Ci sono esperienze così totalizzanti, che riesci quasi a sentirti crescere. Per me è stato così durante le due settimane di BergamoScienza: le mie riflessioni di oggi prendono spunto da questa intensa avventura e non solo… Nel mio percorso di insegnante, c’è una costante: non smetto mai di farmi domande e di cercare risposte, di lasciarmi mettere in discussione da ciò che faccio e di vivere sull’onda del cambiamento!
Insegno al Liceo “Decio Celeri” di Lovere e per il secondo anno consecutivo abbiamo deciso di partecipare al Festival di BergamoScienza, diventando una delle 332 scuole protagoniste della manifestazione. Le vere protagoniste, però, non sono le scuole, ma i ragazzi, animatori volontari dei laboratori che ogni scuola decide di sostenere: nel nostro caso, l’argomento è stato il cerchio. Un argomento matematico, per dimostrare che la matematica non è solo fatica e per imparare a coglierne la presenza nella quotidianità. Tre laboratori e una mostra, per esplorare la complessità di questa figura geometrica, apparentemente banale, in realtà ricca di applicazioni e curiosità.
Come insegnante, sono abituata a essere al centro del cerchio, con i miei alunni tutti alla stessa distanza da me, per insegnare, per guidare e, a volte, anche per intrattenere. Durante BergamoScienza, devo abbandonare il mio centro per lasciare il posto ai ragazzi che abbiamo contribuito a formare: loro è la responsabilità di guidare e animare i laboratori, di coinvolgere i bambini che partecipano con le loro maestre e di fare in modo che tutti, dal primo all’ultimo, possano cogliere la bellezza della matematica nascosta. Quando l’insegnante sceglie di fare un passo indietro, gli alunni possono esprimere fino in fondo le proprie potenzialità: da questa investitura di responsabilità non può che nascere una consapevolezza che li spinge ad andare oltre e così diventano più consapevoli, mentre il coinvolgimento nel percorso li spinge a cercare nuove strategie. Io li osservo e mi gusto ogni attimo: assisto al loro percorso di crescita e cerco di imparare da loro. È proprio grazie a questi laboratori di BergamoScienza che ho cambiato un po’ la mia strategia di insegnamento: anziché proporre attività preconfezionate, cerco di lasciare ai ragazzi la guida, in un modus operandi che non costituisce solo un cambio tecnico, ma anche mentale, per me. Di esperienze innovative nella didattica è pieno il web e, proprio in questi giorni, mi sono imbattuta nell’esperienza di Gianluigi Boccalon, docente di matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado, che ha trovato il modo di sviluppare e proporre percorsi “attraversando territori (a volte inesplorati) al confine tra la matematica e altre discipline”. Il collega cita il prof. Quarteroni: «Ogni volta che noi abbassiamo il livello delle richieste e semplifichiamo i loro percorsi, stiamo “rubando” un pezzo di futuro ai nostri ragazzi.»
Questo mi porta alla seconda esperienza e, quindi, alla seconda riflessione: in occasione del Festival della Crescita, che si è tenuto a Milano dal 19 al 22 ottobre, sono stata invitata da Chiara Burberi a prendere parte al panel che è seguito al suo intervento di venerdì 20, dal titolo “Facciamo una scuola utile per tutti”. Chiara ha sottolineato come sia importante accompagnare i ragazzi nel loro percorso di crescita e apprendimento, stimolando la loro capacità di gestire il cambiamento e partendo proprio da dove è nata la necessità di imparare nuove cose: dal bisogno, dal piacere e dal divertimento. Ma dove si sono perse queste cose, man mano che la scuola si è arricchita di nuove strutture? Il mio rapporto con Chiara ha avuto inizio con la mail di una ex alunna che mi ha messo in contatto con i fondatori della neonata Redooc e da allora Chiara ha continuato a chiedermi più di quanto io