In questa nuova vita, nell’era della pandemia, è parso, almeno a un certo punto, che la scienza fosse diventata il centro di ogni discorso, con le sue risposte e le speranze di sconfiggere il Covid19. Ma siamo proprio sicuri che l’idea di scienza che domina i nostri discorsi sia quella corretta?
Nella puntata del 21 aprile di Radio3Scienza, si è parlato di intelligenze collettive con Guido Tonelli, fisico all’università di Pisa e al CERN di Ginevra. Intervistato da Rossella Panarese, Tonelli ci guida in una riflessione sulla scienza, proprio in considerazione dell’aumentata attenzione nei confronti di questa disciplina. Sembrano esserci degli elementi che fanno ben sperare, ad esempio sembra diffusa la consapevolezza che si debba dare ascolto agli scienziati. Ed è proprio in questo clima che gli scienziati hanno una grande responsabilità e sono obbligati a lavorare insieme, a trovare il modo di collaborare. La posta in gioco è elevata e se lasciamo spazio all’egocentrismo, il fallimento è garantito. Per quanto sia umano arrivare ad uno scontro di caratteri, soprattutto quando c’è in gioco una sfida di tale entità, nella discussione in pubblico non bisogna denigrare gli altri, ma ammettere i propri dubbi e riconoscere ciò che ancora è ignoto. Va contro l’etica professionale portare avanti il proprio gruppo e i propri risultati, se la comunità scientifica non li ha ancora confermati.
La scienza non è un “juke-box di soluzioni”: non basta premere un pulsante per ottenere una soluzione costruita su misura. È necessario aspettare con pazienza le risposte della scienza, anche se – soprattutto in un momento come questo – abbiamo fame di risposte. Tonelli dice che non siamo dei bambini e che ha senso chiederci la maturità di aspettare, ma chiunque si sia confrontato con l’attesa di una risposta sa bene quanto sia difficile, a volte, comportarsi da adulti.
Come in un coro, alla voce di Tonelli si mescolano le tante voci raccolte dal progetto Perché la scienza, oggi? curato da Codice Edizioni. «Scienziati, filosofi, scrittori, artisti, intellettuali e amici raccontano la loro visione della scienza», in un vero coro a più voci, che dipinge un quadro della scienza reale e ideale insieme. La prima risposta che ho ascoltato è quella di Alberto Mantovani, immunologo e direttore scientifico dell’IRCCS Humanitas: come nel suo libro Non aver paura di sognare*, Mantovani richiama all’umiltà e alla consapevolezza di non sapere. Ma proprio come la puntata di Intelligenze Collettive, anche l’immunologo ricorda che la comunità scientifica è aperta, senza barriere o solo grazie all’apertura della comunità scientifica sarà possibile sconfiggere questa malattia.
Ed è un’intelligenza collettiva quella che raggruppa matematici, fisici, economisti, ingegneri, medici, veterinari, agronomi, esperti di clima e altri ancora, sotto la guida di Ilaria Capua, virologa di fama internazionale e direttrice del One Health Center of Excellence dell’Università della Florida e di Fabiola Gianotti, la direttrice generale del Cern di Ginevra. Come ci racconta anche Tonelli nella puntata di Radio3Scienza, al CERN è stato necessario imparare a gestire un numero grandissimo di dati, provenienti dagli scontri tra le particelle nell’acceleratore, e numerosi sono anche i dati che provengono dalla pandemia: «Tutti hanno capito che non sono solo i medici che risolveranno il problema, ma c’è bisogno di un’azione coordinata a più livelli», dice la Capua. Il progetto è poi aperto a tutti: la stessa apertura di cui parlava, appunto, Mantovani.
D’altra parte, è ormai evidente a tutti come non sia possibile trovare una risposta semplice a un problema così complesso. È un po’ ciò che ci dice Ignazio Licata nel suo libro Complessità. Un’introduzione semplice, pubblicato nel 2018, ma con tali e tanti riferimenti da far pensare che sia stato scritto per la situazione che stiamo vivendo ora. «L’idea di fondo è che il riduzionismo abbia portato con sé la convinzione che ogni fenomeno sia descrivibile attraverso un sistema di equazioni e prevedibile nel suo sviluppo futuro: la realtà, più complessa di quanto le equazioni sappiano dire, non è così facile alla previsione e non può avere, quindi, risposte semplici.»
Un ulteriore inno alla scienza è quello che ci viene offerto da Dario Menasce, fisico delle particelle, tra gli scopritori del bosone di Higgs presso il CERN di Ginevra: in una conferenza aperta anche ai ragazzi e organizzata da DeAgostini Scuola, Il ruolo della scienza per interpretare i fenomeni e comprendere la realtà, il fisico ieri ci ha accompagnato in un viaggio attraverso la storia della scienza, cominciando con Anassimandro, passando per Galileo e Newton fino ad arrivare all’LHC di Ginevra. Il lavoro è così ben fatto che è necessario ritagliarsi un’oretta per seguirlo con attenzione fino alle conclusioni, quando Menasce ci ricorda che «La scienza non è una fede o un credo, è semplicemente un metodo e, come tale, fallibile». Durante le domande che hanno chiuso l’evento, il fisico ci ricorda anche che “la scienza non dà risposte assolute. Dà la migliore risposta possibile per ridurre l’incertezza nelle nostre risposte”.
