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Mercoledì, 31 Luglio 2013 21:12

L'infinito

TRAMA:
Nella realtà del mondo fisico, nulla parla d’Infinito: lo spazio, il tempo, la massa, il numero delle cariche subnucleari… si tratta di cose immense, di numero elevatissimo, ma non infinito. Eppure l’intelletto umano concepisce l’Infinito e ne subisce il fascino. Il posto d’onore, nell’indagine sull’Infinito spetta a Georg Cantor: “è lui che ha saputo trovare le chiavi di quello che il grande matematico David Hilbert definì il paradiso di Cantor”. 
Quest’avventura intellettuale è raccontata da Zichichi con una favola: in un luogo ed un tempo imprecisati, un Imperatore escogitò un nuovo metodo per rifornire di denaro le sue casse, dichiarando vincitore di un concorso colui che avesse raggiunto il massimo numero di cose in suo possesso. Qualsiasi cosa fosse. Il valore era irrilevante. In questo modo l’Imperatore avrebbe misurato la ricchezza dei suoi sudditi. Alla chiusura del concorso, i contabili dell’Imperatore non riuscirono a stabilire se fossero di più i cubetti d’oro del conte Alberto, le pietre preziose del Marchese Augusto o i numeri del notaio don Luigi. La principessa Cristina risolse il problema confrontando i tre numeri tramite una corrispondenza biunivoca: la conclusione fu che il premio andasse distribuito ex-aequo ai tre. Con loro la Principessa fondò una nuova accademia, il cui principale argomento di discussione era l’Infinito ed il confronto fra i vari livelli di Infinito.
Proseguendo nel ragionamento, i tre giunsero al teorema di Gödel, ovvero alla dimostrazione che non ci può essere certezza… nemmeno in matematica! Si era sempre creduto che un teorema potesse essere o vero o falso: in realtà, ci sono teoremi dei quali non è possibile decidere se siano veri o falsi. 
Il cammino verso l’Infinito viene poi sintetizzato da Zichichi in venti tappe, dalla comparsa dell’uomo sulla terra fino alla scoperta della matematica non cantoriana, da parte di Paul Cohen nel 1963. Il cammino si snoda tra la nascita della logica nel VI secolo a.C., la nascita dei numeri irrazionali e la scoperta delle infinite frazioni di uno da parte di Zenone, fino ad arrivare alla possibilità dell’Infinito Potenziale di Aristotele e all’infinità dei numeri primi da parte di Euclide. Galilei scopre che una parte è equivalente al tutto, nel caso dell’Insieme Infinito dei numeri interi, ma se ne lascia spaventare. È Cantor a scoprire i diversi livelli di Infinito e a proporre l’Ipotesi del Continuo, secondo la quale non esistono livelli intermedi di infinito tra “aleph-zero” e “aleph-uno”. Tale Ipotesi primeggia nell’elenco dei problemi matematici da risolvere proposti da Hilbert nel 1900, ma con la scoperta di Gödel del crollo della certezza, essa sembra non avere soluzione.
 
COMMENTO:
Zichichi non delude… come sempre! La favola ripercorre le varie tappe del cammino umano, che hanno portato a parlare di Infinito in maniera sempre più competente. Il libro è ottimo soprattutto per i ragazzi di quinta superiore, visti i molti riferimenti anche alla filosofia. 
È semplice e simpatico, soprattutto nelle prime due parti. Un po’ più complessa la terza parte.
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Mercoledì, 31 Luglio 2013 21:10

