Verifica di fisica, classe prima liceo scientifico.
Argomento: ottica geometrica e statica dei fluidi.
Durata: un'ora.
Verifica di fisica, classe quarta liceo scientifico.
Argomento: potenziale e condensatori.
Durata: un'ora.
Verifica di matematica, classe quarta liceo scientifico.
Argomento: geometria euclidea e analitica dello spazio.
Durata: due ore.
Verifica di fisica, classe quarta liceo scientifico.
Argomento: campo elettrico, forza di Coulomb, teorema di Gauss.
Durata: un'ora.
«Vita quotidiana degli insegnanti contro stereotipi e pregiudizi sulla matematica»: un articolo interessante, che ho condiviso anche sulla mia bacheca Facebook e che ha generato un interessante confronto con uno dei miei insegnanti dell’università. Anch’io, come la protagonista, Claudia, ho incontrato la disequazione citata, ma l’ho sempre considerata figlia della fretta, visto che non è un errore che gli alunni fanno all’inizio del percorso. Per quanto riguarda l’insofferenza per la matematica, invece, da quanto ho avuto modo di capire, parlando con gli alunni, essa nasce sui banchi di scuola ed è in genere legata a un’emozione negativa. Perché la matematica, a differenza di altre discipline scolastiche, ci tocca nell’emotività e ci porta a pensare di non essere all’altezza: credo sia questo che viene rifiutato quando ci si “vanta” di non saperne nulla. Un po’ come quando si nega di esser mai stati innamorati di una ex. Come insegnante, a volte è più facile addestrare i propri alunni ad imparare certe tecniche di calcolo, piuttosto che guidarli a capire, a conquistare una visione d’insieme, che permetta di cogliere la bellezza nascosta di questa disciplina. D’altra parte, ciò che si odia veramente della matematica è la fatica, quella stessa fatica che si fa andando in montagna e che a volte si accetta in nome del panorama che si sa di conquistare alla fine del percorso. In matematica, anche in un liceo scientifico, portiamo mai davvero i nostri alunni ad ammirare il panorama? Forse dovremmo ogni tanto offrirgli delle anteprime di ciò che potranno vedere dalla vetta, in modo da nutrire anche i loro occhi – e quindi il senso della bellezza – oltre ad addestrarli a svolgere degli esercizi.
«Da quando insegno matematica a ragazzi e ragazze in età adolescenziale ho imparato a convivere con il dubbio»: potrebbero essere tranquillamente parole mie. Nei giorni scorsi, ho realizzato che nonostante insegni da quasi vent’anni non mi sento più sicura di me di quando ho iniziato: ho sentito come un paradosso il fatto di sentirmi più incerta, forse più consapevole di quale impatto possano avere le mie azioni sui ragazzi che si affidano a me. Riccardo Giannitrapani, nel suo blog Matematichevole, scrive che quando pensa alla matematica può «distintamente udire una musica», una musica che bisogna imparare a sentire, ascoltare e riprodurre. Quando penso alla matematica, io penso alla montagna, forse perché adoro la montagna ma soffro di vertigini e, a volte, riuscire a godermi un panorama significa per me combattere: devo combattere contro la fatica, perché non è vero che per gli insegnanti di matematica è tutto facile, come invece pensano gli alunni. Devo combattere contro la paura: la paura di non farcela, di non essere adeguata, di non fare abbastanza per coloro che si affidano a me. Devo combattere contro le vertigini, contro la paura dell’altezza, per poter ammirare il panorama serenamente. Devo combattere la fatica ad ogni passo, perché con certi argomenti, anche dopo vent’anni, devo sudare sette camicie per trovare il modo giusto per insegnarli, per renderli semplici (e come non pensare, in questo contesto, alla frase che un mio contatto ha appena condiviso sulla mia bacheca? «Non fidarti di quel docente che rende complicata la matematica, vuol dire che non la sa»: anonima saggezza del web… quanta verità!) E la montagna, come scrive Giannitrapani, è inutile