Non poteva mancare, in conclusione, un riferimento all’insegnamento: per quanto sembri che le ultime settimane ci abbiano portati lontano dalla scuola (nonostante l’abbiano fatta entrare nelle case di docenti e studenti impegnati con la didattica a distanza), le parole di Federico Benuzzi, in questo post, ci aiutano a riconoscere le luci e le ombre dell’esperienza degli insegnanti. Ci narra il bello e il brutto di un mestiere bellissimo e faticoso, ma ci racconta soprattutto, con parole che non posso che condividere, di quella scintilla del sapere che si accende a volte nei ragazzi: «è emozione del tutto peculiare, quella che provi quando vedi illuminarsi uno sguardo perché “cavoli, ho capito!”. Poi mi piace quando qualcuno non capisce, perché mi costringe a cercare strade altre per spiegare, e nel farlo devo scervellarmi, arrampicarmi su strade a volte inesplorate, e quando finalmente (non sempre, certo) arriviamo insieme alla meta, quello che provo è un barlume di realizzazione, senza contare che, da quel momento in poi, anch’io ho capito un po’ meglio ciò di cui parlavamo.» Perché l’insegnante cambia durante il suo percorso: per quanto sembri sempre uguale, ogni giorno è una persona nuova quella che entra in classe e che – con un po’ di fortuna – cresce in consapevolezza ed esperienza.
Concludo in leggerezza con due video. Il primo è un suggerimento di Sara Sesti, l’autrice di Scienziate nel tempo: si tratta di The Garden of Cosmic Speculation, «un giardino privato, unico nel suo genere perché piante, fiori, laghi sono stati pensati come incontri di forme geometriche. L’ispirazione viene direttamente dal Big Bang, dalle geometrie non euclidee, dai buchi neri e da formule scientifiche come la successione di Fibonacci. […] Si trova a Dumfries in Scozia ed è stato creato nel 1989 dall’architetto paesaggista Charles Jencks e da sua moglie, la designer Maggie Keswick. Di solito è aperto un solo giorno all’anno nella prima settimana di maggio, ma quest’anno l’apertura è stata annullata a causa della morte di Charles Jencks all'età di 80 anni nell’ottobre 2019, dopo quella della moglie Maggie avvenuta nel 1995. Riaprirà nel 2021.» Il secondo link è per i più piccoli: si tratta di matematica spiegata ai bambini, con Federico Taddia e Bruno D’Amore. Un modo per passare qualche minuto di svago e, al tempo stesso, imparare qualcosa.
Buona matematica! Ci sentiamo tra TRE settimane!
Daniela
*Non finirà mai di stupirmi ciò che succede con la lettura. Ci sono libri che restano lì, depositati nella mia libreria, o appoggiati sopra il comodino, in attesa di essere letti. E poi, all’improvviso, l’impedimento che mi trattiene dal leggerli non esiste più e sento il bisogno di leggerli. È successo così anche con il libro di Alberto Mantovani: una riflessione sulla ricerca e sulla scienza che non poteva capitarmi tra le mani in un momento più adatto.
«Non avere paura di sognare» è stato pubblicato nel 2016 dalla Casa Editrice La nave di Teseo. L’autore, Alberto Mantovani, medico immunologo, dal 2005 è direttore scientifico e presidente della Fondazione Humanitas per la Ricerca. Nel corso della sua carriera, è stato insignito di numerosi premi, tra i quali nel 2018 l’Ambrogino d’oro, ovvero la medaglia d’oro di civica benemerenza del Comune di Milano.
Il sottotitolo, «Decalogo per aspiranti scienziati», ci dice subito chi siano i destinatari di questo libretto, ovvero i ragazzi: l’idea del libro nasce da un articolo del 2015 pubblicato sul “Corriere della Sera”, «una lettera idealmente indirizzata ai giovani che pensano a un futuro nella ricerca, nel settore delle scienze della vita: con loro ho voluto condividere alcuni suggerimenti tratti dall’esperienza vissuta e maturata sino a oggi, con l’augurio che potessero diventare utili spunti di riflessione». Strutturato in dieci capitoli, con ogni titolo come la legge di un ipotetico decalogo, il libro è ricco di episodi e ricordi tratti dal vissuto dell’autore. Il senso del libro è «incoraggiare a nuotare controcorrente seguendo la propria passione per la conoscenza», trasmettendo «il senso dell’avventura tipico della scienza, l’entusiasmo e la passione che la caratterizzano», offrendo «una rappresentazione della concretezza della vita scientifica».