Il riso di Talete

TRAMA:
Proprio all’inizio del pensiero occidentale esplode una sonora risata di scherno nei confronti della scienza, quella della servetta tracia che vide Talete camminare a testa alta guardando le stelle e cadere in una buca. Talete è diventato l’archetipo dello scienziato ed “è ricordato in continuazione nella storia del pensiero occidentale con quell’aneddoto, che nelle sue varianti esprime i diversi atteggiamenti che si sono alternati o ripetuti nei confronti della ricerca del sapere”. Eppure, un sorriso incredulo e ironico è la reazione più comune all’accostamento tra matematica e umorismo: fa ridere l’idea che la matematica possa far ridere. L’immagine diffusa del matematico, infatti, è piuttosto deprimente: per il matematico e le sue creazioni sembra che l’unica descrizione popolare sia quella dei robot!
La matematica può essere oggetto di umorismo, attraverso barzellette, nelle quali i matematici dimostrano di non essere adatti alla vita quotidiana, emergendo dalle fantasticherie che inseguono nei loro pensieri, e aneddoti, spesso veri, nei quali la caratteristica più frequentemente messa in risalto è la distrazione, vista come complemento di una concentrazione eccezionale. I matematici stessi a volte producono umorismo, usando i particolari tecnici o i modi di dire e i vezzi tipici della professione. 
Esiste addirittura un settore di attività matematica connesso all’umorismo: i giochi matematici. Mentre le barzellette le capiscono solo i matematici, i giochi sono principalmente rivolti a fruitori non matematici, che però non si accorgono di fare matematica. Non sembrano diversi dai normali esercizi, ma divertono, perché rappresentano una sfida e la soluzione di solito presenta un elemento di sorpresa.
I caratteri dei giochi messi in luce si possono riassumere in una parola: creatività. Tale potenza creativa emerge in molte dimostrazioni che percorrono una via che non sembrerebbe matematica secondo l’immagine stereotipata, grazie anche alla rottura della fissità funzionale. 
Le opinioni su quale sia il ruolo dei paradossi divergono, ma nella storia ci sono stati diversi periodi in cui l’attenzione per i paradossi è stata molto viva. Non sembra possibile individuare un tipo unico di paradossi, anche se alcuni ingredienti sono costanti. Quello che accomuna tutti i paradossi è l’aspetto divertente, perché si tratta di sorprese.
Ne vengono elencati alcuni tipi:
  1. Paradossi del senso comune, che non bisogna essere troppo facilmente disposti a considerare paradossi. Alcune conseguenze delle moderne teorie fisiche, ad esempio, sono considerate paradossi.
  2. Paradossi della percezione, come le figure impossibili, le illusioni ottiche…
  3. Paradosso di Parmenide: il primo paradosso, quello che forse è alla base di ogni altro, ovvero il paradosso del non essere. Tale paradosso va inquadrato nell’evoluzione della lingua greca.
  4. Paradossi dell’autoriferimento, come il paradosso dell’ipocondriaco, la cui malattia consiste nell’aver paura di essere ipocondriaco.
  5. Paradossi di Zenone, il quale mostra che la molteplicità produce effetti contraddittori.
  6. Paradosso del sorite, ovvero quanti granelli di sabbia fanno un mucchio (sorite)?
  7. Paradosso del mentitore: è il paradosso per antonomasia: “Io sto mentendo”.
  8. Paradossi della decisione: il coccodrillo dice che mangerà il bambino se e solo se la madre non indovina che cosa il coccodrillo farà.
  9. Paradossi della probabilità, connessi ai giochi d’azzardo: dimostrano che il senso comune non ha niente a che vedere con la probabilità anzi sono quasi sempre in opposizione.
  10. Paradossi matematici: si distinguono dai precedenti, perché in generale c’è qualcosa da fare per neutralizzarli.
  11. Paradossi dei fondamenti, ovvero quei paradossi che sono venuti fuori all’inizio del secolo nel contesto della riflessione sui fondamenti della matematica.
 
