Daniela Molinari

URL del sito web: http://www.amolamatematica.it
Venerdì, 02 Agosto 2013 21:21

Tesla lampo di genio

TRAMA: 
L’obiettivo di Massimo Teodorani è di “presentare al lettore un quadro il più possibile completo e chiaro su una delle figure scientifiche più geniali di tutti i tempi nel campo della fisica dell’elettromagnetismo e delle tecnologie da essa ricavate: quella di Nikola Tesla.”
Nella prima parte del libro, viene presentata la biografia dello scienziato: laureatosi in ingegneria con indirizzo elettronico e meccanico al Politecnico Joanneum di Graz, Tesla sbarca negli Stati Uniti con la sua povertà e una lettera di raccomandazioni che gli permette di lavorare per Thomas Edison. Quando questi si rifiuta di corrispondergli la paga promessa, Tesla se ne va e fonda, all’età di trent’anni, la “Tesla Electric Light&Manufacturing”, che gli permetterà di realizzare il suo grande sogno della corrente alternata. Nel 1899 si trasferisce a Colorado Springs, dove prosegue i suoi studi fino al 7 gennaio del 1900, raccogliendo i dati in un diario di circa 500 pagine. Al termine di questa esperienza, ottiene dei finanziamenti per la Torre Wardenclyffe, che viene smantellata durante la prima guerra mondiale. Abbandonato dai suoi finanziatori, che non volevano investire in un’impresa che non avrebbe prodotto alcun guadagno – il sogno di una forma di energia a disposizione di tutti gratuitamente – Tesla intenta causa a Marconi per la paternità dell’invenzione della radio e rifiuta per due volte il Premio Nobel. Povero e solo, conclude la sua vita all’età di 86 anni, a causa di un attacco cardiaco.
Nella seconda parte, l’autore ci parla del carattere di questo scienziato: da un Tesla bambino con una grande curiosità e tanta voglia di sperimentare – come dimostra il suo motore ad acqua alimentato ad insetti o la sua caduta dal tetto con l’ombrello per cimentarsi nel volo – nasce una mente poliedrica, che era in grado di risolvere a mente calcoli complicati e di realizzare progetti senza bisogno di scrivere, grazie all’incredibile capacità di visualizzazione. Eccentrico, introverso e molto serio, era perseverante e tenace e lavorava in solitudine, perché aveva ritmi massacranti: unico momento di pausa erano le passeggiate in mezzo alla natura, durante le quali si rilassava e trovava lo spunto per nuove intuizioni o per la soluzione improvvisa a problemi scientifici. 
Nella terza parte, Teodorani ci presenta gli attuali ricercatori, che seguono le orme di Tesla, per imbrigliare la cosiddetta “free energy”: probabilmente il più famoso è un ingegnere nucleare statunitense, Thomas Bearden, poi ci sono numerosi dilettanti senza alcune base né matematica né metodologica, come praticanti della New Age, ufologi, gruppi terroristici interessati alle armi elettromagnetiche progettate dallo scienziato.
 
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COMMENTO:
È interessante non solo leggere la vicenda biografica di questo genio del nostro passato recente, Nikola Tesla, ma anche conoscere le sue difficoltà, combattute con la volontà di fare qualcosa di buono per l’umanità, in modo completamente disinteressato. 
L’autore ha uno stile essenziale e sintetico: in poche pagine ci viene mostrata tutta la potenza della mente di Tesla, che ha modellato il nostro tempo con le sue invenzioni, le stesse che ormai fanno parte della nostra quotidianità: spesso, ignoriamo il nome di chi ha pensato queste innovazioni e questo libro può offrirci degli spunti per approfondire il lavoro di questa mente geniale.
TRAMA: 
L’autore comincia con i numeri primi, “atomi del mondo matematico”, che trovano applicazione non solo nel campo della crittografia, come dimostra l’algoritmo RSA, ma anche in natura, come per i cicli di vita di 13 e 17 anni di due diverse specie di cicale. Interessanti le curiosità riguardanti i numeri primi circolari e le piramidi di numeri primi palindromi, ma il capitolo riguardante il triangolo di Pascal è veramente ricco di spunti: la simmetria, la sequenza dei numeri triangolari, i coefficienti dello sviluppo della potenza di un binomio, i numeri di Fibonacci… non manca nulla! Gli stessi numeri di Fibonacci sono descritti in tutte le loro caratteristiche: non sono solo elencate le proprietà che li caratterizzano, ma viene evidenziato anche il loro legame con la sezione aurea, con la tassellatura di Penrose, con la legge di Benford e con la stella variabile UW Herculis.
La matematica ha anche un aspetto artistico, come dimostrano la geometria frattale e la polynomiography di Kalantari, che ci permette, attraverso l’approssimazione delle soluzioni delle equazioni algebriche, di creare disegni originali.
Anche ambiti della matematica che sembrano non poter avere alcuna applicazione trovano un’utilità pratica, come dimostrato dalla teoria dei nodi, utile per capire come si intreccino le grandi molecole. Non mancano comunque applicazioni anche in cose che usiamo quotidianamente: il motore di ricerca Google utilizza un algoritmo innovativo, inventato da due studenti dell’Università di Stanford, il GPS usa la teoria dei grafi per indicarci la strada più breve, il filtro che applichiamo per combattere lo spam utilizza la formula di Bayes.
Grazie alla struttura matematica, possiamo evidenziare similitudini anche tra ambiti apparentemente lontani e “usare le leggi di un fenomeno per risolvere i misteri di un altro”: il metabolismo e internet, internet e i terremoti, gli attacchi epilettici e i terremoti.
Il libro si conclude con la matematica nel mondo della natura: il volo degli insetti, i patterns che ritroviamo sia nelle strisce delle zebre che nel mondo auto-organizzato delle formiche, fino alla superformula della natura, elaborata dal botanico belga Johan Gielis nel 2003, che permette di descrivere le figure geometriche presenti in natura semplicemente variando alcuni parametri.
 
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COMMENTO:
500 pagine e 44 capitoli per descrivere le incursioni della matematica nel mondo della natura o, a seconda del punto di vista, della natura nel mondo della matematica. Ogni capitolo costituisce un piccolo saggio e può essere letto scegliendo un proprio ordine e lasciandosi guidare unicamente dai propri gusti. I capitoli riescono a soddisfare anche i palati più esigenti, visto che gli argomenti toccati sono veramente tanti: internet, la natura, la medicina… Ci sono parecchie formule, ma questo non deve allontanare i non addetti ai lavori: non è necessario capire tutto per poter godere fino in fondo di quanto l’autore ci propone e, quando è possibile, ci fornisce ottimi esempi che chiariscono le idee. 
Il libro è consigliato sia a coloro che ripetono in continuazione che “la matematica non serve a nulla”, sia a chi ha già una passione per la materia e vuole approfondirne alcuni aspetti, sia agli insegnanti di matematica, che possono trovare numerosi spunti per arricchire le proprie lezioni. In altre parole, è consigliato a tutti!
 
