codogno, che ha deciso di raccogliere in un libro questo «mondo incredibile» scoperto nel suo lavoro di ricerca. Anche in questa nuova veste, nel libro sembra che Codogno parli direttamente al lettore, alleggerendo il percorso con battute umoristiche (anche se lui stesso riconosce a più riprese che «il senso dell’umorismo dei matematici è piuttosto strano…»), ma al tempo stesso coinvolgendolo con linguaggi diversi: disseminati tra le pagine troviamo 25 QR-code che rimandano a filmati o articoli, che sono semplici sottolineature della narrazione, approfondimenti o curiosità. Nascosto tra le pagine, possiamo ritrovare (e ricostruire) l’identikit della matematica secondo Codogno: la mania per le lettere, che porterà William Jones a scegliere p, lo stereotipo del matematico sempre assorto che in realtà è come qualsiasi altra persona coinvolta in ciò che le piace, la matematica come stratificazione di saperi precedenti (quasi alla ricerca della formula “perfetta”), ma che al tempo stesso spesso ci riserva delle sorprese. Non si può non ritrovare, tra le righe, la passione che anima Maurizio Codogno e che lo ha spinto a regalarci questo percorso.
Il racconto è davvero piacevole, leggero e ricco di curiosità: dopo aver incontrato Archimede, con il suo lavoro sui poligoni inscritti e circoscritti, conosciamo i contributi dei Cinesi, degli Indiani e del mondo Islamico, per tornare poi in Europa con Fibonacci e Pacioli e assistere, durante il 1700, alla nascita di un linguaggio matematico che l’autore ci aiuta a interpretare e capire, per permetterci di capire bene le serie di Eulero e Ramanujan. Con stupore apprendiamo che l’irrazionalità di p è stata dimostrata solo in tempi recenti (1761) e la sua trascendenza ancora più tardi (1882), mentre ancora non sappiamo che si tratti di un numero normale.
Il nono e il decimo capitolo sono dedicati all’informatica, della quale viene tratteggiata una breve storia, e scopriamo che aumentare il numero di cifre note non è stato possibile solo grazie al progresso dell’informatica, ma anche per i nuovi algoritmi che sono stati utilizzati. Il penultimo capitolo è davvero sorprendente con le geometrie non euclidee e la geometria del taxi: «siamo proprio sicuri che il valore di pi greco debba per forza essere quello che abbiamo calcolato?», si domanda Codogno in apertura di capitolo, ma la conclusione non lascia scampo, perché, per quanto scomodo, il valore attuale è quello migliore. L’ultimo capitolo, infine, è dedicato alle curiosità e ci permette di esplorare questa sequenza di numeri in lungo e in largo.
«Chiamatemi pi greco» merita di essere letto: è alla portata di qualunque ragazzo dalla terza media in poi, visto che usa un linguaggio semplice e, quando fa riferimento a contenuti matematici più impegnativi, Codogno spiega con chiarezza, ma senza banalizzare, aiutandosi con i QR-code e i box. Il libro permette di percorrere le strade della matematica con grande agilità e al tempo stesso di cogliere la straordinarietà di questa disciplina, attraverso la sua storia e le vicende di questo numero così famoso, il «più famoso della matematica».
«Il mio lavoro è una favola» è stato pubblicato ad ottobre 2021 dalla Casa Editrice Dedalo. Il libro è nato dall’idea di alcune colleghe della sezione milanese di AIDIA (Associazione Italiana Donne Ingegnere e Architetti), che hanno deciso di «raccontare la passione per il proprio lavoro»: Amelia Lentini, Salvina Stagnitta, Maria Cristina Motta, Giovanna Gabetta, Mara Albini, Chiara Grisanti, Luisa Velardi, Giovanna Iannuzzi, Amalia Ercoli Finzi, Lucia Zerruso, Marina D’Antimo, Barbara Blasi, Michela Balzano, Elvina Finzi e Giulia Fasciolo. Possiamo conoscere ogni autrice grazie al QR-code al termine della favola, che ci rimanda a un breve filmato su YouTube, nel quale ogni donna racconta qualcosa di sé e del proprio percorso.