COMMENTO:
Per alcuni passaggi complessi e riferimenti elaborati, il libro è forse più per gli addetti ai lavori e per coloro che hanno una cultura matematica abbastanza solida. La prima parte è più scorrevole rispetto alla seconda, che si riduce ad una noiosa elencazione dei diversi tipi di paradossi. Alcune volte i paradossi non sono spiegati molto bene, come se nemmeno l’autore ne avesse chiara la valenza.
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Mercoledì, 31 Luglio 2013 21:08

La crisalide e la farfalla

TRAMA:
Nella storia, si può subito constatare che ricorrono sempre i nomi delle stesse donne, con poche varianti: Ipazia, che fu uccisa nel 415 d.C. dai fanatici seguaci del vescovo Cirillo di Alessandria; Pandrosia, che richiama l’attenzione sul ruolo delle donne, che insegnavano matematica nell’antichità; Mme Du Châtelet, che ha il merito di aver tradotto e curato l’edizione di Newton in Francia; Maria Gaetana Agnesi, che rientra nella storia della diffusione del calcolo infinitesimale in Italia; Caroline Herschel, esempio di una completa abnegazione, visto che per quarant’anni lavorò per il celebre fratello astronomo; Sophie Germain, protetta da Lagrange, ebbe una corrispondenza con Gauss, che la ammirava molto; Augusta Ada King Byron, contessa di Lovelace, famosa perché diede il suo appoggio a Babbage per la costruzione della macchina analitica (linguaggio di programmazione Ada); Sof’ja Kovalevskaja, prima donna europea dopo il Rinascimento a conseguire una laurea in matematica; Grace Chisholm Young, l’allieva preferita da Klein; Emmy Noether, che ha aperto una nuova era in fisica e nelle relazioni tra fisica e matematica.
Anche le donne che per prime hanno raggiunto una meritata fama, nella seconda metà del secolo, registrano tutte nella loro carriera ostacoli, ostilità e umiliazioni: Julia Robinson, prima donna presidente della American Mathematical Society, ha dovuto superare non poche difficoltà; Mabel J. Barnes si sentì dire di rendersi il meno visibile possibile, perché a Princeton non erano abituati a veder girare le donne; Olga Taussky Todd raccomandava alle studentesse di non fare la tesi con lei, perché la tesi fatta con una donna sarebbe stata poco considerata; Pia Nalli fu gratuitamente sospettata di essersi fatta scrivere i propri lavori dal maestro Bagnera, anche dopo la di lui morte. 
Il presente potrebbe sembrare roseo a giudicare dai riconoscimenti pubblici, ma considerando gli inviti ai congressi, ad esempio, la situazione appare decisamente diversa. È fuor di dubbio che le carriere delle donne rispetto a quelle degli uomini sono più lente e raggiungono livelli inferiori. I professori, gli amministratori, gli studenti stessi sono più esigenti nei confronti delle donne, che finiscono per avere scarsa fiducia in se stesse e tendono a svalutare il proprio lavoro. Proprio per questo motivo l’età in cui le donne producono i loro migliori lavori è mediamente di dieci anni più avanzata rispetto a quella degli uomini. 
A livello scolastico, le donne hanno una resa significativamente superiore ai maschi, ma sembrano non emergere ai test attitudinali. Questo dato, comunque, è statisticamente significativo solo in alcuni paesi, inoltre in studi più rigorosi non emerge alcuna chiara indicazione di inferiorità o superiorità.
Fortunatamente, nessuno crede più, come nell’Ottocento, che man mano che si sviluppa il cervello, si atrofizzino le ovaie o che le donne di genio presentino frequentemente caratteri maschili: non si è trovato finora alcun determinante neurobiologico o genetico del vantaggio maschile, ammesso che ci sia, in matematica.
Le osservazioni sull’ambiente ostile e sulle discriminazioni sono ormai accettate da tutti, così come la necessità di azioni volte a rimuoverle. Se le donne continuano a sentirsi estranee in questo mondo, forse dipende da come esso è fatto: infatti, il pubblico generico vede la matematica come un fatto maschile e la comunità matematica stessa alimenta questa idea. La matematica appare come un insieme di regole e tecniche da applicare rigidamente e ciecamente, mentre le donne sono particolarmente disposte a sottolineare in ogni occasione l’aspetto emotivo del loro impegno. 
Forse l’unico modo per aumentare il numero di donne matematiche potrebbe essere quello di convincerle che la matematica è un’occupazione degna di loro, che è bella, che “è un investimento di passione, non un rifugio per la timidezza”.
 
