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Capitano alcune lezioni in cui, pur insegnando matematica, i discorsi seguono altre strade e… ci si trova a discutere di differenze di genere. In classe, la maggioranza di maschi cavalca l’onda dello stereotipo delle donne incapaci alla guida: non perdono occasione per farmi vedere meme o filmati riguardanti l’inferiorità femminile in quel campo. Io, per contro, approfitto di ogni situazione per rimarcare l’uguaglianza tra uomini e donne, anzi, nel dubbio che passi solo la metà delle cose che dico, sottolineo la superiorità del sesso debole.

L’argomento dell’ultima lezione sono le disequazioni frazionarie lineari e nello specifico l’importanza di non eliminare il denominatore, che concorre a determinare il segno della frazione, allo stesso livello del numeratore. Mi addentro così in una metafora che diventa sempre più divertente e più… vera.

Identifichiamo, per cominciare, il numeratore con l’uomo e il denominatore con la donna.

“C’è stato un tempo, quando studiavamo le equazioni lineari frazionarie, in cui il numeratore aveva più peso del denominatore, tant’è che potevamo permetterci di eliminare il denominatore e, per procedere nella soluzione, bastava solo ricordare alcuni valori inaccettabili. Bisogna anche precisare che, eliminato il denominatore, al numeratore non restava altra soluzione che quella di risultare uguale a zero. Ora siamo in tempi più civili: numeratore e denominatore hanno lo stesso peso e non possiamo permetterci di eliminare il denominatore senza compromettere l’esercizio. Ecco spiegato perché prenderò molto sul personale l’errore catastrofico di eliminare il denominatore, senza studiarne il segno, nello svolgimento delle disequazioni.” Per tutto il tempo ho nominato numeratore e denominatore, ma intendevo uomo e donna.

La metafora sembra riuscita, i maschietti storcono un po’ il naso. Ad un certo punto colgo una battuta: “Certo, però, che alla fine la donna resta sempre sotto!”. È la risposta provocatoria di una maschio. A sua difesa va detto che la battuta, originariamente, non doveva arrivare a me, ma non sempre le cose vanno come si vorrebbe.

Avrei accettato una battuta al riguardo, ma avrei preferito una battuta ironica e acuta, all’altezza della mia metafora…

 

Saluto di benvenuto
Diana Bracco, Presidente Fondazione Bracco
 
Introduzione
Francesco Morace, Sociologo e saggista
 
Modelli di vita straordinari e possibili
 
#100esperte
Patrizia Caraveo, Direttrice dell'Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica di Milano
Raffaella Rumiati, Professoressa ordinaria di Neuroscienze cognitive alla SISSA di Trieste
 
#ragazzeSTEM
Matilde Padovano, medaglia d'oro alle olimpiadi nazionali di informatica del 2016
Daniela Molinari, autrice di Amolamatematica
 
Conclusioni
Roberta Cocco, Assessora Trasformazione digitale e Servizi civici, Comune di Milano
 
Modera Nicola Saldutti, Caporedattore dell'economia, Corriere della Sera
E poi ti capita di chiacchierare un po’ con le tue alunne di quinta, che con i loro 19 anni ormai pensano di sapere tutto della vita… 
Visto che si sta passeggiando per strada, dirette verso il teatro per godersi uno spettacolo, si chiacchiera di tutto un po’. Tu racconti che tuo marito in casa fa tutto, ma proprio tutto e ti diverti a vedere le loro espressioni stupite, a sentire le loro esclamazioni mentre paragonano questo fantomatico marito ai loro papà, che in casa si limitano ad occuparsi della spazzatura. 
Poi una dice: “Ma allora lei riesce a fare tutto quello che fa solo perché suo marito fa tutti i mestieri di casa!” e la cosa ti infastidisce. Ti trovi a domandarti: ma perché se io come unica cosa in casa mi limito a buttare la biancheria nel cesto dei panni da lavare sono da guardare come un animale raro, mentre se lo fa un uomo è normale? Perché se io non so dove si trova un detersivo, perché difficilmente ne faccio uso, mi devo sentir dire: “Vergogna!” da mia mamma? Lo farebbe anche con un figlio maschio?
E così rispondo: “Perciò, gli insegnanti uomini, che in genere non fanno nulla in casa perché ci pensano le mogli, fanno tutto quello che faccio io…”
Espressioni stupite… forse consapevolezza… e poi la battuta: “Ma forse a loro ogni tanto tocca portar via la spazzatura, mentre lei non fa nemmeno quello!”. Risate… ma un po’ di amarezza… perché gli stereotipi di genere fanno così parte del nostro modo di leggere la realtà che non li notiamo nemmeno!!
 
Pubblicato su La27Ora del Corriere della Sera
Quando ero in terza media ero già appassionata di matematica e avevo già deciso di diventare un’insegnante di matematica. 
Mio papà (operaio, quinta elementare come titolo di studio) decide di andare a parlare con il mio insegnante di matematica. Il mio amato professore, alla domanda di mio papà se sia il caso di farmi fare il liceo scientifico, risponde: “Vede, se fosse un maschio non avrei alcun dubbio, viste le sue capacità. Ma è una ragazza. E le ragazze si sa come sono: cominciano con entusiasmo, ma appena trovano un fidanzato pensano subito a sposarsi e fare figli. Forse è meglio se fa l’istituto tecnico per geometri: il percorso è meno lungo e alla fine, almeno, si ritrova con un diploma!”
 
Mia mamma (casalinga, quinta elementare) disse a mio papà: “Lascia che faccia lei la sua scelta!”
Ora mi dice: “Sai, la tua insegnante di italiano di seconda, prima di andarsene (era stata trasferita) mi ha detto: “Mi raccomando, non deluda Daniela! Ha una grande responsabilità! Daniela appartiene alla nostra classe dirigente di domani e lei ha il dovere di supportarla e farla andare avanti! Non la deluda!””
 
Piccoli uomini, ma grandi donne!
 
Racconto pubblicato nel libro di Chiara Burberi e Luisa Pronzato "Le ragazze con il pallino per la matematica"
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