«L’invenzione di Eva» è stato pubblicato all’inizio di luglio di quest’anno per Mondadori, nella collana Strade Blu. L’autore è Alessandro Barbaglia, noto per «La mossa del matto», vincitore del Premio Segafredo Zanetti e del Concorso letterario Coni, e per «La locanda dell’ultima solitudine», finalista al Premio Bancarella 2017. Ha vinto il Premio Strega ragazze e ragazzi nel 2021 con «Scacco matto tra le stelle».
Secondo quanto dichiarato sui social, Barbaglia ha avuto l’idea di questo libro dal 2018: la vita di Hedy Lamarr è così piena di avvenimenti che, presi singolarmente, potrebbero riempire un’intera vita. In altre parole, la vita di Hedy racchiude così tante vite che è impossibile riassumerla, perciò, l’impresa di raccontarla ha richiesto parecchio tempo.
La cosa che mi ha colpito fin da subito, nella prosa di Barbaglia, è la frequenza dei punti di domanda, perché l’autore non dà risposte (in certe situazioni può solo fare ipotesi), ma le domande che pone aprono una riflessione che ci porta a riconoscere alcuni dettagli: ad esempio, non possiamo definire la normalità o la genialità, e non sappiamo dire cosa sia un’invenzione o chi sia un inventore. Hedy Lamarr è stata una donna scomoda e Alessandro Barbaglia riporta molto bene questo aspetto: è come se, nella finzione letteraria, avesse vissuto la vicenda di Lamarr, come se l’avesse conosciuta, come se l’avesse tenuta vicino qualche anno, intervistandola a più riprese e facendosi aiutare in qualche modo a narrare le vicende di cui è stata protagonista. Non è facile raccontare una donna «troppo bella per essere anche intelligente», una donna posseduta da un talento gigantesco e oscuro, una donna che «è fatta tutta di futuro, è fuori dal tempo», una donna che ha indossato una maschera per tutta la vita, perché «il corpo è una maschera che non mi posso togliere». «È difficile capire una persona che è passata attraverso tante vite come ho fatto io. Ho vissuto tante situazioni, tante fasi, come si fa a spiegare la mia vita a chi ne ha avuta una semplice, a chi non ha mai visto il paradiso e l’inferno, come è capitato a me?» Questa distanza della vita di Hedy dalla vita di tutti noi viene resa con chiarezza da Alessandro Barbaglia: Hedy Lamarr è stata la diva che si è fatta conoscere grazie al film Estasi, è stata la moglie ebrea di un gerarca nazista in Austria, è stata il volto di Biancaneve di Walt Disney, è stata una diva, è stata una donna geniale che ha inventato la vite per il rossetto, la tinta per capelli per Max Factor, ed è stata l’inventrice dimenticata dell’indimenticabile wi-fi. «Nessuno si fida di Eva» e la sua invenzione, che ha brevettato nell’agosto del 1942, troverà la propria strada solo vent’anni dopo: «Le donne è già difficile che il mondo le prenda sul serio quando vanno al passo con i tempi, figurarsi quando sono avanti anni luce».
Nella finzione narrativa, Barbaglia finge di essere fratello di una donna geniale ma incomprensibile, con una vita molto simile a quella di Hedy Lamarr: «mi sento un bimbo capriccioso alle prese con alcune storie troppo grandi, la tua, la mia e quella di questa donna: la più bella del mondo». Il racconto si apre con la sorella: l’io narrante si illude che sarà più facile raccontarla avendola avuta vicina, perché non ci rendiamo conto, forse per colpa della nostra superficialità, che non riusciamo a raggiungerne la vera essenza, ad andare in profondità. Nel corso del libro, questo fratello imparerà a conoscere Hedy Lamarr e, al tempo stesso, a riscoprire e comprendere le scelte della sorella, che all’inizio viene definita, a più riprese, come una «stronza». Così, si rende conto solo più avanti che «nelle vite di tutti noi ci dev’essere sempre una grande paura, una paura che faccia sembrare tutte le altre insignificanti», che guida le nostre azioni rendendole incomprensibili agli altri, tanto che non è possibile imbrigliare il nostro io più profondo con una banale etichetta.
La copertina del libro mi ha catturata mentre gironzolavo tra gli scaffali di una libreria: non sapevo che fosse stato scritto un libro su Hedy Lamarr, ma la sua immagine mi ha ammiccato dallo scaffale e non ho potuto non acquistarlo. Conoscevo la sua vicenda, conoscevo i dettagli della sua vita, dal film Estasi alla devastante chirurgia estetica degli ultimi anni, ma l’ho sempre raccontata concentrandomi sull’invenzione del wi-fi e trattando tutto il resto come un dettaglio secondario. Alessandro Barbaglia ha trovato il modo di “tener dentro” tutto, raccontandoci qualche verità in più su Hedy Lamarr, facendo convivere tutti i particolari della sua vita e facendolo con la consapevolezza, dichiarata a più riprese, che «il futuro, le nostre vite, tutto prende una piega diversa a seconda che a mangiare del frutto della conoscenza sia un uomo o una donna. I peccati originali si rimettono più volentieri agli uomini. Alle donne, invece, toccano le sette maledizioni di Eva.»
Alessandro Barbaglia ripercorre «la vicenda scordata di una donna senza fili che avrebbe potuto cambiare il nostro domani e che oggi nessuno ha più idea di chi sia»: ha il volto della celebre Biancaneve, ma nessuno lo sa.
Se scrivere questo libro è stata davvero un’impresa, anche parlarne non è facile: sono state tante le emozioni scatenate dalla lettura di questo libro, che consiglio caldamente, sia per le vicende della protagonista, sia perché l’autore ha avuto la capacità di raccontare questa storia con obiettività ed emozione, restituendole il posto che merita nella storia degli inventori.
«Il 9 novembre, ogni anno, nel giorno del suo compleanno, viene celebrata la giornata degli inventori dimenticati: quella giornata è dedicata a Hedy Lamarr. Non lo sa nessuno. Il 9 novembre tutti ricordano solo la caduta del muro di Berlino.»
«Sbagliando si impara. Storie di geni che non si sono arresi» è stato pubblicato dalla casa editrice White Star nel 2022 nella collana National Geographic Kids. Gli autori sono Max Temporelli e Barbara Gozzi: Temporelli è fisico divulgatore, dal 2017 è autore e voce del celebre podcast F***ing Genius, è autore del libro «F***ing Genius» per HarperCollins Italia (2020), di «Innovatori» per Hoepli (2015) e di «Noi siamo tecnologia» per Mondadori (2021), a dimostrazione del fatto che il tema dei geni e delle invenzioni è proprio nei suoi geni. Barbara Gozzi è socia dell’agenzia di storytelling Book on a Tree, senior editor, ghostwriter e autrice di «La maledizione di Bloody Mary» con Fabbri (2021). Le illustrazioni sono di Agnese Innocente, vincitrice del Premio Andersen per il miglior libro a fumetti del 2021, con il libro «Girotondo», scritto con Sergio Rossi.