come la matematica, perché non tutti sentono la necessità di salire su una vetta per ammirare il panorama, soprattutto se questa impresa costa una gran fatica: «Se la si insegna, con passione, è perché passi il semplice messaggio che nella vita si possono fare anche cose non utili. La bellezza, in fondo, è una forma di necessità.» Alcune frasi fanno eco a quanto ho scritto precedentemente: «se l’insegnamento si limita alla tecnica e non mostra spiragli di fantasia e di bellezza, la partita è persa in partenza per molti e molte.» Complessità, motivazione, pazienza, affezione, fiducia, valutazione e poesia sono i sette punti nei quali si articola questo manifesto. Sono trattati con competenza e completezza, ma mi soffermo su uno, sulla fiducia: Giannitrapani parla della fiducia solo nel senso degli studenti nei confronti dell’insegnante, ricordando che l’insegnante deve conquistarsi la fiducia delle classi nelle quali si trova a insegnare. Personalmente, ritengo che la fiducia vada in due sensi: anche l’insegnante deve fidarsi dei propri alunni. Non è sempre facile: ho visto e vissuti casi in cui l’intervento pesante dei genitori ha in qualche modo compromesso questa fiducia, perché l’insegnante in queste situazioni ha finito con il sentirsi sotto attacco. Ma l’insegnante ha anche un proprio vissuto e ci sono classi che esercitano un vero e proprio bullismo: non c’è bisogno di raggiungere i livelli della rinomata scuola di Lucca, perché ci sono forme di bullismo molto più sottili e subdole. Mi è capitato di incontrare classi che hanno minato la mia autostima e la mia capacità di concedere fiducia e chi è arrivato dopo ne ha, in qualche modo, pagato le conseguenze. Però ho avuto conferma che, quando l’insegnante rinuncia a concedere questa fiducia, finisce con il compromettere il rapporto con una classe: gli alunni sentono i malumori del proprio insegnante e ne soffrono, perché hanno bisogno di sentirsi accolti. «Insegnare è un atto di fiducia» diceva Mel Gibson nel film “L’uomo senza volto”.
In questo manifesto si parla di bellezza e di passione: ogni insegnante dovrebbe riuscire a portare in sé questi due aspetti, dovrebbe riuscire a non dimenticarli mai. La pratica quotidiana, le valutazioni, la burocrazia, gli incontri con i genitori, le incomprensioni con i colleghi… nel nostro essere insegnanti non ci deve essere spazio solo per questi aspetti negativi. Insegnare non è solo frustrazione, è soprattutto passione e bellezza: ogni volta che, in qualche modo, ci è dato di “toccare” davvero uno studente, dobbiamo riuscire a sentire il privilegio che ci è dato nell’esercitare questa professione. Ed è pura passione quella che leggiamo nelle parole che Enrico Galliano, insegnante e scrittore, ha condiviso in un post su Facebook: «C'è quella puntata di Scrubs dove Elliot è in crisi, non sa se vuole davvero fare il medico, e allora continua a chiederselo, come faccio a sapere se è davvero questo quello che voglio fare? È una domanda che ci facciamo tutti, prima o poi. Poi alla fine dell'episodio le succede che un paziente durante una crisi le vomita addosso. Sì sì, proprio così. E a lei viene da ridere. È così che lo scopri, che è proprio quello che vuoi fare. Non quando arrivano i successi, le belle giornate, il tutto perfetto. Quando succede qualcosa di oggettivamente schifoso, o di innegabilmente fastidioso, quando insomma il tuo lavoro ti fa vedere il peggio che può darti, e a te viene comunque da ridere. Ti sta piacendo anche nei momenti più infimi. E così è anche per chi vuole insegnare. Perché arriveranno i momenti alla Elliot. Un ragazzo che ti risponde male, una classe che non riesci a farli stare tranquilli un secondo, una ragazza che ti guarda come a dire "ma che ci faccio io qui?". Saprai che hai fatto la scelta giusta, che sei nel posto giusto, se anche in quei momenti lì ti piacerà. Se, anche lì, ti sentirai al tuo posto.»
