«Galileo! Un dialogo impossibile» è stato pubblicato da Felici Editore nel 2009, ma la raccolta di fumetti è stata realizzata per la mostra interattiva “Dialogar di scienza, sperimentando sotto la Torre”. Gli autori sono: Nadia Ioli Pierazzini, laureata in fisica a Pisa, ricercatrice del CNR dal 1970 al 2009, ideatrice della Ludoteca Scientifica e di questo percorso, avendo raccolto e organizzato il materiale storico scientifico; Francesca Riccioni, laureata in fisica a Pisa, con un master in comunicazione della scienza presso la SISSA di Trieste, è redattrice scientifica e è stata autrice dei testi di Enigma, realizzato con Tuono Pettinato come illustratore; Vittoria Balandi, laureata in lettere moderne, con la Riccioni si è occupata della sceneggiatura e dei testi; infine, il ben noto Tuono Pettinato, il cui vero nome è Andrea Paggiaro, che è stato fumettista e illustratore e ha scelto il suo pseudonimo dal racconto fantastico La biblioteca di Babele di Jorge Luis Borges.
I dialoghi sono preceduti dalla prefazione di Pietro Greco e dall’introduzione di Giuseppe Pirazzini. Pietro Greco giustifica l’utilizzo dei fumetti in questa circostanza: definisce i fumetti un’«espressione artistica che unisce poesia e disegno» e, visto che Galileo Galilei può essere ricordato anche come poeta – come mostrato dalla parte finale dell’opera, dove compare «Contro il portar la toga», un’operetta in terzine rimate, scritte nel 1589 – e il disegno costituiva l’elemento essenziale della sua comunicazione, il fumetto è la scelta che meglio rappresenta la sua opera. Giuseppe Pierazzini delinea l’opera e racconta i tre protagonisti, in qualche modo rivisitazione dei celebri Simplicio, Sagredo e Salviati dei discorsi galileiani: Simplicio è impersonato da Gastone, un personaggio che appartiene ad ogni tempo, scettico e pigro; Sagredo è impersonato da Clelia, una ragazza del XXI secolo, curiosa e portata a fare domande intelligenti; Salviati è, questo caso, interpretato da Galileo Galilei.
L’opera è costituita da sei dialoghi impossibili, dove troviamo la gravità e il piano inclinato, il galleggiamento e il termometro di Galileo, il cannocchiale e le osservazioni del cielo, il pendolo e la misura del tempo, la riflessione e la diffusione della luce, il suono e la voce. Secondo Giuseppe Pierazzini, per gustare al meglio il libro, è meglio cominciare dai fumetti e procedere poi con le citazioni tratte dalle opere di Galilei, parzialmente citate nei fumetti, e riportate integralmente nelle pagine a fronte. In questo modo, si può aggiungere a quanto letto nel fumetto, brani da «Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze», dal «Sidereus nuncius» e dal «Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo», oltre a un racconto di Vincenzo Viviani e una lettera di Galilei a Lorenzo Realio. Nel corso di questi dialoghi, Galileo Galilei incontra anche personaggi che non sono suoi contemporanei: Archimede nell’episodio sul galleggiamento, e Christian Huygens, Einstein e Foucault nel dialogo dedicato al pendolo.
Il libro si conclude con la celebre citazione dalla seconda giornata del «Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo», dove si parla dell’esperimento mentale sotto la coperta del gran naviglio, che è di fatto la dimostrazione della rotazione della terra.
A mio modo di vedere, l’opera ha una grandissima valenza didattica, perché permette di conoscere meglio le opere originali di Galilei e, al tempo stesso, di poterlo fare con leggerezza, attraverso i dialoghi e i disegni dei fumetti, che non solo aiutano a cogliere meglio alcuni concetti senza grandi giri di parole, ma colpiscono la memoria fotografica, restando sicuramente più impressi.
«Io sono Marie Curie» è stato pubblicato dalla casa editrice Sperling & Kupfer a marzo 2024. L’autrice, Sara Rattaro, è una famosa scrittrice, che ha ricevuto parecchi premi con Non volare via, Niente è come te, Splendi più che puoi, L’amore addosso, e Uomini che restano.
«Io sono Marie Curie» è un’opera di fantasia nella quale «qualsiasi riferimento a eventi storici e a persone e luoghi reali è usato in chiave fittizia»: in effetti, la ricostruzione della vicenda di Marie Curie, raccontata nel dettaglio e con chiarezza, è l’occasione per raccontare la vita amorosa della scienziata. Il romanzo è narrato in prima persona e l’io narrante è proprio Marie Curie. L’inizio è la morte di Pierre: «Un incidente, una disgrazia, un evento che non aveva niente di eccezionale in sé», ma che al tempo stesso cambiò tutto. Il romanzo ci presenta una Marie Curie più umana e ricca di passioni rispetto a come si presentava lei stessa. Nella sua autobiografia, che si compone di una sessantina di pagine, «non volle esporre nulla della sua vita intima al di là della sua adorazione di Pierre e della profondità degli affetti familiari», come ricorda Daniela Monaldi nella prefazione all’edizione della casa editrice Castelvecchi. Sempre secondo la Monaldi, sono proprio le esperienze vissute che hanno spinto la scienziata a non condividere le proprie emozioni, perciò questo romanzo si pone come un “completamento” di quanto scritto di suo pugno.
Alla morte di Pierre Curie segue un flashback che ci riporta alla fase dell’innamoramento e al matrimonio, durante il quale la scienziata dice «rividi, come in un film, l’inizio di tutto». L’inizio è a Varsavia, dove un padre, vedovo, dibattendosi tra paura e orgoglio, concede alle figlie di studiare nonostante i pericoli, fino ad arrivare al patto con Bronia che consente alle due sorelle di studiare. Il passo successivo è il racconto della prima delusione amorosa, che diventa la spinta per raggiungere Parigi, dove gli anni successivi al matrimonio sono gli anni del fervente lavoro in laboratorio, con André Debierne, Georges Sagnac, Paul Langevin e Jean Perrin. Sono anni ricchi di eventi: la nascita di Irène e poi di Ève, la scoperta del polonio e del radio, fino all’assegnazione del Nobel a Pierre Curie, in cui chi si adopera per impedire che Marie riceva il giusto riconoscimento viene vinto dalla fermezza di Pierre e dall’intervento di Gustav Mittag-Leffler.
Il lutto per la morte di Pierre Curie viene descritto in modo tale che ci sembra di poter toccare con mano la sofferenza di Marie. Nell’autobiografia leggiamo: «Mi è impossibile esprimere la profondità e il peso della crisi provocata nella mia esistenza dalla perdita di colui che era stato il mio più fedele compagno e il mio migliore amico. Schiantata dal colpo, non mi sentivo in grado di affrontare il futuro.» Sara Rattaro ha saputo prendere le poche righe dell’autobiografia e, con l’aiuto di un’immagine forte, farne qualcosa di emozionante e commovente: quello di Marie è «il pianto di un animale ferito, un verso terrificante», perché per la prima volta la scienziata si sente davvero sola. Quando leggiamo «Ogni mattina aprivo gli occhi chiedendomi perché accadesse. Perché dovevo ancora svegliarmi?» non possiamo non sentire il vuoto che ha invaso la vita di Marie, il senso di ingiustizia per quanto successo, la fatica di continuare un viaggio, familiare e professionale, che aveva visto questa coppia unita in un sodalizio colmo d’amore.
A gennaio del 1910 c’è l’alluvione della Senna e Marie e Paul Langevin si trovano bloccati in laboratorio: Sara Rattaro vede, in quell’imprevisto, l’inizio di una nuova complicità, la nascita di un sentimento. La discrezione con cui vivono la loro relazione non riesce a proteggerli dalle ire della moglie di Langevin che, con la complicità del cognato, caporedattore di un giornale, riesce a far scoppiare uno scandalo, che rischia di travolgere Marie Curie, anche professionalmente.