Il titolo e il sottotitolo ci raccontano già molto del contenuto del libro, svelandoci il valore pedagogico dell’errore e l’importanza di non arrendersi. I protagonisti sono dieci inventori, alcuni meno noti di altri, ma riconoscibili grazie alla celebrità delle loro invenzioni. La rassegna comincia con Thomas Alva Edison e la lampadina, si procede con Jan Ernst Mazeliger, che ha permesso di realizzare calzature in modo industriale, Guglielmo Marconi e le telecomunicazioni, Wilson Greatbatch con il pacemaker, James Dyson con l’omonimo aspirapolvere, Margarete Steiff e l’orsetto Teddy, Stephanie Louise Kwolek inventrice del kevlar, Charles Goodyear con il procedimento della vulcanizzazione, Percy Spencer con il microonde e John Stith Pemberton con la famosissima Coca Cola. Questi otto uomini e due donne hanno realizzato qualcosa di unico, che ha lasciato un segno, ma le loro storie sono costellate di errori: ci imbattiamo subito nei 1999 modi di non fare una lampadina scovati da Edison, che viene però presto superato dai 5126 prototipi di James Dyson, che ha speso 15 anni per realizzare un aspirapolvere. Questo perseverare per sostenere un’intuizione, nonostante gli errori, può portare lontano, può aprire nuove strade, può portare a risultati diversi da quelli che ci si aspettava, come la Coca Cola, la vulcanizzazione e il kevlar, nati da errori casuali. Ma non sarebbe possibile ottenere un risultato, se non ci fossero la passione e la determinazione, ingredienti fondamentali per reggere 15 anni di tentativi. I dieci geni ci dimostrano che per arrivare al successo è necessario andare controcorrente, allenarsi a combattere lo status quo, non ascoltare chi dice che è inutile ciò che stiamo facendo.
Dopo una breve pagina introduttiva di carattere biografico, le invenzioni vengono presentate attraverso un paio di tavole di fumetti, per poi affrontare i dettagli dell’invenzione in un altro paio di pagine, dove campeggia una citazione del genio o un commento al suo lavoro. La conclusione, in poche righe di stampatello maiuscolo, sottolinea quale sia stata la rilevanza dell’errore in quella storia particolare. Le illustrazioni sono una parte centrale del libro: aiutano anche i più piccoli (il libro è pensato per bambini dagli 8 anni) a visualizzare le invenzioni, e l’approccio, pur semplificando i contenuti, permette di cogliere pienamente l’unicità e la straordinarietà di questi dieci “geni che non si sono arresi”.
«Doctor Newtron, la scienza nel fumetto» è una recentissima pubblicazione di Feltrinelli Comics. L’autore è Dario Bressanini: docente di chimica presso l’Università degli Studi dell’Insubria a Como, noto divulgatore scientifico, conosciuto come “l’amichevole chimico di quartiere”, ha scritto numerosi libri di carattere divulgativo a partire dal 2009, come «OGM tra leggende e realtà» (2009) e «Le bugie nel carrello» (2013), dedicati alla disinformazione alimentare, «La scienza della pasticceria» (2014), «La scienza della carne» (2016), «La scienza delle verdure» (2019), «La scienza delle pulizie» (2022) e l’ultimissimo «Fa bene o fa male?» (2023). Ha scritto anche «Contro natura», in collaborazione con Beatrice Mautino, (2015) e un libro di matematica con Toni Toniato, «I giochi matematici di fra’ Luca Pacioli» (2011).
«Doctor Newtron» è a metà tra una graphic novel e un saggio scientifico: «Questo libro […] mostra come la scienza nel mondo reale si è intersecata con il mondo dei fumetti dei supereroi, come l’ha influenzato, come è cambiata la rappresentazione della scienza e degli scienziati nell’universo delle nuvolette.» Da un lato gli eventi della vita reale determinano un aumento della presenza della scienza tra le pagine dei fumetti, dall’altro, l’aumentata esposizione dei ragazzi alla scienza attraverso i fumetti potrebbe aver «giocato un ruolo importante nell’immaginario di tutti quei bambini e quelle bambine che sono stati ammaliati da eroi ed eroine in calzamaglia colorata». Dario Bressanini si dice «abbastanza convinto» che una parte dei dottorati in più nelle materie scientifiche sia dipesa dall’aumentato interesse dei fumetti nei confronti della scienza. Una sorta di circolo virtuoso, nel quale lo stesso autore è rimasto coinvolto. Coniugando, quindi, le due passioni, Bressanini ripercorre la storia della scienza attraverso le vicende di Tom Ernea Taylor, meglio noto come il supereroe Doctor Newtron: Taylor è praticamente l’alter ego dell’autore, perché oltre a rivivere in parte la sua vita, ha un superpotere chimico, visto che può trasformare gli elementi (un alchimista moderno!) ed è la guida di questo viaggio, «come Dante con Virgilio». «Se è vero che, tranne il Dottor Newtron, nessun supereroe della Golden Age era uno scienziato», è ancora più vero che nessun supereroe della Golden Age è stato ideato da un chimico. Nel compiere questa impresa (unica nel suo genere!), Bressanini è stato aiutato e spinto dal fumettista Tito Faraci: «con non pochi timori e pieno di soggezione, ho iniziato la stesura dei soggetti, sempre sotto lo sguardo attento di Tito.» Nel testo ritroviamo, principalmente, le illustrazioni di Luca Bertelè, ma ci sono anche Biagio Leone, Giuseppe Gho e Maurizio Rosenzweig.