Il decalogo comincia con l’invito a seguire le proprie passioni, perché «lavorare tanto non pesa e non ti peserà, se la tua professione continua a essere parte delle tue passioni»: i medici non sono degli impiegati, con dei turni dagli orari rigidi, ma degli appassionati che continuano a formarsi anche al di fuori del proprio orario di lavoro. Il lavoro del medico ha una dimensione internazionale e, grazie ad essa, bisogna contribuire a costruire ponti di pace, visto che «nella scienza, i confini nazionali non esistono»: la diversità è un’aggiunta di ricchezza ed è un ampliamento degli orizzonti scientifici e mentali. Dalla collaborazione con persone più preparate non può che nascere l’umiltà, l’atteggiamento che più apre la mente all’apprendimento e alla conoscenza. Bisogna inoltre continuare a «sfidare se stessi, essere sempre aperti al confronto e rispondere agli stimoli degli altri», senza avere paura di mettersi alla prova con cose nuove, senza perdere occasione di imparare da chiunque, anche dai pazienti: «sono i pazienti l’inizio, il fine e il centro di tutto. Come ammalati, certamente, ma innanzitutto come persone». La collaborazione è una delle chiavi di volta della ricerca scientifica: pur non mancando una componente di competizione, inevitabile, «dalla condivisione delle idee guadagnano tutti, e in particolare la salute dei pazienti». Il settimo capitolo è intitolato: «Impara dai tecnici: la chiave a stella», perché l’umiltà e la consapevolezza di poter imparare da chiunque portano a questo. Nel titolo, l’autore cita “La chiave a stella”, il romanzo di Primo Levi, dedicato alla tradizione del “saper fare”, ovvero a quella portata avanti dai tecnici. In ogni cammino, non mancano gli errori, ma la soluzione sta nell’accettare il giudizio degli altri, oltre che nel farsi guidare dal proprio spirito critico: la storia della scienza in generale «è caratterizzata dall’incrocio di studi diversi e costellata di alti e bassi, con idee sbagliate che sono state ritenute giuste, e idee inizialmente considerate errate ma poi rivelatesi corrette». Come insegna il metodo scientifico, le teorie e le ipotesi vanno sempre verificate, con gli esperimenti che possono rivelare una scoperta geniale o un errore: bisogna rispettare i dati, non avere preconcetti e non lasciarsi guidare dal principio di autorità, «anche davanti ai più grandi […] esercita continuamente il tuo spirito critico». «Nella scienza, prima o poi, la verità dei dati emerge sempre» ed è per questo che possiamo definire la scienza “intellettualmente democratica”. L’ultimo capitolo è di capitale importanza: la condivisione dei propri risultati è fondamentale, anche gli insuccessi, che possono portare a inaspettati e straordinari progressi.
La narrazione si conclude con il consiglio di dieci letture, particolarmente significative per l’autore, di carattere scientifico e non solo.
La narrazione è colloquiale, rivolgendosi a ragazzi, ma la lettura è consigliata a qualsiasi fascia d’età e le idee dell’autore non possono che essere condivisibili da chiunque. Consiglierei questo libro ai ragazzi dell’ultimo anno delle medie, ma anche a coloro che, alle superiori, stanno valutando di intraprendere una carriera in campo medico. La lettura è inoltre un’iniezione di entusiasmo per tutti i lavoratori dell’ambito scientifico. Quello che, secondo l’autore, è un limite di prospettiva, ovvero il fatto che lui sia un medico e un immunologo è in realtà un arricchimento: alcune delle cose riportate in questo libro sono valide per il mondo scientifico in generale e il riferimento ai pazienti permette di mantenere l’attenzione sulle finalità della ricerca, senza farle perdere il suo valore umano.
Ci sono libri che trovano il proprio spazio al momento giusto e riescono quindi a dare risposte e sistematicità a un percorso già in atto. È il caso di «Complessità. Un’introduzione semplice» di Ignazio Licata, pubblicato nel 2018 dalla Di Renzo Editore, casa editrice specializzata nella divulgazione scientifica. Nelle ultime settimane, la scienza ha rincorso le risposte a questa pandemia, mentre la matematica ha rappresentato i dati in diagrammi sempre più completi nel tentativo di una previsione non sempre possibile. E sono proprio questi gli aspetti indagati in questo libretto, nato dopo una serie di incontri con il pubblico, pubblicato già nel 2011 con la casa editrice :due punti. Per quanto Licata sia un fisico, non si parla solo di fisica, ma di tutti quei fenomeni complessi che hanno a che fare con la spiegazione del mondo in cui viviamo. L’idea di fondo è che il riduzionismo abbia portato con sé la convinzione che ogni fenomeno sia descrivibile attraverso un sistema di equazioni e prevedibile nel suo sviluppo futuro: la realtà, più complessa di quanto le equazioni sappiano dire, non è così facile alla previsione e non può avere, quindi, risposte semplici.
Il libro è un inno alla scienza, attraverso la descrizione del suo modo di agire e l’elenco dei suoi limiti, perché, come ci ricorda il teorema di Gödel, non è possibile ottenere una descrizione della realtà che sia, al tempo stesso, coerente con se stessa e completa, mentre il principio di indeterminazione di Heisenberg trova una nuova forma nel dirci che, di ogni argomento, se scegliamo la profondità rinunceremo alla visione generale e se preferiamo quest’ultima ci ritroveremo con una descrizione generale ma superficiale della realtà.
La lettura è consigliata agli insegnanti, responsabili di trasmettere un’idea di scienza che sia il più realistica e corretta possibile, ma anche agli alunni che, arrivati alla fine del proprio percorso superiore, sentano l’esigenza di capire meglio quali siano le risposte che è lecito chiedere alla scienza. La lettura è consigliata a tutti coloro che credono che sia possibile ottenere risposte semplici per problemi complessi: la descrizione della realtà è più difficile di quanto si immagini, come la realizzazione della mappa di una regione può facilmente dimostrare.
«È stato battezzato il Gioco della Vita, poiché segue, a modo suo, una regola naturale: si muore se si è troppo isolati oppure se c’è un eccessivo affollamento.»*
Il primo a parlare di una macchina in grado di riprodursi è stato John Von Neumann e questo «ha portato ad una rappresentazione concettuale avente come punto di partenza proprio uno spazio omogeneo diviso in celle elementari», con gli automi cellulari. Le regole stabilite erano molto complicate, ma John Horton Conway, nel 1970, ne ha proposto una versione più semplice, il gioco della vita, con solo tre regole. La seconda regola recita appunto: «Un organismo muore, lascia cioè la cella vuota, se ha quattro o più vicini oppure se ne ha soltanto uno o nessuno». La presentazione di Peiretti è estremamente chiara, ma l’animazione a computer (e questa è solo una delle tante disponibili in rete) ha un fascino particolare, che si coglie con immediatezza.