Il blog dell'autore: Quanti di scienza
Venerdì, 02 Agosto 2013 21:17

L'uomo del destino

TRAMA: 
Il successo di Bruce Bueno de Mesquita nasce nel 1979, da una predizione sulla crisi di governo in India. Le sue previsioni, secondo la CIA, hanno un’accuratezza del 90% e la chiave di tale successo è da ricercare nella logica e in un programma informatico, che simula il processo decisionale in circostanze stressanti. Con questo libro, de Mesquita ci dimostra che è possibile prevedere e plasmare il futuro, grazie alla teoria dei giochi. Il libro può essere diviso in quattro parti: la descrizione della teoria dei giochi, un ampio numero di esempi, l’applicazione del modello a situazioni storiche che hanno determinato grandi cambiamenti e alcune previsioni.
Partendo dalla descrizione del metodo migliore per acquistare un’auto, l’autore ci mostra come la teoria dei giochi possa intervenire nel processo decisionale. Il primo esempio fornito è il disarmo nordcoreano: all’inizio del 2004, l’autore fu assunto come consulente dal dipartimento della Difesa statunitense, per affrontare la minaccia nucleare della Corea del Nord. La predizione risulta essere molto vicina all’effettivo accordo stipulato tra Stati Uniti e Corea del Nord nel 2007. 
In un articolo del 1990, l’autore predice quali azioni possano essere intraprese per favorire la pace in Medio Oriente: tale previsione si avvicina molto alle effettive concessioni territoriali concordate tra israeliani e palestinesi nel 1993 a Oslo. Purtroppo, queste concessioni territoriali non garantiscono a nessuna delle due parti che l’altra stia facendo una promessa durevole: quello qua evidenziato è un problema di incoerenza temporale. L’autore sottolinea che bisogna far leva sui “gretti interessi personali dei contendenti”, ovvero proporre una strategia che sia autovincolante, senza far leva su fiducia o cooperazione. La proposta dell’autore è che i governi si ripartiscano una quota del gettito fiscale prodotto dal turismo, partendo dal presupposto che le entrate del turismo sono fortemente sensibili alla violenza.
Il terzo esempio riguarda una causa legale nella quale l’autore è stato assunto dall’imputato per plasmare l’esito del processo: che si tratti di questioni internazionali o di cause legali, si tratta sempre di conflitti umani. Ripercorrendo l’iter del caso, l’autore ci consente di vedere come si può plasmare il futuro. 
L’autore non esita a parlare anche dei propri fallimenti, come la previsione della riforma del sistema sanitario ideata da Bill Clinton: la previsione fu un fallimento, perché l’influente deputato dell’Illinois, da cui dipendeva l’esito della riforma, fu accusato di corruzione e perse la propria influenza. Sulla scorta di quest’esperienza, l’autore escogitò una maniera per anticipare le dimensioni di questi sconvolgimenti. 
L’autore analizza quattro importanti momenti di svolta nella storia, e le domande che si pone, con le relative risposte, sono: 
1. Perché Sparta perse la sua posizione egemonica in Grecia? Perché gli spartani amavano i loro cavalli più del loro Paese. 
2. Perché Ferdinando e Isabella decisero di finanziare Colombo? Perché lui accettò un compenso modesto. 
3. Come si sarebbe potuta evitare la Prima guerra mondiale? Mandando i marinai britannici a farsi una crociera sull’Adriatico.
4. Come si sarebbe potuta evitare la Seconda guerra mondiale? Suggerendo ai socialdemocratici tedeschi di ingraziarsi il papa.
Nel decimo capitolo, vengono affrontati alcuni eventi accaduti dopo le previsioni fatte, rispettivamente, nella primavera del 2008 e in quella del 2009, durante un seminario alla NYU, da un gruppo di venti studenti. Il primo riguarda il Pakistan e in particolare l’utilità degli aiuti economici che gli Stati Uniti forniscono perché sia combattuto il terrorismo; il secondo riguarda l’impatto che la presenza militare americana può avere in un’alleanza tra l’Iran e l’Iraq.
Con l’ultimo capitolo, l’autore fa due esempi: il primo riguarda il passato, ovvero la perdita del controllo politico della Chiesa cattolica, avvenuta con il Trattato di Vestfalia del 1648, ma già prevedibile con il Concordato di Worms del 1122. Il secondo esempio è proiettato nel futuro e valuta l’utilità delle conferenze internazionali per regolamentare le emissioni di gas serra. Secondo l’autore le conferenze sono un esempio di ciò che i teorici dei giochi chiamano cheap talk, comunicazione non vincolante, ma, fortunatamente, il riscaldamento globale produce da solo le sue soluzioni.
 
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COMMENTO:
Si tratta di un libro di matematica che è, al tempo stesso, un libro di storia, di attualità, di economia e di politica e, in tutto questo, non mancano riflessioni sulla natura umana. Non potrebbe essere altrimenti, visto che la teoria dei giochi vive in tutti questi ambiti e si nutre di conflitti umani. L’autore è molto bravo a guidarci, con i numerosi esempi – tratti dalla sua vasta esperienza – che ci permettono di capire la realtà di ciò che spiega. E la matematica non compare sotto forma di formule astruse: l’autore ci informa, semplicemente, che gli input che egli inserisce nel suo modello per ottenere le previsioni sul futuro sono acquisiti dalla trasformazione delle informazioni in numeri. A tratti può sembrare un gioco di prestigio, ma l’obiettivo è quello di mostrarci quale sia il potere della logica nelle previsioni: l’oggetto del libro non è, come può sembrare a una prima occhiata distratta, la superstizione, ma la scienza.
Venerdì, 02 Agosto 2013 21:16