Le prime parole dell’introduzione, oltre ad avere un sapore autobiografico, contengono il resto del libro: «In molte vicende c’è un prima e c’è un dopo, e un evento epocale preciso e facilmente individuabile a fare da spartiacque». Le storie del Dottor Newtron sono la chiave di volta per focalizzare l’attenzione su questi singoli eventi, che hanno cambiato il corso della storia, sia quella reale che quelle dei fumetti. Il primo evento è l’esplosione della bomba atomica, che «cambiò drasticamente le sorti della Seconda guerra mondiale, ma anche la percezione che la società aveva della scienza e degli scienziati», dato che dall’immagine di scienziato svagato, con le boccacce di Einstein, si è passati a scienziati più realistici e reali, come Robert Oppenheimer, con una scienza che da «ricerca intellettuale» con un valore astratto, diventa qualcosa che «fornisce meraviglie, conoscenza, cultura, ma anche supremazia militare, tecnologica ed economica.». Il secondo evento è il lancio dello Sputnik, da cui scaturirà la corsa allo spazio e quindi un rinnovato interesse per la scienza, che diventa ancora una volta campo di scontro, diciamo così, all’interno della guerra fredda, esattamente come lo era stata durante la Seconda guerra mondiale.
Altro tema trattato è quello della censura: la guerra intrapresa dallo psichiatra Fredric Werham contro i fumetti, responsabili, a suo dire, di alcuni episodi di cronaca nera che coinvolgevano minorenni, aveva portato all’introduzione del Comics Code negli Stati Uniti. Questo «ebbe conseguenze devastanti», ma «paradossalmente, il Comics Code contribuì a iniettare più scienza e fantascienza nei fumetti», visto che la scienza era «un argomento ben visto dalla società». In Italia, la censura si spingeva fino a rimaneggiare le storie originali, ridisegnandone anche le vignette, per ridimensionare la violenza, modificare il linguaggio ritenuto non appropriato e, in caso, vestire con abiti meno sconvenienti le donne.
Il grande lavoro di studio di Bressanini è riconoscibile, per gli amanti dei fumetti, nello stile, che replica, a seconda dell’epoca in cui è ambientato il fumetto, proprio quello del periodo. È lo stesso Bressanini a raccontarci di aver «attinto a piene mani dai fumetti dell’epoca» e questo lavoro di “copiatura” è, al tempo stesso, un gioco, un omaggio ai grandi fumettisti e una strategia «per rendere più plausibile il falso storico» (e se non l’avesse dichiarato apertamente, forse ci saremmo cascati!). Le conoscenze dei fumetti sono arricchite dalla grande preparazione scientifica di Bressanini: nelle vignette, ritroviamo Feynman e Fermi, insieme a spiegazioni scientifiche che accompagnano gli eventi del fumetto.
Quello proposto da Bressanini è un percorso triplice: storico, scientifico e di costume (in tutti i sensi, visto che si fa riferimento a supereroi mascherati!). Le storie a fumetti aiutano a colpire meglio l’immaginario e a lasciare un segno nella nostra memoria, mentre i saggi di Bressanini permettono di focalizzare l’attenzione su ciò che, eventualmente, è sfuggito nella lettura del fumetto, sono una sottolineatura. Il fatto che Bressanini sfrutti due linguaggi diversi è una ricchezza: il libro può appassionare sia gli amanti dei fumetti, che i “soliti lettori” dell’amichevole chimico di quartiere, che lo ritrovano nell’”apparato testuale” che supporta i fumetti. Io credo che, con questo libro, Bressanini abbia superato sé stesso, forse perché traspare ancora meglio la sua passione, per la scienza e per i fumetti, forse perché, con la scelta di condividere anche l’«evento epocale» che ha sconvolto la sua vita, permette ai suoi lettori di conoscerlo ancora meglio e di sentirlo più vicino.
«Il pollo di Marconi e altri 110 scherzi scientifici» è stato pubblicato ad aprile 2022 dalla casa editrice Dedalo nella collana ScienzaFACILE. L’autore è Vito Tartamella, «un filosofo che si dedica da decenni al giornalismo scientifico», come dichiarato sul suo sito. Dopo essere stato «conquistato dalla scienza», è diventato caporedattore a Focus (dal 2004), ha all’attivo alcune pubblicazioni, tra cui il libro «Parolacce» del 2006 (c’è anche un sito!), è stato vincitore del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica del CNR nel 2016 e ha ricevuto una nomination per il premio European Science writer of the year 2018.
In questo libro, troviamo una raccolta di scherzi realizzati da scienziati, raggruppati in diciassette categorie, dove sono elencati in ordine cronologico. Si comincia con i Tiri mancini, realizzati da Tesla, Fermi, Burdell, Feynman fino alla linguaccia di Einstein, si prosegue con i Malati immaginari, dove troviamo malattie fantasiose, come il blocco dello scrittore, la scrotalgia del violoncellista o la malattia del cactus. Le Dediche e le sigle sono riportate nella terza categoria, che si apre con il gene dedicato a Tafazzi, a dimostrazione che Aldo, Giovanni e Giacomo hanno lasciato un segno anche nel mondo scientifico. Fra i Colpi di scena, troviamo parecchi pesci d’aprile, come il finto iceberg trasportato dall’Antartide o il gorilla sulla Stazione Spaziale Internazionale, mentre tra gli Animali leggendari non poteva mancare il mostro di Loch Ness o il ritorno dei draghi a causa del riscaldamento globale. Una delle categorie più simpatiche è quella degli Autori farlocchi, da cui tutto è cominciato: troviamo autori inventati, autori che in realtà sono animali domestici, o nomi collettivi come Bourbaki. Le Supercazzole sono invenzioni che non esistono, ma che video o fotografie ritoccate hanno reso reali, come il turboencabulatore, mentre le Invenzioni fasulle sono quasi tutte pesci d’aprile divertentissimi, come la macchina che parla con le piante, il Wi-Fi da collegare al WC o la macchina per recuperare il tempo perso. Il pesce d’aprile del celebre matematico Enrico Bombieri, che aveva annunciato la dimostrazione dell’ipotesi di Riemann, rientra nella categoria Troppo bello per essere vero, mentre il capitolo successivo raggruppa quegli scherzi che fanno leva sulle nostre paure, come la famosa burla sul monossido di diidrogeno. Call to action racconta pesci d’aprile che comportano il coinvolgimento di un gran numero di persone, mentre la Satira scientifica ci regala grandi risate con la tribù dei Nacirema, uno scherzo così efficace da diventare «uno stratagemma didattico per riflettere sulla relatività degli usi culturali anche in campo giuridico». La sezione Finte scoperte presenta sei pesci d’aprile, tra i quali troviamo un misterioso monaco del XIII secolo, che ha scoperto i frattali prima di Mandelbrot. Grazie agli Scherzi autoironici scopriamo che l’umorismo degli scienziati aumenta con l’età e ritroviamo anche l’indimenticabile tunnel dei neutrini, che collega il Gran Sasso al CERN. Nella categoria Voli di fantasia, troviamo alcuni nomi importanti, come Martin Gardner, divulgatore matematico, e Asimov, celebre scrittore di fantascienza. La penultima categoria si intitola Scemo chi ci crede e propone scherzi particolarmente elaborati e fantasiosi, come il divieto di navigare su internet in stato di ebbrezza e l’ascensore di particelle del CERN. L’ultima categoria è riservata alle Manovre economiche, che ci propone l’acquisto della chiesa cattolica da parte della Microsoft, quello del MIT da parte della Walt Disney e la sponsorizzazione dei teoremi matematici.