pensassi di essere in grado di dare. E questa occasione non è stata da meno: quando mi ha inviato la prima mail, ho pensato di dover essere presente tra il pubblico, come spettatrice, ma poi ho scoperto che avrei avuto un ruolo attivo. Chiara ha sfidato le mie capacità, cosa che ognuno di noi dovrebbe fare in continuazione. È importante imparare a chiedere, anche ai nostri alunni, più di quanto loro si sentano in grado di dare: a volte è più facile cogliere negli altri le loro potenzialità e, quindi, chiedere loro una resa sulla base delle potenzialità che vi leggiamo. Questo diventa, a volte, occasione di scontro anche con i genitori, che vorrebbero in qualche modo proteggere i propri figli da richieste, a loro modo di vedere, esagerate. Ma in fondo, come possiamo sapere se saremmo in grado di raggiungere una vetta se non ci mettiamo continuamente alla prova? Un grazie, quindi, a Chiara per le sue richieste, mentre, dal canto mio, continuerò a chiedere ai miei alunni più di quanto loro si sentano in grado di dare. È uno dei consigli che ci vengono forniti da Janelle Cox, che si occupa di educazione da anni: anche negli Stati Uniti pare che gli studenti perdano il proprio interesse per la matematica tra gli anni delle elementari e quelli della secondaria di primo grado e non ritrovano quell’interesse finché arrivano all’università. È necessario motivarli a studiare la matematica, costruendo il percorso a partire dalle abilità che gli studenti hanno già acquisito, dimostrando l’utilità della matematica nel mondo reale, aiutandoli a stabilire degli obiettivi raggiungibili, presentando una sfida, inserendo la tecnologia nelle lezioni, essendo entusiasti, giocando e allettando gli studenti con problemi matematici che nascondano un po’ di magia.
Ed ecco il terzo gradino del mio percorso: venerdì pomeriggio con un piccolo gruppo di alunni ed ex alunni e una collega, siamo stati invitati all’Elogio della mentepresso l’Università Cattolica di Brescia. Si tratta di una Giornata in onore di Martin Gardner, colui che ha fatto riscoprire i giochi matematicial grande pubblico con la sua rubrica “Mathematical Games”. Per noi è stata l’occasione per riproporre le tassellazioni della scorsa edizione di BergamoScienza, ma soprattutto per divertirci con la matematica! Credo che la ricetta del successo in fondo sia questa: per poter far amare la matematica, per poter trasmettere l’entusiasmo, dobbiamo essere noi stessi entusiasti. Del pomeriggio in Cattolica mi resterà l’entusiasmo per la sfida, con i giochi matematici che ho proposto e che mi sono stati proposti, mi resterà il divertimento, perché è stato piacevole mettersi in gioco e sfidarsi a vicenda. Ritengo che questo genere di esperienze sia utile tanto per noi quanto per i ragazzi: come insegnanti, abbiamo bisogno di riscoprire il nostro entusiasmo e di spendere le nostre energie in esperienze che alimentino questo entusiasmo, non solo per preparare o correggere verifiche. Dobbiamo innanzi tutto trasmettere passione: solo questo permetterà ai nostri ragazzi di scegliere il percorso che fa per loro, nonostante le difficoltà, le fatiche e i fallimenti. Se alimentiamo la nostra, e quindi la loro, passione, non potremo che mietere successi. Va in questa direzione anche la prima lezione dell’anno del prof. Riccardo Gianni, docente di matematica nella scuola secondaria di secondo grado, in occasione del suo primo giorno in una terza liceo scientifico: «Mi sono ritrovato, ponendo a loro la questione della Matematica come “ragione all’opera”, a riscoprirla vera per me.» Perché in fondo è così che funziona: si crede di insegnare, ma in realtà si impara. Ogni giorno di più. Non si può insegnare ciò che non si vive in prima persona: non posso insegnare l’amore per la matematica se io per prima non mi appassiono.