La donna che amava i numeri

TRAMA: 
Grace Lisa Vandenburg è una donna di 35 anni, che abita a Melbourne. Dopo un incidente accaduto quando aveva 8 anni, comincia a contare tutto ciò che le ruota attorno: le lettere che compongono il suo nome (19), i passi dalla camera al bagno (25), i colpi di spazzolino quando si lava i denti al mattino (160), i colpi di spazzola mentre si asciuga i capelli (100)… 
Sul comodino, in una bella cornice argentata, tiene la fotografia di Nikola Tesla, scattata nel 1885, quando lui aveva 29 anni, accanto al motore a induzione inventato nel 1888. Con Nikola, Grace condivide l’ossessione per i numeri e anche le sue fantasie adolescenziali hanno Nikola come protagonista: nelle sue fantasie, Grace è sempre sul punto di morire, quando arriva Nikola a salvarla. Non solo: le due vite sembrano scorrere parallelamente.
La quotidianità di Grace è scandita da orari rigidi e altrettanto rigidi rituali, che le fanno incontrare Seamus Joseph O’Reilly: durante la spesa al supermercato, Grace si accorge di aver preso 9 banane. Inammissibile! Devono essere 10, perché 10 è il numero preferito di Grace dato che è “palesemente superiore, anche da un punto di vista estetico”. Perciò ruba una banana dal carrello di Seamus. Incuriosito e attratto da Grace, l’uomo la invita a uscire per una cena. Grace accetta e organizza la sua routine serale in modo da potersi concedere la cena con Seamus. Qualcosa, però, la mette in agitazione e l’orario dell’uscita passa, mentre Grace è occupata a contare le setole del suo spazzolino da denti (1768). Proprio per comprare altri spazzolini uguali a quello appena rovinato contandone le setole, si reca al supermercato, dove incontra Seamus. Ha inizio così la loro storia d’amore. 
Per quanto Grace si impegni a non lasciar capire a Seamus quanto sia maniaca, l’uomo intuisce che qualcosa non va e cerca di aiutarla, suggerendole un bravo psichiatra che potrebbe aiutarla a smettere di contare. 
È così che Grace comincia a cambiare: si perde nei dialoghi dei suoi due cervelli, è coerente solo nel diario che è stata invitata a redigere ogni giorno per la terapia, è ingrassata per colpa dei medicinali che le somministrano. Una notte, sua mamma ha un piccolo incidente in casa, ma sua sorella, suo cognato e Seamus decidono di farla ricoverare in un ospizio, perché possa essere più al sicuro. Durante la disussione, …
 
COMMENTO:
È un libro che si legge d’un fiato, rapiti dalle manie della protagonista, incuriositi dal suo percorso di “guarigione” che la porta non a smettere di contare, ma ad essere se stessa con maggiore consapevolezza. Interessanti sono i parallelismi con la vita di Nikola Tesla, che, con i suoi fallimenti e le sue manie, è riuscito a sognare il XX secolo e le innovazioni che ora fanno parte della nostra quotidianità. In fondo, si tratta di due romanzi: le vicende della protagonista e la biografia di Tesla, che sono l’esempio che ogni mente è “l’espressione della varietà dell’esperienza umana” e ognuno di noi non è che la somma (“Addition” è il titolo del libro in lingua originale) del proprio passato, delle proprie esperienze, delle proprie piccole e grandi manie.
Venerdì, 02 Agosto 2013 21:15

Il matematico si diverte

TRAMA: 
«In fondo sono proprio gli indovinelli e gli enigmi i modi più indolori e stimolanti di avvicinare ragionamenti in cui la matematica è nascosta dietro le quinte, e non può dunque spaventare o preoccupare, perché non se ne percepisce neppure la presenza.» Con queste parole, Piergiorgio Odifreddi – nell’interessante prefazione – ci parla della ricchezza insita negli enigmi e nei giochi matematici presentati nel libro. E, in effetti, lo stesso Peiretti ci fornisce tre motivazioni che l’hanno spinto a scrivere questo libro: 
1. “Per portare in primo piano il lato divertente della matematica”. E il divertimento non manca, tra le pagine di questo libro: basta lasciarsi sfidare dai giochi proposti e provare a risolverli per conto proprio.
2. “Per dimostrare come attraverso il gioco si arrivi direttamente alla matematica”. Infatti, molti degli autori di giochi erano a loro volta matematici.
3. Per dimostrare come la matematica “sia essa stessa un gioco”. Affermazione sicuramente discutibile per molti, ma che dovrebbe diventare una profonda verità soprattutto per gli insegnanti di matematica: vivendola come gioco, forse sarebbe più facile trasmetterne il lato divertente.
Per questi motivi, “succede talvolta che il matematico parta da un semplice gioco mediante il quale arriva poi a scoprire nuovi teoremi e nuove, fondamentali, teorie”. 
Ogni capitolo, dedicato a un autore di giochi matematici, è strutturato in modo da presentarci innanzi tutto l’autore dei giochi, con alcune notizie biografiche e curiosità che lo riguardano, poi ci sono alcune importanti scoperte, alcuni giochi matematici proposti al lettore, le soluzioni e, eventualmente, delle appendici in cui i problemi vengono ulteriormente approfonditi o risolti matematicamente. Alla conclusione del capitolo, possiamo trovare un’ampia bibliografia, per approfondire ulteriormente l’argomento.
Gli autori proposti sono 18 e sono disposti in ordine cronologico: si comincia con AHMES, uno scriba dell’Antico Egitto, divenuto famoso per il papiro di Rhind, che ha copiato “al tempo del re dell’Alto e del Basso Egitto Nemaatre”. Il secondo capitolo è dedicato a PITAGORA e all’aritmogeometria, il terzo a ARCHIMEDE, il più grande matematico dell’antichità, e vengono proposti alcuni interessanti giochi geometrici; nel quarto capitolo, troviamo ALCUINO, monaco e poeta, vissuto nell’VIII secolo, autore della prima raccolta in lingua latina di problemi divertenti, noto ai più per il problema della capra e dei cavoli. BACHET, vissuto nel XVII secolo, è un personaggio minore nella storia della matematica, ma di grande importanza nella storia dei giochi. Il sesto capitolo è dedicato al grande EULERO, che per il divertimento e l’istruzione di figli e nipoti proponeva problemi matematici che dimostrano una grande capacità divulgativa: i numeri primi e la topologia sono gli argomenti dei giochi proposti da Peiretti. MÖBIUS, che scoprì il proprio amore per la matematica grazie a Gauss, è ricordato soprattutto per il suo anello, dal quale possono nascere parecchi problemi interessanti. LEWIS CARROLL, celebre come autore di “Alice nel paese delle meraviglie”, non è un grande matematico, ma ha una buona conoscenza della materia. SAM LOYD è stato riconosciuto come il miglior enigmista d’America: è noto soprattutto per il Gioco del 15 e bellissima è la rassegna di problemi divertenti proposta da Peiretti. Interessante la citazione che conclude il capitolo: “Quello che si studia con diletto non sarà mai più dimenticato, ma la conoscenza non si può mettere in testa a forza. L’insegnante non deve insegnare regole a memoria; ogni cosa dev’essere spiegata in modo tale che gli studenti possano riformulare le regole nel proprio linguaggio. L’insegnante che insegna soltanto regole sarà bravo unicamente per addestrare pappagalli.” LUCAS, ottimo matematico, è noto per aver inventato il gioco della Torre di Hanoi, reperibile in qualsiasi negozio di giochi. BALL, matematico, è noto per la Mathematical Recreations and Essays, un’enciclopedia dei giochi matematici, ancora attuale e di grande interesse. Nel dodicesimo capitolo, si parla di DUDENEY, che – secondo Martin Gardner – “potrebbe essere considerato il più grande enigmista che sia mai esistito”: il suo libro più noto è The Canterbury Puzzles, che ha come protagonisti i pellegrini dei Canterbury Tales di Chaucer. HEIN è un poeta e matematico danese, noto – oltre che per i suoi aforismi contro il nazismo – per il Cubo Soma, un gioco matematico formato da sette pezzi con i quali si deve ricostruire un cubo. Il quattordicesimo capitolo è dedicato a MARTIN GARDNER, il più grande esperto in giochi matematici del XX secolo, autore di oltre un centinaio di libri e di migliaia di articoli dedicati a giochi e problemi divertenti di matematica. FEYNMAN è stato uno degli scienziati più popolari: ha partecipato al progetto Manhattan e ha vinto il premio Nobel nel 1965 per i suoi studi sull’elettrodinamica quantistica. Nel capitolo a lui dedicato, sono descritte le strisce di carta note come esaflexagoni, portate al successo da Gardner, e l’intrigante puzzle di Feynman. PENROSE, uno dei più noti scienziati inglesi, è sempre stato affascinato dalle tassellature, in particolare da quelle non periodiche, che hanno permesso di chiarire la disposizione degli atomi nei quasicristalli. GOLOMB, matematico e ingegnere, è diventato popolare per i suoi studi sui polimini, noti ai più grazie al videogioco di Tetris. Il libro si conclude con i numeri surreali di CONWAY, uno dei più grandi matematici viventi: egli considera la matematica “il più bel gioco inventato dall’uomo”. Uno dei giochi più affascinanti da lui inventato è il Gioco della Vita, diventato popolare grazie alle versioni per computer.
 