Se si insegna matematica in un liceo scientifico, si fa tutto più difficile, non solo per la responsabilità della preparazione dell’esame di maturità, ma anche perché non c’è modo di piegare il programma, per affrontare gli argomenti più “panoramici” e dimenticare il peso dell’addestramento. Sembra di aver ingaggiato una lotta contro il tempo per portare gli alunni ad aver affrontato tutto ciò che è necessario (non c’è certo tempo per il superfluo) per vivere con una certa tranquillità la prova d’esame. Per questo motivo, il 16 aprile scorso si è tenuta, a Roma, una giornata dedicata proprio all’esame di Stato e MaddMaths! ha condiviso i materiali sulla propria pagina.
La matematica è così meravigliosa da trovare posto nel Blog of Wonders di Mariano Tomatis che, in un vecchio post del luglio del 2016, parla proprio di meraviglie numeriche, quelle di Giuseppe Polone, che si presenta come “Campione del mondo di quadrati magici”. Una simpatica Università Stradale Matematica: anche in questo caso la matematica è unica, perché non credo esista un’Università Stradale di letteratura o filosofia, per dire… Come forse non esistono start up dedicate ad altre discipline, mentre ne esiste una dedicata alla matematica: di Redooc si parla anche durante Magazine Sette, programma di approfondimento settimanale di La7, trasmesso il sabato alle 12.45. La puntata in cui si parla di Redooc è quella del 14 aprile e, dal minuto 5.20, potete ascoltare Chiara Burberi e le sue riflessioni sull’apprendimento della matematica. Anche OrizzonteScuola ha dedicato un articolo al lavoro di Redooc per le materie STEM, sottolineando però la maggioranza di presenza femminile sulla piattaforma didattica. D’altra parte, la forza della presenza femminile è sottolineata anche dalle Olimpiadi femminili della Matematica, con la conquista del podio, da parte della squadra italiana, durante l’ultima edizione che si è appena conclusa a Firenze. Anche Radio3Scienza ha dedicato la puntata dell’11 aprile alla gara: ospiti in trasmissione due componenti della squadra italiana e Alessandra Caraceni, ricercatrice in matematica all’Università di Bath e organizzatrice dell’evento. Interessante anche la seconda parte della trasmissione, dedicata a Emmy Noether, algebrista tedesca vissuta tra Ottocento e Novecento. Tra le incredibili donne della scienza del Novecento, non possiamo dimenticare Lise Meitner, dipinta nel libretto “La forza nell’atomo”, collana “Donne nella scienza” di Editoriale Scienza, per i ragazzi delle medie. Più recente è invece la storia di Margherita Hack, la cui voce ci giunge attraverso questo libro scritto a quattro mani, “L’universo di Margherita”, e ancora più vicina a noi è la storia dell’astrofisica Marica Branchesi, che la rivista Time ha riconosciuto tra le 100 persone più influenti del 2018, per il suo ruolo nella collaborazione internazionale che ha portato alla rivelazione delle onde gravitazionali.
Un ultimo consiglio di lettura è legato alla probabilità, con il libro “La legge del perdente” di Ferderico Benuzzi, insegnante di matematica e fisica in un liceo linguistico, ma anche giocoliere, conferenziere e attore (lo possiamo vedere anche nei suoi video pubblicati su YouTube). D’altra parte, si sottolinea spesso l’ignoranza dello scommettitore in termini matematici, come in questo articolo del marzo 2016. Forse questo è dovuto anche al fatto che, spesso, le risposte corrette in termini di calcolo delle probabilità sono molto lontane da quelle fornite dal nostro istinto. Peccato che molte delle nostre errate convinzioni riescano a minare «la capacità di giudizio di persone chiamate a prendere decisioni importanti, individui apparentemente ragionevoli e intelligenti che detengono un potere considerevole sulla vita di altre persone», come i giudici americani che si occupano delle richieste di asilo, i responsabili del credito di una banca o gli arbitri della Major League Baseball.