I Rudi Matematici sul loro blog di Le Scienze hanno annunciato la morte di John Horton Conway (26.12.1937/11.04.2020), citando una battuta circolata in rete nei giorni scorsi: «A causa del distanziamento sociale, non aveva due vicini che potevano tenerlo in vita».
Soprannominato Mary da un insegnante della scuola elementare per i suoi tratti effemminati e all’inizio della scuola superiore “The Prof”, quando ha dichiarato di voler fare il matematico a Cambridge, Conway ha avuto una difficile adolescenza. Nel suo viaggio verso Cambridge, quando ha realizzato che nessuno dei suoi compagni l’avrebbe seguito all’università, ha deciso di trasformarsi in un estroverso. La sua biografa, Siobhan Roberts, nel luglio del 2015 sulle pagine del Guardian, lo definisce l’egotista** più amorevole del mondo: «è Archimede, Mick Jagger, Salvador Dalí, e Richard Feynman, tutto in uno». In più occasioni ha ammesso: “I do have a big ego! As I often say, modesty is my only vice. If I weren’t so modest, I’d be perfect.” (Ho davvero una grande autostima! Come dico spesso, la modestia è il mio unico vizio. Se non fossi così modesto, sarei perfetto). Ha passato la sua vita giocando, fattorizzando grandi numeri nella sua testa, recitando pi greco a memoria fino a 1111 cifre, calcolando il giorno della settimana per ogni data usando quello che lui chiamava l’algoritmo Doomsday, portando sempre con sé carte, dadi e qualsiasi altro oggetto gli potesse permettere di spiegare le sue idee o semplicemente di divertirlo. In un’intervista pubblicata su YouTube nel 2014, dice: «Ho fatto una promessa a me stesso. Era così bello non preoccuparsi che ho pensato di non preoccuparmi mai più. Avrei studiato qualsiasi cosa ritenessi interessante, senza preoccuparmi se fosse sufficientemente seria.»
Nicola Ciccoli, professore di geometria all’Università di Perugia, si è concentrato, nel suo articolo per MaddMaths!, sulle 12 ore e mezza vissute dal matematico nel 1967, quando, in quello che Conway stesso identificherà come il suo black period, si apre uno spiraglio di luce e, su richiesta di Leech comincia a studiare un nuovo problema. Per avere il tempo per concentrarsi sul problema, rivoluziona il proprio ménage familiare e, con la moglie, decidono che «avrà a disposizione per lavorare ogni Mercoledì dalle 6 del pomeriggio a mezzanotte e ogni Sabato da mezzogiorno a mezzanotte». Ed il primo Sabato è vincente. «Non sempre se ne può uscire con una notte matta, disperata e di successo come quella di Conway. Ma sarebbe un errore porre l’accento solo sulla notte eccezionale. È la scelta di dedicarsi al problema senza paura, la convinzione di voler affrontare la salita senza rimpianti, la scelta di non concentrarsi né sulla paura né sulla colpa, di sostituire all’ansia della procrastinazione l’atto. Conway vince la sua sfida nel momento in cui contratta uno spazio tutto dedicato al problema, nel momento in cui si chiude la porta alle spalle portando nella sua stanzetta la fiducia necessaria.»
Radio3Scienza ha dedicato una parte della puntata del 14 aprile Oltre i numeri a Conway e ospite di Rossella Panarese è stato proprio Nicola Ciccoli. È un piacere sentirlo parlare di Conway, perché, oltre alle scoperte matematiche per le quali sarà ricordato, parla dell’uomo.
La prima parte della puntata è invece stata dedicata alla lettura dei numeri del Covid: ai microfoni Nino Cartabellotta, presidente della fondazione GIMBE – Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze.
Anche in questo numero della newsletter, nonostante si parli di matematica, il discorso non può che ruotare attorno alla pandemia che stiamo vivendo, tanto che persino il Carnevale della Matematica è dedicato al Covid19. Le curve matematiche “sembrano raccogliere in uno sguardo il senso di ciò che sta accadendo e accadrà a breve. Mai come in questo momento ci è sembrato che i modelli matematici fossero indispensabili e terribilmente inadeguati allo stesso tempo.” La rassegna di articoli offerta da MaddMaths! sulla crescita esponenziale può soddisfare tutti i gusti, ma manca quello che Federico Benuzzi ha scritto per Sapere Scienza.
Mentre la pandemia ha invaso ogni aspetto della nostra vita e ha modificato persino il modo di fare scuola, sul web si moltiplicano le proposte che arricchiscono la didattica, come la pagina Facebook Esperimentiinfamiglia che ci propone un filmato con il quale ci aiuta a distinguere la magia dalla scienza. Ed è bello che anche gli insegnanti in pensione si mettano in gioco, dando la disponibilità della propria competenza e della propria esperienza per contagiare i ragazzi con la loro passione. (L’esperimento che ci presenta Petrus è assolutamente da replicare.)
In questa emergenza, che ha tirato fuori, per tanti versi, il meglio della scuola, Federico Benuzzi sembra avere un sacco di cose da dire, visto che sta producendo parecchio materiale in più rispetto al suo post al mese al quale ci aveva abituati. Questo diario della quarantena è un modo per raccontare l’evoluzione della didattica a distanza, un modo per ricordare che insegnare significa anche tanto altro e un modo per regalarci qualche risata con link birichini a filmati geniali di YouTube. In tanti, da più parti, stiamo dicendo che la didattica a distanza non è semplice e queste difficoltà riguardano forse più i ragazzi che noi insegnanti. Io ne ho parlato nella scorsa newsletter, riproposta con alcune modifiche dalla piattaforma Redooc.