Sara Rattaro è riuscita a toccare con grande delicatezza temi ancora attuali: il ruolo della donna nella relazione con il marito, visto che a Marie viene assegnato un ruolo da comprimaria a prescindere – come se le ricerche che hanno portato al primo Nobel fossero state merito solo di Pierre – e l’attacco mediatico all’indomani della scoperta della relazione con Paul Langevin, tanto da portare alla richiesta di rinuncia al secondo Premio Nobel: «Immaginate di dover escludere tutti gli scienziati maschi che conducono quella che voi stesso avete definito una condotta immorale, quanti premi Nobel pensate che si potrebbero ancora assegnare?» Sara Rattaro immagina una Marie Curie appassionata e caparbia, perché, d’altra parte, non avrebbe potuto fare ciò che ha fatto senza la sua tenacia e la passione per la scienza, le restituisce la sua umanità, e, riconoscendo nella sua vicenda la grande attualità, offre ad ogni ragazza un modello da imitare. L’autenticità che caratterizza le pagine più dense di emozioni ci regala una Marie Curie non solo da ammirare ma per la quale provare empatia e simpatia.
«Le geometrie oltre Euclide» è stato pubblicato da Scienza Express a maggio 2024. L’autore, Alberto Saracco, è docente di geometria presso l’Università di Parma ed è un noto divulgatore: su YouTube è presente con il celebre canale che porta il suo nome, mentre su Instagram è noto come Un matematico prestato alla Disney, infine collabora con il sito MaddMaths!
Il sottotitolo «Misurare la Terra, descrivere l’Universo» delinea il percorso che ci viene proposto: a partire dalla geometria degli antichi egizi, attraverso una crescente astrazione, la storia di questa disciplina ci porta al fine della geometria e ai tempi moderni, con la descrizione dell’Universo. Nella premessa Alberto Saracco dichiara che racconterà «in maniera leggera e divulgativa la storia della geometria»: lo stile è sicuramente leggero e divulgativo, ma accanto a temi di facile lettura, ci sono argomenti più complessi e tecnici, perché, essendo un insegnante, l’autore non può rinunciare a sfidare il lettore, dato che gli piace «stimolare un lavoro maggiore da parte di chi vuole – e può – impegnarsi». Alberto Saracco non è uno storico ma un divulgatore e un geometra differenziale e complesso, perciò la prospettiva con la quale ci mostra la geometria è particolare. L’obiettivo principale resta quello di «accendere o alimentare la passione per la matematica in chi legge». Il percorso proposto è stato prima un laboratorio presso il Liceo Marconi di Parma, realizzato più di un decennio fa, poi un seminario al Festival della Scienza di Genova nel 2018, e, grazie all’incoraggiamento di Daniele Gouthier nel 2022, è diventato un libro.
La storia della geometria comincia con i tenditori di corde dell’Antico Egitto, che avevano come obiettivo quello di misurare la terra, da qui il termine geometria; i Babilonesi in qualche modo arricchiscono questa branca del sapere con delle conoscenze teoriche mentre i greci ci presentano una geometria sintetica, che permette una comprensione profonda. Attraverso vari indizi possiamo ricostruire le caratteristiche della geometria greca: il ragionamento è fondamentale, come ci ricorda il monito di Platone all’ingresso della sua scuola, la fatica è necessaria, non esistono strade alternative per evitarla, e il sapere che viene costruito non ha come obiettivo l’utilità. Con il passare del tempo, la geometria acquisisce sempre maggiore astrazione, e con la scuola pitagorica si arricchisce della dimostrazione, mentre Euclide non fa altro che sistematizzare il sapere guadagnato fino a quel momento. Con la geometria analitica si passa a una geometria più tecnica, grazie ad un’algebra che si è evoluta, da descrittiva in simbolica, grazie ai contributi di Al Khwārizmī.
Esaurita la prima parte del percorso, probabilmente nota a molti, almeno per sommi capi, si arriva al centro della narrazione: dopo il tentativo di Saccheri di liberare Euclide da ogni macchia nel 1733, dimostrando per assurdo il quinto postulato, nel 1830 nascono le geometrie non euclidee con Lobačevskij e Bolyai, che non temono gli «strilli dei beoti» come Gauss, ma non godono certo, durante la loro vita, di un grande riconoscimento. Queste risposte fuori dagli schemi portano a un fiorire di interesse attorno alla geometria e alla nascita di nuove geometrie, che, contrariamente agli obiettivi di inutilità dei greci, si rivelano estremamente utili per descrivere l’Universo. A questo fa seguito il programma di Erlangen di Klein, che nel 1872 definisce la geometria come «studio delle proprietà invarianti sotto l’azione di un certo gruppo di trasformazioni», mentre Hilbert procede con l’assiomatizzazione della geometria euclidea, esplicitando anche quegli assiomi che Euclide riteneva sottintesi. Insomma, da una geometria rigida come quella euclidea, l’astrazione ha portato a geometrie più flessibili che, avendo meno strumenti a disposizione, sono adatte per più figure: con questa varietà di geometrie «possiamo capire meglio il mondo matematico, sfruttando di volta in volta la geometria più adatta.» Le nuove geometrie permettono di fare passi avanti in diversi campi: la geometria differenziale permette di descrivere l’Universo, come ha fatto Einstein attraverso la relatività generale, la geometria proiettiva permette di capire come funziona la vista, e la topologia con i grafi descrive le connessioni neurologiche, ma non solo. In altre parole, questa geometria si rivela uno strumento indispensabile per indagare e comprendere la vita, l’Universo e tutto quanto.
Il libro è stato pensato per gli studenti delle superiori: è alla loro portata anche se, per accedere alla bellezza della matematica, è sempre necessario compiere un po’ di fatica. I box offrono un’occasione di approfondimento e un’ulteriore sfida di apprendimento, proponendo il metodo iterativo di Archita per il calcolo delle radici quadrate, i paradossi di Zenone, le sfere di Dandelin, le equazioni di secondo grado risolte con il metodo di Cartesio e le varietà. Insieme agli enunciati di alcuni teoremi e di assiomi, troviamo anche alcune dimostrazioni, perché «parlare di matematica senza mai toccare con mano una dimostrazione è ingannare il lettore»: non c’è bisogno di spaventarsi, però, perché seguendo il percorso un passo per volta, si riesce a comprendere tutto. La narrazione è arricchita dalle illustrazioni di Nicole Vascotto, che permettono di capire ancora meglio il tema, anche se non manca il monito di Poincaré: «La geometria è l’arte di ragionare bene su disegni fatti male». Il libro è ricco di matematici, alcuni più famosi di altri, ma l’autore ricorda che «difficilmente una scoperta scientifica o matematica può essere considerata la scoperta di un singolo individuo», a partire dagli Elementi fino alle scoperte più recenti.
Il lavoro di Alberto Saracco è particolarmente ricco: non è solo un percorso storico, ma un viaggio ragionato e di ragionamento nella terra delle geometrie, che ci permette di notare come il ruolo della geometria sia cambiato nel corso dei secoli e come l’apertura di nuove strade abbia aperto nuovi campi di applicazione, fornendo risposte sempre più interessanti e ampie. Un libro pensato per gli studenti delle superiori che in qualche modo sopperisce alle carenze di percorsi di studio per i quali sembra esistere solo la geometria analitica, visto che persino quella euclidea è ritenuta spesso troppo impegnativa per essere insegnata al biennio. Un libro per aprire gli orizzonti di ognuno e per permettere a tutti di cogliere fino in fondo la bellezza della geometria.
