«Io sono Marie Curie» è stato pubblicato dalla casa editrice Sperling & Kupfer a marzo 2024. L’autrice, Sara Rattaro, è una famosa scrittrice, che ha ricevuto parecchi premi con Non volare via, Niente è come te, Splendi più che puoi, L’amore addosso, e Uomini che restano.
«Io sono Marie Curie» è un’opera di fantasia nella quale «qualsiasi riferimento a eventi storici e a persone e luoghi reali è usato in chiave fittizia»: in effetti, la ricostruzione della vicenda di Marie Curie, raccontata nel dettaglio e con chiarezza, è l’occasione per raccontare la vita amorosa della scienziata. Il romanzo è narrato in prima persona e l’io narrante è proprio Marie Curie. L’inizio è la morte di Pierre: «Un incidente, una disgrazia, un evento che non aveva niente di eccezionale in sé», ma che al tempo stesso cambiò tutto. Il romanzo ci presenta una Marie Curie più umana e ricca di passioni rispetto a come si presentava lei stessa. Nella sua autobiografia, che si compone di una sessantina di pagine, «non volle esporre nulla della sua vita intima al di là della sua adorazione di Pierre e della profondità degli affetti familiari», come ricorda Daniela Monaldi nella prefazione all’edizione della casa editrice Castelvecchi. Sempre secondo la Monaldi, sono proprio le esperienze vissute che hanno spinto la scienziata a non condividere le proprie emozioni, perciò questo romanzo si pone come un “completamento” di quanto scritto di suo pugno.
Alla morte di Pierre Curie segue un flashback che ci riporta alla fase dell’innamoramento e al matrimonio, durante il quale la scienziata dice «rividi, come in un film, l’inizio di tutto». L’inizio è a Varsavia, dove un padre, vedovo, dibattendosi tra paura e orgoglio, concede alle figlie di studiare nonostante i pericoli, fino ad arrivare al patto con Bronia che consente alle due sorelle di studiare. Il passo successivo è il racconto della prima delusione amorosa, che diventa la spinta per raggiungere Parigi, dove gli anni successivi al matrimonio sono gli anni del fervente lavoro in laboratorio, con André Debierne, Georges Sagnac, Paul Langevin e Jean Perrin. Sono anni ricchi di eventi: la nascita di Irène e poi di Ève, la scoperta del polonio e del radio, fino all’assegnazione del Nobel a Pierre Curie, in cui chi si adopera per impedire che Marie riceva il giusto riconoscimento viene vinto dalla fermezza di Pierre e dall’intervento di Gustav Mittag-Leffler.
Il lutto per la morte di Pierre Curie viene descritto in modo tale che ci sembra di poter toccare con mano la sofferenza di Marie. Nell’autobiografia leggiamo: «Mi è impossibile esprimere la profondità e il peso della crisi provocata nella mia esistenza dalla perdita di colui che era stato il mio più fedele compagno e il mio migliore amico. Schiantata dal colpo, non mi sentivo in grado di affrontare il futuro.» Sara Rattaro ha saputo prendere le poche righe dell’autobiografia e, con l’aiuto di un’immagine forte, farne qualcosa di emozionante e commovente: quello di Marie è «il pianto di un animale ferito, un verso terrificante», perché per la prima volta la scienziata si sente davvero sola. Quando leggiamo «Ogni mattina aprivo gli occhi chiedendomi perché accadesse. Perché dovevo ancora svegliarmi?» non possiamo non sentire il vuoto che ha invaso la vita di Marie, il senso di ingiustizia per quanto successo, la fatica di continuare un viaggio, familiare e professionale, che aveva visto questa coppia unita in un sodalizio colmo d’amore.
A gennaio del 1910 c’è l’alluvione della Senna e Marie e Paul Langevin si trovano bloccati in laboratorio: Sara Rattaro vede, in quell’imprevisto, l’inizio di una nuova complicità, la nascita di un sentimento. La discrezione con cui vivono la loro relazione non riesce a proteggerli dalle ire della moglie di Langevin che, con la complicità del cognato, caporedattore di un giornale, riesce a far scoppiare uno scandalo, che rischia di travolgere Marie Curie, anche professionalmente.
Sara Rattaro è riuscita a toccare con grande delicatezza temi ancora attuali: il ruolo della donna nella relazione con il marito, visto che a Marie viene assegnato un ruolo da comprimaria a prescindere – come se le ricerche che hanno portato al primo Nobel fossero state merito solo di Pierre – e l’attacco mediatico all’indomani della scoperta della relazione con Paul Langevin, tanto da portare alla richiesta di rinuncia al secondo Premio Nobel: «Immaginate di dover escludere tutti gli scienziati maschi che conducono quella che voi stesso avete definito una condotta immorale, quanti premi Nobel pensate che si potrebbero ancora assegnare?» Sara Rattaro immagina una Marie Curie appassionata e caparbia, perché, d’altra parte, non avrebbe potuto fare ciò che ha fatto senza la sua tenacia e la passione per la scienza, le restituisce la sua umanità, e, riconoscendo nella sua vicenda la grande attualità, offre ad ogni ragazza un modello da imitare. L’autenticità che caratterizza le pagine più dense di emozioni ci regala una Marie Curie non solo da ammirare ma per la quale provare empatia e simpatia.
«La formula segreta» è stato pubblicato nel 2020 da Mondadori. L’autrice è la famosa scrittrice Sara Rattaro, che, con una laurea in biologia, una in scienze della comunicazione, un master in divulgazione scientifica e un passato da informatore farmaceutico, ha scelto di scrivere anche per ragazzi, pubblicando, con Mondadori, «Il cacciatore di sogni», su Albert Bruce Sabin, e «Sentirai parlare di me», su Nellie Bly.