Vito Tartamella apre il percorso con il racconto dello scherzo di Marconi del 1895, che dà il titolo al libro, uno scherzo goliardico nel quale il fisico aveva sfruttato le scoperte elettriche del periodo, restituendo la vita a un pollo ormai morto e spaventando una sua dipendente. Tutto, però, è cominciato nel 2014, quando Tartamella ha scoperto lo scherzo clamoroso che ha per protagonista Stronzo Bestiale: raccontato sul blog parolacce.org, ha avuto un’eco incredibile, permettendo all’autore di conoscere altri scherzi. Il lettore, spesso vittima di un’immagine stereotipata dello scienziato, sarà portato a cogliere «il lato giocoso, fantasioso, provocatorio, spiritoso e umano degli scienziati», grazie a questi 110 scherzi, raccontati a partire dal loro contesto. La maggior parte di questi episodi è collocata negli ultimi ottant’anni: il 60% degli scherzi è stato fatto dopo il 1990, grazie all’avvento di internet, che ha permesso agli scienziati di gestire la comunicazione in modo più diretto, e che ha fornito gli strumenti per manipolare la realtà, come mostrato dai video e dalle immagini, linkati nel corso della narrazione con i QR code. Fautori degli scherzi sono premi Nobel, divulgatori scientifici, inventori geniali, autorevoli riviste scientifiche (su ArXiv è stata creata una sezione apposita, gli «Acta Prima Aprilia»), enti di ricerca come la NASA o il CERN, università e musei, a dimostrazione del fatto che questi scherzi «trasudano intelligenza e fantasia, come ci si aspetta dagli uomini di scienza. E rivelano cosa pensano gli scienziati di sé stessi e del mondo.»
Gli scherzi presentati difficilmente mettono in ridicolo una persona o puntano alla vendetta e all’umiliazione: sono per la maggior parte scherzi satirici, che fanno emergere le nostre paure o i lati negativi delle cose. Offrono «l’occasione per esercitare un nuovo sguardo sul mondo», tant’è che a volte aprono la strada anche a sviluppi inattesi.
Nel capitolo conclusivo, Vito Tartamella fa un elenco delle discipline coinvolte e riflette sul fatto che «la maggior parte degli scherzi sono stati concepiti da ricercatori specializzati nelle scienze più complesse», forse per sdrammatizzare o per offrire un attimo di respiro. Non manca una riflessione sulle fake news, sottolineando che, anche se la propensione al complottismo ha reso più difficile lasciarsi andare allo scherzo, «abolire gli scherzi non aumenterebbe il numero delle persone ragionevoli», oltre al fatto che la capacità di scherzare è un aspetto positivo: «si può scherzare solo se si è disposti a non prendersi troppo sul serio».
Vito Tartamella ci parla della scienza con leggerezza, consentendoci di passare qualche ora di svago e regalandoci qualche risata. «Giocare con la scienza può essere affascinante», grazie a questi scherzi che «permettono davvero di guardare la scienza con occhi diversi.»
«Mezzogiorno di scienza», pubblicato nel novembre 2020 da Edizioni Dedalo, è un libro la cui realizzazione è stata curata da Pietro Greco e che vede la collaborazione di quindici comunicatori della scienza: Pierluigi Argoneto, Roberto Bellotti, Barbara Brandolini, Francesca Buoninconti, Francesco Paolo de Ceglia, Rossella De Ceglie, Romualdo Gianoli, Pietro Greco, Nicoletta Guaragnella, Corinna Guerra, Sandra Lucente, Carla Petrocelli, Gaetano Prisciantelli, Massimo Temporelli e Guido Trombetti.
In questi quattordici «Ritratti d'autore di grandi scienziati del Sud», troviamo una «testimonianza di come gli uomini di scienza nati nel Mezzogiorno [abbiano] saputo legare strettamente le loro terre e la loro attività all’Italia, all’Europa e, sempre più, al resto del mondo». In effetti, ogni protagonista mostra una grande lungimiranza e la capacità di intessere reti di conoscenze, anche al di fuori della propria sfera di competenza. Diversi sono gli ambiti toccati: chimica, fisica, matematica, medicina, ingegneria, botanica, e diverse sono le epoche, a partire dal 1700 fino al 2000, durante le quali i protagonisti hanno influenzato e modificato la società nella quale hanno vissuto.
Pietro Greco nell’introduzione ricorda che il Mezzogiorno è «perennemente in bilico tra modernità e arretratezza» e, citando le parole del celebre attore partenopeo Eduardo Scarpetta, parla di «miseria e nobiltà». Allo stesso modo, questi protagonisti sono presentati con le luci e le ombre che li hanno contraddistinti: non ci sono solo un grande spessore umano e un’incredibile conoscenza, ma anche errori che nessuno degli autori sente di giudicare o assolvere. Ogni protagonista è presentato a tutto tondo, nel modo più obiettivo possibile.