Nella sua prefazione, la Ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti sottolinea il mistero dell’ignoto presente nella matematica e invita le ragazze a esplorarlo, perché «alla scienza mancano le energie e la creatività delle ragazze e alle ragazze manca la possibilità di sognare di diventare scienziate e di realizzare il loro sogno.» Lo ribadisce anche Elvina Finzi nella sua favola: se è vero che un ingegnere ha la capacità di risolvere i problemi, un’ingegnere fa il proprio lavoro «tenendo conto dei bisogni delle altre persone, cercando di sconfiggere le distanze tra le persone e le generazioni.»
Le quindici favole parlano di re che conoscono la matematica, di ragazze che non aspettano un principe che le salvi, di principesse moderne, ma soprattutto di bambine che sanno sognare. Le favole hanno come obiettivo principale quello di abbattere gli stereotipi: il primo da combattere, il denominatore comune di tutte le storie, è quello di genere, visto che viene ribadita in quindici modi diversi la capacità delle donne di fare qualsiasi cosa si prefiggano. La ministra Bonetti, nella prefazione, parla della «grande bugia che da sempre impedisce alle ragazze di entrare» in questo mondo straordinario, quello della scienza. Il secondo stereotipo è quello che descrive gli ingegneri come professionisti dotati di scarsa fantasia: penso a Chiara Grisanti che con il suo racconto, “La finestra che aveva freddo”, è riuscita a riempire di fascino anche un’opera di “messa a norma” per ottenere un “risparmio energetico”. Proprio come nel caso della finestra, ogni autrice ha preso dei particolari del proprio lavoro e ne ha estratto una favola, perché «il lavoro degli ingegneri può essere bello come una favola», una favola nella quale le donne sono le vere protagoniste, perché «possono e devono dare un contributo prezioso», come scrive Giovanna Gabetta.
Il lettore di questo libro si ritroverà nel Campo degli alberi di Natale per scoprire che sono pozzi petroliferi; entrerà in contatto con una scienza quasi magica, che raggiunge i propri obiettivi grazie alla collaborazione; combatterà per Viola contro i pregiudizi di genere; troverà la propria corsa in cui arrivare primo; imparerà che gli obiettivi vengono raggiunti non da chi è bravo, ma di chi mette volontà e passione in ciò che fa; scoprirà che il cambiamento è il motore della crescita; capirà che i progetti di vita nascono dalle passioni e dai sogni. Leggerà le parole di Giovanna Iannuzzi, che ci ha insegnato che «con l’impegno, la perseveranza e la fiducia in se stessi si può raggiungere qualsiasi risultato, e che le difficoltà non sono ostacoli insormontabili.» Il lettore andrà a spasso sulla cometa con la piccola Elfa monella Ephail; imparerà con Meti che «costruire qualcosa è meraviglioso»; porterà il verde trasformando la tristezza in felicità; troverà in un paio di baffi il coraggio di mettersi in gioco; imparerà da chiunque abbia qualcosa da insegnare, perché serve l’ingegno, ma bisogna saper abbandonare la propria presunzione; imparerà che la matematica può essere un’amica; capirà che la vita può essere una sequenza di obiettivi da raggiungere.
Questi sono tutti i motivi per cui val la pena leggere, far leggere o raccontare questo libro. A chiunque.
«La scienza delle donne» è stato pubblicato nel 2017 dalla casa editrice Hoepli, nella collana Microscopi, diretta da Massimo Temporelli, del quale l’autrice, Maria Rosa Panté, è stata insegnante. Maria Rosa Panté ha pubblicato un libro di poesie, «L’amplesso erotico. Voci femminili dal mito», una raccolta di racconti, «Noi che non fummo muse», un romanzo umoristico, «Non ho l’età» e questo libro, nel 2017, dal quale è stato tratto lo spettacolo teatrale «La passione dei numeri». Ha scritto anche altri testi teatrali e da anni collabora con l’attrice Lucilla Giagnoni. Ha fondato l’associazione FAST (FAcciamole STudiare), con l’intento di sostenere le ragazze nel loro percorso di studi, ospitandole in famiglia.
