TRAMA:
In questo libro, l’autore ci offre alcune delle idee principali sull’odierna teoria delle stringhe: i primi tre capitoli sono di carattere introduttivo, perché ci spiegano i concetti cruciali per la comprensione delle stringhe, come l’energia, la meccanica quantistica e la relatività generale. Nei successivi tre capitoli, l’autore cerca di rendere ragionevole e ben motivata la teoria delle stringhe e gli ultimi due sono dedicati ai tentativi più attuali di connessioni tra la teoria delle stringhe e gli esperimenti con le collisioni di particelle ad alta energia.
Nonostante nella teoria delle stringhe siano estremamente importanti le equazioni, l’autore ha scelto di “mettere in parole” le equazioni più importanti, consapevole del fatto che comportano calcoli di cui non è possibile dare una trattazione divulgativa. Eppure la matematica della teoria delle stringhe, per quanto sia importante, non riduce la teoria a una collezione di equazioni: “Le equazioni sono come le pennellate di un dipinto: senza di queste il quadro non ci sarebbe, ma un quadro è più di un’ampia collezione di pennellate.”
Si ritiene che la Teoria del Tutto sia data dalla teoria delle stringhe, ma non ha conferme sperimentali ed inoltre con le sue dimensioni supplementari, le fluttuazioni quantistiche e i buchi neri, non è per nulla semplice, tanto che persino gli esperti ammettono di non comprenderla. Per la teoria delle stringhe, gli oggetti fondamentali che costituiscono la materia non sono particelle, ma stringhe: un elettrone è in realtà una stringa, che vibra e ruota, ma troppo piccola persino per essere investigata dai più avanzati acceleratori di particelle oggi disponibili.
La teoria delle stringhe è una teoria inventata “all’indietro”, visto che gli scienziati ne possedevano delle parti, elaborate in maniera pressoché completa, ma non capivano il significato profondo dei risultati ottenuti. Dopo una prima formula, scoperta nel 1968, che descriveva come le stringhe non influissero l’una sull’altra, negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta la teoria vacillava: non descriveva adeguatamente le forze nucleari, pur incorporando la meccanica quantistica. Le stringhe non riuscivano a dare una risposta esauriente: fu così che vennero introdotte le brane, oggetti che si dispiegano in molteplici dimensioni. A metà degli anni Novanta, la teoria fece un ulteriore passo avanti, ma continuavano e continuano a esserci difficoltà nel realizzare una teoria completa ed esauriente. Il lavoro del Large Hadron Collider (LHC) di Ginevra – dove vengono accelerati e fatti collidere protoni a velocità prossime a quella della luce – potrebbe dire se la teoria delle stringhe sia sulla buona strada, grazie all’eventuale scoperta di molte particelle, tra le quali il cosiddetto bosone di Higgs.
L’autore mostra tutta la sua abilità nelle metafore utilizzate per spiegare i passaggi più complessi: la sovrapposizione di due rimi differenti in Fantasia-Improvviso di Chopin diventa la metafora per descrivere la meccanica quantistica, la caduta durante l’arrampicata in artificiale sulla via Cryogenics diventa utile per descrivere la caduta all’interno di un buco nero, la civiltà romana è a fondamento della nostra civiltà esattamente come la teoria delle stringhe è alla base del mondo che conosciamo e la distanza che ci separa dai Romani in termini temporali è la stessa che ci separa dal controllo sperimentale della teoria in termini di energia, il valzer è utile per spiegare la dualità di stringa e le cordate di scalatori forniscono una buona analogia per il bosone di Higgs.
COMMENTO:
Un libro interessante, per quanto molto complesso: nonostante la buona volontà dell’autore, nonostante le sue intuizioni e le sue metafore, la teoria delle stringhe resta comunque una teoria complessa, con l’elevato numero di dimensioni, le D-brane, la dualità di stringa e tutto il resto. Per questo motivo a volte è un po’ complesso: diciamo che una lettura superficiale non aiuta a cogliere in pieno quanto descritto, oltre ad avere una buona concentrazione, bisogna sempre tenere a portata di mano carta e penna…
TRAMA:
Nel diciottesimo secolo, la fisica, che riguardava solo i fenomeni meccanici, era analizzata solo dal punto di vista matematico. Più avanti, il calore e l’elettricità vennero spiegati con l’esistenza di fluidi imponderabili, ma si trattava di speculazioni qualitative, separate dalla scienza esatta ovvero dalla meccanica, nonostante i diversi tentativi di trattazioni matematiche. Oersted (1820) e Faraday (1831) riuscirono a collegare, con i loro esperimenti, le forze elettriche e quelle magnetiche; Joule stabilì l’equivalenza tra calore e lavoro meccanico e nel 1847 Helmholtz trattò i fenomeni di meccanica, calore, luce, elettricità e magnetismo come differenti manifestazioni dell’energia. Il modo in cui i problemi fisici della luce, del calore e dell’elettricità venivano trattati era tale da consentirne un’analisi matematica e ciò favorì molto l’unificazione della fisica. Ebbero particolare importanza gli esperimenti di Joule: mentre i fisici del diciottesimo secolo avevano considerato i processi meccanici e quelli non meccanici come processi relativi a differenti sistemi fisici, la dimostrazione dell’equivalenza tra lavoro meccanico e calore fatta da Joule negli anni Quaranta dell’Ottocento consentì, insieme alla legge della conservazione dell’energia, l’unificazione dei processi termici e meccanici. E così negli anni Cinquanta e Sessanta Thomson e W.J. Macquorn Rankine elaborarono un nuovo modello della teoria fisica in cui il concetto fondamentale era quello di energia, tentando di rendere più chiara la base matematica e fisica del principio di conservazione dell’energia.