I protagonisti sono presentati in ordine cronologico: Domenico Cirillo è stato medico e botanico e la sua osservazione di specie mai descritte prima ha colpito in modo così importante i contemporanei da spingere un botanico scozzese a dedicargli il genere delle piante Cyrillaceae. Oronzo Gabriele Costa è stato un naturalista, e con l’anfiosso ha trovato una forte prova a sostegno dell’evoluzione. Stanislao Cannizzaro è stato un patriota e un riformatore della scuola e della sanità, ma è stato soprattutto il più grande dei chimici italiani del XIX secolo, tanto da essere insignito della Copley Medal. Maria Bakunin è stata la prima donna a laurearsi in chimica: figlia di un rivoluzionario russo, a causa della sua fermezza e decisione veniva descritta come una prepotente. Mauro Picone, matematico, fu un grande maestro, che rese la propria scuola il fulcro dell’analisi matematica italiana. Organizzatore e manager, fondò l’Istituto Nazionale per le Applicazioni del Calcolo, del quale mantenne la guida fino al 1960. Domenico Marotta, direttore dell’Istituto Superiore di Sanità, ha una storia struggente, che mette in luce un problema attualissimo, quello del conflitto tra la magistratura e la scienza: la sua vicenda giudiziaria ricorda quella più recente di Ilaria Capua. Francesco Giordani fu «un chimico nelle stanze del potere», nelle sedi dell’impresa e della finanza: si occupò dell’innovazione della filiera della cellulosa, che fu decisiva nella sua formazione, insegnandogli a misurarsi concretamente con i problemi. Renato Caccioppoli fu un genio matematico irrequieto e tormentato, che ebbe una folgorante carriera accademica. Ettore Majorana, fisico, trovò dei risultati sui quali si continua tuttora a lavorare ed è noto a tutti per la sua scomparsa misteriosa. Filomena Nitti Bovet, figlia dell’antifascista Francesco Saverio Nitti, fu la moglie di Daniel Bovet, che fu insignito di un premio Nobel che era tanto suo quanto della coniuge. Entusiasta, caparbia e tenace, diede un contributo fondamentale alla farmacologia. Renato Dulbecco, premio Nobel per la medicina, sempre in anticipo sui tempi, ottenne grandi risultati nell’ambito della lotta ai tumori. Felice Ippolito, come Marotta, provò su di sé l’effetto della macchina del fango negli anni ’60: fu un ingegnere specializzato in geologia e la sua fu «una rivoluzione incompiuta», perché il nucleare non ebbe successo in Italia. Eduardo Caianiello fu un fisico e ottenne una borsa di studio del MIT, ma è ricordato come un pioniere della cibernetica. Ennio De Giorgi grazie alla sua inclinazione per i linguaggi sviluppata al liceo classico, diede fondamentali contributi alla matematica. Fu un «matematico al servizio della Sapienza», che riteneva la condivisione del sapere «una delle più alte forme di carità».
All’interno di ogni capitolo ritroviamo le illustrazioni di Francesco Dabbicco, che per ogni protagonista ha realizzato un ritratto e, spesso, un’immagine che lo caratterizzi. Al termine di ogni capitolo troviamo dei suggerimenti di lettura per approfondire la conoscenza di questi personaggi e all’interno del capitolo due box, uno dedicato ai luoghi che caratterizzano questi personaggi e un secondo di carattere vario, a volte una citazione del protagonista stesso, a volte una testimonianza o un racconto, altre volte una canzone ispirata alla vicenda, come per l’anfiosso di Costa.
Non è un libro per specialisti, ma per appassionati di scienza. Non è necessario, invece, amare il Mezzogiorno, perché quello ci pensano i protagonisti a farcelo amare.
«F***ing Genius», pubblicato nel settembre 2020 da HarperCollins Italia, è una delle ultime fatiche di Massimo Temporelli. Fisico di formazione, si occupa da vent’anni della diffusione della cultura scientifica, tecnologica e dell’innovazione, attraverso scritti, articoli, speech, e in particolare tramite l’attività per Storie libere, una piattaforma di podcast indipendente. Massimo Temporelli si definisce un «defibrillatore culturale», più che un divulgatore scientifico, visto che il suo obiettivo primario, come dice nell’introduzione, «è scaldare i cuori, scuotere la carne, accendere la vita e il respiro umano intorno alla scienza e alla tecnologia». Anche con questo libro, vuol accendere la curiosità nel lettore, con la sua passione e il suo entusiasmo, desiderando di poter fare «la differenza tra il prima e il dopo»
L’autore ci presenta gli otto personaggi di questa rassegna con grande vivacità, senza andare in profondità, come potrebbe fare una biografia vera e propria, ma stimolando nel lettore la voglia di approfondire ulteriormente gli argomenti trattati. Gli otto personaggi scelti non sono i soliti che potremmo trovare in una raccolta di biografie e pur essendoci degli aspetti in comune tra di loro, sono stati scelti perché da ognuno di loro si possa imparare «una lezione per provare a migliorarci […] una lezione per imparare a diventare un po’ più simili a questi straordinari pensatori scientifici, capaci di cambiare la traiettoria della nostra evoluzione». Questi personaggi hanno una genialità «quasi fastidiosa […] che ci obbliga a ripensarci».
Il percorso comincia con Charles Darwin e Leonardo da Vinci, Ada Lovelace e Charles Babbage occupano il terzo capitolo, non possono mancare Albert Einstein che ha rivoluzionato la fisica del Novecento e Marie Curie che gli è stata in qualche modo compagna, si procede con Elon Musk, che sta modificando il nostro modo di vedere la tecnologia, e in chiusura troviamo Isaac Newton e Steve Jobs. Ognuno di questi personaggi ha in qualche modo innovato il tempo e l’ambito nel quale si è trovato a operare e in questa innovazione ha usato quelle caratteristiche, che danno il titolo al capitolo. Ogni personaggio è presentato in alcuni capitoli compresi tra l’introduzione e il capitolo finale, intitolato “take away”, a significare ciò che il lettore deve in qualche modo assorbire. Secondo Temporelli, per essere dei veri innovatori dobbiamo essere giovani, perché è la gioventù che ci dà l’incoscienza e lo stimolo per abbattere i confini nei quali ci troviamo ad operare, e dobbiamo accettare di lavorare in squadra, non possiamo vivere isolati. Possiamo commettere degli errori, ma dobbiamo andare avanti con passione e caparbietà, senza lasciarci vincolare dalle barriere della singola disciplina, costruendoci da soli quando ci ritroviamo a partire svantaggiati rispetto ai nostri coetanei. Dobbiamo aver voglia di competere con gli altri e con noi stessi, perché la competizione può portarci a migliorare le nostre capacità.
Gli otto geni sono accompagnati da personaggi secondari ai quali vengono dedicate solamente un paio di facciate, che aiutano ad evidenziare un aspetto particolare. Così, ad esempio, nel momento in cui si parla di Darwin, ci ritroviamo Jeanne Baret, un’esploratrice a me sconosciuta. Leonardo da Vinci è accompagnato dai fratelli Wright, proprio a fare da cassa di risonanza alle sue grandi invenzioni. Ada Lovelace e Charles Babbage sono seguiti da Pascal, con la sua pascalina. Einstein è seguito da Bertha Benz, che, moglie dell’inventore tedesco che progettò la prima auto della storia, ha il merito di aver fatto compiere a questa auto un viaggio molto lungo, mostrando le potenzialità di questo mezzo di trasporto. Marie Curie è accompagnata da Almon Strowger, l’inventore della telefonia automatica, giunto a questo risultato solo per far rifiorire la sua impresa di pompe funebri. Elon Musk è seguito da Morse, il professore pittore e insegnante di disegno alla New York University che inventò il telegrafo. Newton è seguito da Bíró e Bich, per l’invenzione della penna a sfera che ha completamente cambiato il nostro modo di scrivere e di vivere. Infine, Steve Jobs è accompagnato dalla storia di Mark Zuckerberg, che nel logo di Facebook ha inglobato anche il logo di Sun per ricordare questo fallimento, «così che tutti capiscano che se smetti di innovare, muori, anche se hai fatto la storia».