Il libro raccoglie le biografie di diciotto matematiche: una vissuta nell’antichità, una nata nel XVII secolo, sei nate nel XVIII secolo, cinque nate nel XIX secolo e cinque nate nel XX secolo. Come dichiara l’autrice nell’introduzione, quando le è stato chiesto di scrivere di donne e scienza, ha scelto le matematiche, perché «quando si parla di scienza, l’immaginario collettivo difficilmente colloca la donna nell’ambito del puro pensiero, della speculazione, piuttosto la associa alle scienze applicate e preferibilmente ai settori pratici, inerenti la cura: medicina, chimica, biologia, psicologia.» Uno dei più diffusi stereotipi descrive il cervello femminile come non matematico, ma in realtà la matematica può essere “comoda” per una donna, visto che «non deve uscire di casa, non ha bisogno di laboratori, ma solo della sua mente». Ed è proprio perché le donne scelte non sono “solo” matematiche, che l’autrice sceglie di presentarle non in ordine cronologico (troppo scontato), ma in base ai legami familiari o al loro impegno politico o filantropico. Frequentemente impegnate nel campo dell’educazione, «si dedicano alla costruzione di connessioni e reti», hanno in genere un’estrazione sociale alta e sono «sempre impegnate a “liberare” se stesse dai molti ostacoli del quotidiano». Per quanto Maria Rosa Panté si concentri sulle notizie biografiche e sui risultati ottenuti in campo matematico, i ritratti che emergono descrivono la figura della donna in tutti i suoi aspetti.
Le prime tre matematiche sono “Figlie di papà”, ovvero tre donne che «hanno potuto studiare e si sono appassionate alle materie scientifiche, e alla matematica in particolare, grazie al padre.» Le storie di Ipazia, Elena Lucrezia Cornaro e Olga Alexandrovna Ladyženskaja, sono storie di donne «perseguitate, ostacolate, poco riconosciute nel loro valore, [tanto che] ne sono letteralmente morte». Il capitolo dedicato a madri e figlie ha come protagoniste Annabelle Milbanke, la madre, Ada Lovelace Byron, la figlia, e Mary Somerville, sua insegnante. Ada, figlia di una matematica e di un poeta, regalerà alla storia il primo software e la “colpa” di tale risultato, forse, sarà proprio della poesia che la madre è stata così determinata a “estirpare” da lei. Come ci ricorda l’autrice, «la poesia è tignosa, non ti molla mai, come la matematica, del resto». Nel terzo capitolo incontriamo due “sorelle”, Caroline Lucretia Herschel, sorella di William, matematico, astronomo e compositore, e Simone Weil, sorella di André, uno dei più importanti studiosi del Novecento. Entrambe sono state sostenute dai fratelli, ai quali erano molto affezionate, e hanno potuto fiorire grazie a loro. Il quarto capitolo parla di una moglie, Grace Chisholm Young, costretta a vivere all’ombra del marito, e di un’amante, Gabrielle Émilie Le Tonnelier de Breteuil, marchesa du Châtelet, amante di Voltaire, che «ha fame di conoscere e, in particolare, è attratta da argomenti quasi vietati o impensabili alle donne di quell’epoca», come le opere di Newton e Leibniz. Il quinto capitolo è per Julia Bowman Robinson, definita «una matrigna buona»: è un rapporto simile a quello tra madre e figlio quello che la lega al giovane matematico Yuri Matjasevic, che ha risolto il problema che lei per prima aveva affrontato. Il sesto capitolo è dedicato alla lotta ai pregiudizi, perché «Infagottate, nude, vestite da donna o da uomo, l’abito non fa la matematica, anche se nella storia spesso è l’abito a condizionare il giudizio e il pregiudizio.» Sophie Germain ha dovuto fingersi Antoine Auguste Le Blanc e questo le ha permesso di interagire con i più grandi matematici del tempo, Emmy Noether e Hedy Lamarr sono «due facce della stessa medaglia»: «di una si pensava che fosse troppo matematica per essere una vera donna e infatti era considerata un uomo, [...] l’altra, invece, era troppo bella, troppo femmina per pensare che fosse anche intelligente». Il settimo capitolo è dedicato a due rivoluzionarie: Sofja Kovalevskaja, matematica e scrittrice, che si sposa per poter studiare, e Grete Hermann, «matematica e fisica, filosofa, pedagoga, insegnante, politica». Le ultime due donne sono note filantrope: Maria Gaetana Agnesi, matematica milanese, che ha avuto come obiettivo la gloria di Dio, perseguita attraverso gli studi e, nella seconda parte della sua vita, attraverso la cura delle donne anziane dementi, e Florence Nightingale, nota per aver rivoluzionato il ruolo dell’infermiera, mentre in pochi sanno che ha perseguito la gloria di Dio attraverso la statistica, che per lei era la voce di Dio, perché aiutava a comprenderne i voleri.