Come tanti altri, ho deciso di dedicare un po’ del tempo a disposizione (pochissimo, in realtà) all’aggiornamento e la proposta di DeA Scuola con il corso online Motivare, Coinvolgere, Divertire sta già dando i suoi frutti, ovvero: mi sto divertendo! Il primo incontro è stato dedicato ai Meme e oltre alla presenza di Luca Perri e Luca Balletti, rispettivamente astrofisico e matematico, che hanno introdotto l’argomento, l’incontro è proseguito con la prof.ssa Giulia Bini, insegnante di liceo che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso l’Università degli Studi di Torino. Di lei e di Ornella Robutti, ma soprattutto del loro progetto sui meme, #lifeonmath, parla anche MaddMaths! «L’uso didattico dei meme ha una duplice valenza: da una parte, capire un meme matematico mette in gioco la conoscenza, anche profonda, degli aspetti matematici messi in gioco; dall’altra, la creazione di un meme matematico comporta una consapevolezza sui significati in gioco non indifferente: la qualità di un meme sta anche nella capacità di far emergere significati non esplicitamente riportati nel meme stesso.» Per quanto mi riguarda, una delle prossime attività che proporrò ai miei alunni riguarderà proprio i meme.
Purtroppo, tra gli effetti collaterali della pandemia, c’è una maggiore diffusione di bufale. Luca Perri, con la simpatia che lo contraddistingue, cerca di smontare la bufala che riguarda il 5G ed il suo legame con il Coronavirus. Se il post vi sembra lungo, ricordate che «per smontare una bufala ci vogliono molte più parole, tempo ed energie di quante siano necessarie a crearle. Ecco perché, nella scienza, non funziona che qualcuno sgancia una teoria e sfida lo scienziato di turno a provargli di avere torto. È filosoficamente molto sbagliato. Nella scienza funziona che se voglio fare un’affermazione posso farla, ma solo se ho le prove per supportarla. Altrimenti taccio. [...] Non è cattiveria, non è arroganza. Si chiama Metodo Scientifico.» Anche Monica Marelli, disegnatrice e divulgatrice scientifica, cerca di combattere le bufale dalle pagine di Sapere Scienza, ma ricorda anche che «l’unica difesa dal virus delle informazioni false è la non-condivisione.»
Ieri sera un ex alunno mi ha inviato via WhatsApp questa simpatica rivisitazione della canzone Emozioni di Battisti, rinominata Equazioni dal prof. Marco Bramanti, professore ordinario di Analisi Matematica presso il Politecnico di Milano. Il professore condivide le proprie ispirazioni matematiche nel blog Coffee Break, partendo dalla citazione di Paul Erdös, secondo il quale “Un matematico è una macchina che trasforma caffè in teoremi”, ma aggiungendo che il matematico può trasformare “una tazzina di caffè in una piacevole pausa di lavoro”: consiglio una visita, soprattutto cliccate sul link “Materidere” e godetevi il messaggio di errore che ne esce!
Per concludere, una sfida (o un passatempo) per i ragazzi che hanno già studiato le derivate e possono verificare le proprie conoscenze con questo cruciverba.
Buona matematica! Ci sentiamo tra TRE settimane!
Daniela
* Federico Peiretti, «Il matematico si diverte. Duecento giochi ed enigmi che hanno fatto la storia della matematica», 2012
** Egotismo: atteggiamento psicologico (diverso dall’amor proprio e dall’egoismo) che consiste nel culto di sé e nel compiacimento narcisistico e raffinato della propria persona e delle proprie qualità.
Verifica di fisica, classe terza liceo scientifico.
Argomento: recupero del primo quadrimestre.
Durata: un'ora.
Verifica di matematica, classe prima liceo scientifico delle scienze applicate.
Argomento: equazioni lineari.
Durata: un'ora.
Grafici, tabelle, dati... persino coloro che si sono sempre ritenuti incapaci in matematica, in questi giorni stanno rispolverando le proprie competenze per tentare di capire un po’ di più cosa stia succedendo con la pandemia. Ma, una volta tanto, sono i matematici a dirci che non è così semplice: se fosse semplice non troveremmo interpretazioni (e conclusioni) completamente diverse sui giornali e «perché mai, se i dati sono dati, la matematica è oggettiva e i numeri non mentono mai, ogni analisi e ogni modello sembra dare risposte diverse?». Samuele Mongodi, ricercatore di Geometria presso il Politecnico di Milano, cerca di darci una spiegazione al riguardo, servendosi di alcuni esempi: «volete comprare un frullatore su Amazon e finalmente trovate il modello che fa per voi; ci sono due venditori, con prezzi sostanzialmente identici, uno ha una soddisfazione del 90% con 20 recensioni, l’altro ha una soddisfazione dell’88% con 200 recensioni. Qual è meglio? E se il primo profilo avesse avuto il 90% su 30 recensioni?». Già queste due domande dimostrano che l’interpretazione dei dati non ha nulla a che fare con l'intuizione: «i DATI non ci dicono niente, i numeri non “parlano da sé”, non sono mai chiari, lampanti, è rarissimo che non richiedano commenti. Anzi, come per i serpenti servono gli incantatori, così per i DATI serve chi li addomestichi, chi ne spieghi il linguaggio, le reazioni, i comportamenti».
Giorgio Sestili, fisico e divulgatore scientifico, si occupa proprio di interpretare i dati e, quotidianamente, ci propone un filmato nel quale analizza grafici, tabelle e dati. Nel filmato del 18 marzo ci offre una spiegazione della necessità dell’isolamento, usando le animazioni proposte in un articolo del Washington Post, ma forse il problema resta nel capire la differenza tra crescita esponenziale e crescita lineare, concetto che ci spiega in termini molto semplici Piergiorgio Odifreddi, durante Coffee Break, un programma mattutino di La7 dedicato all’approfondimento e all’attualità.