COMMENTO:
Lettura stimolante, che offre un vasto repertorio di giochi con i quali misurarsi. Certo, non si può leggere come un romanzo, perché, come ci dice l’autore stesso: «È bene tener presente che per capire la matematica, anche soltanto di gioco, non è sufficiente “leggere”, ma è necessario “fare” matematica, con esercizi e riflessioni personali.»
Purtroppo, nel libro sono presenti numerosi errori di stampa, che possono indurre in errore nella soluzione dei giochi. Inoltre, alcune soluzioni (poche, per la verità) non sono spiegate: viene dato solamente il risultato. Nonostante questo, la lettura è consigliatissima a tutti!
Venerdì, 02 Agosto 2013 21:13

Tibaldo e il buco nel calendario

TRAMA:
Tibaldo Bondi, il protagonista di questo romanzo, nasce a Bologna il 10 ottobre 1570. Lorenzo Bondi, il padre, lavora alla Scuola di Medicina dell’Università di Bologna, come assistente del Professor Petrus Turisanus. 
Quando Tibaldo aveva sette anni gli capitò di ascoltare una lezione del Professor Turisanus che, alla fine, lo notò e lo interrogò per verificare la sua attenzione. Colpito dalle risposte, il Professore, che avrebbe tanto desiderato un figlio maschio per trasmettergli i suoi saperi, decise di assicurargli l’istruzione che meritava. Tibaldo venne quindi ammesso alla Scuola di San Giuseppe all’Angolo. 
Nel gennaio del 1582, circolò la voce di una possibile alterazione del calendario: il calendario utilizzato nella maggior parte dei paesi per più di milleseicento anni era il calendario giuliano, istituito da Giulio Cesare nel 45 a.C. Secondo il calendario giuliano, però, l’anno è di 11 minuti e 14 secondi più lungo dell’anno solare e, con il passare degli anni, questo scarto si è accumulato, arrivando, nel 1581, a dieci giorni. Per questo motivo, la data della Pasqua sarebbe slittata di dieci giorni verso l’estate. Papa Gregorio XIII nominò quindi, nel 1577, una commissione alla quale affidò il compito di impostare un calendario migliore. Per l’errore accumulatosi con il calendario giuliano, la commissione decise di togliere dieci giorni nel 1582 e venne scelto ottobre, perché non c’erano festività religiose importanti. Il 24 febbraio 1582, Papa Gregorio XIII proclamò il nuovo calendario e ordinò che le date dal 5 al 14 ottobre venissero soppresse. Il Vaticano inviò messaggeri con il proclama sul nuovo calendario e la notizia arrivò anche a Bologna: Tibaldo ne venne a conoscenza durante la lezione di traduzione dal latino all’italiano e si rese subito conto che avrebbe perso il suo compleanno. Se ne lamentò con l’insegnante di greco, che gli suggerì di rivolgersi al governatore di Bologna, Messer Antonio Domitiani. Tibaldo sapeva che il Professor Turisanus era il medico personale del governatore e ottenne il permesso di accompagnarlo durante una delle sue visite. Ma non ottenne nulla. Gli capitò di parlarne con la sorella maggiore, Anna Maria, un’ostetrica professionista. Questa inizialmente lo invitò a non comportarsi da bambino, poi decise di chiedergli di accompagnarla durante il suo lavoro, per assistere al parto di Madonna Guardabassi, moglie del terzo assistente del Governatore Domitiani. L’esperienza colpì molto Tibaldo, ma non riuscì a distoglierlo dalla sua ossessione per il compleanno. Intenerita dal fratello, Anna Maria decise di riferirgli la sconvolgente notizia che Papa Gregorio stava pianificando una visita a Bologna per settembre: forse Tibaldo avrebbe trovato il modo di convincere il Papa a restituirgli il compleanno.
Verso l’inizio del mese di luglio, l’imminente visita del Papa era di dominio pubblico. Alla Scuola di San Giuseppe all’Angolo, c’era un gran fermento, per scegliere i ragazzi che avrebbero fatto parte della delegazione che avrebbe incontrato il Papa. Tibaldo non venne scelto, ma tra i prescelti c’era Stefano Costa, uno dei suoi più cari amici, che casualmente gli somigliava molto. Siccome Stefano era affascinato dagli esemplari di anatomia che Lorenzo regalava al figlio, Tibaldo decise di proporgli uno degli esemplari in cambio dell’opportunità di incontrare il Papa. Durante l’incontro, il Papa chiese agli alunni di recitare qualcosa che avesse scritto lui e Tibaldo si offrì volontario, recitando il proclama della modifica del calendario. Questo offrì l’occasione per parlare della riforma: abituato ad argomentare, Tibaldo sottopose al Papa il problema dei compleanni che sarebbero saltati a causa del “buco nel calendario”. Il Papa, divertito e convinto dalle argomentazioni di Tibaldo, dettò un’aggiunta al proclama.
 
