La vita di Niccolò Tartaglia, la storia del triangolo che da lui prende il nome, ma che è nato prima di lui e, soprattutto, le caratteristiche di questo particolarissimo triangolo.
BIBLIOGRAFIA
Denis Guedj, Il teorema del pappagallo, Longanesi & C., Milano, 2000
Hans Magnus Enzensberger, Il mago dei numeri, Einaudi, Torino, 1997
Pierluigi Pizzamiglio, Niccolò Tartaglia, Nuova Secondaria, a.s. 2003/2004, n° 7
Carl B. Boyer, Storia della matematica, Oscar Saggi Mondadori, Milano, 1980
Theoni Pappas, Le gioie della matematica, Franco Muzzio Editore, Padova, 1995
N. Dodero, P. Baroncini, R. Manfredi, Nuovi lineamenti di matematica, Ghisetti e Corvi Editori, Città di Castello (PG), 2006
TRAMA:
Nella notte tra il 18 e il 19 febbraio del 1512, durante il sacco di Brescia ad opera dei soldati francesi, Niccolò Tartaglia cercò riparo dentro il Duomo, ma i francesi assalirono i rifugiati e uno di essi gli inferse cinque ferite in volto. Niccolò guarì nel giro di qualche mese, grazie alle cure della madre, ma le ferite alla bocca gli causarono la balbuzie: i coetanei lo prendevano in giro per questo suo difetto chiamandolo “tartaglia” ed egli adottò questo nomignolo come cognome.
Nato a Brescia presumibilmente nel 1499 da una famiglia molto povera, Niccolò Tartaglia lavorò autonomamente alla propria formazione scientifica, studiando le opere di Euclide, Archimede e Apollonio. Tra il 1516 e il 1518 si trasferì a Verona, dove rimase fino al 1534; qui acquisì notorietà e rispetto, con il ruolo di maestro d’abaco. La fama raggiunta da Tartaglia è testimoniata dai quesiti da lui posti a numerosi interlocutori. A quei tempierano di gran voga in Italia le disfide tra matematici, di rango universitario e non: veri e propri duelli scientifici il cui svolgimento ricalcava i canoni dei tornei cavallereschi. Uno studioso inviava a un secondo alcuni problemi, che rappresentavano il guanto di sfida di queste particolari tenzoni, e lo sfidato doveva cercare di risolverli entro un termine prestabilito, proponendo a sua volta all’avversario ulteriori quesiti. La consuetudine voleva poi che ogni duello dall’esito contrastato culminasse in un pubblico dibattito, nel corso del quale i contendenti erano tenuti a discutere dei problemi scambiati e delle relative soluzioni alla presenza di giudici, notai, governanti e di una platea di spettatori sovente assai folta. Non era infrequente, inoltre, che tali disfide si facessero parecchio incandescenti, sconfinando dal piano scientifico a quello dell’invettiva personale. D’altra parte, la posta in palio poteva essere molto alta: il vincitore di una pubblica disfida matematica, ossia colui che aveva risolto il maggior numero di problemi, non guadagnava solo gloria e prestigio, bensì più concretamente anche un eventuale premio in denaro, nuovi discepoli paganti, l’acquisizione o la conferma di una cattedra, aumenti di stipendio e spesso incarichi professionali ben remunerati. La carriera dello sconfitto, invece, rischiava di rimanere seriamente compromessa.
Il secondo protagonista di questa storia è Gerolamo Cardano: nato a Pavia il 24 settembre 1501, si laureò in medicina nel 1526, ma solo nell’estate del 1539 fu accolto dal Collegio dei medici di Milano, che aveva osteggiato la sua elezione a causa dei suoi illegittimi natali. Divenne in seguito il medico più famoso e richiesto della città. Informato da un matematico che Tartaglia aveva trovato la formula risolutiva delle equazioni di terzo grado, si mise in contatto con lui all’inizio del 1539 per avere la formula, ma Tartaglia rispose negativamente alla richiesta: “quando vorrò pubblicar tal mia inventione la vorrò publicar in opere mie et non in opere de altri”. Dopo una corrispondenza dai toni abbastanza vivaci, Tartaglia si recò a Milano da Cardano in primavera: ebbero a disposizione diverso tempo per discorrere tra loro e confrontarsi su vari temi, uno dei quali non poteva che essere la questione delle equazioni cubiche e delle loro regole risolutive. Cardano giurò a Tartaglia che non avrebbe mai svelato la formula risolutiva e questi si lasciò convincere a rivelarla. I due smisero di scriversi nel gennaio del 1540 e non sono documentati ulteriori contatti personali o epistolari.