È per questo motivo che il mio modo di insegnare non è mai uguale: certi contenuti o certe richieste non possono certo cambiare, ma il mio modo di sviluppare il percorso cambia ogni anno, tanto che non riesco mai a “riciclare” il materiale usato negli anni precedenti. Non potrei mai, ad esempio, preparare una verifica prima di aver svolto il percorso, perché solo quando l’ho svolto so quali sono i contenuti sui quali ho insistito e, quindi, quali sono le richieste che devo effettuare. Funziona così anche per l’utilizzo delle nuove tecnologie: in classe uso abitualmente la lim e, pian piano, sto ampliando un po’ i miei orizzonti, cercando di utilizzarla in tutte le sue potenzialità. Ma, dal confronto con i colleghi, scopro anche nuove modalità di utilizzo delle nuove tecnologie: faccio già usare il cellulare durante lo svolgimento degli esperimenti di fisica in laboratorio, perché possano realizzare filmati o fotografie, ma una collega mi ha parlato di Kahoot, ad esempio, per rendere l’apprendimento più divertente e io non vedo l’ora di avere l’occasione di provarlo! Perché non usare la tecnologia come un’alleata invece che come una nemica? Perché non provare a sviluppare un nuovo linguaggioche sia più vicino alla quotidianità dei nostri ragazzi, per provare a capire il loro mondo invece di opporci ad esso?
Buona matematica! Ci sentiamo tra TRE settimane!
Daniela
Verifica di fisica, classe quarta liceo scientifico.
Argomento: temperatura, teoria cinetica dei gas, calorimetria.
Durata: un'ora.
Verifica di fisica, classe prima liceo scientifico.
Argomento: strumenti matematici per la fisica.
Durata: un'ora.
Verifica di matematica, classe quarta liceo scientifico.
Argomento: coniche e sistemi parametrici.
Durata: due ore.
Verifica di matematica, classe prima liceo scientifico.
Argomento: insiemi numerici.
Durata: un'ora e mezza.
Prima che venissero assegnati i premi Nobel per la fisica, Physics Today ha deciso di esaminare tutte le 495 persone nominate per il premio fino al 1966 (non si può andare oltre, visto che la commissione per l’assegnazione del Nobel rilascia i dati relativi alle nomination cinquant’anni dopo). Riguardando tutte le nomination si possono conoscere tutte le motivazioni che hanno portato a scegliere i vincitori. I fisici che sono stati nominati ma mai inclusi sono Arnold Sommerfeld (nominato 84 volte), Lise Meitner, Nikola Tesla e Neville Chamberlain. Nei giorni scorsi il Nobel per la fisica è stato assegnato a Rainer Weiss, Barry C. Barish e Kip S. Thorne, i tre scienziati di LIGO, l’interferometro che ha registrato le onde gravitazionali, a coronare un lavoro durato quarant’anni. Barry Barish è membro del Comitato Scientifico del GSSI ed è anche per questo, ma non solo, che il premio Nobel ha un po’ di sangue italiano: “sono più di mille i ricercatori di tutto il mondo, che in quasi mezzo secolo sono riusciti a raggiungere un traguardo che perfino ad Einstein sembrava impossibile, regalandoci uno sguardo nuovo sull’universo.”
Notizia dei giorni scorsi, meno piacevole, è la scomparsa a soli 51 anni di Vladimir Voevodsky, medaglia Fields 2002, professore presso la Scuola di Matematica di Princeton. Non si trovano molte notizie riguardanti la sua morte, ma mi è piaciuto come viene trattata la notizia da Alessandro Frau per l’AGI (Agenzia Giornalistica Italiana). Nell’articolo si citano le parole di Villani, che, durante una passeggiata notturna a Princeton si è imbattuto proprio in Voevodsky: “Che sorpresa! Vladimir Voevodsky, matematico russo tra i più brillanti della sua generazione. È il genere di incontro pericoloso che potete fare in tarda serata a Princeton.”
Le tassellazioni che ci hanno permesso di partecipare a BergamoScienza 2016 quest’anno ci hanno permesso di prendere parte alla Notte dei Ricercatori presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, il 29 settembre scorso. È stata l’occasione per riproporre i nostri lavori a un pubblico diverso e, al tempo stesso, per confrontarci con il mondo dell’Università.* Nel frattempo, continuano i nostri lavori con BergamoScienza per l’Edizione 2017: il nostro tema è il Cerchio, osservato da più punti di vista. I quattro laboratori che proponiamo si rivolgono a tutte le fasce d’età ed è bello vedere che l’80% dei laboratori che abbiamo proposto è stato prenotato: gli animatori sono i nostri studenti, che stanno imparando a collaborare tra di loro e con gli insegnanti, a gestire gli imprevisti e a confrontarsi con un pubblico.