COMMENTO:
Lettura semplice, ma non banale: offre un ottimo spaccato della Bologna rinascimentale, delle convinzioni medico-astrologiche diffuse all’epoca e delle consuetudini in ambito ostetrico. Si tratta anche di un elogio all’intelligenza: l’intelligenza di Tibaldo che sa emergere nonostante le sue umili origini, l’intelligenza del padre Lorenzo che sa accettare la sua umile condizione, nonostante la sua evidente abilità professionale, l’intelligenza di Anna Maria – sorella di Tibaldo – che svolge il lavoro di ostetrica con dedizione. 
La lettura è consigliata a tutti: i piccoli possono identificarsi con il piccolo eroe Tibaldo e i grandi possono trovarvi tesori inaspettati.
Venerdì, 02 Agosto 2013 21:11

Gli atomi di Boltzmann

TRAMA:
Negli ultimi anni del XIX secolo, nessuno era in grado di definire un atomo e la dichiarazione di Ernst Mach, nel gennaio del 1897, a una seduta dell’Accademia Imperiale delle Scienze di Vienna, «Non credo che esistano gli atomi!», ben si inserisce in questo quadro di incertezza. Al contrario, Boltzmann «era animato da una fede incrollabile nell’ipotesi atomica», al punto tale che il suo lavoro in fisica fu centrato su quest’unico tema. Da una legge fisica che era una semplice relazione quantitativa tra fenomeni osservabili, gli scienziati dovettero andare al di là delle apparenze e, da questo punto di vista, Boltzmann fu un pioniere: capì che temperatura e pressione non erano che l’espressione del movimento degli atomi e introdusse concetti teorici completamente nuovi: «Mostrò che le leggi della fisica potevano essere fondate su una base probabilistica, e nondimeno rimanere attendibili». Proprio per la novità delle intuizioni di Boltzmann, le sue idee incontrarono una vivace opposizione.
 
Già nel dicembre del 1845, Waterston inviò un manoscritto alla Royal Society, nel quale ipotizzava che qualunque gas fosse costituito da un gran numero di piccolissime particelle, che egli chiamò molecole, in movimento disordinato. Una proposta simile era giunta, venticinque anni prima, da Herapath, anche se la sua trattazione non era così articolata. Nel 1738, Daniel Bernoulli aveva trovato una relazione teorica tra la pressione e l’energia di vibrazione degli atomi del gas, ma la sua teoria non aveva suscitato particolare interesse e ben presto era stata dimenticata. La teoria cinetica divenne una teoria di tutto rispetto grazie ai personaggi autorevoli che la proposero successivamente, ovvero Clausius, Maxwell e Boltzmann: «Clausius, il più anziano dei tre, aveva avviato la teoria cinetica alla rispettabilità, e Maxwell le diede contributi fondamentali, quando non era impegnato in altre imprese di carattere teorico. Ma fu Boltzmann a fare del pieno sviluppo della teoria cinetica la ragione della propria esistenza e a prendere sulle proprie spalle i passi falsi della teoria non meno dei suoi successi.» 
Nel 1863, Ludwig Boltzmann si iscrisse all’università di Vienna, dove ebbe la fortuna di incontrare alcuni tra i fisici più aperti alle nuove idee dell’Europa continentale: il loro precoce interesse per queste innovazioni tecniche fu un grande stimolo per lui. Nel 1866, Boltzmann conseguì il dottorato e il nuovo direttore dell’Istituto di Fisica di Vienna, Josef Stefan, vedendolo dotato di grandi potenzialità, lo assunse come assistente. Nel frattempo, il lavoro di Clausius, con la definizione di libero cammino medio, era stato sviluppato da Maxwell con la distribuzione delle velocità e, nel 1868, Boltzmann pubblicò una memoria che conteneva la dimostrazione della formula di Maxwell e proponeva una legge generale e una giustificazione fisica per ciò che fino a quel momento era stato soprattutto un ragionamento di tipo matematico. Per compiere ulteriori progressi con la teoria cinetica, utilizzò strumenti matematici raffinati, applicò le leggi della meccanica di Newton, utilizzò le leggi della probabilità e la statistica segnando «un punto di svolta nell’evoluzione della fisica teorica». Non si rese conto, in un primo momento, della «radicalità della rivoluzione che stava innescando». Purtroppo sembra che nessun fisico avesse la capacità e l’interesse per seguire i progressi del lavoro di Boltzmann: solo Maxwell, in Inghilterra, si era reso conto dell’importanza crescente di statistica e probabilità in fisica. 
Con la sua memoria pubblicata a Vienna nel 1872, Boltzmann esponeva la sua analisi in modo particolareggiato, pervenendo a un’equazione differenziale sorprendentemente semplice. Presentando il teorema di minimo, noto come teorema-H, diede con la grandezza H una definizione cinetica dell’entropia. Maxwell, con l’idea del diavoletto, per primo comprese che il secondo principio della termodinamica aveva soltanto una certezza di carattere statistico. I critici conclusero che le leggi della termodinamica non erano leggi vere ma soltanto approssimate, valide «quasi sempre», ma Boltzmann riuscì a quantificare l’improbabilità del flusso di calore da un corpo freddo a uno caldo e ne ricavò forse il risultato più significativo della sua carriera. 
Intanto, lavorando come insegnante a Graz, Boltzmann si lamentava di essere troppo lontano dal centro dell’attività scientifica e di soffrire per la mancanza di stimoli intellettuali. La morte di Kirchhoff nel 1887 liberò una cattedra di prestigio a Berlino e Boltzmann venne raccomandato per il posto. Egli stesso anelava al trasferimento ma continuò a temporeggiare e solo la successiva chiamata di Monaco di Baviera lo trovò consenziente: ebbe un proprio istituto di fisica teorica, a partire dall’autunno del 1890. Si trasferì poi, dal settembre del 1894, all’Università Imperiale di Vienna: «All’età di cinquant’anni aveva ottenuto il posto più prestigioso cui un fisico potesse aspirare nella sua città natale, divenendo direttore dell’istituto cui era legato da un affettuoso ricordo, e dove, circa tre decenni prima, il suo giovanile ingegno aveva cominciato a risplendere, e la sua carriera scientifica era iniziata sotto i più promettenti auspici.»
La filosofia di Ernst Mach, che riteneva che la scienza dovesse fondarsi su fatti osservabili, continuava a sostenere che gli atomi erano un’invenzione e cominciava ad avere un seguito: Boltzmann cominciò a sentirsi infelice e incompreso.
Negli ultimi cinque anni del XIX secolo, la fisica fu sconvolta da una serie di scoperte inattese, con nuove forme di energia e di materia, che divennero la base di quasi tutta la nuova fisica del XX secolo. Nel 1905 Albert Einstein pubblicò quattro famose memorie che cambiarono per sempre il volto della fisica: le prime due memorie «dimostravano l’utilità dei metodi statistici di Boltzmann in un’area nuova e fornivano una prova quasi tangibile dell’esistenza degli atomi», con l’elegante spiegazione del moto browniano. A Vienna, Boltzmann non era informato dei più recenti lavori: era ancora impegnato nel suo scontro con Mach. 
Nel maggio del 1906, funzionari dell’università riconobbero che Boltzmann non era più in grado di insegnare e il 5 settembre del 1906, il suo corpo fu rinvenuto da una delle figlie impiccato all’intelaiatura della finestra nella camera di un albergo di Duino. 
Negli anni successivi, la fisica mutò radicalmente: ormai l’esistenza degli atomi non era più messa in dubbio. Boltzmann lasciò in eredità i risultati scientifici che ponevano le fondamenta della teoria quantistica e per certi versi anticipavano la dinamica del caos.
 