EMS
Il congresso europeo della matematica (European Congress of mathematics – ECM), organizzato ogni quattro anni dalla European Mathematical Society (EMS) è il secondo evento di matematica al mondo, come riporta il sito dell’Unione Matematica Italiana. Durante la giornata di apertura, il 15 luglio, due matematiche italiane, Cristiana De Filippis e Maria Colombo, sono state premiate: il premio EMS è molto simile alla medaglia Fields, visto che viene assegnato a matematici che abbiano un’età inferiore ai 36 anni e non ha un gran premio in denaro. La rassegna stampa dedicata al premio è molto ricca e comincio con la puntata di Radio3 Scienza Matematiche sul podio, del 17 luglio: Roberta Fulci ha intervistato Cristiana De Filippis in diretta, mentre l’intervento di Maria Colombo è stato registrato, avendo appena partorito il quarto figlio. La puntata si è aperta con i ringraziamenti di Maria Colombo, matematica all’École Polytechnique Fédérale di Losanna, che non sono andati solo ai collaboratori o ai docenti e ai mentori che l’hanno accompagnata, ma anche agli studenti che le hanno permesso di crescere. Altra cosa che balza all’occhio è il riferimento al fallimento, componente fondamentale del successo, visto che non ne parla solo Maria Colombo, ma anche Cristiana De Filippis durante l’intervista che le ha fatto Raffaella Mulas. Alla domanda se anche i vincitori dell’EMS Prize possano avere difficoltà, Cristiana De Filippis non ha dubbi: «Mi sento bloccata in così tante cose nelle mie ricerche, che ciò che emerge alla fine è solo la punta dell’iceberg». Questo discorso sul fallimento richiama un po’ quanto aveva detto anche Alessio Figalli (a sua volta vincitore dell’EMS Prize nel 2012) durante un’intervista per l’Università di Padova, quando aveva detto che per riuscire a combattere l’inevitabile frustrazione, si concentrava su più problemi contemporaneamente in modo da riuscire ad ottenere un risultato in qualche ambito.
Anche i media tradizionali hanno dedicato ampio spazio a questo premio e alla matematica, cercando di spiegare in cosa consistano i campi di studio delle due matematiche e andando incontro ad errori macroscopici. D’altra parte, non è così facile spiegare in cosa consistano le ricerche a questo livello, come ricorda Cristiana De Filippis, dicendo che è difficile far capire alla nonna come funzioni il suo lavoro. Per capire un po’ meglio, non resta che cercare tra i siti degli addetti ai lavori: MaddMaths! aveva realizzato un’intervista a Maria Colombo nel 2022 e la ripropone. In essa scopriamo che i suoi risultati hanno a che fare con un campo particolarmente complicato, quello della fluidodinamica. In un articolo di Wired troviamo invece la spiegazione della Teoria della regolarità ellittica, di Cristiana De Filippis. L’ultimo contributo è il comunicato stampa dell’Università di Parma, concesso al sito MaddMaths!, nel quale troviamo un breve video con interviste a Giuseppe Mingione, guida di Cristiana De Filippis, e a Tuomo Kuusi, dell’Università di Helsinki. Mi piace concludere questa carrellata con una delle domande di Raffaella Mulas, che chiede a Cristiana De Filippis quali possano essere i suoi consigli per i ricercatori più giovani, che stanno cominciando il proprio percorso in matematica. Mi piace citarlo, perché è un consiglio particolarmente prezioso, che potrebbe essere utile a tutti coloro che hanno a che fare con la matematica: essere sempre curiosi, avere la volontà di studiare, non lasciarsi spaventare dal duro lavoro o dai fallimenti.
Euro Gold Medal 2024
Le due giovani matematiche non sono state le uniche donne premiate in questa estate: la Euro Gold Medal, il più alto riconoscimento a livello europeo nel settore della ricerca operativa, è stata assegnata a Maria Grazia Speranza, professoressa ordinaria dell’Università degli Studi di Brescia e autrice del saggio “Il cognome delle donne”. I racconti di questo premio e di questo saggio vengono fatti da Alice Raffaele, dalle pagine di MaddMaths!, e tutto parte dalla sua esperienza personale, dalla scelta di dedicare la tesina della maturità proprio al ruolo delle donne. Il racconto è particolarmente interessante e piacevole da seguire e mostra come sia ancora lungo il percorso della parità di genere. A questo proposito, non posso non citare l’ultima lettura che ho fatto in proposito e che si intitola L’invenzione di Eva, scritto da Alessandro Barbaglia, libraio e scrittore, noto per “La mossa del matto”, dedicato alla figura di Bobby Fisher. Il racconto della vita di Hedy Lamarr è fatto con dovizia di particolari, ma anche con grande ammirazione, mostrandola in tutte le sue sfaccettature. Generalmente, Hedy Lamarr è ricordata come attrice e come la donna più bella del mondo, ma nel libro è raccontato il suo risultato più grande, ovvero l’invenzione del Wi-fi. Alessandro Barbaglia riesce a descrivere questa donna attraverso una prospettiva particolare: l’io narrante ha una sorella geniale e molto originale, con la quale ha un rapporto difficile, perciò usa la figura di Hedy Lamarr per ricucire il rapporto con lei e, al tempo stesso, la vicenda della sorella diventa la chiave di volta per poter capire la vita di Hedy Lamarr, il suo essere così fuori dagli schemi. Il libro è assolutamente da leggere e offre numerosi spunti di riflessione.
Matematica alle Olimpiadi
Le Olimpiadi si sono aperte con la spettacolare cerimonia inaugurale venerdì 26 luglio e per un paio di settimane molti dei nostri discorsi ruoteranno attorno a questa grande celebrazione dello sport. Può sembrare strano, ma in mezzo agli sportivi può essere che si parli di matematica, come dimostrato da Anna Kiesenhofer, medaglia d’oro nel ciclismo su strada a Tokyo (ma purtroppo solo trentatreesima quest’anno) e docente all’EPFL di Losanna. La matematica può anche rivelarsi utile per migliorare le prestazioni nello sport, come riportato nella puntata di Radio3 Scienza del 25 luglio Numeri da Olimpiadi. Fra le varie figure che circolano all’interno del villaggio olimpico, potremmo trovare anche Ken Ono, matematico di fama internazionale, consulente della nazionale statunitense di nuoto, ma non è la prima volta che la matematica viene coinvolta a questo livello, come ci ha insegnato l’esperienza di Alfio Quarteroni, matematico al Politecnico di Milano, all’EPFL di Losanna e fondatore di Mox Off. Alternando la sua voce, in diretta, con quella registrata di Mauro Berruto, ex allenatore della nazionale maschile di pallavolo, Luca Tancredi Barone ci guida alla scoperta della matematica all’interno del più grande evento sportivo.
Comunicazione e divulgazione matematica
È stato interessante leggere lo scambio, provocato da Daniele Gouthier, in merito alla comunicazione e alla divulgazione della matematica. Dopo la proposta di Gouthier di supplire alla carenza di sedi per la ricerca e la formazione in comunicazione della matematica, vista la bassa accettazione sociale della matematica, sono seguite alcune interessanti risposte che hanno fornito diversi punti di vista. La prima risposta è stata quella di Nicola Ciccoli, che ha offerto il punto di vista del docente universitario, sottolineando come le attività di divulgazione e comunicazione siano retribuite solo occasionalmente, ma mostrandosi comunque perplesso in merito all’idea di proporre corsi di formazione in comunicazione per tutti, auspicando un confronto di esperienze per paura che vengano propinate certezze universali. Domingo Paola offre il punto di vista «dell’insegnante interessato alla e coinvolto attivamente nella ricerca in educazione matematica» e si concentra sul tema della comunicazione matematica, intesa come attivazione di «conoscenze, metodologie e strategie che possano essere efficaci ed efficienti per favorire la comprensione e l’apprendimento di conoscenze matematiche presso un determinato pubblico». Paola accoglie l’invito al confronto di Ciccoli e sottolinea come ci siano già in essere possibilità di formazione, almeno per la parte pre-universitaria. Nel suo intervento, Marco Menale, come ricercatore universitario, riflette su quanto poco sia valorizzata in ambito universitario la comunicazione matematica, visti gli inviti ricevuti a non perdere tempo con la divulgazione per non compromettere la propria carriera. L’ultimo intervento ci permette di gettare uno sguardo oltralpe, visto che è firmato da Simone Ramello, dottorando all’ultimo anno presso l’Università di Münster in Germania e la differenza rispetto alla situazione italiana è più chiara che mai: «mi è stata data l’opportunità di avere una posizione part-time per produrre un podcast di interviste a ricercatrici e ricercatori del dipartimento, un’attività che altrove sarebbe stata puro volontariato».