Insomma, sono storie particolarmente ispiranti, scritte con una leggerezza che permette di correre attraverso le pagine come in una chiacchierata, e di esplorare gli aspetti di tutti questi personaggi straordinari. La conclusione è che noi non dobbiamo far altro che seguire questi “f***ing” geni, perché ognuno di noi ha la responsabilità, attraverso le proprie scelte, di progettare quello che sarà il nostro futuro. Un gran messaggio, presentato in modo eccezionale e unico.
«Lo spettacolo della fisica», pubblicato a marzo 2021 dalla casa editrice Dedalo, è stato scritto da Federico Benuzzi. Nella presentazione del suo blog, www.federicobenuzzi.com, Benuzzi dice di essere «professore, conferenziere, presentatore, giocoliere, attore…»: è, in effetti, un personaggio poliedrico, che ha al suo attivo non solo spettacoli teatrali, ma anche libri, come «Fisica sognante», pubblicato come bollettino trimestrale dell’Associazione per l’Insegnamento della Fisica, «La legge del perdente», pubblicato nel 2018 sempre per la casa editrice Dedalo, l’ebook «Giocolieri si diventa – manuale pratico di giocoleria», con Giochidimagia Editore ed è anche gestore del canale YouTube che porta il suo nome.
Esattamente come ne «La legge del perdente», il libro comincia con un incontro: ai compagni di avventura della scorsa volta, ovvero a Fazioli, l’ingegnere in pensione, e ad Andrea, studente universitario alla facoltà di statistica, si aggiunge Sara, cameriera aspirante attrice. Nella premessa, Federico Benuzzi ci dice che le pagine che andremo a leggere saranno «pagine di fisica, di didattica e di giocoleria» e in effetti c’è tutto quanto premesso e anche molto altro: oltre alla vicenda dei quattro amici, c’è una descrizione accurata di Bologna che fa veramente venir voglia di visitarla, ci sono la fisica e la matematica della giocoleria e, parlando di didattica, l’autore non si rivolge solo agli insegnanti, ma anche agli studenti. L’attività di Federico diventa, come succede sul palco, un’occasione per coinvolgere i suoi amici e per spiegare la fisica, che ritroviamo negli equilibrismi, spiegati con tanto di diagrammi delle forze, nelle leve e nella loro classificazione, nell’equilibrio, stabile instabile e indifferente e nel funzionamento del monociclo.
Oltre alla narrazione, ci sono le illustrazioni di Emanuela Bellisario e, distribuiti tra le pagine, troviamo dei QR code che rimandano a video e link, in coerenza con quanto scrive lo stesso autore: «è fondamentale, quando si spiega, mischiare insieme più registri comunicativi: è nella loro integrazione il massimo potere esplicativo possibile.»
Il libro è alla portata di tutti e si legge molto agevolmente: non è consigliato solo agli insegnanti, ma anche agli studenti delle scuole superiori, visto che i contenuti di fisica sono ben spiegati, mai banalizzati, ma chiari e semplici da capire. Mi ha colpito molto il fatto che Federico Benuzzi non abbia paura di stimolare il lettore a puntare un po’ più in alto e presenti quindi anche un percorso fatto di formule che possano aiutare a capire meglio la fisica. Non si tratta solo di spettacolo della fisica, perché anche la matematica ha un suo ruolo, protagonista negli schemi della giocoleria: non solo aiuta a rappresentare le combinazioni che si possono realizzare, ma può aiutare a trovare nuove combinazioni, come nel caso della “6x44x6”, «definito a furor di popolo il più bello schema di giocoleria che sia mai stato scoperto», per il quale «tutti riconoscono che, senza la matematica, probabilmente non lo si sarebbe mai trovato.»
Dopo aver visto dal vivo «L’azzardo del giocoliere», dal quale è tratto il libro «La legge del perdente», posso confermare che ciò che cogliamo in queste pagine è ciò che Benuzzi presenta nei suoi spettacoli, ovvero un intrattenimento intelligente, ma al tempo stesso coinvolgente, come mi hanno dimostrato i commenti entusiasti degli insegnanti di altre discipline, che mi hanno confermato la chiarezza degli argomenti spiegati. Consiglio vivamente la lettura di questo libro e, se possibile, la partecipazione a uno dei suoi spettacoli, perché, durante le sue performances dal vivo, la giocoleria e l’insegnamento, ovvero le due passioni, le due anime dell’autore, «potranno fondersi nuovamente insieme, in uno spettacolo unico, che vedrà andar di pari passo l’arte e la scienza. La tecnica e la sua descrizione matematica. Fisica e giocoleria.»
«Troppo belle per il Nobel» è uscito nel 2008 ed è stato ripubblicato in edizione tascabile a fine 2019 dalla casa editrice Bollati Boringhieri. L’autore è Nicolas Witkowski, fisico di formazione, che ha scritto numerose opere sulla storia della scienza, come «La vasca di Archimede» e «La storia sentimentale della scienza».
Il libro è costituito da ventuno capitoli, che attraversano la storia umana a partire dalla preistoria fino ad arrivare al XX secolo. La rassegna proposta è diversa rispetto a tutte quelle realizzate sul tema, perché non troviamo i soliti personaggi: Rosalind Franklin, Lise Meitner e Ipazia vengono citate come esempi nella premessa introduttiva, ma non trovano posto nel percorso, ad esempio. Fin dall’inizio, il testo mostra la sua particolarità, visto che comincia con la preistoria, una storia interamente maschile nella quale la donna è assente, un po’ come la storia delle scienze, scritta esclusivamente dagli uomini. Nella premessa, Witkowski dice le donne che vengono in genere menzionate nelle storie della scienza «si contano sulle dita di due mani» e, per questo motivo, per scrivere il libro ha dovuto «procedere a indagini delicate, rimbalzando da una biografia tronca a una nota a piè di pagina criptata» e soprattutto rimuovere dal quadro generale «la polvere di sufficienza maschile depositata dai secoli». Nella lettura, si riesce a percepire tutto questo lavoro di ricerca e si coglie anche la reale convinzione dell’autore che dice: «A un grand’uomo basta essere eccezionale; una donna deve essere straordinaria.»