COMMENTO:
“Una biografia organica e completa di Ludwig Boltzmann deve ancora essere scritta, e questo libro non si propone di colmare tale lacuna”. Nella prefazione, l’autore ci informa che i particolari della vita di Boltzmann, soprattutto quelli della prima parte, sono scarsi e provengono dai ricordi e dagli aneddoti di coloro che lo conobbero. Il libro è in ogni caso un’ottima lettura perché, oltre a descriverci la vita di Boltzmann, ci dà uno spaccato dell’Europa della fine del XIX secolo – in particolare dell’impero austro-ungarico – e ci permette di cogliere fino in fondo i mutamenti scientifici che hanno interessato quel periodo, con la nascita della fisica teorica e lo scontro con la filosofia di Mach, così influente sulla ricerca scientifica del periodo. 
Le tematiche presenti nel libro sono ancora attuali: la vicenda umana di Boltzmann non è diversa da quella di una qualsiasi persona che lotta per le proprie idee e ne è alla fine sopraffatto e il dibattito moderno sulle supercorde, dal punto di vista filosofico, non è molto diverso da quello antico sugli atomi. Interessanti, inoltre, sono le vite di Maxwell, Mach, Gibbs, Planck, che fanno da corollario a quella di Boltzmann.
Venerdì, 02 Agosto 2013 21:10

Le regole del gioco

TRAMA:
I principi della termodinamica fanno parte delle leggi che descrivono l’universo e si occupano nello specifico delle “proprietà dell’energia e delle sue trasformazioni da una forma all’altra”. Scopo di questa trattazione della termodinamica è guidare il lettore nella comprensione del “ruolo dell’energia nel mondo”, perché è riduttivo pensare che la termodinamica si occupi soltanto delle macchine a vapore. Anche se i concetti basilari sono stati scoperti nell’Ottocento, “quando si sono formulati i principi della termodinamica e se ne sono esplorate le conseguenze, ci si è resi conto che toccavano una serie vastissima di fenomeni: l’efficienza delle macchine termiche, delle pompe di calore e dei frigoriferi, ma anche la chimica e persino i processi della vita”.
 
I principi della termodinamica sono quattro e sono numerati da zero a tre.
Il principio zero è stato una “rifinitura tardiva” – visto che soltanto all’inizio del Novecento ha avuto un nome, da qui il motivo per cui è stato chiamato principio zero – ed è la base per l’esistenza del termometro e delle diverse scale di temperatura. 
Il primo principio, che deriva dalla legge di conservazione dell’energia, introduce la grandezza fisica energia, ovvero la capacità di un sistema di compiere lavoro. 
Il secondo principio introduce l’entropia ed “è una delle più grandi leggi scientifiche di tutti i tempi”: “nessuna legge scientifica ha contribuito a emancipare la mente umana più del secondo principio della termodinamica” e, come dice il romanziere ed ex chimico C.P. Snow “ignorare il secondo principio della termodinamica equivale a non aver mai letto Shakespeare”. Forse proprio per questo motivo, il secondo principio è così complesso, dato che fornisce la base per comprendere il motivo dei cambiamenti che avvengono in natura: “non spiega soltanto perché funzionano i motori o avvengono le reazioni chimiche, ma è anche la base per capire le conseguenze più raffinate di quelle reazioni, ossia gli atti di creatività letteraria, artistica e musicale che arricchiscono la nostra cultura”. Infatti, anche se è stato formulato a partire dal funzionamento delle macchine a vapore, “una volta formulato in termini astratti si applica a qualsiasi trasformazione”. Il secondo principio è lo specchio dell’ansia con cui, all’inizio dell’Ottocento, i francesi osservavano l’industrializzazione dell’Inghilterra: Sadi Carnot, ingegnere francese, analizzando i limiti fisici dell’efficienza delle macchine a vapore, chiarì fino in fondo il loro funzionamento, ma, essendo in anticipo sui tempi, non venne ascoltato. Solo il lavoro di William Thomson Lord Kelvin e di Rudolf Clausius contribuì all’enunciato del secondo principio con il quale riconobbero la spontaneità di un processo che viene compiuto senza spendere lavoro. Clausius definì anche la variazione di entropia e, di conseguenza, le trasformazioni spontanee – corrispondenti ad un aumento dell’entropia totale dell’universo – e Kelvin definì una nuova scala di temperatura, in termini di lavoro, usando la formula di Carnot per l’efficienza di una macchina a vapore: è la scala citata nel terzo principio che stabilisce che non si può raggiungere lo zero assoluto. In altre parole, si possono raffreddare gli oggetti, ma non si può scendere sotto lo zero, anche se “sotto lo zero si trova un mondo speculare, bizzarro e accessibile”: ottimi esempi sono alcuni fenomeni quali la superconduttività – ovvero la capacità di alcune sostanze di condurre elettricità con resistenza nulla, che è stata osservata proprio raffreddando l’elio a circa 4 K – e la superfluidità, ovvero l’assenza di viscosità. Gli esperimenti di raffreddamento sono molto difficili, non solo perché è necessaria una grande quantità di energia per raggiungere temperature molto basse, ma anche perché, come ci dice il terzo principio, è impossibile raffreddare un oggetto tramite una sequenza finita di trasformazioni cicliche. 
Il terzo principio ha un carattere diverso rispetto ai tre precedenti, innanzi tutto perché “non porta a introdurre una nuova funzione termodinamica; rende però possibile l’applicazione di quelle già note”, in secondo luogo perché sembra irrilevante per la vita quotidiana. In ogni caso, resta aperta la possibilità di raggiungere lo zero assoluto con processi non ciclici, tant’è che il laser sfrutta le temperature assolute negative e quindi i lettori CD e DVD funzionano a temperature negative.
 