Di esempi sugli errori in cui incorriamo analizzando i dati senza usare la matematica è pieno il web, ma uno particolarmente interessante (anche solo per il suo significato storico) è proposto sul blog Math is in the air da Davide: comincia con il bombardamento di Londra iniziato nel giugno del 1944. Mentre durante la guerra c’era la convinzione che «alcune zone della città fossero prese di mira più di altre», l’analisi accurata svolta da alcuni ricercatori nel campo della statistica negli anni ‘70 dimostrò «che i luoghi di caduta delle bombe erano compatibili con l’ipotesi statistica che fossero casuali». L’importanza di questo esempio non è solo storica: esso dimostra che «chiunque (compreso chi ha un grado di istruzione elevato) ha difficoltà nel ragionamento quantitativo quando deve gestire molti dati».
All’indomani della mia ultima newsletter, il sito MaddMaths! ha lanciato la campagna #lascuolaconta, ricordando che, al di là delle difficoltà organizzative e burocratiche, «la scuola conta anche e soprattutto per l’aspetto formativo». Le iniziative proposte sono due: raccogliere le esigenze delle scuole e, attraverso la condivisione di materiali e webinar di formazione, offrire ciò che è necessario; «lanciare l’hashtag #lascuolaconta, chiedendo anche, a chi vuole raccogliere questa iniziativa, di descrivere, con una frase o con un racconto di vita di scuola, perché e come la scuola ha contato nella propria vita.»
Anche il sito Problemi per matematici in erba ha deciso di offrire alcuni problemi, raccontati però con una modalità diversa da quella usata finora. L’idea non è quella di aggiungere nuovo materiale, considerando le numerose offerte proposte dalla rete, ma di dare la possibilità agli studenti di pensare, proponendo piccoli problemi. «In tutti i problemi che abbiamo scelto di presentare in questo modo, un insegnante si rivolge agli alunni mostrando un oggetto e ponendo, a proposito di questo oggetto, alcune domande. Agli alunni viene chiesto, a volte, di ricostruire l’oggetto presentato, o di cercarlo in casa, o ancora “solo” di immaginare di averlo tra le mani.»
Anche Redooc sta lavorando in prima linea per offrire alle scuole un appoggio di qualità. Personalmente, invidio l’ottimismo e la positività di Chiara Burberi che vede, in questa Didattica a distanza, l’occasione per creare nuove competenze anche tra i docenti: «La Scuola del futuro sta iniziando a prendere forma, nelle case degli italiani, con gli studenti al centro, finalmente!»
Sto vivendo questa esperienza come se fossi divisa a metà: da un lato, gli studenti con i quali ho costruito un rapporto durante il resto dell’anno mi seguono in questa avventura e sono fonte di continuo confronto e crescita. Dall’altro, mi sembra che gli studenti con i quali il rapporto era più difficile mi siano definitivamente – almeno finché permane questo stato di cose – “sfuggiti dalle mani”. Perché il lavoro di un insegnante non ha la stessa resa davanti a un computer: in classe ci sono tutta una serie di altri linguaggi che fanno comunque passare il messaggio che io voglio, mentre il computer mi limita. In altre parole, mi pare che questa didattica a distanza abbia reso più cupe le zone d’ombra e illuminato le (poche) zone luminose, regalandomi un’insicurezza che non sentivo dal primo giorno che ho messo piede in classe. La didattica non è solo comunicare contenuti: la didattica è ricca di sfumature, tanto che cambia a seconda della persona che ho davanti. Non sono, quindi, un’entusiasta: oltre alla percezione di lavorare di più (e dal confronto con i miei colleghi mi rendo conto che non è una percezione solo mia), mi sembra che ciò che faccio sia meno efficace. Forse perché, quando siamo in classe, ho un po’ di “potere” e riesco a trasmettere qualcosa, ma durante le videolezioni il fatto che gli studenti possano scegliere di spegnere la telecamera o il microfono mi fa sentire “tagliata fuori” dal loro universo e mi dà lo stesso piacere che avevo quando studiavo per gli esami all’università e ripetevo ad alta voce la dimostrazione dei teoremi. Insomma: ora più che mai bisogna contare sul senso di responsabilità dei nostri alunni e, per quanto insegni matematica e fisica in un liceo scientifico, questa non è sempre scontata.
Forse per questo ho apprezzato fin da subito il libretto (piccolo solo per dimensioni) di Daniela Lucangeli, Cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere. Il libro è la trascrizione di cinque lezioni: «vengono messe per iscritto le mie parole, proprio come le ho pronunciate davanti alla gente in alcuni dei moltissimi congressi fatti per la scuola». I temi toccati sono quelli cari all’autrice: ha speso molti anni di ricerca per i temi trattati, ma il testo non ha il rigore di una ricerca scientifica. Dario Ianes, docente ordinario di Pedagogia e Didattica Speciale all’Università di Bolzano, nella sua prefazione scrive: «Un libro da leggere se insegnate, se avete figli o nipoti che vanno a scuola, se siete cittadini interessati all’educazione e al futuro dell’istruzione perché vi farà pensare a come le cose potrebbero cambiare: con il coraggio e con il cuore.» Faccio mie le sue parole e non aggiungo altro.