E un esempio di ciò che i ragazzi riescono a fare quando trovano l’appoggio di un insegnante la troviamo anche in Francesco Ferrari, del Liceo Scientifico M. Curie di Tradate, allievo della prof.ssa Francesca E. Magni, che ha presentato nella tesina dell’Esame di Stato la matematizzazione di un gioco che (lo confesso!) mi aveva fatto impazzire quando ero al liceo. Come scrive lo stesso Francesco, “il gioco, apparentemente facile, si rivela molto complesso se studiato matematicamente.” Mi ha colpito molto il fatto che, per trovare altre soluzioni, Francesco ha dovuto ricorrere alla teoria dei grafi, “il cui collegamento con il gioco 10x10 risulta molto interessante”. A voi scoprire il motivo.
Per contro, “È triste constatare che la cultura scientifica media di adulti la cui presenza in uno studio televisivo presuppone di cultura media buona […] trovi orgogliosamente estranea la conoscenza di una competenza base che una società matura (e gli individui maturi di questa società) dovrebbero con ovvietà possedere.” Questo ci dice Luigi Arcari, Docente presso l’IIS Leonardo da Vinci di Maccarese a proposito di una dimostrazione di ignoranza matematica durante la trasmissione “Che tempo che fa” di Fabio Fazio. Non nascondo che, a volte, fatico a mascherare la mia irritazione di fronte al “No, no, è matematica! Non ne voglio sapere!”, come se proponessi qualcosa di illecito (mi è capitato giusto in questi giorni con alcuni dei colleghi insegnanti in visita ai nostri laboratori di BergamoScienza). Mi sono domandata se anch’io, di fronte a un collega di italiano che mi proponesse di leggere un passo della “Divina Commedia”, reagirei nello stesso modo…
Sul fronte della guerra all’ignoranza matematica, fortunatamente, troviamo Redooc, che offre, proprio in questi giorni, la possibilità di partecipare alla World Investor Week. Si tratta di una “campagna mondiale che vuole accrescere la consapevolezza dell’importanza dell’educazione finanziaria”. Redooc, proprio in occasione di questa settimana speciale, propone una “sfida online su temi di educazione finanziaria per coinvolgere gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado”, perciò nella sezione Giochi si trovano tre livelli di esercizi interattivi, che hanno per temi: matematica finanziaria, pianificazione delle risorse finanziarie, rischio e investimento. Buona World Investor Week a tutti quelli che parteciperanno!
Anche la prof.ssa Rosetta Zan, esperto in didattica della matematica, si occupa da tempo dell’ignoranza matematica e, in particolare, delle difficoltà in matematica (non per niente questo è anche il titolo del libro da lei scritto una decina di anni fa). Quelli di Math is in the air hanno approfittato della recensione del libro per realizzare un’interessante intervista. “Riesco ad insegnare qualcosa soltanto a quelli che imparerebbero anche da soli. E non riesco ad incidere su quelli che veramente avrebbero bisogno di me.” Se appartenete alla categoria “insegnanti di matematica” e vi siete ritrovati a pensare/dire una frase del genere, forse è il caso che leggiate l’intervista con un po’ di attenzione. A me piace in particolare quando dice che sono premesse discutibili pensare che “l’errore sia sintomo di difficoltà”, tanto quanto “la mancanza di errori sia garanzia di comprensione”: credo sia importante rendersi conto di quanto l’errore sia in realtà “una risorsa didattica sia per il docente che per l’allievo: per il docente, perché può essere il punto di partenza per comprendere cosa e come pensa l’allievo; per l’allievo, perché può essere il punto di partenza di un processo di apprendimento importante, purché venga gestito in modo opportuno dall’insegnante.” La seconda parte dell’intervista comincia con una domanda riguardante il livello delle conoscenze matematiche in Italia, che la Zan ritiene decisamente inadeguato per una cittadinanza consapevole. Interessante è la sua opinione, per certi aspetti controcorrente, a proposito dei test Invalsi, se però non li usiamo come un modo per addestrare gli studenti in prossimità della somministrazione delle prove.