“Ho cercato di trattare i concetti centrali, che in origine sono emersi dagli studi sulle macchine a vapore, ma arrivano ad abbracciare anche l’atto del concepire un pensiero. Questo gruppetto di principi potentissimi governa davvero l’universo, permeando e rischiarando tutto ciò che conosciamo.”
 
COMMENTO:
Trattazione interessante della termodinamica, visto che mette in luce tutte le implicazioni di questa ricerca scientifica, non limitandosi all’enunciato dei principi e al loro significato fisico. Consigliato a tutti gli studenti impegnati nello studio della termodinamica.
Venerdì, 02 Agosto 2013 21:08

La scomparsa di Majorana

TRAMA:
“La scomparsa di Majorana” è stato scritto nel 1975 da Leonardo Sciascia. Il romanzo si apre con la lettera di Giovanni Gentile al senatore Bocchini, nella quale gli raccomanda di cercare il professore nei conventi, dove potrebbe essersi segregato. Il senatore a sua volta ordina nuove e più approfondite indagini, ma in una nota di servizio ribadisce implicitamente la convinzione che il professore si sia suicidato. Anche Mussolini fu informato della scomparsa di Majorana e il suo intervento fu sollecitato da una supplica della madre dello scienziato e da una lettera di Fermi: forse Mussolini se ne interessò per qualche tempo, magari si informò sul punto cui erano arrivate le indagini, ma nulla di più. 
Nato a Catania il 5 agosto 1906, Ettore Majorana conseguì la licenza liceale nel 1923 e, quasi al termine degli studi di ingegneria, nel 1928 passò alla Facoltà di Fisica, dove si laureò in Fisica Teorica l’anno dopo, sotto la direzione di Fermi. Negli anni successivi, frequentò liberamente l’Istituto di Fisica di Roma. Numerosi sono gli aneddoti raccontati da Amaldi, Segrè e Laura Fermi riguardanti sia la figura di Majorana che il rapporto tra lui e Fermi: il loro fu un rapporto alla pari, ma al tempo stesso distaccato e critico, grazie al loro antagonismo – espresso da alcune gare con complicatissimi calcoli – e per questo, secondo Sciascia, si percepiva in Majorana un senso di estraneità al gruppo di via Panisperna. «Non uno di coloro che lo conobbero e gli furono vicini, e poi ne scrissero o ne parlarono, lo ricorda altrimenti che ‘strano’», ci dice Sciascia. 
Majorana aveva intuito la teoria di Heisenberg prima di lui, ma l’aveva semplicemente scarabocchiata su un pacchetto di sigarette e comunicata a Fermi e agli altri ragazzi senza però pubblicarla. Quando finalmente Heisenberg pubblicò la teoria, Majorana sentì un sentimento di ammirazione nei confronti del grande fisico e questo forse facilitò la sua partenza per Lipsia, sollecitata anche da Fermi. Majorana arrivò a Lipsia il 20 gennaio del 1933 e subito dichiarò di essere stato accolto molto cordialmente: con Heisenberg si intratteneva con discussioni scientifiche e partite a scacchi. In Germania, Majorana pubblicò un lavoro sulla «Zeitschrift für Physik», ma oltre a imparare il tedesco non fece altro. 
Rientrò a Roma in agosto e fece di tutto per vivere da solo: dall’estate del ’33 all’estate del ’37 uscì raramente di casa e, ancora più raramente, si fece vedere all’Istituto di Fisica. Non voleva parlare di fisica, ma questo non significa che l’avesse abbandonata, al contrario può essere la dimostrazione che ne era ossessionato. Poco prima di scomparire, distrusse tutto, lasciando solo il saggio che Giovanni Gentile junior pubblicherà nel numero di febbraio-marzo 1942 sulla rivista «Scientia». La sorella Maria ricorda che Ettore diceva spesso, in quegli anni: «la fisica è su una strada sbagliata». Forse questo lascia intendere che Majorana aveva intuito la scoperta dell’atomica e aveva capito quale strada avrebbe intrapreso la fisica negli anni successivi: forse per questo se ne allontanò. Per Amaldi questa non è una tesi credibile, come dimostra quanto pubblicato nell’«Espresso» del 5 ottobre 1975, dove definisce l’idea di Sciascia una fantasia «priva di fondamento». 
Qualcuno riconosce in Majorana i sintomi dell’esaurimento nervoso, ovvero parla di follia, ma questo sarebbe in conflitto con la scelta dello scienziato di partecipare ad un concorso per una cattedra. Tra i vincitori predestinati il figlio di Giovanni Gentile, che sarebbe quindi stato escluso dalla terna vincitrice per la partecipazione di Majorana. Per scongiurare tutto questo, il filosofo Giovanni Gentile nominò Majorana alla cattedra di Fisica Teorica dell’Università di Napoli per «chiara fama». 
Nei primi tre mesi del 1938, la vita di Majorana si svolse tra l’albergo e l’Istituto di Fisica. Sciascia vede la sua scomparsa come una “minuziosamente calcolata e arrischiata architettura”. La sera del 25 marzo, Ettore Majorana si imbarca a Napoli sul postale diretto a Palermo, alle 22,30. Ha impostato una lettera per Carrelli, direttore dell’Istituto di Fisica dove insegna e ne ha lasciata in albergo una per i familiari. Giunto a Palermo, Majorana invia un telegramma a Carrelli, chiedendogli di non prestare attenzione alla sua lettera e, successivamente, gli scrive un’altra lettera. Pare che si sia imbarcato il giorno successivo, alle 5,45, per tornare a Napoli, e secondo alcune testimonianze sarebbe qui arrivato, ma da questo momento se ne persero le tracce.
Il Superiore della Chiesa detta del Gesù Nuovo, a Napoli, riconobbe Ettore come colui che si era presentato a fine marzo, chiedendo di essere ospitato per fare esperienza di vita religiosa, ma quando gli chiese di presentarsi più avanti non lo vide più. In ogni caso, pare difficile credere alla tesi del suicidio, considerato che Ettore portò con sé il passaporto e quanto più denaro poteva. Secondo Vittorio Nisticò, direttore del giornale «L’Ora», si potrebbe credere che Majorana abbia trovato rifugio in un convento certosino, che a lui era capitato di visitare nell’immediato dopoguerra e nel quale aveva sentito che si trovava «un grande scienziato».
 