«La formula segreta – Il fantasma di un genio del Novecento» parla di Majorana, e l’occasione è offerta dalla passione di Matteo: per verificare se il suo calcolo di quanto tempo sia necessario per allagare la scuola è giusto, decide di tappare il lavandino di un bagno, ma, colto in flagrante, si ritrova davanti al preside insieme ai genitori. La mamma è un architetto, il papà è un fisico e insegna all’università, e si sono appena separati; per quella sera, forse alla ricerca di una maggiore complicità, Matteo sceglie di andare a casa con il papà. Mentre guardano la televisione, la trasmissione “Chi l’ha visto?” richiama l’attenzione di Matteo su Ettore Majorana, che ha sentito nominare dal papà durante una videoconferenza con i colleghi. Sulle tracce del fisico scomparso, Matteo e il papà intraprendono un viaggio in Sudamerica, che diventerà l’occasione per rinnovare il loro rapporto e per ritrovare un po’ di equilibrio dopo la separazione.
Nel corso della narrazione, Sara Rattaro ci racconta le ultime teorie a proposito della scomparsa di Ettore Majorana, avvenuta nel 1938: il fisico era uno dei celebri ragazzi di via Panisperna e aveva collaborato con Fermi. Era il più geniale degli studenti di Fermi, in anticipo sui tempi, e l’appendice curata da Elena Gatti approfondisce proprio il tema della fisica atomica, della quale si occupava Majorana: attraverso alcuni cenni, il lettore può vedere l’evoluzione della fisica, a partire dal concetto di atomo nell’antica Grecia, fino ad arrivare alle orbite quantizzate di Bohr, passando attraverso le particelle e le rivoluzioni del Novecento.
La lettura è consigliata ai ragazzi delle medie, ai quali permette di conoscere non solo questo genio del Novecento, ma anche il contesto storico: il papà di Matteo riesce a elencare al figlio le numerose ipotesi che, nel corso degli anni, hanno tentato di fornire una spiegazione alla scomparsa di Ettore Majorana. Si è parlato di suicidio, di ritiro in un convento e persino Sciascia ha scritto un libro sulla sua scomparsa.
Nel 2016, poco prima della pubblicazione di questo libro, è uscito il volume «La seconda vita di Majorana», edito da Chiarelettere e scritto da Giuseppe Borello, Lorenzo Giroffi e Andrea Sceresini, dove si parla di una presunta vita clandestina del fisico in Sudamerica, fra Argentina e Venezuela, la cui ricostruzione è stata effettuata proprio a partire dalle rivelazioni della trasmissione “Chi l’ha visto?” del 2008. Anche Sara Rattaro segue le stesse ipotesi, con il valore aggiunto della vicenda del piccolo protagonista Matteo e del padre: le vicende di Majorana diventano l’occasione per ritrovare il proprio rapporto e se stessi, in quella che è una scelta narrativa che si è mostrata vincente, come dimostrato dai precedenti «Il cacciatore di sogni» e «Sentirai parlare di me».
«L’invenzione di Eva» è stato pubblicato all’inizio di luglio di quest’anno per Mondadori, nella collana Strade Blu. L’autore è Alessandro Barbaglia, noto per «La mossa del matto», vincitore del Premio Segafredo Zanetti e del Concorso letterario Coni, e per «La locanda dell’ultima solitudine», finalista al Premio Bancarella 2017. Ha vinto il Premio Strega ragazze e ragazzi nel 2021 con «Scacco matto tra le stelle».
Secondo quanto dichiarato sui social, Barbaglia ha avuto l’idea di questo libro dal 2018: la vita di Hedy Lamarr è così piena di avvenimenti che, presi singolarmente, potrebbero riempire un’intera vita. In altre parole, la vita di Hedy racchiude così tante vite che è impossibile riassumerla, perciò, l’impresa di raccontarla ha richiesto parecchio tempo.
La cosa che mi ha colpito fin da subito, nella prosa di Barbaglia, è la frequenza dei punti di domanda, perché l’autore non dà risposte (in certe situazioni può solo fare ipotesi), ma le domande che pone aprono una riflessione che ci porta a riconoscere alcuni dettagli: ad esempio, non possiamo definire la normalità o la genialità, e non sappiamo dire cosa sia un’invenzione o chi sia un inventore. Hedy Lamarr è stata una donna scomoda e Alessandro Barbaglia riporta molto bene questo aspetto: è come se, nella finzione letteraria, avesse vissuto la vicenda di Lamarr, come se l’avesse conosciuta, come se l’avesse tenuta vicino qualche anno, intervistandola a più riprese e facendosi aiutare in qualche modo a narrare le vicende di cui è stata protagonista. Non è facile raccontare una donna «troppo bella per essere anche intelligente», una donna posseduta da un talento gigantesco e oscuro, una donna che «è fatta tutta di futuro, è fuori dal tempo», una donna che ha indossato una maschera per tutta la vita, perché «il corpo è una maschera che non mi posso togliere». «È difficile capire una persona che è passata attraverso tante vite come ho fatto io. Ho vissuto tante situazioni, tante fasi, come si fa a spiegare la mia vita a chi ne ha avuta una semplice, a chi non ha mai visto il paradiso e l’inferno, come è capitato a me?» Questa distanza della vita di Hedy dalla vita di tutti noi viene resa con chiarezza da Alessandro Barbaglia: Hedy Lamarr è stata la diva che si è fatta conoscere grazie al film Estasi, è stata la moglie ebrea di un gerarca nazista in Austria, è stata il volto di Biancaneve di Walt Disney, è stata una diva, è stata una donna geniale che ha inventato la vite per il rossetto, la tinta per capelli per Max Factor, ed è stata l’inventrice dimenticata dell’indimenticabile wi-fi. «Nessuno si fida di Eva» e la sua invenzione, che ha brevettato nell’agosto del 1942, troverà la propria strada solo vent’anni dopo: «Le donne è già difficile che il mondo le prenda sul serio quando vanno al passo con i tempi, figurarsi quando sono avanti anni luce».