COMMENTO:
Interessante e coinvolgente, tocca molti aspetti della discriminazione delle donne. Non è rivolto, quindi, solo ad amanti della matematica: la matematica è il punto di partenza, è lo spunto per parlare di un problema che è ancora attuale, nonostante le ribellioni del femminismo.
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Mercoledì, 31 Luglio 2013 21:05

Apologia di un matematico

TRAMA:
Secondo la presentazione di Snow, l’Apologia è un libro di una tristezza ossessionante anche se spiritoso e ricco di acume intellettuale. È il testamento di un artista creativo, l’appassionato lamento per la perdita di un potere creativo che c’era e che non tornerà più. Durante gran parte della sua vita, Hardy fu più felice della maggior parte di noi: la matematica era la sua ragione d’essere e forse fu proprio per questo che la tristezza lo colse solo verso la fine: quando si rese conto di essere in declino, di non riuscire più ad avere interesse per qualche cosa, tentò il suicidio, facendo una scelta perfettamente cosciente.
All’inizio dell’Apologia, Hardy dichiara di aver deciso di scrivere sulla matematica, perché, avendo superato la sessantina, sente di non avere più la capacità di continuare produttivamente nel suo lavoro. “Mi interrogherò sul vero valore di uno studio serio della matematica e sulla possibilità di giustificare una vita interamente consacrata a essa”.
Si propone di rispondere alla domanda se valga veramente la pena di dedicarsi alla matematica. Riconosce che le più grandi imprese dell’uomo hanno avuto come forza trainante l’ambizione e la matematica ispira il lavoro di ricerca che ha più probabilità di soddisfare la curiosità intellettuale, l’orgoglio professionale e l’ambizione stessa.
Uno dei requisiti fondamentali della matematica è la bellezza. Per definirla in qualche modo, basti sapere che per essere bella “una buona dimostrazione deve assomigliare a una costellazione semplice e nettamente delineata, non a un ammasso stellare”.
La migliore matematica non solo è bella, è anche seria. Per serietà si intende la significatività delle idee matematiche che il teorema mette in relazione: un teorema matematico serio porterà molto probabilmente grandi progressi non solo in matematica, ma anche nelle altre scienze. Per essere significativa, un’idea matematica deve essere generale, ovvero essere un elemento costitutivo di numerose costruzioni matematiche e profonda.
Per quanto concerne l’utilità della matematica: se per utilità intendiamo l’accrescere il “benessere materiale e fisico degli uomini”, favorendo la felicità, allora la matematica è utile in questo senso. Ma se intendiamo l’utilità dell’ingegneria o della medicina, solo una parte della matematica elementare risulta utile. Questa parte della matematica in complesso è piuttosto noiosa ed è proprio quella che ha minore valore estetico.
In altre parole, “non è possibile giustificare la vita di nessun vero matematico professionista sulla base dell’utilità del suo lavoro”. Eppure, ciò che è soprattutto utile della matematica è la tecnica e la tecnica matematica si insegna soprattutto attraverso la matematica pura: il matematico puro sembra essere in vantaggio sia sul piano pratico che su quello estetico. Inoltre, “quando il mondo impazzisce, il matematico può trovare nella matematica un rimedio incomparabile”.
 