COMMENTO:
Il modo in cui viene presentata la scomparsa di Majorana è decisamente originale, visto che Sciascia non ha conosciuto lo scienziato di persona e, quindi, non è condizionato dai suoi eventuali pregiudizi. Inoltre, ha avuto modo di formarsi una sua idea, dopo aver spulciato tutti i documenti esistenti in merito alla scomparsa. 
Il periodare lungo dell’autore non rende sempre agevole la lettura, soprattutto all’inizio, ma con il passare delle pagine ci si abitua e non si nota più. Vale sicuramente la pena di dedicarsi alla lettura di questo testo – peraltro molto breve – anche solo per l’ampio spazio che viene dedicato al contesto storico-politico.
Venerdì, 02 Agosto 2013 16:17

La lettera di Pascal

TRAMA:

La lettera di Pascal, datata 24 agosto 1654, è l’esempio di come un singolo documento matematico possa cambiare il corso della storia: ha infatti segnato la nascita della moderna teoria della probabilità e al giorno d’oggi, affari, politica, difesa, guerra, scienza, ingegneria, medicina, sport, finanza, edilizia, trasporti, attività ricreative e molti altri aspetti della vita quotidiana sono regolati da calcoli probabilistici: “Ciò che ora diamo per scontato fu un immenso passo avanti nel pensiero umano, reso possibile soltanto da un significativo sforzo intellettuale”.

 

Il quesito affrontato da Pascal e Fermat è stato formulato per la prima volta nel 1494, nel libro di Luca Pacioli Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalita: in che modo dei giocatori dovrebbero spartirsi la posta, qualora fosse per loro necessario abbandonare la partita, prima del suo termine? Questo è noto come il problema dei punti e per risolverlo è necessario saper guardare al futuro. A Pascal e Fermat occorsero diverse settimane di intenso lavoro intellettuale per risolvere il problema, a dimostrazione del fatto che “anche gli esperti possono trovare difficile padroneggiare una nuova idea matematica”. Pacioli aveva ipotizzato che la soluzione fosse quella di dividere la posta in base alla situazione raggiunta di fatto, ma il ragionamento non è corretto, come venne dimostrato nel 1539 da Girolamo Cardano. Il problema venne proposto a Pascal da Antoine Gombaud, un giocatore d’azzardo. Pascal trovò una soluzione, ma, non sicuro della correttezza del ragionamento, chiese a Fermat se condivideva la sua strategia.

Nello scambio epistolare che seguì, Pascal dimostra di essere un matematico incredibilmente dotato, ma, come non fatica a riconoscere, Fermat era ancora meglio. I due uomini adottarono approcci diversi alla soluzione del problema: entrambi i metodi erano corretti, ma la soluzione di Fermat era di gran lunga la migliore. La soluzione di Pascal “è difficile da seguire anche per un matematico di professione”, mentre l’approccio di Fermat, “che va direttamente al fulcro del problema e fa soltanto ciò che è richiesto per ottenere la risposta cercata, dà prova di un’autentica genialità”.

“Pascal e Fermat non avrebbero mai compreso pienamente che il loro scambio epistolare avrebbe rivelato all’umanità un modo del tutto rivoluzionario con cui gettare un’occhiata nel futuro, cambiando drasticamente la vita umana”. Per loro si trattava probabilmente solo di un rompicapo matematico, senza alcuna utilità per la realtà quotidiana.

Nello stesso anno della morte di Pascal, il 1662, il libro Natural and Political Observations Made Upon the Bills of Mortality di John Graunt cambiò ulteriormente il modo di vedere la teoria della probabilità, segnando la nascita della statistica moderna. “Graunt e il suo pamphlet fecero uscire la teoria della probabilità di Pascal e Fermat dalle sale da gioco per portarla nella realtà quotidiana”:

Nel 1657, Christiaan Huygens pubblicò De ratiociniis in ludo aleae, considerato negli anni successivi un testo fondamentale per la teoria della probabilità: Huygens superò il lavoro di Pascal e Fermat, applicando i metodi della teoria della probabilità nella vita reale, con l’introduzione del concetto di “aspettativa”.

Il lavoro venne portato ulteriormente avanti dalla famiglia Bernoulli: Jakob enunciò la legge dei grandi numeri, dimostrando che la frequenza relativa di un evento permette di predirne la probabilità tanto più accuratamente, quanto più numerosi sono i casi osservati. Nikolaus pubblicò, nel 1709, il libro De usu artis conjectandi in jure, nel quale discuteva la stima della durata della vita umana, segnando un importante passo avanti nella gestione del rischio. Daniel consentì la soluzione dell’enigma noto come paradosso di San Pietroburgo, osservando il modo in cui la gente valutava soggettivamente i rischi e compiendo una profonda osservazione riguardo all’utilità.

Le idee di Nikolaus Bernoulli vennero riprese da Abraham de Moivre, che nel 1733, con il libro Doctrine des chances, mostrò come un insieme di osservazioni casuali si distribuiscono attorno al valore medio, ovvero studiò la distribuzione normale, che otto anni dopo Karl Friedrich Gauss comprese di poter usare per stimare il valore dei dati. La misura di de Moivre, nota come deviazione standard, permise di giudicare se un insieme di osservazioni fosse sufficientemente rappresentativo dell’intera popolazione.

L’ultimo personaggio della storia è Thomas Bayes: riconosciuto oggi come una mente matematica brillante, durante la sua vita non pubblicò nessuno scritto originale, ma furono notate le sue abilità scientifiche, visto che era un membro della Royal Society. Il suo approccio alla probabilità fu rivoluzionario e aveva una vasta gamma di applicazioni, visto che permetteva di rivedere la stima di una probabilità alla luce di nuove informazioni. Ignorato per quasi due secoli dagli statistici e dai teorici della probabilità, il metodo di Bayes divenne sempre più diffuso a partire dagli anni Settanta del Novecento, grazie anche alla disponibilità di potenti computer che hanno reso possibile eseguire iterativamente il processo. Il punto di forza dell’approccio di Bayes è nel fatto che può guidarci quando le nostre intuizioni sono sbagliate.

 

COMMENTO:

Siamo abituati a pensare ai grandi matematici del passato come a persone che non hanno mai avuto alcuna difficoltà a capire una formula, un procedimento mentale: Pascal è la dimostrazione che anche i grandi hanno avuto le loro difficoltà. Ma la chiave di tutto, la differenza tra noi e i grandi, sta forse nella tenacia, nella volontà di capire, di aprire nuovi orizzonti.

Un libro semplice, anche per non addetti ai lavori, che, a partire dalla lettera di Pascal del 1654, traccia la storia del calcolo delle probabilità fino alla nota formula di Bayes e fino alle intuizioni di de Finetti. Consigliato a tutti coloro che non nutrono grande simpatia per questa branca della matematica, solo all’apparenza semplice, ma in realtà complicata e affascinante, nella stessa misura in cui mette in crisi le nostre intuizioni e le nostre errate convinzioni.

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