La rassegna comincia con Huang Daopo, «inventore» dell’arcolaio a pedale nel XIII secolo, Sophie sorella di Tycho Brahe e Barbara Mühleck moglie di Keplero, dedite alla chimica, e Martine de Beausoleil, che suggerì a Richelieu di creare un corpo di ingegneri minerari. Nel 1700, le donne vengono citate nelle opere letterarie, ma nascoste dietro alcuni asterischi: diventano in questo modo il «simbolo stesso dell’ignoranza» e la loro presenza libera «da qualsiasi complesso d’inferiorità il lettore che altrimenti non avrebbe mai affrontato un’opera erudita». La maggior parte delle donne nominate è nata proprio nel XVIII secolo: Emilie du Châtelet, che tradusse in francese i Principia di Newton, Isabelle Godin, protagonista di un salvataggio inaspettato durante la spedizione per misurare la Terra, Elizabeth Thible, prima donna a mettere piede su una mongolfiera, Charlotte Corday, assassina di Marat, Marie Lavoisier, che portò a compimento il “Trattato di chimica elementare” iniziato dal marito, e Mary Somerville, che riuscì nell’impresa di far uscire le donne dalla cucina fino ad arrivare nell’atrio della Royal Society, dove venne sistemato il suo busto per «celebrare l’autorità dell’intelligenza femminile». Si procede con le scrittrici Mary Shelley e George Sand, con Ada Lovelace, alla quale venne «negato l’accesso alla biblioteca della Royal Society in quanto donna», Sophie Germain, che si finse uomo per poter interloquire con i più grandi matematici del tempo, Agnes Pockels, che fece grandi scoperte nella propria cucina nonostante la reclusione impostale dai genitori, mentre Katherine Blodgett diede seguito ai suoi lavori. Clémence Royer, «intrepida pioniera del femminismo», tradusse in francese l’opera di Darwin mentre Athénaïs Mialaret, che collaborò alle opere del marito, dopo la morte di lui «dovette dimostrare davanti alla giustizia la sua partecipazione all’opera comune». Loïe Fuller si rese protagonista della pericolosa Danza del Radio, mentre l’avventuriera Ida Pfeiffer vide la propria opera plagiata da Jules Verne. Sofja Kovalevskaja, grande matematica, è ricordata più per la sua vita libertina che per le sue abilità nella disciplina, mentre Marie Curie e Hertha Ayrton vengono ricordate anche per il proprio contributo durante la Prima Guerra Mondiale, l’una con le attrezzature realizzate grazie alla scoperta del radio e l’altra con i ventilatori che cambiano l’aria nelle trincee, grazie agli studi sulla fluidodinamica. Nel percorso, incontriamo anche alcune muse, come Alice Liddell, musa di Lewis Carroll, o la donna senza nome che grazie ad un «episodio folgorante e tardivo» permise a Schrödinger di trovare la famosa equazione. Tra i talenti non riconosciuti, troviamo Alicia Boole, figlia del logico e matematico Boole, che «giocava all’ipercubo invece che con le bambole», ma «non conobbe gli onori della gloria scientifica», esattamente come Emmy Noether, «doppio femminile» di Einstein, che ci mostra come «ciò che in Albert suscitava ammirazione, in Emmy infastidiva» o Chieng Shiung Wu, che perse il meritato Nobel per l’esperimento di parità nel 1957. La rassegna si chiude con il campo della primatologia e quattro donne, Jane Goodall, Biruté Galdikas, Shirley Strum e Dian Fossey, che sono riuscite ad approcciare lo studio dei primati in modo completamente diverso e innovativo, rispetto agli uomini che le hanno precedute.
Come si può notare, la rassegna si avventura lontano dai soliti sentieri battuti e, nella lettura, siamo accompagnati da un umorismo sottile e denso di ironia, che ci permette di gustarci la carrellata con una certa leggerezza, mentre continui richiami collegano tra loro i singoli capitoli. Ad ogni capitolo sono dedicate circa cinque o sei pagine, e la conclusione è con il paragrafo “E ancora…”, dove ritroviamo una bibliografia e alcuni suggerimenti per approfondire i riferimenti e i rimandi ad ulteriori argomenti. Un plauso particolare ai due traduttori, Chiara Tartarini, professoressa associata all’Università di Bologna, e Alessandro Serra, scomparso recentemente e docente di psicologia dell’arte. Nella loro traduzione, sottolineano anche i giochi di parole proposti dall’autore e impossibili da rendere in italiano, perciò richiamano il testo originale perché sia possibile, per il lettore, cogliere la sottigliezza di alcuni passaggi. È un libro sicuramente da leggere e da tenere nella propria libreria per rileggerne ogni tanto dei passi: gli aneddoti e i percorsi proposti, che di fatto, per la maggior parte, non conoscevo, hanno arricchito il mio bagaglio personale e diventeranno parte della mia narrazione durante le mie lezioni.
«Pinguini all’Equatore», edito da DeAgostini, è stato scritto da Serena Giacomin e Luca Perri. Laureata in fisica e meteorologa del Centro Epson Meteo, Serena Giacomin è anche Presidente dell’Italian Climate Network, il movimento italiano per il clima. È autrice del libro «Meteo che scegli tempo che trovi», pubblicato nel 2018 con la casa editrice Imprimatur. Astrofisico e divulgatore scientifico, Luca Perri è sempre più popolare dopo la vittoria al FameLab del 2015, la competizione internazionale per ricercatori scientifici sul tema della comunicazione. Tra i libri di Perri ricordiamo «Astrobufale», dedicato alle bufale dell’esplorazione spaziale e «Partenze a razzo» e «Errori galattici», anch’essi pubblicati da DeAgostini. La narrazione è arricchita dalle illustrazioni di Caterina Fratalocchi, che ha lavorato in precedenza per studi di animazione e videogiochi.
Il libro «Pinguini all’Equatore» ha come sottotitolo «Perché non tutto ciò che senti sul clima è vero» ed ha come obiettivo quello di smontare alcune bufale sul clima. L’incipit è un elenco di luoghi comuni e, proprio a partire da questi, procede con la distinzione tra meteo e clima. Il disorientamento della gente di fronte agli eventi climatici è stata la molla che ha spinto i due autori a realizzare questo libro: «La situazione è talmente confusa che è normale che nascano dei dubbi. E nonostante il dubbio sia alla base della scienza, lo è solo quando si indaga rispettando sempre il metodo scientifico. Altrimenti, il dubbio è solo un ostacolo alla comprensione, alla presa di coscienza e infine all’azione.» L’obiettivo del testo è quello di vincere i pregiudizi ed esaminare razionalmente ogni posizione, «per comprendere la situazione e capire come agire non solo in futuro, ma già da oggi».