Nella finzione narrativa, Barbaglia finge di essere fratello di una donna geniale ma incomprensibile, con una vita molto simile a quella di Hedy Lamarr: «mi sento un bimbo capriccioso alle prese con alcune storie troppo grandi, la tua, la mia e quella di questa donna: la più bella del mondo». Il racconto si apre con la sorella: l’io narrante si illude che sarà più facile raccontarla avendola avuta vicina, perché non ci rendiamo conto, forse per colpa della nostra superficialità, che non riusciamo a raggiungerne la vera essenza, ad andare in profondità. Nel corso del libro, questo fratello imparerà a conoscere Hedy Lamarr e, al tempo stesso, a riscoprire e comprendere le scelte della sorella, che all’inizio viene definita, a più riprese, come una «stronza». Così, si rende conto solo più avanti che «nelle vite di tutti noi ci dev’essere sempre una grande paura, una paura che faccia sembrare tutte le altre insignificanti», che guida le nostre azioni rendendole incomprensibili agli altri, tanto che non è possibile imbrigliare il nostro io più profondo con una banale etichetta.
La copertina del libro mi ha catturata mentre gironzolavo tra gli scaffali di una libreria: non sapevo che fosse stato scritto un libro su Hedy Lamarr, ma la sua immagine mi ha ammiccato dallo scaffale e non ho potuto non acquistarlo. Conoscevo la sua vicenda, conoscevo i dettagli della sua vita, dal film Estasi alla devastante chirurgia estetica degli ultimi anni, ma l’ho sempre raccontata concentrandomi sull’invenzione del wi-fi e trattando tutto il resto come un dettaglio secondario. Alessandro Barbaglia ha trovato il modo di “tener dentro” tutto, raccontandoci qualche verità in più su Hedy Lamarr, facendo convivere tutti i particolari della sua vita e facendolo con la consapevolezza, dichiarata a più riprese, che «il futuro, le nostre vite, tutto prende una piega diversa a seconda che a mangiare del frutto della conoscenza sia un uomo o una donna. I peccati originali si rimettono più volentieri agli uomini. Alle donne, invece, toccano le sette maledizioni di Eva.»
Alessandro Barbaglia ripercorre «la vicenda scordata di una donna senza fili che avrebbe potuto cambiare il nostro domani e che oggi nessuno ha più idea di chi sia»: ha il volto della celebre Biancaneve, ma nessuno lo sa.
Se scrivere questo libro è stata davvero un’impresa, anche parlarne non è facile: sono state tante le emozioni scatenate dalla lettura di questo libro, che consiglio caldamente, sia per le vicende della protagonista, sia perché l’autore ha avuto la capacità di raccontare questa storia con obiettività ed emozione, restituendole il posto che merita nella storia degli inventori.
«Il 9 novembre, ogni anno, nel giorno del suo compleanno, viene celebrata la giornata degli inventori dimenticati: quella giornata è dedicata a Hedy Lamarr. Non lo sa nessuno. Il 9 novembre tutti ricordano solo la caduta del muro di Berlino.»
«Il mistero della discesa infinita» è stato pubblicato a novembre 2022 da Scienza Express ed è stato scritto da Flavio Ubaldini, che è autore anche de «Il mistero del suono senza numero». I due libri hanno molte similarità e sono, da un certo punto di vista, l’uno la continuazione dell’altro. In questo secondo testo, c’è un legame ancora più stretto tra filosofia e matematica, in un compenetrarsi continuo tra le due discipline, che ai tempi del protagonista Zenone erano praticamente indistinguibili.
Zenone si presenta come un bambino vivace, non estraneo alle marachelle, anche se serio: a dieci anni è molto affezionato al nonno, che lo porta ad avvicinarsi alla scuola di Parmenide, del quale è inizialmente il braccio destro, fino a diventarne il successore, approfondendo e ampliandone il pensiero. Il racconto scorre piacevolmente, coinvolgendo il lettore e regalando un po’ di suspence, dipanandosi da un capitolo all’altro con un buon ritmo (considerata la passione di Flavio Ubaldini per la musica, non poteva essere diversamente!). L’utilizzo dei termini del tempo ci permette di immergerci realmente nell’atmosfera, così troviamo Zenone che sorseggia del ciceone, mentre indossa il chitone, dopo essersi spogliato di imatio e petaso, per mettersi comodo. Non si tratta solo di un arricchimento lessicale: è la dimostrazione del lavoro di approfondimento svolto da Flavio Ubaldini, che, come ha dichiarato in un’intervista, si è recato anche sul posto per poter ambientare al meglio il proprio romanzo. Lo studio speso per costruire la storia è evidenziato anche dall’appendice bibliografica che troviamo al termine del romanzo, ricca di spunti per approfondire. Tra i testi citati, ritroviamo anche il Parmenide di Platone, nel quale si parla dell’incontro tra Parmenide, Zenone e Socrate, raccontato nel romanzo. Al di là della fondatezza storica di alcuni eventi (si parla di un’epoca lontana in cui la narrazione si ammanta di leggenda), tutto si basa sulle fonti dell’epoca anche se, come ricorda l’autore stesso nell’elenco dei personaggi nelle prime pagine del libro, per quanto si tratti di personaggi storici, essi sono stati «trasfigurati dallo sguardo del narratore».