«Non mi sentirei di incoraggiare un modello in cui l’insegnante fa il suo lungo monologo e poi interrompe le comunicazioni fino al giorno successivo. Così come, al contrario, non mi sentirei di suggerire che tutti gli alunni si connettano e dialoghino contemporaneamente per due ore. Sarebbe non solo molto confusionario, ma anche inefficace». Ho sentito vera e fatto mia, fin dall’inizio di questa esperienza, questa frase della Lucangeli. Ho usato fin dai primi anni 2000 le opportunità offerte dal web per fare lezione in modo diverso, ma solo perché ritenevo che usare tutti gli strumenti a mia disposizione fosse un modo per andare incontro a chi la scuola la vive come l’ho vissuta io: figlia di un operaio e una casalinga, con poche possibilità, la scuola è stata il mezzo per realizzare il mio sogno, perciò offrire ai miei alunni anche altri strumenti, attraverso un sito con un ricco database di verifiche e tanto altro, è stato il mio modo per continuare a offrire opportunità a chi, come è successo a me, opportunità non ne ha per nascita.
Concludo con l’International Day of Mathematics che, per forza di cose, quest’anno è stato sottotono, visto che il giorno del pi greco eravamo tutti a casa. Per l’occasione ho realizzato un piccolo video, usando il manifesto che rappresenta la giornata, con il sottofondo di “Science of sleep” dei Silence is sexy.
Buona matematica! Ci sentiamo tra TRE settimane!
Daniela
PS: Se volete sentire la forza delle parole di Daniela Lucangeli, vi suggerisco una delle sue Ted Talk, realizzata nella primavera del 2014 nel TedxCaFoscariU.
«Cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere» è il titolo di un libro pubblicato nel 2019 dalla Erickson, casa editrice che si occupa di didattica e psicologia. Autrice del libro è la dott.ssa Daniela Lucangeli, che chiunque si occupi di didattica conosce bene. Dopo una laurea in filosofia logica e una in psicologia, la dott.ssa Daniela Lucangeli vince un dottorato in Scienze Cognitive dello Sviluppo ed è così che arriva a conseguire il titolo di ordinario in psicologia dello sviluppo presso l’Università degli Studi di Padova. Il 6 novembre del 2019, Daniela Lucangeli ha ricevuto il Premio Internazionale Standout Woman Award, «per l’alto profilo degli studi da lei effettuati, volti a sostenere la crescita e lo sviluppo di bambini e adolescenti, e per il suo costante impegno mostrato nei servizi educativi e nei servizi clinici come supporto alle vulnerabilità evolutive».
I video con le sue conferenze fanno migliaia di visualizzazioni, non solo per ciò che dice, ma anche per la dolcezza con la quale ci spiega come dovrebbe essere una scuola di successo. Il libro è la trascrizione di cinque lezioni: «vengono messe per iscritto le mie parole, proprio come le ho pronunciate davanti alla gente in alcuni dei moltissimi congressi fatti per la scuola». I temi toccati sono quelli cari all’autrice: ha speso molti anni di ricerca per i temi trattati, ma il libretto (piccolo nelle dimensioni, ma non nella sua importanza) non ha il rigore di una ricerca scientifica. Sembra quasi che il consenso per la pubblicazione le sia stato in qualche modo strappato: «Ho deciso allora di seguire il fine, lo scopo dell’aiuto, pazienza per la forma poco prototipica nel linguaggio della scienza… con buona pace della mia esigenza di rigore metodologico.»
Ogni lezione si apre con una o più citazioni e si chiude con una piccola sintesi e con dei consigli di lettura. La prima lezione si intitola «La scuola dell’abbraccio» e si parla di come l’apprendimento avvenga più efficacemente con il sostegno e l’incoraggiamento dell’insegnante, perché «se un bambino studia con gioia nella sua memoria resterà traccia dell’emozione positiva». La seconda lezione, «Sbagliando s’impara», sottolinea come l’intelligenza sia qualcosa che si modifica continuamente e invita gli insegnanti a ritrovare «la vera essenza della propria professione», perché «insegnanti e genitori devono essere prima di tutto consapevoli della loro funzione di catalizzatori: loro rendono possibili i progressi a cui i bambini tendono.» La terza lezione, che si apre con la citazione di Plutarco «La mente non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere», si intitola «Verso il successo scolastico» e richiama ancora l’attenzione sulle emozioni sane che il bambino deve provare. La quarta lezione, «Stare male a scuola», contiene un monito importante, che da solo dovrebbe scatenare grandi riflessioni (e, personalmente, anche un po’ di ansia): gli insegnanti «modificano la struttura della persona che hanno davanti, giorno dopo giorno». L’ultima lezione, «Tutti bravi con i numeri», invita gli insegnanti a conoscere, per poter essere realmente efficaci.
È un libro che potrei citare dalla prima all’ultima parola. Grazie alla dott.ssa Lucangeli per il suo regalo, agli insegnanti, ai genitori, ma soprattutto ai bambini, perché il frutto di queste riflessioni non può che essere un miglioramento anche per i bambini. Dario Ianes, docente ordinario di Pedagogia e Didattica Speciale all’Università di Bolzano, nella sua prefazione scrive: «Un libro da leggere se insegnate, se avete figli o nipoti che vanno a scuola, se siete cittadini interessati all’educazione e al futuro dell’istruzione perché vi farà pensare a come le cose potrebbero cambiare: con il coraggio e con il cuore.» Faccio mie le sue parole.
«Il nostro scopo, il nostro fine è il bambino, il resto è solo il mezzo, insegnamento compreso.»