Meno impegnativo guardare l’immagine realizzata con questo numero primo di 2688 cifre, ricercato da Jack Hodkinson, studente di matematica di Cambridge, per rappresentare il Corpus Christi College. Interessante il suo modo di procedere, insieme al fatto che il primo trovato termina con la sua data di nascita e ha inizio con le sue iniziali scritte in ASCII.
Concludo con il libro di Pettarin, “La matematica fa schifo!”, un libro per tutti i bambini, ma anche per quegli adulti che vogliono in qualche modo far pace con la matematica. Le simpatiche illustrazioni di Giulia Orecchia rendono ancora più appetibile questo libretto, nel quale l’autore ci mostra una matematica che, secondo il tiranno che alberga in tutti noi, dovrebbe essere fatta solo di regole e rigidità, mentre in realtà può diventare divertente, fantasiosa e bella! Basta solo saperla studiare con elasticità!
Buona matematica! Ci sentiamo tra TRE settimane!
Daniela
*Pare avremo un’altra occasione di confronto durante le “Celebration of mind” del 20 ottobre, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia.
Amo leggere i libri per bambini perché gli autori hanno la capacità di esprimere concetti, anche difficili, in modo semplice: gli esempi e le immagini con i quali sono presentati risultano quindi efficaci non solo per i più piccoli, ma anche per gli adulti. È proprio ciò che ho trovato in questo libretto di Giuseppe Pettarin con le illustrazioni di Giulia Orecchia.
La storia è simpatica, come pure l'ambientazione: siamo nel paese di Cifralia, al termine del regno di Re Caos, che ha portato, inutile dirlo, confusione e scompiglio ovunque. Subentra il rigido Abacone, un tiranno che ha fatto delle regole un assoluto. Nel suo compito è aiutato dal numero 1, progenitore di tutti i numeri, mentre il pazzo Pi Greco, sempre tra i piedi, permette di avere una comprensione migliore di ciò che accade e 0, l’agente segreto, fa in modo che ci siano sempre tutte le informazioni. Il nostro Abacone è ossessionato dalle regole e i numeri non possono esimersi dal seguirle puntualmente: “D’ora in poi, basta con le fantasie: sia chiaro a tutti che metterò uno stop all’immaginazione scatenata, che genera solo disordine.” Eppure: “La matematica non è solo rigore, sai. Ci si può divertire, con lei!” ci ricorda Pi Greco. Il Generalissimo Abacone rappresenta un po’ tutti coloro che non hanno mai imparato ad amare la matematica, a guardare oltre le sue regole: “Mai, in tutta la sua vita, aveva pensato che la matematica potesse essere utilizzata in quel modo, per giocare.” Pettarin mostra tutta la sua abilità nello scardinare il concetto di regola in senso di rigidità: le regole ci sono e sono necessarie, ma la matematica non è solo un insieme di regole, come erroneamente alcuni pensano.
Questo libretto mostra tutta la sua simpatia nelle parolacce ed esclamazioni che compaiono, anch’esse matematiche: “Per mille cubi!”, “Figlio di un’incognita!”, “Vai a farti sottrarre!”, “Mi fa girare gli infinitesimali!”, “Santi cateti!”… e via dicendo. Questo breve elenco può servire per avere un’idea della fantasia di cui dà prova Pettarin: d’altra parte, “Ci vuole solo un po’ di immaginazione. Basta avere la mente un po’ più elastica. Se accetti questi casi particolari, questi strappi alla regola che, a ragionarci per bene, sono del tutto corretti, vedi che tutto fila perfettamente…” per usare le parole di Pi Greco.
Tutti conosciamo le mele del Trentino, visto che quasi 1/5 delle mele consumate in Italia ha questa provenienza, ma probabilmente è meno noto che la malattia più grave che può colpire i meli si chiami ticchiolatura: “le foglie si ricoprono di macchie bruno olivastre e le mele, tappezzate di macchie nerastre che provocano fessurazioni sulla buccia, risultano talmente danneggiate da non poter essere più vendute.” Per combattere questa malattia, si è fatto un uso combinato di immagini geolocalizzate catturate da un drone e di dati meteo per realizzare un algoritmo che permettesse di individuare con buona approssimazione le piante con un rischio più elevato. Evidentemente, la matematica non è incomprensibile come vorrebbero farci credere i pubblicitari e studiarla potrebbe contribuire, con una mela al giorno, a levarci il medico di torno o se non altro a incrementare il nostro stipendio del 10% in più…
Che cosa hanno in comune Euclide, Einstein all’età di dodici anni e il Presidente Americano James Garfield? Tutti e tre hanno dimostrato in modo elegante il teorema di Pitagora: questo è l’incipit della lezione di Ted-Ed realizzata da Betty Fei, che ci fornisce i dettagli, attraverso un cartone animato particolarmente chiaro, di queste famose dimostrazioni. Mi è sempre piaciuta l’idea delle numerose dimostrazioni del teorema di Pitagora, come a mostrare la flessibilità della matematica, che può stupirci con decine di modi differenti di verificare la stessa cosa.