Il testo è consigliato sia agli appassionati di matematica che agli appassionati di filosofia, anzi, per molti aspetti potrebbe essere un buon modo per affrontare lo studio dei presocratici in modo più leggero, permettendo di avvicinarsi ai personaggi da un altro punto di vista.
La vicenda ci regala un finale inaspettato, sorprendente!
«Il mistero del suono senza numero» è stato pubblicato dalla casa editrice Scienza Express a maggio 2017 e l’autore è Flavio Ubaldini: conosciuto sul web come Dioniso, è l’autore del blog Pitagora e dintorni, un «diario con divagazioni». All’interno del blog troviamo un’autobiografia quasi poetica, a tratti musicale – Ubaldini è laureato in matematica e diplomato in trombone – che dice tutto del suo percorso e dei suoi sogni, abbinando ogni fase della sua vita al colore del cielo.
Dove la storia sfuma nella leggenda, si crea lo spazio per il mistero ed è proprio lì che nasce questa storia, nella leggenda che ammanta la figura di Pitagora, come indicato dal sottotitolo «Pitagora e la musica dell’universo». Le idee più profonde della matematica e della filosofia pitagorica sono trasmesse al lettore nel corso della storia e, permeando la vicenda, consentono un’assimilazione più efficace dei concetti difficili. In esergo troviamo la scritta Panta ariqmoz esti, cioè Tutto è numero: è il motto della scuola pitagorica. Si tratta di un numero che ha perso la sua entità astratta, essendo un costituente fisico dell’universo ammantato di sacralità.
Tra i protagonisti, Ippaso, responsabile della scoperta degli irrazionali, è colui da cui tutto ha origine ed è per questo motivo che lo troviamo già nel prologo, dopo che è stato espulso dalla scuola, protagonista di una violenta lite. Mentre giace a terra incosciente, la sua mente torna a quando, quattordici anni prima, ha incontrato per strada Pitagora ed è rimasto affascinato dalla sua voce. Aveva appena sostenuto la competizione delle Olimpiadi, quando ha deciso di far parte della scuola. Descritto come presuntuoso e facile preda delle emozioni, Ippaso è il classico allievo irriverente e indisponente, ma molto intelligente. Non è amato, come spesso capita agli innovatori, anche se Pitagora rivede sé stesso in lui.
La scuola di Pitagora è caratterizzata dalla segretezza, ma non è solo rigida, come lasciano intuire le sue regole, è anche innovativa, visto che permette l’accesso alle donne, è chiusa verso chi non è devoto al sapere – come mostrato dalla distinzione tra acusmatici e matematici – ma al tempo stesso è aperta a tutti, senza distinzione di genere o di ceto. Durante lo sviluppo della storia, si ha l’impressione di veder nascere un triangolo, che ha ai suoi vertici Pitagora, Ippaso e un altro membro della scuola con il quale c’è una rivalità per il cuore di Muia, la figlia di Pitagora. Mentre Ippaso fa le sue scelte spinto dall’amore per il sapere e dalla volontà di trovare la verità, l’altro ambisce al potere e riesce a manipolare Pitagora.
Il percorso è davvero interessante: in superficie è una storia semplice e ricca di mistero, ma in profondità nasconde l’essenza della matematica: mette in luce le caratteristiche della scuola pitagorica, il percorso della ricerca matematica dalla nascita di un’idea fino alla sua formalizzazione, ed evidenzia come le domande fondamentali si mostrino a volte come banali, ma possano mettere in crisi anche i saperi più antichi. Nel corso della narrazione, il lettore capisce, attraverso gli esempi forniti, cos’è una dimostrazione, il cuore del sapere pitagorico, che permette l’accesso alla «profonda essenza della verità» e, al tempo stesso, porta le affermazioni provate ad assumere una «validità universale».
«Il professor Z e il segreto del triangolo» è stato pubblicato nel 2022 da Edizioni Dedalo e l’autore è Tommaso Castellani, insegnante in una scuola media di Roma, dedito alla comunicazione della scienza e editor della rivista «Sapere».
Questo romanzo è il terzo di una trilogia dedicata ai ragazzi delle medie, cominciata nel 2017 con Il professor Z e l’infinito e proseguita nel 2020 con I misteri dell’ipercubo. I protagonisti sono ancora Giulio e Ivano, che ora frequentano la terza media e, all’inizio dell’anno scolastico, scelgono di partecipare ai laboratori pomeridiani di approfondimento promossi dalla loro scuola e tenuti dal solito professor Z. Decidono di partecipare anche a un concorso di fumetti a squadre, che si concluderà ai primi di novembre. In queste loro avventure, sono accompagnati da Marcolino della 3^E, Arianna e Crystal Ball. Il professor Z guida i ragazzi alla scoperta delle geometrie non euclidee, con il suo solito stile: «Era tutto molto diverso dalla matematica come si faceva la mattina, ma aveva qualcosa di affascinante». Ad accompagnare questo percorso, non può mancare un giallo da risolvere: sembra che all’interno del gruppo ci sia una spia, che informa la squadra avversaria delle idee alla base del fumetto, ma sembra anche che il professor Z sia coinvolto in qualcosa…
Per la terza media di Giulio e Ivano, abbiamo un’indicazione molto chiara del periodo in cui ci troviamo, visto che l’ultimo capitolo si apre con la caduta del muro di Berlino, avvenuta nel novembre del 1989: è l’apice del tema del cambiamento, protagonista di tante riflessioni del nostro tredicenne, che, come tutti gli adolescenti, a tratti fatica a riconoscersi.