COMMENTO:
Molto bella la presentazione di Snow, che aiuta a capire l’autore insieme all’opera. Questo libro mi ha molto coinvolta. Ho trovato molto difficile riassumerlo: avrei dovuto riscriverlo, per non perderne nemmeno una riga.
L’ho letto già due volte, ma credo che lo leggerò ancora e con grande piacere.
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Mercoledì, 31 Luglio 2013 20:17

L'uomo che amava solo i numeri

TRAMA:
Erdős nacque a Budapest il 26 marzo 1913. Figlio di due insegnanti di matematica delle superiori, divenne un asso con i numeri quando ancora faceva i primi passi. Lasciò l’Ungheria per la prima volta nel 1934, sotto la dittatura di Horthy e andò in Inghilterra per una borsa post-laurea: i quattro anni passati a Manchester furono, per quanto riguarda la matematica, un bel periodo, nonostante la grande nostalgia. 
Nel 1943, Ulam invitò Erdős ad unirsi allo sforzo bellico a Los Alamos, dove stavano costruendo armi atomiche. Erdős scrisse per dare la propria disponibilità, ma, avendo voluto sottolineare che c’era la possibilità che dopo la guerra tornasse a Budapest, non venne accettato. Gli piaceva provocare le autorità. 
Ottenne poi un part-time alla Purdue University: in questa occasione, i suoi colleghi scoprirono che aveva una profonda cultura anche al di fuori dell’ambito matematico. 
Nel 1948, per la prima volta dopo dieci anni, tornò a Budapest. Per Erdős fu un viaggio dolce e amaro allo stesso tempo, ma dovette ripartire in tutta fretta, quando Stalin cominciò a chiudere le frontiere. Fece la spola fra Stati Uniti e Inghilterra, ma quando, nel 1954, venne invitato ad un convegno di matematica ad Amsterdam, gli Stati Uniti non gli diedero il permesso di rientro. A quanto pare, le autorità statunitensi temevano che le lettere a un teorico dei numeri cinese, piene di impenetrabili simboli matematici, potessero essere messaggi cifrati. 
Erdős non era uomo da accettare che gli ponessero vincoli, perciò partì per Amsterdam. Sempre ottimista, si aspettava che i paesi dell’Europa occidentale sarebbero stati più gentili degli Stati Uniti e pensava che lo avrebbero lasciato viaggiare senza problemi. Ma trovò ostacoli anche in Europa.
Nel 1963, finalmente gli fu concesso di rientrare negli Stati Uniti e l’anno successivo la madre, seppur ottantaquattrenne, cominciò a viaggiare con lui. Viaggiare non le piaceva, ma voleva stare con lui: non faceva che preoccuparsi della salute del figlio e anche della sua sicurezza fisica. La madre morì nel 1971: subito dopo Erdős cominciò a prendere un sacco di pillole, prima antidepressivi e poi anfetamine. S’immerse nel lavoro per diciannove ore al giorno, sfornando saggi su saggi, destinati a mutare il corso della storia della matematica. A sua madre continuò a pensare per tutto il resto della sua vita.
L’aspetto stanco e malato di Erdős ingannò i suoi amici a lungo. Negli anni Quaranta, i suoi colleghi pensavano che la sua salute fosse così fragile che non sarebbe vissuto a lungo. Aveva un’aria debole e sembrava sempre malato. Solo negli ultimi dieci anni di vita diversi problemi di salute fecero perdere a Erdős un po’ della sua energia, anche se continuò a lavorare a un ritmo che, paragonato a quello degli altri matematici, era frenetico.
Morì il 20 settembre 1996. Il servizio funebre ufficiale fu uno dei più imponenti cui si fosse mai assistito in Ungheria. Vi presero parte oltre cinquecento persone, come se fossero stati i funerali di un capo di stato. 