Il concetto di campo emerse intorno al 1850, nella fisica britannica, quando Thomson e Maxwell formularono le teorie dell’elettricità e del magnetismo. La concezione meccanicistica della natura ricevette un ulteriore supporto negli anni Cinquanta e Sessanta con lo sviluppo della teoria cinetica dei gas elaborata da Clausius e Maxwell, nella quale il moto delle particelle era descritto come fenomeno meccanico. I dubbi sorti dopo questa spiegazione indussero Maxwell a introdurre il paradosso del «demone», per dimostrare che le interpretazioni molecolari dovevano basarsi su un’analisi statistica del moto di un immenso numero di molecole.
Con l’enunciazione dell’equivalenza tra massa ed energia e l’abbandono di spazio e tempo assoluti, la teoria della relatività di Einstein segna una «rivoluzione» nella storia della fisica: per quanto l’accento che si pone generalmente sulla discontinuità tra fisica classica e moderna sia appropriato quando serve a distinguere le assunzioni filosofiche della fisica sette-ottocentesca dalle dottrine relativistiche e indeterministiche della fisica del nostro secolo, e a distinguere una fisica prima e una fisica dopo lo sviluppo della meccanica quantistica negli anni Venti, questa frattura è esagerata e trascura, in un modo che risulta alla fine fuorviante, la continuità di idee che pur esiste tra il periodo classico e il periodo moderno.
COMMENTO:
Una storia della fisica approfondita ed interessante, che può essere affrontata con le conoscenze che si sono acquisite con la scuola superiore. Il linguaggio non rende la lettura sempre agevole, ma con un po’ di concentrazione ed attenzione si può capire ogni cosa.
TRAMA:
Fin dall’antichità, l’uomo si è fatto aiutare dai numeri e, nel momento in cui l’organizzazione sociale è diventata più complessa, essi sono diventati indispensabili per gli scambi commerciali. Dai pezzi di osso sui quali erano riportate tacche che indicavano la numerosità di un insieme, i sistemi di numerazione si sono evoluti diventando posizionali, a base 10 e con l’irrinunciabile presenza dello zero, che gli europei hanno conosciuto solo nel XII secolo.
Riuscire a distinguere tra numerosità è vantaggioso anche per l’evoluzione degli animali, ma per quanto tale capacità sia più che buona, essa si limita a quantità piuttosto piccole e decisamente diverse tra loro. Sarebbe quindi insensato attribuire agli animali una naturale predisposizione ad apprendere l’aritmetica simbolica. Un discorso diverso e al tempo stesso simile si può fare per i bambini piccoli: alcuni ricercatori hanno dimostrato che i bambini già a quattro mesi di vita sono sensibili alla numerosità. Solo a partire dagli anni Ottanta gli psicologi evolutivi si sono posti delle domande riguardo alle abilità aritmetiche dei bambini, mentre prima di allora c’era la convinzione che solo la continua interazione con il mondo esterno favorisse la graduale comparsa delle abilità logico-matematiche. Come si è dimostrato, i bambini sviluppano del tutto spontaneamente molteplici procedure di calcolo, che con la memorizzazione e la pratica possono permettere a un bambino di diventare un abile calcolatore.
A metà del XIX secolo Sir Francis Galton, cugino di Charles Darwin e strenue sostenitore dell’ereditarietà delle abilità intellettive, riconosceva nell’entusiasmo e nell’applicazione gli ingredienti essenziali dell’eccellenza, per quanto la passione e l’esercizio non bastino da soli ad ottenere grandi risultati. Ci sono infatti persone per le quali la matematica costituisce una dura fatica, ma solo negli ultimi anni si è imparato a riconoscerne i disturbi di apprendimento e le difficoltà di calcolo. Al di là delle oggettive difficoltà cognitive, la matematica resta comunque l’unica materia che riesce a suscitare una così grande antipatia in chi la deve studiare, l’unica ad essere fonte di un’ansia tale da arrivare a generare il fallimento nelle prestazioni in cui è coinvolta. Se si riuscisse in qualche modo a diminuire la distanza della matematica dalla realtà, mostrando quanto i numeri e il loro uso siano parte integrante della quotidianità, l’insegnamento sarebbe più efficace. Secondo l’autrice, diventa utile integrare il più possibile situazioni scolastiche ed extrascolastiche, perché il riferimento a contesti familiari aumenta il senso di fiducia e di competenza di colui che sta imparando.
Con la nascita della neuropsicologia e lo studio delle lesioni cerebrali, si è potuto comprendere qualcosa di più del funzionamento del cervello e possiamo dire con ragionevole certezza che il cervello umano, grazie a una lunga evoluzione biologica, è dotato di circuiti neurali dedicati localizzati a livello delle aree parietali di entrambi gli emisferi, su cui si fonda il nostro senso della quantità.
COMMENTO:
In forma più semplice de Il pallino dei numeri di S. Dehaene, in cui è possibile ritrovare tutti i temi qui trattati affrontati con maggior respiro, l’autrice cerca di dare una risposta al difficile quesito se esista o meno un “bernoccolo” della matematica. La Girelli afferma che ciò che più influenza il nostro modo di affrontare la matematica è il metodo di insegnamento usato: Ciò che rende un bambino un brillante futuro matematico o un esitante e ansioso calcolatore non è da cercare nel suo cervello, ma è soprattutto nei tempi e nei modi in cui gli è stato svelato il mondo dei numeri e questo, in un certo senso, apre il cuore di ogni alunno alla speranza. Infatti, è sempre possibile cambiare il proprio atteggiamento nei confronti della matematica ed ottenere risultati più brillanti: non devono mancare fiducia in se stessi, entusiasmo, passione e una buona memoria.