Il racconto è accompagnato dalla matematica, che cambia il modo di leggere la realtà di Giulio e Ivano: durante il suo laboratorio, il professor Z ha modo di parlare anche del linguaggio della logica, dei postulati e dei teoremi, facendo capire ai ragazzi qual è il modo corretto di ragionare. Sarà proprio la logica che guiderà i ragazzi nelle loro deduzioni per la soluzione del giallo.
Giulio, protagonista indiscusso e narratore, si misura con i limiti delle regole che gli vengono imposte: proprio nel suo confronto con Armando, con il quale sembra costruire una nuova amicizia, si troverà a interrogarsi su quale possa essere il senso di rispettare le regole. Queste regole richiamano quelle costruite con i postulati, che sembrano racchiudere al loro interno la geometria euclidea, e le regole degli scacchi, la grande passione di Ivano. Armando, che si comporta a volte come un amico bisognoso di attenzioni e altre come un piccolo tentatore, si domanda a più riprese quale sia l’utilità dello studio, ma il discorso viene sollevato anche durante il corso pomeridiano e il professor Z non perde occasione per spiegare che «talvolta idee inutili nella pratica, ma interessanti dal punto di vista matematico, si rivelano utili a secoli di distanza».
Tommaso Castellani non ha paura di parlare di argomenti elevati: nella narrazione trovano spazio il programma di Hilbert e i teoremi di incompletezza di Gödel, e le geometrie non euclidee vengono raccontate con un linguaggio semplice e chiaro e con l’aiuto di alcune illustrazioni.
Altro tema importante del libro, protagonista anche del primo capitolo della trilogia, è la comprensione della matematica: anche sulla copertina del libro, è riportato un dialogo tra il professor Z e i suoi alunni, professore che ha la stessa voce dell’autore quando ci dice che non bisogna essere ossessionati dalla necessità di capire: «Se le cose si capissero così, non servirebbero i professori, né tantomeno la scuola.» Se capire non è così importante, è Giulio stesso a imparare che bisogna avere impazienza e vivere la gradualità del processo di apprendimento, capendo un poco di più ogni giorno, grazie anche all’intervento del professor Z che si preoccupa di riprendere l’argomento più volte, inserendo ulteriori difficoltà ad ogni passo. È un percorso difficile ma affascinante quello che ci viene descritto dall’autore, e così arricchente che sono curiosa di vedere come saranno i primi mesi di Giulio al liceo. Perché ci sarà un quarto capitolo, vero?
«I misteri dell’ipercubo» è stato pubblicato nel 2020 da Edizioni Dedalo. L’autore, Tommaso Castellani, ci propone “un’avventura matematica a più dimensioni”, come viene definita in copertina, che è il seguito de Il professor Z e l’infinito, scritto nel 2017.
Questo secondo capitolo è ambientato nel campeggio Cetorelli e i protagonisti sono ancora Ivano e Giulio, che ritroviamo nell’estate della seconda media, mentre vivono le proprie vacanze insieme alle rispettive nonne. Gli altri protagonisti della vicenda sono Pac-Man, Autan, Dino, Andrea Campitello, Scatolé, Andrea Lucci e poi ci sono Barbara, Saliva, Mosca e Maria Elisabetta. Ad accompagnare quest’avventura c’è anche la matematica, grazie alle letture e alle domande che il professor Z ha lasciato ai nostri protagonisti come compiti estivi. Una domanda, in particolare, troverà la sua soluzione solo al termine del percorso: “Ci sono più punti su un segmento o in un quadrato?”.
Durante le vacanze, Ivano e Giulio (soprannominato “Senza” per colpa di una pizza Margherita senza mozzarella) cominciano l’esplorazione dei dintorni e realizzano una piantina che rappresenta il campeggio e i luoghi nei quali si trovano. Dopo aver scoperto il Fiume Nord e il Fiume Sud, che delimitano il loro orizzonte, contando i passi e tentando una misurazione artigianale, si rendono conto che c’è una Zona Oscura, alla quale non possono avere accesso. Durante le loro misurazioni, hanno inoltre occasione di confrontarsi con la geometria e, in particolare, con i frattali, come mostrato dalla costa della Bretagna. Le loro riflessioni matematiche accompagnano tutta la narrazione: la definizione di dimensione, apparentemente così semplice, li porta a incontrare la curva di Koch e la curva di Peano, mentre facendo riferimento a Flatlandia Ivano cerca di guidare la comprensione di questi concetti. In questa estate di mare, Ivano e Giulio incontrano anche un Giustiziere e un ladro: sono i due misteri che accompagnano la loro vacanza. Il ladro ha fatto sparire anche la borraccia di Giulio e il Giustiziere sembra intervenire ogni volta che avviene qualcosa di profondamente ingiusto, mettendo in atto una piccola punizione nei confronti di chi si è reso responsabile della prepotenza, che si tratti di un adulto o di un ragazzo. Ivano, con la sua passione per le indagini, aiuta Giulio ad affrontare le proprie paure, mentre gli amici li accompagnano in questa avventura.