Concludo questa rassegna con l’ultimo numero di Asimmetrie, dedicato all’energia: ho già avuto modo di sfogliarlo velocemente e, come sempre, mi pare sia bellissimo. Se non avete ancora provveduto a sottoscrivere l’abbonamento gratuito, è il momento di farlo!
Buona matematica! Ci sentiamo tra TRE settimane!
Daniela
Verifica di matematica, classe prima liceo scientifico.
Argomento: disequazioni lineari e geometria euclidea.
Durata: due ore.
«L’universo di Margherita» è uno dei libri della collana “Donne nella scienza” di Editoriale Scienza: scritto da Simona Cerrato e illustrato da Grazia Nidasio, ha vinto il premio Andersen 2006 come miglior libro di divulgazione. La presenza attiva della protagonista nella redazione del libro contribuisce a rendere ancora più efficace il racconto, che ci trasmette tutta l’originalità di questa grande scienziata. La sua vita scolastica, negli anni di forza del fascismo, l’incontro con Aldo e l’iscrizione a fisica, dopo aver inizialmente scelto lettere, portano la Hack, nel 1945 – all’indomani della laurea – a perseguire quella che sembra un’enorme ambizione, l’idea di vincere una cattedra e diventare direttore di un osservatorio. Una donna semplice, ma tenace, che trova la sua forza nell’uomo che ha avuto accanto per tutta la vita e che l’ha spronata a dare il meglio in ogni situazione.
Lo stile semplice della Cerrato ben si sposa con la figura della Hack, così essenziale e senza fronzoli: aiuta i ragazzi, principali destinatari dell’opera, a comprendere fino in fondo l’importanza di questa figura, che tanto ha contribuito alla crescita dell’astronomia in Italia.
La lettura è stata davvero interessante, perché, nella sua semplicità, mi ha permesso di cogliere tratti della figura della Hack che non conoscevo. Consiglio la lettura ai ragazzi, ma anche a tutti coloro che vogliono incontrare per la prima volta una figura di spicco della scienza italiana.
«La forza nell’atomo» è uno dei titoli della collana “Donne nella scienza” di Editoriale Scienza: si tratta di una serie di «ritratti complessi e appassionanti» di donne che diventano «uno stimolo e un modello in cui riconoscersi». Non poteva, quindi, mancare Lise Meitner, descritta e raccontata in modo da essere comprensibile anche per i ragazzi delle medie. L’autrice, Simona Cerrato, è laureata in fisica e, grazie anche alla sua preparazione, riesce a trovare le parole giuste per descrivere l’importanza dei lavori della scienziata, mentre le illustrazioni di Anna Curti aiutano la fantasia dei più piccoli, regalando una storia nella storia attraverso le immagini.
Il racconto, in prima persona, ci permette di rivivere una pagina della storia europea, tra le più dolorose, con le persecuzioni antisemite e la seconda guerra mondiale. La storia inizia con la fuga della Meitner, che, abbandonando Berlino nel luglio del 1938, ripensa al proprio percorso come scienziata, iniziato trent’anni prima: «Allora ero solo una giovane fisica appassionata: avrei fatto qualunque sacrificio, avrei lavorato anche in una stalla pur di fare fisica, pur di avere un laboratorio.»