Mentre Tartaglia rivelava la formula, Cardano era in compagnia di un giovanissimo allievo, Ludovico Ferrari. Nato a Bologna il 2 febbraio 1522, Ferrari discendeva da una famiglia milanese: rimasto presto orfano, fu mandato a Milano come servitore nell’abitazione di Cardano, il quale, accortosi della sua predisposizione agli studi, si prese cura della sua istruzione. Nel 1542 si recarono a Bologna per far visita a un matematico: questi mostrò loro un vecchio taccuino appartenuto al suocero, Scipione Dal Ferro, nel quale i due trovarono la formula risolutiva delle equazioni cubiche. Dopo aver appreso la formula, Cardano e Ferrari si persuasero della necessità di diffondere in tutto il mondo scientifico le nuove conoscenze acquisite e Cardano, in particolare, si sentì svincolato dal giuramento fatto a Tartaglia. Nel 1545, Cardano pubblicò il volume Artis magnae, sive de regulis algebraicis più noto come Ars Magna, un testo destinato a imprimere una svolta profonda nella storia dell’algebra, determinando l’avvio di una nuova era per le ricerche matematiche. Nel suo trattato, Cardano attribuì agli autori delle formule risolutive i dovuti meriti e riconobbe i contributi di Ferrari, con il quale aveva collaborato. La formula risolutiva delle equazioni cubiche è spesso denominata «formula cardanica» poiché, pur non essendone stato lo scopritore, fu Cardano a farla conoscere al mondo scientifico, e per di più completa di dimostrazione.
Nel 1546, Tartaglia pubblicò Quesiti et inventioni diverse, nel quale si scagliò contro Cardano, che non aveva tenuto fede al giuramento di silenzio. Cardano non replicò all’attacco, ma lo fece Ferrari: il 10 febbraio 1547, inviò a Tartaglia un pubblico «cartello di matematica disfida», proponendogli di misurarsi con lui in un pubblico “duello”. I due continuarono a scambiarsi cartelli dal giugno all’ottobre del 1547 e si scontrarono il 10 agosto 1548 a Milano. Tartaglia abbandonò la disputa dopo il primo giorno, perché la riteneva invalidata dal comportamento del pubblico presente, apertamente schierato a favore dell’avversario, ma dichiarò di esserne il vincitore, contestando alcune delle risposte di Ferrari. Non possiamo sapere come siano andate davvero le cose, ma la maggior parte delle fonti riconosce in Ferrari il vincitore dello scontro.
Tartaglia morì a Venezia il 13 dicembre 1557, in solitudine e povertà. Ferrari morì a soli quarantatre anni, probabilmente avvelenato dalla sorella. Cardano morì il 20 settembre 1576, dopo aver visto giustiziare uno dei suoi figli per uxoricidio ed essere stato condannato dall’Inquisizione.
COMMENTO:
Quanto è raccontato in questo libro costituisceun complesso di vicende tanto sorprendenti e appassionanti da richiamare, crediamo, la curiosità anche dei non addetti ai lavori: vicende ricche di situazioni dal sapore romanzesco – intrighi, segreti, arroventate dispute erudite – e animate da personaggi affascinanti, geniali e bizzarri, capaci di eccellere nella loro epoca sia per virtù di intelletto che per umane debolezze. Con queste parole nell’introduzione, l’autore ci fornisce un ottimo motivo per leggere questo libro. Per molte persone, è difficile immaginare che tante passioni possano animare la scoperta di una formula matematica: per questo tutti coloro che considerano la matematica arida e priva di passionalità dovrebbero leggere questa storia.
Le ultime righe del libro:
Nella prima metà del Cinquecento, di fatto, Scipione Dal Ferro, Niccolò Tartaglia, Gerolamo Cardano e Ludovico Ferrari furono i quattro scintillanti moschettieri che illuminarono il cielo dell’algebra con le loro straordinarie e feconde scoperte. Scoperte originate non solo da genio creativo e abilità tecnica, ma altresì da passione, dedizione, perseveranza, competizione, gelosia, ambizione, stima, risentimento, impeto, sofferenza. Insomma, da tutto il carico di umanità che si può nascondere anche dietro una formula matematica.
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