Nel marzo del 1997, all’Università di Memphis, ci fu la 919^ Assemblea dell’American Mathematical Society. Questo convegno coincideva con il compleanno di Erdős e l’organizzatore invitò tutti a fermarsi a casa sua per una “festa dei sopravvissuti”. I più di 200 matematici convenuti si scambiarono aneddoti su Erdős. Ne emerse il profilo di un uomo che era sì un disastro nelle cose materiali, ma sempre gentile con la gente, pieno di attenzioni verso i bisognosi.
Prima di morire, Erdős riuscì a pensare a più problemi di qualunque altro matematico della storia: scrisse da solo o in collaborazione 1475 saggi accademici, collaborò con più persone di qualunque altro matematico della storia (ben 485) dimostrando che la matematica non è soltanto un gioco da ragazzi. Strutturò la sua vita per massimizzare il tempo da dedicare alla matematica. Si muoveva per quattro continenti a un ritmo frenetico, spostandosi da un’università o un centro di ricerca all’altro. 
Nel campo della matematica, lo stile di Erdős era di grande curiosità, uno stile che applicava a qualunque altra cosa cui si trovasse di fronte. Parte del suo successo di matematico veniva dalla tendenza a porre domande di base, a ponderare criticamente quanto altri davano per stabilito.
Erdős rinunciò al piacere fisico e ai beni materiali per una vita consacrata alla scoperta della verità matematica: per lui la matematica era un’ancora di salvezza in un mondo che egli, anche se credeva nella bontà e nell’innocenza delle persone comuni, considerava crudele e senza cuore. 
I numeri primi erano gli amici intimi di Erdős e il suo acume in materia di primi era tale che, a sentire di un nuovo problema al riguardo, spesso non tardava a superare chi aveva passato molto più tempo a pensarci. La più grande vittoria sui numeri primi Erdős la ottenne nel 1949, anche se non amava parlarne, perché fu anch’essa una vittoria inquinata da polemiche. Gauss aveva proposto una formula che descriveva la distribuzione statistica dei numeri primi ed essa era stata dimostrata nel 1896. Ma nel 1949 Erdős e Selberg ne diedero una dimostrazione elementare: a causa di un malinteso, si scatenò una battaglia per la priorità. Le battaglie per la priorità non sono rare in matematica, ma nel condividere idee matematiche con dei colleghi, Erdős era di una generosità rara. Il suo obiettivo, infatti, anche a detta dei suoi colleghi, era che qualcuno dimostrasse qualcosa, con lui o senza di lui: in questo modo, contribuì enormemente alla matematica. 
Erdős rimase sostanzialmente fedele ai campi della matematica in cui eccellono i bambini prodigio, il che non significa che i suoi interessi matematici fossero angusti: ha aperto interi nuovi campi della matematica. La sua specialità consisteva nel venir fuori con soluzioni brevi e brillanti. Era l’esperto della soluzione di problemi: finché fossero rimasti problemi da risolvere, non avrebbe mai abbandonato la lotta. Il suo stile consisteva nel lavorare su molti problemi contemporaneamente con colleghi sparsi ai quattro angoli del globo.
Una delle aree della matematica in cui Erdős è stato un pioniere è un settore filosoficamente affascinante del calcolo combinatorio detto teoria di Ramsey. L’idea sottesa a tale teoria è che l’assoluto disordine è impossibile. Graham, suo intimo amico, ritiene che possano passare secoli prima che gran parte del lavoro suo e di Erdős nella teoria di Ramsey trovi significative applicazioni in fisica, ingegneria o in qualunque ambito del mondo reale.
 