Ed è con le statistiche che si chiude questa bellissima carrellata di donne uniche e da imitare: Maria Rosa Panté tira le somme raccontandoci le epoche, i luoghi, lo stato civile di queste donne, indagandone gli ambiti prevalenti delle ricerche di cui sono state autrici, e prospettando al lettore quanto resti ancora da fare in termini di emancipazione della donna, se si allarga lo sguardo e non ci si limita al mondo occidentale.
Questo libro permette ad ognuno di noi di leggere la vicenda delle protagoniste con occhi nuovi, scardinando gli stereotipi presenti anche ai giorni nostri. È un libro di matematica alla portata di tutti, è un libro che ci racconta la storia che non trova spazio nei libri scolastici, è un libro che ci parla della forza delle donne, della loro unicità, della loro eccezionalità. Queste donne non si sono occupate “solo” di matematica, ma hanno usato la matematica per cambiare il mondo e, più attuali che mai, sono delle role model per ognuna di noi.
«Mezzogiorno di scienza», pubblicato nel novembre 2020 da Edizioni Dedalo, è un libro la cui realizzazione è stata curata da Pietro Greco e che vede la collaborazione di quindici comunicatori della scienza: Pierluigi Argoneto, Roberto Bellotti, Barbara Brandolini, Francesca Buoninconti, Francesco Paolo de Ceglia, Rossella De Ceglie, Romualdo Gianoli, Pietro Greco, Nicoletta Guaragnella, Corinna Guerra, Sandra Lucente, Carla Petrocelli, Gaetano Prisciantelli, Massimo Temporelli e Guido Trombetti.
In questi quattordici «Ritratti d'autore di grandi scienziati del Sud», troviamo una «testimonianza di come gli uomini di scienza nati nel Mezzogiorno [abbiano] saputo legare strettamente le loro terre e la loro attività all’Italia, all’Europa e, sempre più, al resto del mondo». In effetti, ogni protagonista mostra una grande lungimiranza e la capacità di intessere reti di conoscenze, anche al di fuori della propria sfera di competenza. Diversi sono gli ambiti toccati: chimica, fisica, matematica, medicina, ingegneria, botanica, e diverse sono le epoche, a partire dal 1700 fino al 2000, durante le quali i protagonisti hanno influenzato e modificato la società nella quale hanno vissuto.
Pietro Greco nell’introduzione ricorda che il Mezzogiorno è «perennemente in bilico tra modernità e arretratezza» e, citando le parole del celebre attore partenopeo Eduardo Scarpetta, parla di «miseria e nobiltà». Allo stesso modo, questi protagonisti sono presentati con le luci e le ombre che li hanno contraddistinti: non ci sono solo un grande spessore umano e un’incredibile conoscenza, ma anche errori che nessuno degli autori sente di giudicare o assolvere. Ogni protagonista è presentato a tutto tondo, nel modo più obiettivo possibile.