Al termine del percorso, Ivano e Giulio non solo risolveranno il mistero, ma incontreranno anche la quarta dimensione, con l’ipercubo nominato proprio nel titolo. Secondo i protagonisti, l’ipercubo è la “dimostrazione dei limiti del nostro pensiero”, ma al tempo stesso “della sua sconfinata potenza”, permettendoci di avvicinare con più leggerezza la matematica e facendoci “sognare un mondo a noi inaccessibile”. Per i nostri protagonisti, la matematica è anche una metafora che descrive la vita, e crescere significa aumentare le proprie dimensioni, mentre il mondo esterno sembra avere una dimensione in meno rispetto al loro universo interiore.
Esattamente come il capitolo precedente, anche questo libro è alla portata dei ragazzi delle medie ed è ricco di spunti e di idee anche per un insegnante che abbia voglia di trovare un modo diverso di avvicinare i propri studenti ai misteri non solo dell’ipercubo ma della matematica in generale.
«Il professor Z e l’infinito» è stato pubblicato nel 2017 da Edizioni Dedalo. L’autore, Tommaso Castellani, ha conseguito un dottorato in fisica teorica all’Università La Sapienza e si è poi dedicato alla didattica e alla comunicazione della scienza. Ha scritto “Risolvere problemi difficili. Sudoku, commessi viaggiatori e altre storie” per Zanichelli (2013) e “Equilibrio. Storia curiosa di un concetto fisico” per Dedalo (2013), scrive inoltre regolarmente sulla rivista “Sapere”, di cui è editor.
Questo è il primo libro di una serie di tre. Il protagonista è Giulio, dodicenne che frequenta la seconda media in un istituto di Roma: ci racconta della sua amicizia con Ivano che lo aiuta ad appassionarsi alla matematica e a vincere il bullismo, che si presenta con le sembianze di un peluche di Coccolino. Tutto comincia con il teorema di Pitagora, le infinite terne pitagoriche e i difficilissimi problemi proposti dal professor Z, il “cattivissimo” insegnante di matematica, che ha l’abitudine di fare “domande strane”. D’altra parte, “il professor Z era il contrario esatto della chiarezza”, se condividiamo con Giulio la sua idea di chiarezza: “una spiegazione chiara è come un giallo che inizia con la rivelazione del nome dell’assassino”. È lo stesso Giulio a specificare che, per poter capire le lezioni di matematica, è necessario “un certo sforzo”: solo dopo aver scelto di farlo, grazie ad Ivano, le lezioni del professor Z si trasformeranno in qualcosa di appassionante. Questo professor Z non può che piacere: apparentemente agli antipodi rispetto al bravo – secondo gli alunni – insegnante di matematica, riesce a sfidare i propri studenti e ad appassionarli, grazie alla curiosità che riesce a suscitare.
Il racconto comincia con la scomparsa di Michele Bernocchi, compagno di classe dei due protagonisti, che dall’oggi al domani smette di frequentare la scuola. Alla soluzione del mistero non contribuiscono solo Giulio e Ivano, ma anche i compagni di classe, come Davide Rosso, apparentemente il bullo della classe, Chao, e Valentina Cirri, “una di quelle che prendevano sempre i voti più alti”. A raccontarci la vicenda è un Giulio adulto, che ricorda la sua frequenza delle scuole medie negli anni ’90. La narrazione è alla portata di qualsiasi studente delle medie e contiene tutta una serie di stereotipi sui matematici, sulla matematica, sulla vita in generale, che vengono in qualche modo smantellati. Al centro di questo racconto c’è la scuola e non manca la presentazione degli insegnanti in chiave umoristica: sono descritti con le loro manie e il loro piacere per il dramma nei rapporti umani, come dimostrano le incomprensioni tra Michael Jackson, come è soprannominata l’insegnante di educazione artistica, e la professoressa di italiano De Mattei.
Il fatto che, sulla copertina, il libro sia descritto come un “giallo matematico” ci suggerisce che la sparizione di Michele possa non essere l’unico mistero da risolvere: in seconda media si incontrano i numeri irrazionali, ci si confronta con l’infinito numerabile e il professor Z sfida i propri alunni con l’ultimo teorema di Fermat. Tutto questo ci permette di percepire la ricchezza del libro dal punto di vista matematico, e dà l’opportunità a ogni studente di incontrare una matematica un po’ diversa da quella che si studia a scuola. Un libro per i ragazzi delle medie, che può avere qualcosa di importante da dire anche agli adulti.
«Ucciderò il gatto di Schrödinger» è stato pubblicato da Mondadori a settembre 2020. L’autrice, Gabriella Greison, laureata in fisica, è attrice teatrale, scrittrice, giornalista scientifica e ha già scritto altri tre libri dedicati ad altrettanti personaggi della meccanica quantistica: L’incredibile cena dei fisici quantistici (Salani 2016), dedicato al Congresso di Solvay del 1927, Hotel Copenaghen (Salani 2018) dedicato a Niels Bohr, e La leggendaria storia di Heisenberg e dei fisici di Farm Hall (Salani 2019), dedicato a Werner Heisenberg.