COMMENTO:
Interessante excursus attraverso la storia della matematica, vista dagli occhi di uno dei più grandi matematici. Lettura scorrevole e semplice anche per i non addetti ai lavori. 
L’aspetto interessante è il fatto che, accanto alla storia della vita di Erdős, ci sono anche ampi brani riguardanti la storia della matematica, dalla soluzione dell’Ultimo Teorema di Fermat alla vita del migliore amico di Erdős, Graham, con il quale collaborò per gran parte della sua vita.
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Mercoledì, 31 Luglio 2013 19:54

Il computer di Dio

TRAMA:
Molti stentano a credere che la matematica possa essere accomunata alle discipline umanistiche, ma in realtà sono due visioni complementari di una stessa realtà. La matematica collega i due mondi, essendo umanistica nei contenuti (descrive e inventa mondi possibili) e scientifica nel metodo (in quanto usa la logica). Inoltre la matematica è il linguaggio della scienza e, per questo motivo, del mondo contemporaneo.
Domandarci esplicitamente dove stia andando la matematica significa domandarsi in realtà dove stiano andando le scienze e, con esse, il mondo tecnologico e la civiltà occidentale. 
Nel Novecento, la matematica è andata incontro a una produzione sterminata e verrebbe quasi da pensare che non sia rimasto più nulla da dimostrare, mentre in realtà ci sono molte branche nuove della matematica, come la teoria dei giochi e la teoria della complessità. 
I campi esplorati in termini matematici sono: politica, religione, arte, letteratura, giochi, filosofia, logica, aritmetica, geometria, scienza e tecnica.
 
COMMENTO:
Un libro interessante, anche se non sempre di facile lettura. Ottimo per gli studenti, soprattutto in vista dell'esame di stato, visto che crea presenta numerosi collegamenti tra la matematica e le altre discipline. Accessibile anche per chi non ha una preparazione matematica di elevato livello.
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Mercoledì, 31 Luglio 2013 18:34

L'ultimo teorema di Fermat

TRAMA:
Pierre de Fermat era un solerte funzionario pubblico, che impegnò tutto il tempo libero dal lavoro nella matematica. Le conseguenze del lavoro di Fermat dovevano rivoluzionare la scienza. Il suo più grande amore fu per la teoria dei numeri: egli ripartì dall’Arithmetica di Diofanto e fu proprio sul margine di questo libro che scrisse il suo famoso teorema aggiungendo: “Cuius rei demonstrationem mirabilem sane detexi hanc marginis exiguitas non caperet”.
Nel XVIII sec. Leonhard Euler compì i primi progressi per la dimostrazione dell’Ultimo Teorema. Dimostrò il caso per n = 3, grazie all’inclusione dei numeri immaginari, ma i suoi sforzi successivi si conclusero tutti con un fallimento. Per dimostrare l’Ultimo Teorema per tutti i valori di n, si deve semplicemente dimostrarlo per i valori primi di n. Tutti gli altri casi sono soltanto multipli dei casi con i numeri primi e pertanto verrebbero dimostrati implicitamente. 
Nel XIX sec., Sophie Germain rivoluzionò lo studio dell’Ultimo Teorema e il suo contributo fu superiore a quello di tutti gli uomini che l’avevano preceduta: indicò ai teorici dei numeri come distruggere un’intera sezione di numeri primi. Il primo marzo 1847, Lamé e Cauchy annunciarono di aver dimostrato l’Ultimo Teorema, ma Kummel evidenziò che, siccome la dimostrazione si basava sulla fattorizzazione unica, questa poteva non essere vera con l’introduzione dei numeri immaginari. Nel 1908, Wolfskehl stimolò i matematici a raccogliere la sfida, destinando una quota del suo patrimonio a chi fosse riuscito a dimostrare l’Ultimo Teorema di Fermat entro il 13 settembre 2007. I dilettanti cercarono per tutto il secolo di dimostrarlo, ma i professionisti ignorarono il problema. 
Nel 1931 Kurt Gödel costrinse i matematici ad accettare l’idea che la matematica non poteva essere logicamente perfetta, dimostrando che esistono enunciati la cui verità non poteva essere provata. 
Dopo la seconda guerra mondiale, i matematici che erano ancora alle prese con l’Ultimo Teorema di Fermat cominciarono ad impiegare i computer per aggredire il problema, ma ogni tentativo fu inutile.
Nel 1954, Shimura e Taniyama, appassionati dello studio delle Forme modulari, suggerirono, in una congettura, che le equazioni ellittiche e le forme modulari fossero la stessa cosa. Nel 1984, Frey disse che se qualcuno fosse riuscito a dimostrare che ogni equazione ellittica era modulare, avrebbe dimostrato immediatamente l’Ultimo Teorema di Fermat e due anni dopo, Ribet dimostrò il loro legame. 
Nello stesso anno, Wiles cominciò a lavorare alla dimostrazione della congettura e grazie alla guida di Coates, conobbe le equazioni ellittiche in modo mirabile. Nel 1988, Miyaoka dimostrò l’Ultimo Teorema di Fermat, ma, essendo un esperto di geometria, non fu del tutto rigoroso. Nel 1990, Wiles era a un punto morto e l’anno dopo decise, dopo anni di isolamento, di riprendere i contatti con la comunità matematica. Conobbe così il Metodo di Kokyvagin-Flach e passò parecchi mesi a familiarizzarsi con la tecnica. Nel 1993 coinvolse Nick Katz per essere sicuro di usare nel modo giusto la tecnica appena appresa. Il 23 giugno dello stesso anno, dopo sette anni di sforzi ostinati, Wiles completò la dimostrazione della congettura di Taniyama-Shimura, ma due mesi dopo, durante la revisione del suo lavoro, venne rilevato un errore. 
Il 19 settembre 1994, Wiles si accorse che la teoria di Iwasawa e il metodo di Kolyvagin-Flach dovevano essere utilizzati contemporaneamente. In questo modo dimostrò la congettura.
 