Matematica in leggerezza
Concludo questa newsletter in leggerezza con alcuni contenuti di YouTube. Comincio con il video di IlariaF Math che parla del binomio Escher e Doctor Strange, all’indomani della sua visita alla mostra di Escher e nel pieno di una maratona Marvel, prima di buttarsi a pesce a studiare per l’abilitazione. Le sfide di Presh Talwalkar per MindYourDecisions sono sempre coinvolgenti: in questo caso il piccolo quesito ha messo in crisi un papà che voleva aiutare la propria figlia con i compiti a casa. Federico Benuzzi non perde occasione per parlarci della fisica, e in questo caso l’occasione è offerta dal parkour, che può essere realizzato proprio conoscendo la fisica nascosta, mentre non mancano riflessioni didattiche, come nel video “Fa schifo”, detto da uno dei giovani spettatori, come amara riflessione su se stesso. In queste ultime settimane, Federico sta approfittando dei social anche per rilanciare alcune riflessioni di didattica svolte negli anni attraverso il suo blog, come Lezioni divertenti, dell’aprile del 2018.
L’ultima puntata della Matematica danzante è stata dedicata a Pierre de Fermat: Raffaella Mulas racconta le vicende legate al (famoso) ultimo teorema, dimostrato solo sul finire del millennio scorso da Andrew Wiles, e conclude il video in maniera sibillina e perfettamente in tema.
Buona matematica e buon cammino! Ci sentiamo tra TRE settimane!
Daniela
«La formula segreta» è stato pubblicato nel 2020 da Mondadori. L’autrice è la famosa scrittrice Sara Rattaro, che, con una laurea in biologia, una in scienze della comunicazione, un master in divulgazione scientifica e un passato da informatore farmaceutico, ha scelto di scrivere anche per ragazzi, pubblicando, con Mondadori, «Il cacciatore di sogni», su Albert Bruce Sabin, e «Sentirai parlare di me», su Nellie Bly.
«La formula segreta – Il fantasma di un genio del Novecento» parla di Majorana, e l’occasione è offerta dalla passione di Matteo: per verificare se il suo calcolo di quanto tempo sia necessario per allagare la scuola è giusto, decide di tappare il lavandino di un bagno, ma, colto in flagrante, si ritrova davanti al preside insieme ai genitori. La mamma è un architetto, il papà è un fisico e insegna all’università, e si sono appena separati; per quella sera, forse alla ricerca di una maggiore complicità, Matteo sceglie di andare a casa con il papà. Mentre guardano la televisione, la trasmissione “Chi l’ha visto?” richiama l’attenzione di Matteo su Ettore Majorana, che ha sentito nominare dal papà durante una videoconferenza con i colleghi. Sulle tracce del fisico scomparso, Matteo e il papà intraprendono un viaggio in Sudamerica, che diventerà l’occasione per rinnovare il loro rapporto e per ritrovare un po’ di equilibrio dopo la separazione.
Nel corso della narrazione, Sara Rattaro ci racconta le ultime teorie a proposito della scomparsa di Ettore Majorana, avvenuta nel 1938: il fisico era uno dei celebri ragazzi di via Panisperna e aveva collaborato con Fermi. Era il più geniale degli studenti di Fermi, in anticipo sui tempi, e l’appendice curata da Elena Gatti approfondisce proprio il tema della fisica atomica, della quale si occupava Majorana: attraverso alcuni cenni, il lettore può vedere l’evoluzione della fisica, a partire dal concetto di atomo nell’antica Grecia, fino ad arrivare alle orbite quantizzate di Bohr, passando attraverso le particelle e le rivoluzioni del Novecento.
La lettura è consigliata ai ragazzi delle medie, ai quali permette di conoscere non solo questo genio del Novecento, ma anche il contesto storico: il papà di Matteo riesce a elencare al figlio le numerose ipotesi che, nel corso degli anni, hanno tentato di fornire una spiegazione alla scomparsa di Ettore Majorana. Si è parlato di suicidio, di ritiro in un convento e persino Sciascia ha scritto un libro sulla sua scomparsa.
Nel 2016, poco prima della pubblicazione di questo libro, è uscito il volume «La seconda vita di Majorana», edito da Chiarelettere e scritto da Giuseppe Borello, Lorenzo Giroffi e Andrea Sceresini, dove si parla di una presunta vita clandestina del fisico in Sudamerica, fra Argentina e Venezuela, la cui ricostruzione è stata effettuata proprio a partire dalle rivelazioni della trasmissione “Chi l’ha visto?” del 2008. Anche Sara Rattaro segue le stesse ipotesi, con il valore aggiunto della vicenda del piccolo protagonista Matteo e del padre: le vicende di Majorana diventano l’occasione per ritrovare il proprio rapporto e se stessi, in quella che è una scelta narrativa che si è mostrata vincente, come dimostrato dai precedenti «Il cacciatore di sogni» e «Sentirai parlare di me».
«L’invenzione di Eva» è stato pubblicato all’inizio di luglio di quest’anno per Mondadori, nella collana Strade Blu. L’autore è Alessandro Barbaglia, noto per «La mossa del matto», vincitore del Premio Segafredo Zanetti e del Concorso letterario Coni, e per «La locanda dell’ultima solitudine», finalista al Premio Bancarella 2017. Ha vinto il Premio Strega ragazze e ragazzi nel 2021 con «Scacco matto tra le stelle».
Secondo quanto dichiarato sui social, Barbaglia ha avuto l’idea di questo libro dal 2018: la vita di Hedy Lamarr è così piena di avvenimenti che, presi singolarmente, potrebbero riempire un’intera vita. In altre parole, la vita di Hedy racchiude così tante vite che è impossibile riassumerla, perciò, l’impresa di raccontarla ha richiesto parecchio tempo.