Sono solo quattro i passi che dobbiamo seguire per risolvere un problema: sii sicuro di aver capito il problema, pianifica la soluzione, porta a termine il tuo piano, controlla il tuo lavoro per verificare la tua risposta. Sono le regole di George Polya, riportate nel libro del 1945 “How to Solve it”, ma nell’articolo del Daily Mail non c’è solo questo elenco: “È vero che imparare la matematica significa risolvere problemi, ma dovrebbe focalizzarsi sulla gioia di risolvere enigmi, piuttosto che sulla memorizzazione di regole.” Vediamo come procedereste per risolvere un problema: un uomo, chiamiamolo John, sta seguendo una ricetta, ma usandone i ¾ delle dosi previste. Ad un certo punto sono richiesti i 2/3 di una tazza di fiocchi di latte. Cosa dovrebbe fare John? Cosa fareste voi? Tra le soluzioni proposte nell’articolo, in inglese, ce n’è una realizzata con i disegni – perciò comprensibile anche per chi non conosce l’inglese – perché i disegni ci aiutano a pensare e non a caso l’utilizzo dei disegni è un altro dei suggerimenti di Polya.
Trarre ispirazione dai grandi come Polya è un modo per migliorarsi e per amare ancora di più la matematica, attraverso le parole di chi ha cercato di renderla fruibile per tutti. Consapevoli di questo, quelli di Redooc hanno aperto una nuova sezione, ancora in divenire, dedicata agli scienziati famosi. Per ora ci sono solo Galileo Galilei, Pascal e Newton, ma sono un ottimo inizio, soprattutto considerando che, ci dicono, presto troveremo anche delle donne “che hanno contribuito all’evoluzione della scienza nei secoli”. Per ogni scienziato, troviamo alcune notizie essenziali: una breve biografia, le principali attività e alcune citazioni famose.
“Risolvere un problema è un’emozione”: mi soffermo su questa frase, a metà dell’articolo del Corriere dedicato a Massimiliano, con una passione per la matematica che risale alle elementari. Quindi non è una passione molto antica, visto che Massimiliano Foschi, di Civitavecchia, ha solo quattordici anni ed è diventato famoso per aver vinto, per il secondo anno di fila, la Finale Internazionale dei Giochi Matematici e Logica. Non c’è da stupirsi, visto che secondo lui “La matematica è una materia estremamente creativa, c’è sempre un modo originale di considerare un problema di geometria, logica o algebra, un’intuizione che permette di risolvere un quesito in un modo nuovo”.
Scommetto che chiunque potrebbe confermare che “i problemi complessi sono difficili da risolvere, quelli semplici sono facili da risolvere”. In realtà, il problema è così importante da essersi meritato una citazione tra i Problemi del Millennio: secondo una teoria matematica, sarebbe possibile individuare un algoritmo che permetta di dimostrare che i problemi complessi sono semplicemente varianti di problemi più semplici, risolvibili quindi da parte dei supercomputer. Questa teoria è nota come il problema P contro NP e, secondo un professore tedesco – tale Norbert Blum – pare che i problemi complessi siano davvero diversi da quelli semplici e quindi non risolvibili dai nostri computer più potenti. Al momento non si sa se la soluzione sia corretta, anche se la maggior parte degli informatici si troverà sicuramente d’accordo con Blum: pare comunque che tra i matematici comincino ad emergere alcuni dubbi.