Protagonista di questo romanzo è Alice Schrödinger, ventottenne tormentata che assomiglia molto fisicamente a Gabriella Greison, ma forse è una reincarnazione o una discendente del fisico Erwin Schrödinger. Ha lo stesso nome di Alice Liddell, ma il suo paese delle meraviglie è la meccanica quantistica e la sua guida non è un coniglio, ma un gatto, il “famoso gatto”. Per dormire, Alice ha bisogno di usare lo Stilnox, che le regala dodici ore consecutive di sonno, alle quali fanno seguito dodici ore di veglia. Il libro è dato da questo alternarsi di sonno e veglia: durante la veglia, è Alice a raccontarci ciò che sta vivendo e le sue sensazioni a riguardo, mentre nel tempo del sonno, la voce narrante è l’Entità dei sogni, che ci descrive i vagabondaggi notturni della protagonista. Questi sogni ci regalano un viaggio in un mondo parallelo e irreale, la stessa irrealtà che si coglie tra le pieghe della meccanica quantistica: è un ottimo espediente narrativo per raccontare questa parte della fisica nelle sue sfumature più difficili e per permetterci di incontrare i fisici del passato, attraverso delle interviste, che sono in realtà una rivisitazione dei loro scritti, e dietro alle quali, quindi, c’è un grande lavoro di ricerca. Ciò che succede nel mondo dei sogni ricorda un po’ le stranezze della meccanica quantistica, come il salto da un posto all’altro che richiama un po’ i salti quantici.
Ad una prima lettura, il libro può sembrare contorto e difficile da seguire, ma potrebbe essere una conferma di quanto diceva Feynman: «Penso di poter affermare che nessuno capisce la meccanica quantistica». Leggere questo libro non è come leggere un qualsiasi romanzo, perché non è possibile riportare l’intera vicenda sui binari della razionalità, visto che è come se Alice vivesse tutte le caratteristiche della meccanica quantistica nella sua vita, ma la Greison è abile nel guidarci in questo viaggio, attraverso i luoghi, i personaggi e i fatti della meccanica quantistica. Ci sono, ad esempio, dei garbugli nella narrazione che ci permettono di cogliere il paradosso, come l’incontro tra Alice, che in qualche modo rappresenta l’autrice, e l’autrice stessa. Sono proprio questi i punti di forza del libro! Sparse nel racconto, troviamo anche delle considerazioni filosofiche riprese dagli scritti di Schrödinger, che ci dimostrano come sia labile il confine tra la fisica e la filosofia e, al tempo stesso, ci permettono di entrare nel mondo tormentato di Alice, che, nella sua ricerca, trova la meccanica quantistica anche nel mondo della New Age. Il paradosso del gatto diventa anche una metafora della vita di Alice: nel momento in cui sceglie di non aprire la scatola, di fatto sceglie di restare in uno stato di incertezza, di non vivere e di lasciarsi trasportare dagli eventi, mentre quando sceglierà di aprire la scatola, effettuerà una scelta di coraggio, assumendosi il rischio di scoprire che il gatto è morto, ovvero che la realtà è diversa da quella che avrebbe voluto.
Questo romanzo è un viaggio, intrapreso da Alice a 14 anni, quando il padre le ha regalato il biglietto con l’immagine del gatto: il paradosso di Schrödinger è diventato un indicatore direzionale della sua vita e solo quando ha trovato finalmente la sua strada, può lasciarlo andare, facendolo metaforicamente morire. Da spettatrice, finalmente Alice diventa protagonista della propria vita, attraverso la chiacchierata TED che la mette, letteralmente, al centro della scena. La conclusione era inevitabile, dato che il teatro è una sorta di coprotagonista: ogni capitolo è, infatti, seguito da una piccola parentesi intitolata “Sipario”, nella quale Gabriella Greison ci porta dietro le quinte, raccontandoci il tema centrale del capitolo e spiegandoci come è stato costruito e quale lavoro di ricerca sia stato fatto.
La narrazione comincia, il 2 gennaio del 2020, nel cimitero cattolico di Alpbach, in Austria, dove è sepolto Schrödinger e si conclude il 18 aprile del 2020 in piena pandemia. Alice ha avuto modo di visitare anche altri cimiteri, come il cimitero di Vienna, dove è sepolta Hedy Lamarr, o il fiume Delaware, dove sono state sparse le ceneri di Einstein. Nei suoi sogni, incontra i protagonisti della fisica e i suoi modelli di riferimento: Schrödinger, Hedy Lamarr, Einstein e Ada Lovelace. Alice ripercorre non solo metaforicamente la strada della meccanica quantistica, ma anche la strada percorsa dalla stessa Gabriella Greison, nelle sue ricerche e nei suoi incontri con i ricercatori che attualmente si occupano di questa branca della fisica.
Per immergersi fino in fondo nella struttura della storia e della fisica stessa, è consigliabile una seconda lettura, durante la quale ci si potrebbe ritrovare a vivere in prima persona ciò che succede nella ricerca scientifica: «Si avanza a tentoni per anni, e poi tac! Si schiarisce il cielo dalle nubi, di colpo». Gabriella Greison ci spiega, facendoci fare esperienza, come sia complicata la fisica a certi livelli: dopo averci spiegato per anni il mondo della meccanica quantistica, mostrandoci quegli aspetti che possono essere raccontati con semplicità, con questo romanzo ha deciso di scavare più in profondità e far fare al lettore un’esperienza.
Il libro è consigliato a tutti, ma, come succede con la buona divulgazione, non si deve avere la pretesa di capire tutto e si deve avere il coraggio di continuare il proprio viaggio, anche quando il panorama sembra nascosto dalla nebbia.
«Hotel Copenaghen» è stato pubblicato nel 2018 dalla casa editrice Salani. L’autrice è Gabriella Greison, fisica, attrice teatrale, giornalista professionista, scrittrice e appassionata del mondo della meccanica quantistica, che ha trovato modo di presentare a teatro in celebri monologhi. Il romanzo in questione fa parte di un gruppo di romanzi dedicati ai protagonisti della meccanica quantistica: il primo è stato L’incredibile cena dei fisici quantistici (2016), ambientato a Bruxelles al termine del Congresso Solvay del 1927.