La cosa che mi ha colpito fin da subito, nella prosa di Barbaglia, è la frequenza dei punti di domanda, perché l’autore non dà risposte (in certe situazioni può solo fare ipotesi), ma le domande che pone aprono una riflessione che ci porta a riconoscere alcuni dettagli: ad esempio, non possiamo definire la normalità o la genialità, e non sappiamo dire cosa sia un’invenzione o chi sia un inventore. Hedy Lamarr è stata una donna scomoda e Alessandro Barbaglia riporta molto bene questo aspetto: è come se, nella finzione letteraria, avesse vissuto la vicenda di Lamarr, come se l’avesse conosciuta, come se l’avesse tenuta vicino qualche anno, intervistandola a più riprese e facendosi aiutare in qualche modo a narrare le vicende di cui è stata protagonista. Non è facile raccontare una donna «troppo bella per essere anche intelligente», una donna posseduta da un talento gigantesco e oscuro, una donna che «è fatta tutta di futuro, è fuori dal tempo», una donna che ha indossato una maschera per tutta la vita, perché «il corpo è una maschera che non mi posso togliere». «È difficile capire una persona che è passata attraverso tante vite come ho fatto io. Ho vissuto tante situazioni, tante fasi, come si fa a spiegare la mia vita a chi ne ha avuta una semplice, a chi non ha mai visto il paradiso e l’inferno, come è capitato a me?» Questa distanza della vita di Hedy dalla vita di tutti noi viene resa con chiarezza da Alessandro Barbaglia: Hedy Lamarr è stata la diva che si è fatta conoscere grazie al film Estasi, è stata la moglie ebrea di un gerarca nazista in Austria, è stata il volto di Biancaneve di Walt Disney, è stata una diva, è stata una donna geniale che ha inventato la vite per il rossetto, la tinta per capelli per Max Factor, ed è stata l’inventrice dimenticata dell’indimenticabile wi-fi. «Nessuno si fida di Eva» e la sua invenzione, che ha brevettato nell’agosto del 1942, troverà la propria strada solo vent’anni dopo: «Le donne è già difficile che il mondo le prenda sul serio quando vanno al passo con i tempi, figurarsi quando sono avanti anni luce».
Nella finzione narrativa, Barbaglia finge di essere fratello di una donna geniale ma incomprensibile, con una vita molto simile a quella di Hedy Lamarr: «mi sento un bimbo capriccioso alle prese con alcune storie troppo grandi, la tua, la mia e quella di questa donna: la più bella del mondo». Il racconto si apre con la sorella: l’io narrante si illude che sarà più facile raccontarla avendola avuta vicina, perché non ci rendiamo conto, forse per colpa della nostra superficialità, che non riusciamo a raggiungerne la vera essenza, ad andare in profondità. Nel corso del libro, questo fratello imparerà a conoscere Hedy Lamarr e, al tempo stesso, a riscoprire e comprendere le scelte della sorella, che all’inizio viene definita, a più riprese, come una «stronza». Così, si rende conto solo più avanti che «nelle vite di tutti noi ci dev’essere sempre una grande paura, una paura che faccia sembrare tutte le altre insignificanti», che guida le nostre azioni rendendole incomprensibili agli altri, tanto che non è possibile imbrigliare il nostro io più profondo con una banale etichetta.
La copertina del libro mi ha catturata mentre gironzolavo tra gli scaffali di una libreria: non sapevo che fosse stato scritto un libro su Hedy Lamarr, ma la sua immagine mi ha ammiccato dallo scaffale e non ho potuto non acquistarlo. Conoscevo la sua vicenda, conoscevo i dettagli della sua vita, dal film Estasi alla devastante chirurgia estetica degli ultimi anni, ma l’ho sempre raccontata concentrandomi sull’invenzione del wi-fi e trattando tutto il resto come un dettaglio secondario. Alessandro Barbaglia ha trovato il modo di “tener dentro” tutto, raccontandoci qualche verità in più su Hedy Lamarr, facendo convivere tutti i particolari della sua vita e facendolo con la consapevolezza, dichiarata a più riprese, che «il futuro, le nostre vite, tutto prende una piega diversa a seconda che a mangiare del frutto della conoscenza sia un uomo o una donna. I peccati originali si rimettono più volentieri agli uomini. Alle donne, invece, toccano le sette maledizioni di Eva.»
Alessandro Barbaglia ripercorre «la vicenda scordata di una donna senza fili che avrebbe potuto cambiare il nostro domani e che oggi nessuno ha più idea di chi sia»: ha il volto della celebre Biancaneve, ma nessuno lo sa.
Se scrivere questo libro è stata davvero un’impresa, anche parlarne non è facile: sono state tante le emozioni scatenate dalla lettura di questo libro, che consiglio caldamente, sia per le vicende della protagonista, sia perché l’autore ha avuto la capacità di raccontare questa storia con obiettività ed emozione, restituendole il posto che merita nella storia degli inventori.
«Il 9 novembre, ogni anno, nel giorno del suo compleanno, viene celebrata la giornata degli inventori dimenticati: quella giornata è dedicata a Hedy Lamarr. Non lo sa nessuno. Il 9 novembre tutti ricordano solo la caduta del muro di Berlino.»
Studiare la prospettiva per progettare i laboratori di BergamoScienza mi ha fatto cogliere quanto sia determinante il punto di vista. Come ogni anno, parecchio viene detto e scritto sulla prova di matematica dell’Esame di Stato al liceo scientifico, perciò avrete già avuto modo di trovare tutto e il contrario di tutto. Il giudizio sull’eventuale difficoltà della prova dipende da tanti fattori e, anche se il punto di vista è lo stesso (ad esempio: docenti che insegnano allo scientifico), l’opinione cambierà in base alla propria esperienza.
Il primo commento della prova nel quale mi sono imbattuta è stato quello di Davide Calza, del Math-Segnale, che in un lungo post su Facebook, scritto di getto all’indomani della prova, ha confermato i miei sospetti, ovvero che la prova fosse composta per metà da argomenti trattati negli anni precedenti, perché la matematica «è una costruzione continua». Non entro nei dettagli, l’ha già fatto Davide, ma vorrei far notare come queste scelte mostrino, ancora una volta, l’importanza della geometria euclidea, anche solo come sostegno nell’affrontare gli esercizi: è un metodo di ragionamento, ma è anche un’arma in più che è fondamentale aggiungere al proprio arsenale lungo il percorso liceale.
La prova era fattibile, ma, certo, molto dipendeva dalle scelte del singolo: in questo, è fondamentale possedere una buona consapevolezza dei propri punti di forza e delle proprie debolezze, anche se si ha tutto il tempo per leggere con attenzione il testo. Se ci si limita a studiare meccanicamente i contenuti, nel corso del quinquennio, senza lasciare il tempo perché i contenuti si depositino, se non si sono recepiti fino in fondo i capisaldi della disciplina, allora non c’è modo di svolgere con serenità questa prova. Condivido, a questo proposito, una parte della chiusura del post di Davide, che ci parla della sua passione: «la matematica non è fatta di “capitoli” da studiare e dimenticare, ma è una costruzione continua, in cui ogni pezzo poggia o si intreccia coi precedenti, spesso in modo imprevedibile» ed è per questo, forse, che è tanto odiata. In classe, spesso, la paragono all’amica/o che, dopo che tu non ti sei fatto vivo per un po’, devi faticare a riconquistare, ma Davide va ben oltre, paragonando la costanza richiesta dalla matematica alla costanza necessaria per seguire una serie tv: «Vivetela in modo positivo, come scegliete di vivere una serie TV! Bramate di vedere l'episodio! Stoppate e riguardatelo più volte per scovare ogni dettaglio, ogni bellezza, ogni inaspettato Easter egg piazzato lì dall’autore! Desiderate con ardore l’uscita del nuovo episodio e incazzatevi se qualcuno lo ritarda! Siate tristi quando finisce una stagione, ma vivete anche con passione l’attesa della stagione successiva, per vedere cosa succederà, per capire quali colpi di scena ci saranno!»
Mi è piaciuto molto anche il commento di IlariaF Math: anche lei definisce la prova fattibile ed il suo commento è quello di chi ha corretto la prova come commissario esterno. «Ho apprezzato molto la presenza nel testo di citazioni dettate da matematici importanti per la storia» che «ci aiutano a capire che la matematica non cade dal cielo: è legata a uomini e donne che si sono chiesti il perché delle cose e con creatività ci hanno consegnato quello che oggi conosciamo della matematica».