Recentemente è diventata più famosa che mai la tavoletta Plimpton 322, che secondo gli esperti risale al 1800 a. C. Su di essa sono incisi dei numeri, nell’alfabeto cuneiforme, in una matrice di quindici righe per quattro colonne. “Che cosa rappresenti questa matrice è oggetto di discussione da decenni.” All’improvviso, si è sviluppato un grande interesse attorno alla tavoletta, proprio nella seconda metà dell’agosto scorso: alcuni articoli, pubblicati sulle principali testate di tutto il mondo, annunciavano “la scoperta fatta da un gruppo di ricercatori della University of New South Wales, diretti da Norman J. Wildberger”. Secondo i ricercatori, la tavoletta permetterebbe di “retrodatare non solo l’inizio della trigonometria di mille anni, ma dimostrerebbe che i greci non furono i primi a elaborare teorie matematiche complesse e rigorose.” Per contro, Scientific American non sembra condividere questo punto di vista. Sembra invece credibile la nuova datazione al carbonio del manoscritto di Bakhshali, “che è stato trovato nel 1881 e che si ritiene essere, oltre al manoscritto di matematica indiana più antico, la prima prova ‘scritta’ dell’uso del numero zero. La nuova stima colloca questo fondamentale documento tra il terzo e il quarto secolo, centinaia di anni prima di quanto si ritenesse finora.”
Alcuni consigli di lettura in chiusura: Una forza della natura di Fabio Toscano merita davvero di essere letto, perché se vi ritrovate immersi nello studio dell’elettromagnetismo, solo la descrizione dei lavori di Ørsted, Ampère, Faraday e Maxwell per arrivare ai grandi risultati che conosciamo può alleviare in qualche modo la fatica dello studio. La citazione di Maxwell nell’introduzione ci dà tutte le motivazioni che ci servono per affrontare la lettura di questo libro: “È quando ci interessiamo ai grandi scopritori e alle loro vite che la scienza diventa tollerabile, ed è solo quando ci mettiamo a pensare a come le grandi concezioni si svilupparono che essa diventa affascinante.” Il secondo suggerimento ha acquisito notorietà grazie al film trasmesso nelle sale la primavera scorsa: Il diritto di contare di Margot Lee Shetterly. Il film ci è stato presentato come la storia eccezionale di tre donne di colore, ma nel libro non sono solo loro le protagoniste: “si stima che il numero di donne impiegate al Langley come calcolatrici umane potrebbe superare il migliaio”. È una storia che merita di essere conosciuta: “Il lavoro della maggior parte delle donne, come quello delle macchine calcolatrici Friden, Marchant o Moroe che usavano, era anonimo. Persino se lavoravano a stretto contatto con un ingegnere sul contenuto di una relazione era raro che le matematiche vedessero apparire il proprio nome sulla pubblicazione finale. Perché mai avrebbero dovuto nutrire il loro stesso desiderio di riconoscimento?, si chiedeva la maggior parte degli ingegneri. Erano donne, dopotutto.” Come donne sono quelle che, in occasione del Congresso della Società italiana di Fisica a Trento, hanno realizzato il “negativo” della foto realizzata alla Conferenza di Solvay nel 1927, quando era presente solo una donna, Marie Curie, in mezzo agli uomini della fisica: speriamo possa essere di buon augurio.
Merita un ultimo link anche la collezione di Graphic Novel I grandi della scienza a fumetti pubblicati dal Gruppo Editoriale L’Espresso: sul mio sito troverete, spero presto, la recensione dell’ultimo numero, dedicato a Galileo Galilei e uscito il 9 settembre, ma questa recensione di Dimensione Fumetto merita un’attenzione particolare, perché non ne parla solo dal punto di vista scientifico. All’interno della recensione, si trova anche il link ad un’intervista a Jim Ottaviani, autore di buona parte dei fumetti della collana, raccolta da Repubblica a luglio: in questo caso, abbiamo l’opportunità di esplorare la divulgazione matematica con gli occhi del più celebre autore di comics scientifici. La matematica “rispetto ad altre discipline scientifiche è molto più difficile da rendere in modo visivo: il suo regno è l’astrazione e la sua bellezza è soprattutto mentale. Questo mette in difficoltà che scrive di amtematica, anche se gli autori di fumetti hanno uno strumento in più: possono giocare con i numeri e i colori usandoli come elementi della narrazione.”