I protagonisti sono presentati in ordine cronologico: Domenico Cirillo è stato medico e botanico e la sua osservazione di specie mai descritte prima ha colpito in modo così importante i contemporanei da spingere un botanico scozzese a dedicargli il genere delle piante Cyrillaceae. Oronzo Gabriele Costa è stato un naturalista, e con l’anfiosso ha trovato una forte prova a sostegno dell’evoluzione. Stanislao Cannizzaro è stato un patriota e un riformatore della scuola e della sanità, ma è stato soprattutto il più grande dei chimici italiani del XIX secolo, tanto da essere insignito della Copley Medal. Maria Bakunin è stata la prima donna a laurearsi in chimica: figlia di un rivoluzionario russo, a causa della sua fermezza e decisione veniva descritta come una prepotente. Mauro Picone, matematico, fu un grande maestro, che rese la propria scuola il fulcro dell’analisi matematica italiana. Organizzatore e manager, fondò l’Istituto Nazionale per le Applicazioni del Calcolo, del quale mantenne la guida fino al 1960. Domenico Marotta, direttore dell’Istituto Superiore di Sanità, ha una storia struggente, che mette in luce un problema attualissimo, quello del conflitto tra la magistratura e la scienza: la sua vicenda giudiziaria ricorda quella più recente di Ilaria Capua. Francesco Giordani fu «un chimico nelle stanze del potere», nelle sedi dell’impresa e della finanza: si occupò dell’innovazione della filiera della cellulosa, che fu decisiva nella sua formazione, insegnandogli a misurarsi concretamente con i problemi. Renato Caccioppoli fu un genio matematico irrequieto e tormentato, che ebbe una folgorante carriera accademica. Ettore Majorana, fisico, trovò dei risultati sui quali si continua tuttora a lavorare ed è noto a tutti per la sua scomparsa misteriosa. Filomena Nitti Bovet, figlia dell’antifascista Francesco Saverio Nitti, fu la moglie di Daniel Bovet, che fu insignito di un premio Nobel che era tanto suo quanto della coniuge. Entusiasta, caparbia e tenace, diede un contributo fondamentale alla farmacologia. Renato Dulbecco, premio Nobel per la medicina, sempre in anticipo sui tempi, ottenne grandi risultati nell’ambito della lotta ai tumori. Felice Ippolito, come Marotta, provò su di sé l’effetto della macchina del fango negli anni ’60: fu un ingegnere specializzato in geologia e la sua fu «una rivoluzione incompiuta», perché il nucleare non ebbe successo in Italia. Eduardo Caianiello fu un fisico e ottenne una borsa di studio del MIT, ma è ricordato come un pioniere della cibernetica. Ennio De Giorgi grazie alla sua inclinazione per i linguaggi sviluppata al liceo classico, diede fondamentali contributi alla matematica. Fu un «matematico al servizio della Sapienza», che riteneva la condivisione del sapere «una delle più alte forme di carità».
All’interno di ogni capitolo ritroviamo le illustrazioni di Francesco Dabbicco, che per ogni protagonista ha realizzato un ritratto e, spesso, un’immagine che lo caratterizzi. Al termine di ogni capitolo troviamo dei suggerimenti di lettura per approfondire la conoscenza di questi personaggi e all’interno del capitolo due box, uno dedicato ai luoghi che caratterizzano questi personaggi e un secondo di carattere vario, a volte una citazione del protagonista stesso, a volte una testimonianza o un racconto, altre volte una canzone ispirata alla vicenda, come per l’anfiosso di Costa.
Non è un libro per specialisti, ma per appassionati di scienza. Non è necessario, invece, amare il Mezzogiorno, perché quello ci pensano i protagonisti a farcelo amare.
«F***ing Genius», pubblicato nel settembre 2020 da HarperCollins Italia, è una delle ultime fatiche di Massimo Temporelli. Fisico di formazione, si occupa da vent’anni della diffusione della cultura scientifica, tecnologica e dell’innovazione, attraverso scritti, articoli, speech, e in particolare tramite l’attività per Storie libere, una piattaforma di podcast indipendente. Massimo Temporelli si definisce un «defibrillatore culturale», più che un divulgatore scientifico, visto che il suo obiettivo primario, come dice nell’introduzione, «è scaldare i cuori, scuotere la carne, accendere la vita e il respiro umano intorno alla scienza e alla tecnologia». Anche con questo libro, vuol accendere la curiosità nel lettore, con la sua passione e il suo entusiasmo, desiderando di poter fare «la differenza tra il prima e il dopo»
L’autore ci presenta gli otto personaggi di questa rassegna con grande vivacità, senza andare in profondità, come potrebbe fare una biografia vera e propria, ma stimolando nel lettore la voglia di approfondire ulteriormente gli argomenti trattati. Gli otto personaggi scelti non sono i soliti che potremmo trovare in una raccolta di biografie e pur essendoci degli aspetti in comune tra di loro, sono stati scelti perché da ognuno di loro si possa imparare «una lezione per provare a migliorarci […] una lezione per imparare a diventare un po’ più simili a questi straordinari pensatori scientifici, capaci di cambiare la traiettoria della nostra evoluzione». Questi personaggi hanno una genialità «quasi fastidiosa […] che ci obbliga a ripensarci».