Nel primo capitolo, si analizzano le bufale nate dal nome geografico della Groenlandia, che richiama una “Terra verde”, se non fosse per il fatto che in realtà è frutto di una trovata pubblicitaria di Erik il Rosso. Il secondo capitolo parla dell’inclinazione dell’asse terrestre e Perri non fa mancare le sue analogie culinarie, visto che paragona la terra a un kebab blu. Questo capitolo evidenzia la differenza tra la lentezza dei cambiamenti che sono avvenuti nel passato e la velocità degli ultimi decenni: il clima ha sempre subito cambiamenti nel passato, ma mai così in fretta ed è quindi evidente che ciò che stiamo vivendo è imputabile all’intervento dell’uomo. Il terzo capitolo è dedicato agli elefanti di Annibale (37 o 20.000?) e alla difficile vita di Ötzi. Anche se si parla del clima, Perri non perde occasione per parlare di cacca, in questo caso quella che gli elefanti hanno lasciato sulle Alpi. Il quarto capitolo analizza gli indizi di colpevolezza che portano a sospettare del Sole: la discussione al riguardo è cominciata nel 1990, quando Friis-Christensen e Lassen hanno presentato le proprie ipotesi al mondo scientifico, compiendo degli errori e, al tempo stesso, manipolando i dati. Nel quinto capitolo, si parla dell’anidride carbonica, per la quale è aumentata indubitabilmente la concentrazione nell’atmosfera. Il sesto capitolo apre la strada all’azione: Greta ha cominciato la propria protesta richiamando l’attenzione del mondo sul fatto che non può esistere un Pianeta B e Perri si impegna ad analizzare tutte le mete alternative che potremmo trovare nell’universo, ma non ne va bene nemmeno una. D’altra parte, come sottolinea la Giacomin, anche la Terra ha dei luoghi inospitali che stanno aumentando la propria estensione al passare del tempo. Le conclusioni ci permettono di distinguere il dubbio positivo dal dubbio negativo: fondamentale per la ricerca scientifica, il dubbio rischia di diventare paralizzante quando si allea con la paura. Il libro si chiude con un bigino anti-bufala, nel quale vengono ripresi velocemente i contenuti dei capitoli, in un conciso riassunto.
Dedicato ai ragazzi delle medie, «Pinguini all’Equatore» non ha limiti di età. La narrazione è gestita in forma di dialogo tra Serena e Luca, mentre le caricature dei due autori sottolineano le battute di Perri e gli interventi della Giacomin: in questo dialogo ben equilibrato, che regala un po’ di dinamismo alla narrazione, si inseriscono i fumetti di Caterina Fratalocchi che concludono ogni capitolo e aiutano a evidenziarne l’aspetto più significativo. La lettura è consigliata a tutti: potrebbe essere una delle prime azioni che mettiamo in atto per vincere i cambiamenti climatici, perché informandoci possiamo impegnarci a combattere la diffusione delle fake news sul clima, per vincere l’immobilismo.
«Cronache di scienza improbabile» è un libro pubblicato nel 2013 da edizioni Dedalo. L’autore, Pierre Barthélémy è un giornalista francese indipendente, che con questo libro ha vinto il premio Le goût des sciences del Ministero dell’Istruzione e della Cultura francese. Il libro è la raccolta di cinquantuno articoletti che sono stati pubblicati per il supplemento “Science” del quotidiano “Le monde” a partire dal 2011.
Bisogna definire innanzi tutto cosa si intende per “scienza improbabile”: l’autore dice che si possono considerare scienza improbabile «tutte le ricerche e gli esperimenti a prima vista grotteschi, che mai si sarebbero dovuti intraprendere né pubblicare», in altre parole ricerche ed esperimenti irripetibili, una vera perdita di tempo. Eppure, questi esperimenti godono dell’attenzione, a partire dal 1991, della prestigiosa Università di Harvard, che ha istituito i premi Ig Nobel, ovvero il premio Oscar della scienza improbabile, ormai abbastanza ambito. «Il fascino della scienza improbabile sta proprio qui: all’inizio provoca un sorriso, in seguito scaturisce la riflessione. E ci si accorge che, sotto l’apparente assurdità di un esperimento strampalato, prima di tutto c’è il desiderio profondo di far avanzar la ricerca.» Scopriremo così che gli scienziati, nel corso degli anni, si sono prestati a esperimenti non sempre piacevoli in nome della scienza: hanno mangiato toporagni e cibo per gatti, hanno ignorato il proprio disgusto per dimostrare che la febbre gialla non è contagiosa, si sono fatti schiacciare i testicoli per trovare l’origine del dolore che viene percepito in una zona diversa rispetto al punto colpito, hanno annusato odori e aliti delle persone, hanno svolto esperimenti nei quali erano coinvolti scarabei stercorari o nomi improbabili, hanno verificato che dare il proprio contributo alla collettività partecipando alle elezioni può essere mortale, ma purtroppo nemmeno sorteggiare i deputati potrebbe essere una soluzione equa, hanno dimostrato che scrocchiarsi le dita delle mani non provoca l’artrosi, hanno cercato modi meno dolorosi di partorire proponendo l’utilizzo di una centrifuga o ingegnosi modi per dimagrire, pur mantenendo la propria sedentarietà e la passione per la televisione. Ci sono addirittura scienziati che sono arrivati ad impiccarsi per portare avanti la propria ricerca scientifica e altri che hanno misurato la velocità della morte, alcuni hanno addirittura trovato la risposta alla domanda che tutti ci poniamo quando siamo imbottigliati nel traffico se l’altra fila avanzi più velocemente di noi.
Insomma, le ricerche proposte in questo libretto, che dedica ad ogni esperimento un paio di facciate accompagnate dalle simpatiche illustrazioni di Marion Montaigne, sono una lettura leggera, ma al tempo stesso aiutano a riflettere sul metodo scientifico mostrandoci quanta fantasia sia necessaria per verificare le ipotesi. Alcune ricerche sono, in effetti, dei veri e propri rompicapo: come potremmo verificare ad esempio, senza uccidere nessuno, se colpire un essere umano sulla testa con una bottiglia di birra da mezzo litro gli provocherebbe lo sfondamento del cranio? E se invece si rompesse prima la bottiglia? Se volete conoscere la risposta a queste e ad altre domande improbabili, la lettura di questo libro è sicuramente adatta a voi ed è garantito che vi regalerà qualche momento di svago e molte risate, anche se alcuni esperimenti metteranno a dura prova il vostro stomaco.
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