Buona matematica! Ci sentiamo tra TRE settimane!
Daniela
“Il diritto di contare” è il titolo del film trasmesso nelle sale italiane pochi mesi fa: dalla locandina e dal trailer appare evidente che si tratta della storia di tre donne di colore, che hanno contribuito al successo delle missioni spaziali degli Stati Uniti, ma al tempo stesso hanno combattuto contro gli stereotipi, di genere e di razza.
“Il diritto di contare” è innanzi tutto il titolo del libro di Margot Lee Shetterly, al quale il film si è ispirato. E nel libro non c’è solo quello che compare nel film, ma molto di più. C’è innanzi tutto la storia degli Stati Uniti, dalla Seconda Guerra Mondiale fino al primo allunaggio, con la guerra fredda che fa da sottofondo. L'impegno americano nel conflitto mondiale ha aperto le porte alle donne, precedentemente escluse, della NACA (la National Advisory Committee for Aeronautics): doveva essere un impegno temporaneo, ma la sezione di donne calcolatrici è in seguito diventata vitale. Il testa a testa tra Stati Uniti e Unione Sovietica nella corsa allo spazio ha permesso alle protagoniste di essere parte attiva nella progressione che si è conclusa con l'allunaggio del luglio 1969. L'autrice non fa mancare riferimenti dettagliati, mentre la corsa allo spazio assume un ritmo incalzante.
Il secondo tema è quello degli stereotipi: le protagoniste devono combattere contro gli stereotipi di genere e, grazie alla propria lungimiranza e, a volte, con il contributo di superiori consapevoli del loro valore, raggiungono inaspettatamente mete ambite. Mete che sono state irraggiungibili per lungo tempo, soprattutto per le persone di colore, sono diventate con il tempo una realtà, grazie ad un cambiamento di mentalità, portato avanti a più livelli. Da un lato, l'obiettivo di vincere la corsa allo spazio contro l'Unione Sovietica è stato perseguito mettendo in campo tutte le eccellenze, dall’altro, la volontà, da parte dei protagonisti, di non rinunciare a nessun obiettivo portando avanti piccole lotte nella quotidianità, ha permesso di abbattere barriere che sembravano insormontabili.
Il libro di Margot Lee Shetterly non è solo la storia di tre donne, ma di tutti coloro che hanno reso possibile il cambiamento: “cresciuta a Hampton, per me il volto della scienza era scuro come il mio”, ci dice nel prologo. Le piccole battaglie quotidiane dei dipendenti afroamericani dell’ente spaziale hanno portato a successi che “fornirono a loro volta ai figli un accesso alla società americana fin lì inimmaginabile”. La curiosità e la consapevolezza di essere in qualche modo in debito con quanti l’hanno preceduta, ha spinto Margot Lee Shetterly a scrivere questo libro, perché, per usare le sue parole: “immergermi nelle loro vicende mi aiutò a capire la mia”. E non solo la sua vicenda: durante le sue ricerche ha potuto cogliere inaspettate connessioni tra persone ed eventi, che hanno gettato nuova luce sulla realtà odierna. D’altra parte, quella narrata – nel libro e nel film – non è una storia limitata, perché si stima che il numero di donne impiegate al Langley come calcolatrici umane potrebbe superare il migliaio. Il prologo, da solo, già permette di cogliere la forza e l’entusiasmo di questa scrittrice, come se si trovasse davanti al lettore: ci si sente parte di una folla che, in piazza, sta ascoltando un suo comizio. Un’atmosfera che accompagna ogni pagina del libro: un libro assolutamente da leggere, una storia che deve essere conosciuta!
"Il lavoro della maggior parte delle donne, come quello delle macchine calcolatrici Friden, Marchant o Moroe che usavano, era anonimo. Persino se lavoravano a stretto contatto con un ingegnere sul contenuto di una relazione era raro che le matematiche vedessero apparire il proprio nome sulla pubblicazione finale. Perché mai avrebbero dovuto nutrire il loro stesso desiderio di riconoscimento?, si chiedeva la maggior parte degli ingegneri. Erano donne, dopotutto."