Il percorso comincia con Charles Darwin e Leonardo da Vinci, Ada Lovelace e Charles Babbage occupano il terzo capitolo, non possono mancare Albert Einstein che ha rivoluzionato la fisica del Novecento e Marie Curie che gli è stata in qualche modo compagna, si procede con Elon Musk, che sta modificando il nostro modo di vedere la tecnologia, e in chiusura troviamo Isaac Newton e Steve Jobs. Ognuno di questi personaggi ha in qualche modo innovato il tempo e l’ambito nel quale si è trovato a operare e in questa innovazione ha usato quelle caratteristiche, che danno il titolo al capitolo. Ogni personaggio è presentato in alcuni capitoli compresi tra l’introduzione e il capitolo finale, intitolato “take away”, a significare ciò che il lettore deve in qualche modo assorbire. Secondo Temporelli, per essere dei veri innovatori dobbiamo essere giovani, perché è la gioventù che ci dà l’incoscienza e lo stimolo per abbattere i confini nei quali ci troviamo ad operare, e dobbiamo accettare di lavorare in squadra, non possiamo vivere isolati. Possiamo commettere degli errori, ma dobbiamo andare avanti con passione e caparbietà, senza lasciarci vincolare dalle barriere della singola disciplina, costruendoci da soli quando ci ritroviamo a partire svantaggiati rispetto ai nostri coetanei. Dobbiamo aver voglia di competere con gli altri e con noi stessi, perché la competizione può portarci a migliorare le nostre capacità.
Gli otto geni sono accompagnati da personaggi secondari ai quali vengono dedicate solamente un paio di facciate, che aiutano ad evidenziare un aspetto particolare. Così, ad esempio, nel momento in cui si parla di Darwin, ci ritroviamo Jeanne Baret, un’esploratrice a me sconosciuta. Leonardo da Vinci è accompagnato dai fratelli Wright, proprio a fare da cassa di risonanza alle sue grandi invenzioni. Ada Lovelace e Charles Babbage sono seguiti da Pascal, con la sua pascalina. Einstein è seguito da Bertha Benz, che, moglie dell’inventore tedesco che progettò la prima auto della storia, ha il merito di aver fatto compiere a questa auto un viaggio molto lungo, mostrando le potenzialità di questo mezzo di trasporto. Marie Curie è accompagnata da Almon Strowger, l’inventore della telefonia automatica, giunto a questo risultato solo per far rifiorire la sua impresa di pompe funebri. Elon Musk è seguito da Morse, il professore pittore e insegnante di disegno alla New York University che inventò il telegrafo. Newton è seguito da Bíró e Bich, per l’invenzione della penna a sfera che ha completamente cambiato il nostro modo di scrivere e di vivere. Infine, Steve Jobs è accompagnato dalla storia di Mark Zuckerberg, che nel logo di Facebook ha inglobato anche il logo di Sun per ricordare questo fallimento, «così che tutti capiscano che se smetti di innovare, muori, anche se hai fatto la storia».
Insomma, sono storie particolarmente ispiranti, scritte con una leggerezza che permette di correre attraverso le pagine come in una chiacchierata, e di esplorare gli aspetti di tutti questi personaggi straordinari. La conclusione è che noi non dobbiamo far altro che seguire questi “f***ing” geni, perché ognuno di noi ha la responsabilità, attraverso le proprie scelte, di progettare quello che sarà il nostro futuro. Un gran messaggio, presentato in modo eccezionale e unico.