Adeguarsi ai tempi
Parlare della seconda prova riconduce necessariamente a una riflessione didattica: al termine dell’anno scolastico, ho somministrato, con i colleghi delle classi parallele, una prova finale e ho avuto modo di rendermi conto di come uno studio a singhiozzo, che avviene solo in prossimità delle prove di verifica, non possa portare ad una reale assimilazione dei contenuti. Per questo motivo, anche il quesito numero 7 della seconda prova, riguardante l’equazione di un’ellisse, poteva sembrare al di fuori della propria portata, pur riconoscendone la semplicità, in quanto troppo lontano nel tempo. Ciò che mi ha colpito, osservando i risultati delle classi a me vicine, è stata la polarizzazione dei risultati: ci sono stati risultati eccelsi o risultati gravemente insufficienti, forse proprio per la differenza tra chi ha studiato con continuità nel corso del quinquennio e chi si è limitato ad accumulare sufficienze risicate.
Vi consiglio di leggere i commenti al post di Davide, perché offrono un’ampia riflessione. Tra di essi, si può trovare quello di Rocco Dedda, Un quarto d’ora con il Prof, che ribadisce un aspetto importante: «sulla didattica siamo a un bivio: gli studenti non apprendono, nel complesso, come facevamo noi, dalla nostra generazione a quelle precedenti. Credo sia tempo di accettarlo e di metterci, come categoria, completamente in discussione, se non vogliamo che i gap vengano colmati con la memoria e che inevitabilmente ci sia un calo nella difficoltà dei contenuti proposti». (Su RaiNews è possibile vedere una traccia della soluzione del secondo problema proposta da Rocco Dedda).
È interessante anche il video proposto da Federico Benuzzi La scuola deve (?) cambiare: non è direttamente legato alla prova di matematica della maturità, ma offre un interessante punto di vista, nell’ambito della didattica. Tutto parte da un video di Mirko Mazzon che sostiene che la scuola dovrebbe cambiare per adeguarsi all’evoluzione del mondo. Se da un lato è vero, dall’altro, secondo l’opinione di Federico Benuzzi (che io condivido) bisogna rivalutare l’importanza del tempo. Per poter accedere a certe competenze, per poter davvero imparare la matematica, è necessario concedersi del tempo. Se è vero che per la generazione precedente l’attesa è stata una necessità, è anche vero che la velocità di oggi ci ha portato a una riduzione dell’attenzione: «il fatto che siamo abituati a video brevi ha portato a far sì che l’attenzione quadratica media sia diventata quella di Dory la pesciolina: basta un attimo per distrarsi». La società sta cambiando, ma non sempre è necessario che la scuola si adegui a questo cambiamento, propendendo per il tecnologico a scapito di carta/penna o lavagna/gessetti. Il gesto di scrivere ci restituisce quella lentezza che abbiamo perso per strada e aiuta ciò che apprendiamo ad «essere introiettato in modo più efficace». (Già che parlo di Federico Benuzzi: è cominciata una nuova serie su YouTube, La matematica dei giocolieri)
La bellezza della matematica
La scelta di proporre delle citazioni nel testo della prova ha stupito: le citazioni sono di Ennio De Giorgi e di Godfrey Hardy, «nella prima la matematica è correlata al mistero della conoscenza, nella seconda alla bellezza». Un commento in proposito ci viene proposto dalle pagine di MaddMaths! scritto da Sandra Lucente: Sandra ha apprezzato le citazioni, e non solo perché una delle due era di De Giorgi, «uno dei pensatori del Novecento che ogni studente dovrebbe leggere». Oltre a riconoscere, in quella proposta, «una prova abbastanza standard», viene sottolineato come essa ripercorra il quinquennio non solo attraverso i contenuti, ma anche per il nuovo «approccio culturale alla matematica». Forse questo potrebbe costituire un ponte verso il futuro, un invito ad approfondire il pensiero di De Giorgi e a scoprire che la citazione è incompleta: «All’inizio e alla fine abbiamo il mistero. [Potremmo dire che abbiamo il disegno di Dio.] A questo mistero la matematica ci avvicina, senza penetrarlo». In realtà, parlare di mistero e basta in qualche modo ha concesso ad ognuno di noi la possibilità di una lettura personale facendo propria questa frase. È quello che è successo ad Alberto Saracco, intervistato a Radio3 Scienza nella puntata Fare i conti con la bellezza. Anche Alberto Saracco dichiara di aver avuto un’impressione positiva del compito e di avervi trovato una celebrazione della bellezza. E a chi protesta contro la difficoltà del testo, risponde con una citazione di John von Neumann: «Se le persone credono che la matematica non sia semplice, è soltanto perché non si rendono conto di quanto la vita sia complicata».
La matematica ovunque
La prova orale dell’Esame di Stato consiste nell’assegnazione di un documento, che può essere una fotografia, un’opera d’arte, una citazione o un articolo di giornale, al candidato, il quale deve costruire un percorso che colleghi le singole discipline oggetto d’esame al documento. In un liceo linguistico non è certo facile sentire degli approfondimenti di matematica, come avevo già avuto modo di notare l’anno scorso, perciò ho deciso di scegliere i mie collegamenti, quelli cioè che, in un modo ideale, mi sarebbe piaciuto sentir raccontare. Ho collegato la Rivoluzione russa a Igor Tamm, l’eterno ritorno di Nietzsche alle funzioni biunivoche, Dickens a Ian Stewart con il bellissimo Teorema di Natale di Fermat, Jane Eyre a Mary Everest Boole, Il ritratto di Dorian Gray a Godfrey Hardy, la dittatura alla democrazia impossibile, l’assurdo di Camus al suicido di Alan Turing… Ho costruito questi collegamenti in quattro diversi articoli, uno per ogni giornata d’esame, in maniera tale da fornire qualche spunto o semplicemente per permettere a chiunque di notare come la matematica sia davvero ovunque.
Matematica danzante per chiudere in leggerezza
Ho l’occasione di chiudere in bellezza questa newsletter: visto il ritardo nell’invio (l’articolo ha avuto una gestazione più lunga del previsto), posso condividere la nuova puntata di Matematica danzante pubblicata ieri. Dopo un lungo periodo di assenza, Raffaella Mulas ci ripaga dell’attesa parlando di Paul Erdős, con il suo stile tipico, ovvero con leggerezza e allegria. Paul Erdős è stato un matematico originale e unico, e, nel corso del video, scopriamo che il numero di Erdős di Raffaella Mulas è 3. Complimenti!
Buona matematica e buon cammino! Ci sentiamo tra TRE settimane!
Daniela
La quarta (e ultima, per la commissione di cui ho fatto parte) giornata di prove orali è stata in qualche modo caratterizzata dalla scoperta dell’arte, perché, considerata la mia abissale ignoranza in materia, non potevo che restare sorpresa dal coinvolgimento della matematica.
Il primo documento era un’immagine che contrapponeva comunismo e capitalismo: ho trovato un articolo di Pietro Greco, pubblicato per Il Bo live a maggio 2018, intitolato Marx, il matematico che non ti aspetti. Anche se poi, nel corso dell’articolo, leggiamo che Marx non può essere definito un matematico di «primaria grandezza», di fatto è stato l’autore dei Manoscritti matematici, pubblicati solo recentemente, ai quali ha lavorato per tutta la vita. Con questo testo si mostra «capace di penetrare i fondamenti della scienza dei numeri» e ha due obiettivi: il primo era di «fondare l’economia su solide basi matematiche», mentre il secondo era di «fondare il calcolo differenziale su solide basi concettuali», mostrando così di non voler relegare la matematica al ruolo di ancella dell’economia, ma di riconoscerne «il valore culturale in sé».