Lo stile dell’autrice è leggero, ma non banalizza la vicenda: sembra di sentire la voce della Meitner, come fosse una nonna che racconta la propria vita ai nipoti, un “granello di polvere” – così l’avevano soprannominata in famiglia per la sua corporatura minuta – che è riuscito a cambiare il corso della storia, con la propria tenacia e la propria forza. La lungimiranza di papà e mamma che, in un’epoca in cui il percorso universitario è praticamente impossibile per le donne, la sostengono in ogni modo, l’incontro con Ludwig Boltzmann, che diventa per lei un maestro di vita, l’arrivo a Berlino e la stima di Planck, che, nonostante creda che la scienza non sia un’attività per donne, le permette di cominciare la sua carriera accanto a Otto Hahn, un chimico suo coetaneo: gli ingredienti della storia di Lise sono tanti, ma non sono certo frutto della fortuna o del caso. La vita di Lise è anche attraversata dalla tragedia del nazismo che, in parte, contribuirà a compromettere la sua carriera scientifica, non consentendole, a causa della fuga e del comportamento non certo pulito di Hahn, di ottenere il meritato Premio Nobel. Durante la lettura, sembra di sentire l’amarezza di Lise e la sua tristezza, nel dover ricominciare da zero dopo la fuga da Berlino, ci viene trasmessa non solo con le parole ma anche con le immagini, come la splendida pagina in cui Lise guarda la sua valigia, appoggiata su una sedia: «Non puoi renderti conto di che cosa significhi per me, una signora di sessant’anni, vivere in una stanza d’albergo da ormai nove mesi!»
Questo libretto riesce a farci toccare con mano tutta la forza che è stata necessaria per emergere in un mondo governato da uomini, tutta la resilienza che la Meitner ha dovuto mettere in gioco per superare le delusioni che hanno costellato la sua vita, tutta l’importanza di una scoperta scientifica che è nota più che altro per aver reso più spedito il cammino verso la bomba atomica.
Consiglio la lettura di questo libretto non solo ai ragazzini delle medie: rileggere storie importanti come questa con un linguaggio semplice ci permette di capirle meglio, senza sminuirne l’importanza.
«La legge del perdente» è l’ultimo lavoro di Federico Benuzzi, docente di matematica e fisica al Liceo Laura Bassi di Bologna, ma anche giocoliere, conferenziere e attore. Personaggio eclettico, mostra tutta la sua originalità in questo libretto dedicato al calcolo delle probabilità. Pubblicato da edizioni Dedalo nella collana “La scienza è facile”, il libro è, a tutti gli effetti, uno dei «Volumi divertenti e indispensabili per conoscere i principi fondamentali della scienza».
Il libro è un racconto, che potrebbe tranquillamente diventare un percorso didattico, come ci dice lo stesso Benuzzi: da un incontro casuale con un umarell, così vengono indicati i pensionati a Bologna, di nome Fazioli, scaturisce una lezione in più puntate sulla teoria della probabilità, che coinvolge anche un cameriere, Andrea, che non sembra avere una grande simpatia per la matematica. «Le pagine che seguono raccontano di un incontro, di gioco d’azzardo, di vite variegate e di matematica. È una storia per tutti: ragazzi, insegnanti, genitori, semplici curiosi… ma soprattutto è per tutti quelli che hanno, ogni tanto, un prurito.» Il prurito di cui parla Benuzzi è il desiderio di fuga che a volte ci porta a sfidare la sorte, giocando d’azzardo, perché in fondo, comprare un biglietto ogni tanto, che male fa? L’autore vuole convincere il lettore che rispondere a questo desiderio non può che portare guai e porta avanti la propria tesi con la forza della matematica.
La storia coinvolge il lettore fin dall’inizio, vista la leggerezza con la quale Benuzzi, nei panni del docente, guida i ragionamenti di Fazioli e Andrea per consentire loro di capire fino in fondo le trappole dei giochi d’azzardo. Un passo per volta e tenendoci per mano, Benuzzi ci porta alla scoperta di un mondo nascosto ai più. D’altra parte, la matematica del calcolo delle probabilità non è così complessa: la sua unica difficoltà consiste nel fatto che, in qualche modo, smentisce le nostre intuizioni e questo ci destabilizza. Il racconto è spesso interrotto per lasciare spazio alle “fantasticherie” dell’autore, che condivide con il lettore le sue riflessioni sull’insegnamento, sulla vita in generale e sulla sua stessa vita: sono pagine bellissime, che da sole valgono l’intero libro.
La lettura è adatta a tutti e, anzi, è consigliata a tutti, soprattutto a coloro che sono convinti di poter cambiare la propria vita con un biglietto della lotteria.