Tra le collane di EL, casa editrice specializzata in libri per ragazzi, spicca la collana “Grandissimi”, cui appartiene questo libretto. Sul sito della Casa Editrice questa è la descrizione della collana: “I grandi della Storia a portata di bambino. Storie di uomini e donne che hanno cambiato il mondo, ciascuno a modo proprio, con le proprie parole, le proprie invenzioni, le proprie scelte.” Da Giulio Cesare a Francesco d’Assisi, da Anne Frank fino a Einstein, non abbiamo che l’imbarazzo della scelta. La collana ha come età minima di lettura i sette anni.
Callimaco è il giovane allievo di Pitagora, che ci racconta in prima persona la fine della scuola di Crotone. Figlio di un commerciante, nel momento in cui iniziano le ostilità tra Crotone e Sibari, Callimaco è all’inizio del suo percorso. Per questo, è molto sorpreso quando Pitagora gli porge un sacco e poi, avviandosi di corsa con un altro sacco a spalle, gli chiede di seguirlo. Lo stupore di Callimaco, che non può dar voce alla sua meraviglia essendo un acusmata, viene ben interpretato da Pitagora, che lo informa di dove stanno andando: “Al fiume, dove si trova l’esercito di Sibari”.
Durante questa notte di attesa, Pitagora si racconta, mentre Callimaco, liberato dal voto del silenzio, può soddisfare la propria curiosità con tutte le domande che gli vengono in mente. Così possiamo seguire Pitagora nella sua partecipazione alle Olimpiadi, nei suoi studi con Talete e del suo famoso teorema per determinare l’altezza di una piramide, nei suoi viaggi. Pitagora guida anche Callimaco alla scoperta della matematica: «Sentivo le guance diventare rosse e calde. Non era vergogna, ma il piacere di aver scoperto qualcosa che non conoscevo, e che sarebbe rimasto con me per sempre. Fu un’emozione incredibile.» Ad un certo punto, Pitagora spiega a Callimaco anche il suo famoso teorema e gli affida il compito di studiare gli incommensurabili: «A me questi... numeri non piacciono. Sono un po’ come le fave. Io non le toccherei neanche con un bastone, però esistono, e ci devo fare i conti, in tutti i sensi. Ma siccome non devo farlo per forza io, toccherà a te.»
All’alba, all'arrivo della cavalleria dei Sibariti, Callimaco ha una bella sorpresa: grazie all’astuzia di Pitagora, Crotone è salva, anche se per poco tempo.
Un modo simpatico per far conoscere Pitagora ai più piccoli e un modo originale per presentare il suo teorema, attraverso un’applicazione. D’altra parte l’autore, Sergio Rossi, è un fisico, che è ben consapevole dell’importanza della matematica, perciò si sforza di spiegare con parole semplici cosa significhi dimostrare un teorema. E ci riesce benissimo.
Tra le collane di EL, casa editrice specializzata in libri per ragazzi, spicca la collana “Grandissimi”, cui appartiene questo libretto. Sul sito della Casa Editrice questa è la descrizione della collana: “I grandi della Storia a portata di bambino. Storie di uomini e donne che hanno cambiato il mondo, ciascuno a modo proprio, con le proprie parole, le proprie invenzioni, le proprie scelte.” Da Giulio Cesare a Francesco d’Assisi, da Anne Frank fino a Einstein, non abbiamo che l’imbarazzo della scelta. La collana ha come età minima di lettura i sette anni.
«Questa è una storia da leggere a letto di sera, mentre fuori piove.» Così ha inizio la storia di Tesla, raccontata per i più piccoli da Daniele Aristarco, autore di racconti e saggi divulgativi rivolti ai ragazzi.
La storia ha inizio la notte del 9 luglio 1935: Tesla è uno degli ospiti solitari del New Yorker Hotel e Jude O’Connor è il fattorino quindicenne che si lascia incuriosire da quest’uomo che, in prossimità della mezzanotte, si aggira per i corridoi dell’albergo. Nel salone delle feste, Tesla è atteso da una folla di giornalisti ai quali racconterà la propria storia e che festeggeranno insieme a lui il suo settantanovesimo anno. Preso dal racconto, Tesla si lascia sfuggire la verità su un principio di terremoto avvenuto a New York e che l’aveva visto tra i fautori, tanto che il giorno dopo i giornali titolano “Ecco come avrei potuto distruggere New York!”.
Esattamente un anno dopo, Jude si ritrova ancora ad accompagnare Tesla nel salone delle feste dell’albergo, ma nonostante lo scienziato parli con enfasi di un raggio della morte che metterebbe fine a ogni guerra, pochi sono disposti a dedicargli la propria attenzione.
Il racconto prosegue con l’attacco a Pearl Harbor il 7 dicembre 1941 e la richiesta di Tesla di convocare al più presto una conferenza stampa. Ma, a parte la visita di re Pietro II di Jugoslavia l’anno seguente, nessuno era più disposto ad ascoltare Tesla. L’ultimo giorno dell’anno del 1943, Jude ha l’occasione di parlare con l’eccentrico scienziato un’ultima volta, prima della sua morte. L’argomento è un’affermazione fatta da Tesla durante il loro primo incontro: Jude vuole una spiegazione. Ed è così che comincia un dialogo sul legame tra la scienza e il denaro, legame che Tesla non ha mai considerato. Al giovane facchino, Tesla lascia una sorta di testamento spirituale: «non valutare mai un’idea dalle sole implicazioni immediate. Un’idea è un seme, ha bisogno di tempo e cure per germogliare. Un’idea è un appuntamento nel futuro. E tu lascia che sia il futuro a stabilire la verità e a valutare ciascuno secondo il lavoro e le sue realizzazioni. Il presente appartiene a chi si accontenta delle risposte semplici e delle cose evidenti.»