Il secondo e il quarto documento hanno avuto a che fare, entrambi, con l’arte. Il secondo documento era uno dei quadri di De Chirico della serie Piazze d’Italia, nello specifico era il quadro Presente e passato. Il primo link che ho visitato parlava, in realtà, di Paolo Uccello che nel Quattrocento rappresentava atmosfere surreali, attraverso una distorsione della prospettiva. De Chirico ha trovato, in Paolo Uccello, una fonte di ispirazione: come esponente della Pittura metafisica, visto che «aspira a superare i limiti del visibile e del reale», attraverso uno spazio ordinato, con scene nitidissime, fatte da oggetti e forme riconoscibili e collocati in uno spazio «delimitato dalle forme geometriche». È stato solo in un secondo momento che ho trovato l’opera Nostalgia dell’infinito, datata 1913, «caratterizzata da una forte enfasi dell’aspetto geometrico che mette in evidenza angoli e spigoli presenti, i quali arrivano a trasmettere all’osservatore, intento nella ricerca di un’interpretazione personale dell’opera stessa, un senso di distacco». Infatti, essendo l’infinito «non descrivibile tramite forme e linee, che lo ingabbierebbero inevitabilmente», con questa rappresentazione De Chirico regala una sensazione di amarezza e rammarico: la nostalgia, appunto! E qui, il collegamento è davvero semplice, visto che l’analisi, oggetto di studio del quinto anno, è pervasa dall’infinito.
Il quarto documento è stato Il volto della guerra di Salvador Dalì e ho trovato un articolo davvero interessante di Silvia Benvenuti, pubblicato su MaddMaths!, Genio e sregolatezza: le passioni matematiche di Salvador Dalì. L’autrice esordisce dicendo «di voler sostenere che la matematica può essere, oltre che un valido supporto tecnico per gli artisti, anche un eccezionale stimolo creativo». La citazione di Dalì, riportata subito dopo, pare sostenere proprio questa tesi: «Devi, soprattutto da giovane, usare la geometria come guida alla simmetria nella composizione delle tue opere. So che i pittori più o meno romantici sostengono che queste impalcature matematiche uccidono l’ispirazione dell’artista, dandogli troppo su cui pensare e riflettere. Non esitare un attimo a rispondere loro prontamente che, al contrario, è proprio per non aver da pensare e riflettere su certe cose, che tu le usi.» I bozzetti preparatori mostrano proprio l’importanza di fissare alcune proporzioni, ma visto che si tratta di un grande artista, Dalì non si limita alla sezione aurea, dominio di tutti, va ben oltre. Troviamo, quindi, la topologia nella Persistenza della memoria, la quarta dimensione in Corpus Hypercubicus, e poi la teoria delle catastrofi. Dalì «è stato profondamente affascinato dalla matematica durante tutta la sua vita, e le sue opere riflettono in modo molto profondo questa passione», che, grazie ai suoi studi e alle amicizie matematiche, conosceva bene.
Chiudo questa rassegna di diciotto collegamenti un po’ fuori dagli schemi con una citazione di Albert Camus, tratta da Il mito di Sisifo: «L’absurde dépend autant de l’homme que du monde. Il est pour le moment leur seul lien» (traduzione di Google: L’assurdo dipende tanto dall’uomo quanto dal mondo. Per il momento è il loro unico legame). Per cercare di farmi un’idea, ho setacciato il web (come al solito): «In questa opera Camus negando qualsivoglia valore a un significato trascendente alla vita e al mondo, riconosce come assurda l’esistenza: senza un significato l’esistenza è irrazionale ed estranea a noi stessi. Resta dunque il suicidio», che però non risolve il problema, e non resta altra soluzione se non la “sopportazione”. In un primo momento, ho pensato alla dimostrazione per assurdo, ma mi è parso il collegamento citato all’inizio di questo percorso della resistenza partigiana con la resistenza elettrica, perciò ho cercato di andare oltre. L’idea del suicidio mi ha portato alla vicenda di Alan Turing, del quale, proprio pochi giorni fa, è stato celebrato il settantesimo anniversario della morte. Per celebrare l’avvenimento, Il Post ha proposto un articolo sul grande genio, protagonista della decodifica dei messaggi di Enigma durante la Seconda guerra mondiale, ma anche autore di un importante articolo del 1950, nel quale si pone un’importante questione: «Le macchine possono pensare?». Il test che porta il suo nome è diventato un punto di riferimento per chi si occupa di intelligenza artificiale ed è un problema quanto mai attuale, soprattutto per noi insegnanti che siamo chiamati a distinguere l’operato dei nostri alunni dall’opera di ChatGPT. Se non abbiamo grandi speranze in tal senso, stando a un articolo di Nature del luglio scorso, non ci resta altro da fare che investire le nostre energie su altro: ad esempio, a far nascere una passione…
Terza giornata di prove orali: L'esame che amerei
La giornata di oggi è stata dominata dai grafici e, devo riconoscerlo, sono uno strumento effettivamente semplice ed evitano ai candidati collegamenti fantasiosi che suonano un po’ come un’arrampicata libera sugli specchi. Il primo grafico è collegato alla celebre frase di Nietzsche “Dio è morto” e rappresenta la distribuzione delle religioni nel mondo. Personalmente, mi sarebbe piaciuto sentir parlare della dimostrazione dell’esistenza di Dio di Gödel, o forse si sarebbe potuta aprire una riflessione, visto l’impazzare di ChatGPT, a partire dall’articolo, ormai datato, di MaddMaths! E questa prova ontologica dell’esistenza di dio? nel quale si racconta che Christoph Benzmüller dell’Università di Berlino e Bruno Woltzenlogel Paleo dell’Università di Vienna hanno verificato, con theorem provers, la prova ontologica, che di fatto è un esercizio di logica modale. Questa verifica «offre un ulteriore spunto al tentativo di formalizzare mediante linguaggi meccanici i metodi e le strategie del ragionamento matematico».
Anche il secondo argomento proposto aveva a che fare con dei grafici: in questo caso, si trattava della concentrazione della ricchezza in Italia e nel mondo, e i due grafici accompagnavano un piccolo estratto de I malavoglia di Giovanni Verga. Il grafico è stato riportato, nel dicembre 2017, sul quotidiano Avvenire: si riferisce al periodo 1995/2013 ed evidenzia l’aumento delle diseguaglianze sociali, secondo la ricerca di Salvatore Morelli, dell’Unità di studi sulle diseguaglianze dell’Università di New York, Paolo Acciari del ministero dell’economia, e Facundo Alvaredo, della Paris School of Economics.
Il terzo documento ha aperto una strada più interessante: si parla di Futurismo e l’opera presentata è Il dinamismo dell’automobile di Luigi Russolo, mentre l’articolo è stato pubblicato su MaddMaths! e porta la firma di Roberto Natalini. Nel 1940 Marinetti ha scritto il Manifesto della “Matematica futurista”, con la collaborazione del matematico Marcello Puma, e ha acquisito «la sintesi delle nuove matematiche discusse nei primi venticinque anni del Novecento, rivalutando i principi della probabilità, della casualità, del caos e la teoria dei giochi». All’inizio del XX secolo, la comparsa della tecnologia ha generato un cambiamento nell’arte, il Futurismo, ma ha generato un cambiamento anche nella matematica, che diventa «una matematica di guerra», mostrandosi come una «forza terribile» che «può dare un aiuto incomparabile». Siamo alla fine degli anni Venti e nasce l’Istituto per le Applicazione del Calcolo: il lavoro di Mauro Picone, del quale l’istituto porta il nome, permette il passaggio da un universo matematico a priori (quello ipotizzato da Galileo Galilei) a un universo da matematizzare attraverso i modelli.