COMMENTO:
Avvincente come un giallo, coinvolgente come una storia d’amore. Pur essendo un'insegnante di matematica, non credevo che la matematica avrebbe potuto riservare tante sorprese…
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Giovedì, 25 Luglio 2013 16:00

Il Teorema del Pappagallo

TRAMA:
Max, undicenne sordo, figlio adottivo di Perrette, incontra il pappagallo durante le sue peregrinazioni al mercatino delle pulci: due loschi figuri stanno tentando di rapirlo. Decide di portarlo a casa con sé, visto e considerato che ha anche una vistosa ferita sulla fronte. La reazione di Perrette non è delle più entusiaste, ma alla fine Max e i gemelli riescono a convincerla. 
La sera in cui Nofutur (il pappagallo) fa il suo ingresso nella casa di Montmartre, si svelano molti segreti: Perrette racconta come ha incontrato il signor Ruche, l’ottantaquattrenne invalido che è il proprietario della libreria “Mille e una pagina”, e parla anche della nascita dei gemelli. In realtà, non svela completamente il mistero che avvolge il loro concepimento. È per questo motivo, per la caduta nel tombino che Perrette ha legato al concepimento, che Ruche decide di andare incontro ai due gemelli, sconvolti per questa rivelazione e comincia a parlare di Talete, documentandosi alla Bibliothèque Nationale. 
Complice l’arrivo delle due lettere del vecchio amico Grosrouvre, comincia per la famiglia un viaggio all’interno della storia della matematica, con l’aiuto della Biblioteca della Foresta, ovvero dei libri inviati da Grosrouvre e raccolti da lui stesso nel tempo di una vita. Cercando di interpretare la lettera di Grosrouvre, alla ricerca di un motivo che spieghi la sua morte, Ruche incontra vari personaggi: Pitagora, che vedeva numeri ovunque, Euclide, celebre per i suoi Elementi, i tre problemi dell’antichità, Omar al-Khayyam, con la sorprendente rivelazione che l’algebra non è nata in Grecia, Brahmagupta e i numeri indiani (o arabi?), Tartaglia e i suoi segreti, Cardano e i suoi loschi intrecci, Abel e Galois, con la loro fine prematura, Fermat e Goldbach, autori delle due congetture che Grosrouvre afferma di aver dimostrato e infine Eulero… 
Ma dal passato è in arrivo un colpo di scena...
 
COMMENTO:
Un modo originale e simpatico per riprendere in mano la storia della matematica, attraverso le vicende umane dei suoi protagonisti. È un libro utile per tutti coloro che si vogliono avvicinare alla matematica, con un approccio diverso da quello scolastico, ma anche per quelli che vogliono iniziare in questo modo un cammino più impegnato di approfondimento.
Ottimo per gli studenti.
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