I fatti presentati in questo romanzo si svolgono tra il 1932 e il 2017, ma ci sono parecchi riferimenti ad eventi precedenti. Nella narrazione, ritornano alcune date sempre uguali, come anniversari che celebrano un momento importante: il 7 ottobre (nel 1885 è nato Bohr), il 18 novembre (nel 1962 è morto Bohr), il 7 dicembre (nel 1913 segna la nascita del modello atomico di Bohr, che ha pubblicato un articolo a luglio dello stesso anno). Il romanzo è raccontato in modo originale da due narratrici, che si alternano a seconda del luogo o del tempo in cui è ambientato ciò che viene raccontato: la prima voce narrante è Margrethe Nørlund, moglie di Niels Bohr, mentre la seconda è Adelaide, cuoca di casa Bohr, che di fatto racconta, in un diario personale, gli avvenimenti più recenti di cui è spettatrice.
I fatti non sono presentati in ordine cronologico, ma se lo facessimo, dovremmo cominciare con la rappresentazione teatrale del 1932, svolta a Copenaghen, come celebrazione di Goethe, con una rivisitazione del suo Faust attualizzato attraverso la fisica. Troveremmo poi il venticinquesimo anniversario di matrimonio di Bohr, nel quale una nostalgica Margrethe indossa il suo abito da sposa, ripensando alla luna di miele all’insegna della fisica, perché, d’altra parte, la proposta di matrimonio di Bohr era stata molto originale: «Vuoi diventare mia moglie, madre dei miei figli e madre dei miei studenti?». Gli anni che seguono la Seconda guerra mondiale racchiudono una serie di riflessioni fatte da Margrethe sulla guerra e sul ruolo degli scienziati: costituiscono una sorta di bilancio. La morte di Bohr è raccontata nel dettaglio e seguono poi le riflessioni di Margrethe e l’incontro con Heisenberg, realmente avvenuto, anche se non si hanno particolari al riguardo. Gabriella Greison usa questo incontro sia in apertura che in chiusura, come due parentesi che contengono tutta la narrazione: l’incontro costituisce un evento cardine attorno al quale ruota l’amicizia tra i due fisici. Con un salto al 1984, attraverso il diario di Adelaide ripercorriamo gli ultimi tre mesi di vita di Margrethe. La sua morte è avvenuta il 21 dicembre, 22 anni dopo la morte del marito ed è il 22° capitolo (l’ultimo) quello che ha per oggetto l’ultimo incontro tra lei e la cuoca. Per il 7 ottobre del 1985, Gabriella Greison immagina una celebrazione dei 100 anni della morte di Bohr, sulla sua tomba, tra studenti di fisica che ripercorrono le scoperte della fisica del Novecento. Altra celebrazione è il centenario del 7 dicembre 2013, ricordato a Parigi con una conferenza di Tomas Bohr, nipote del celebre fisico e fisico a sua volta (la conferenza è reperibile su YouTube). Il 6 gennaio del 2017 viene ripercorso, nel penultimo capitolo, l’incontro del 1941 tra Bohr e Heisenberg, con una nuova interpretazione dei fatti.
Protagonisti di questa storia non sono solo Bohr e Heisenberg, ma anche la moglie e tutti i fisici che hanno ruotato attorno a Bohr. Hotel Copenaghen è la casa dei Bohr: veniva indicata in questo modo, dato che accoglieva tutti gli studenti, i collaboratori e i colleghi del fisico. Il dono di Bohr era stato proprio quello di saper raccogliere attorno a sé i più grandi fisici dell’epoca e numerosi studenti, che in qualche modo contribuirono a costruire la fisica e, in particolare, la meccanica quantistica. Margrethe Nørlund è presentata con il suo nome da nubile, come riconoscimento della sua identità e del ruolo di primo piano che ha avuto nella vita di Bohr, dato che non ne è stata solo la moglie, ma anche la collaboratrice e l’editor dei suoi articoli, ruolo importante, che le è sempre stato riconosciuto dal marito. «Che le donne in casa Bohr e nell’istituto di fisica NBI abbiano avuto un ruolo chiave è cosa sicura». In questo alternarsi di voci e di tempi ritroviamo come protagonisti anche Einstein, grande amico di Bohr, Schrödinger, Pauli e tutti i più grandi fisici del Novecento.
Gabriella Greison ha realmente incontrato un discendente di Bohr, ovvero il nipote Tomas, e da lui ha avuto alcuni riferimenti che sono stati il punto di partenza di questo percorso. Anche in questo romanzo, come in La leggendaria storia di Heisenberg, viene scelta come seconda voce narrante una figura umile, ovvero la cuoca dei Bohr, che sembra richiamare una delle celebri citazioni di Einstein, ovvero: “Non hai veramente capito qualcosa finché non sei in grado di spiegarlo a tua nonna.” La scelta di un personaggio al di fuori del mondo della fisica sembra una garanzia di semplicità, come se Gabriella Greison volesse rassicurare il lettore.
Come sempre, in conclusione l’autrice elenca gli eventi riportati nel libro, distinguendo tra quelli realmente accaduti e quelli necessari alla narrazione. È l’autrice stessa a dirci che possiamo percorrere la storia nel modo che preferiamo: raggruppando le varie narrazioni o nell’ordine in cui lei ce le ha proposte, ma sconsiglia l’ordine cronologico, che farebbe perdere il percorso da lei studiato, quello che ci permette di capire meglio quanto presentato.
La lettura è consigliata a tutti, perché Gabriella Greison è una garanzia di leggerezza e, al tempo stesso, di passione per la fisica del Novecento.
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