L’ultimo documento della mattinata è stato scelto per lingua e letteratura spagnola: si parla della dittatura franchista e non può mancare il riferimento al libro di Chiara Valerio La matematica è politica, presentato da Il Sole 24 ore, dove si parla della matematica come di uno degli strumenti più equi nell’esercizio della democrazia. Ma per quanto sia equo, non riesce a evitare il paradosso, presentato da Marco Menale dalle pagine di MaddMaths! Si tratta del teorema di Kenneth Joseph Arrow, pubblicato nel 1957, che ci obbliga a notare che «l’unico sistema decisionale democratico sarebbe la dittatura». La conclusione, inevitabile, di Marco Menale è un po’ amara: «Ogni sistema di scelta maggioritario è in realtà un gioco non banale nel senso matematico, in cui la soluzione potrebbe non essere la migliore possibile, ma solo la meno sgradita ai più.»
Seconda giornata di prove orali: L'esame che vorrei
Quarta giornata di prove orali: L'esame che... sorprende
Il secondo giorno di prove orali dell’Esame di Stato non è stato meno ricco di spunti del primo.
Al primo candidato è stata proposta la raccolta di novelle Vita dei campi di Giovanni Verga: non ho trovato collegamenti tra Verga e la matematica (il che non esclude che ci siano), ma Verga viene sempre associato a Charles Dickens (e in effetti anche il candidato ha virato subito dopo sulla letteratura inglese). Nella ricerca di collegamenti tra Dickens e la matematica, mi sono imbattuta in un articolo di Brittany Carlson, dell’Università della California, che paragona il blocco dello scrittore all’ansia per la matematica, che spesso si esprime nel guardare impotenti un problema, senza riuscire a trovare un approccio. Nonostante la sua amicizia con Charles Babbage e Ada Lovelace, Dickens non aveva una buona opinione della matematica: nutriva un certo sospetto nei confronti di questa disciplina, soprattutto per l’uso che ne era stato fatto nelle statistiche, che avevano portato a deumanizzare e depersonalizzare i meno abbienti, appiattendo la situazione: la sua riprovazione è rivolta alle New Poor Laws del 1834, ma ha da ridire anche sull’educazione matematica, visto che non accettava che fosse insegnata, nel XIX secolo, usando la memorizzazione. Nella mia ricerca, ho trovato anche un articolo pubblicato sul numero 268 di Le Scienze, nel dicembre 1990, e riproposto nel 2012: è intitolato Il Teorema di Natale di Fermat ed è stato pubblicato nella rubrica L’angolo matematico di Ian Stewart. La lettura è davvero divertente: si tratta di un Canto di Natale modificato, con un Mister Stooge (=fantoccio) come protagonista (al posto di Scrooge=Tirchio), che incontra il Fantasma dei Teoremi del passato, il Fantasma delle Intuizioni future e il Fantasma delle Dimostrazioni presenti. Costellato da una serie di curiosità matematiche, a partire dai fattoriali e dai frattali, fino al “moduloscopio” che modifica i numeri, accarezza la Congettura di Fermat (nel 1990 non era ancora l’Ultimo Teorema), fino ad arrivare a Minkowski, alla relatività einsteiniana e alla “geometria dei numeri”.
Il secondo candidato si è visto proporre il romanzo Jane Eyre, di Charlotte Bronte, nel quale i temi sono l’amore, l’indipendenza e la figura della donna in epoca vittoriana. Ho trovato un articolo comparso sul numero 9 di Prisma, nel luglio 2019, scritto da Paola Magrone e Ana Millán Gasca, autrici del libro I bambini e il pensiero scientifico, che ha per protagonista Mary Everest Boole, una donna in epoca vittoriana. Moglie di George Boole e nipote di George Everest, «fece della ricerca della verità il filo conduttore della sua vita». Avrebbe potuto studiare matematica a Cambridge, ma, come sentì dire dal padre: «Che cosa può fare una ragazza studiando matematica?». È di fatto costretta a formarsi autonomamente, dimostrando una grande determinazione. Il marito dà un grande contributo al suo percorso, tributandole molta stima, come mostrato dalla lettera scritta ad Augustus de Morgan: «Non c’è assolutamente nessuna persona [in Irlanda] con cui io discuta di logica eccetto mia moglie». L’obiettivo di Mary Everest Boole era di formare i bambini al pensiero scientifico per avere adulti migliori, mostrando le difficoltà della scienza per farla amare, consapevole che una semplificazione eccessiva avrebbe annoiato i bambini, smorzandone la passione.
Il terzo documento è stato preso dal sito Our World in data e si tratta di una serie di tre grafici, proposti dagli economisti Branko Milanovic e Christoph Lakner, che mostra la storia della disuguaglianza economica globale. «Ciò che più conta per stabilire quanto tu sia sano, ricco e istruito, non è chi sei, ma dove sei», è dichiarato in apertura dall’autore dell’articolo Max Roser. I grafici mostrano una situazione di povertà nel 1800, che evolve in una grande disparità nel 1975, fino ad arrivare al 2015, quando l’estrema povertà è crollata come mai prima d’ora.
Il quarto collegamento è stato davvero inaspettato: si parla di letteratura spagnola, che non conosco molto, e protagonista è l’opera di Rafael Alberti. Prima ho trovato la poesia Alla divina proporzione, contenuta nella raccolta Poesie dell’esilio e dell’attesa, probabilmente scaturita dalla lettura della Divina proportione di Luca Pacioli del 1509. Si tratta di un sonetto che, come viene ribadito nel blog Literary, è la «forma poetica rinascimentale simbolo per eccellenza di perfezione metrica lucida e ragionata su parametri matematici non solo nel computo sillabico dell’endecasillabo, ma anche nello schema prosodico in seno a ogni verso». La cosa simpatica è che, letta nella lingua originale, presenta in apertura di strofa “A ti”, che crea un’assonanza con phi, il simbolo della sezione aurea. Cercando ulteriori conferme, sono approdata al blog di Marco Fulvio Barozzi, Popinga, che propone El ángel de los números, dalla raccolta Sobre los angeles del 1928, «in cui affiorano i ricordi di scolaro affascinato dal freddo suono del gesso sulla lavagna e dall’azione del cancellino sulle parole e sui numeri».
La mattinata si è davvero chiusa in bellezza con il documento che rimandava al celebre Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde. Complice la citazione presente nella prova di matematica dell’Esame di Stato del liceo scientifico («Le forme create dal matematico, come quelle create dal pittore o dal poeta, devono essere belle: le idee, come i colori o le parole, devono legarsi armoniosamente. La bellezza è il requisito fondamentale: al mondo non c’è posto perenne per la matematica brutta!»), ho subito pensato al matematico Godfrey H. Hardy. Cercando sul web, mi sono imbattuta nel blog Robiland, che riporta una descrizione del matematico, stralciata dal libro di Robert Kanigel L’uomo che vide l’infinito, pubblicato nel 2003 per Rizzoli. In apertura del quarto capitolo, dedicato ad Hardy, Kanigel scrive: «Era oggetto di studio sull’eterna giovinezza. Un giorno della primavera del 1901, Hardy portò l’amico Lytton Strachey nel prato privato dietro il Trinity College, cui aveva accesso in quanto fellow del college, per una partita a bocce. “È il genio matematico per eccellenza” scrisse Strachey a sua madre “e ha l’aspetto di un bambino di tre anni.” Persino dopo aver superato i trent’anni, Hardy si vedeva spesso rifiutare la birra e almeno una volta, mentre pranzava con altri docenti del Trinity, venne scambiato per uno studente.» Direi che non potrebbe esserci esempio migliore, soprattutto perché L’apologia di un matematico (citata appunto nella seconda prova di matematica) permette una chiusura (di questo articolo) provocatoria: «La matematica greca è “perenne”, ancora più della letteratura greca. Archimede sarà ricordato quando Eschilo sarà dimenticato, perché le lingue muoiono ma le idee matematiche no. “Immortalità” forse è una parola ingenua, ma un matematico ha più probabilità di chiunque altro di raggiungere quello che questa parola designa.»
Prima giornata di prove orali: L'esame che farei
Terza giornata di prove orali: L'esame che amerei