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Venerdì, 02 Agosto 2013 16:08

Le cinque equazioni che hanno cambiato il mondo

TRAMA:
“Nel linguaggio della matematica, le equazioni sono come la poesia: dimostrano dati reali con ineguagliabile precisione, trasmettono quantità di informazioni in tempi relativamente brevi; e spesso la loro comprensione è inaccessibile ai profani.”
 
L’autore ci guida attraverso le conquiste fondamentali della scienza, per mezzo di alcune equazioni che hanno radicalmente trasformato la nostra vita. 
I cinque capitoli – corrispondenti alle cinque equazioni – che compongono il libro sono suddivisi in cinque parti: nel prologo, l’autore rievoca un episodio drammatico della vita del personaggio principale: il bullismo subito dal tredicenne Isaac Newton, il rabbioso diverbio tra Daniel Bernoulli e il padre, il dolore per la perdita del padre che rischia di sopraffare Michael Faraday, la morte della moglie di Rudolf Clausius e infine l’incidente, che avrebbe potuto trasformarsi in tragedia, che vide protagonista un sedicenne Albert Einstein mentre faceva un’escursione sulle Alpi svizzere. 
Le tre sezioni successive sono state intitolate: “Veni”, “Vidi”, “Vici”, dal messaggio inviato a Roma da Cesare. In “Veni”, è spiegato il modo in cui il protagonista entra in contatto con il problema, in “Vidi”, l’autore descrive il contesto storico, mentre in “Vici” viene evidenziata la vittoria del protagonista, con l’equazione che risolve la questione. 
Nell’epilogo finale, viene spiegato il ruolo di questa equazione nelle nostre vite, che sono state modificate proprio dalla nuova scoperta. 
Le cinque vicende sono solo casualmente collegate tra loro, visto che forniscono un resoconto della scienza e della società dal XVII secolo ad oggi. Partendo da Newton, con la legge della gravitazione universale, grazie alla quale un essere umano è potuto atterrare sulla Luna, si procede con Daniel Bernoulli che con la sua legge della pressione idrodinamica ci ha permesso di volare; Michael Faraday, con l’induzione elettromagnetica, ha reso possibile il mondo elettrico nel quale viviamo e Clausius ci ha permesso di capire, con il secondo principio della termodinamica, il senso della vita e della morte; infine, Einstein, con la teoria della relatività ristretta, ha invaso il nostro mondo con la bomba atomica, ma non solo.
 
“Gli scienziati citati in questo libro non sono dunque semplici esploratori intellettuali, ma eccezionali artisti che sono riusciti a padroneggiare l’ampio lessico e la complicata sintassi del linguaggio matematico. Sono un po’ i Whitman, gli Shakespeare e gli Shelley dell’universo numerico. Ci hanno lasciato in eredità cinque dei più grandi poemi mai ispirati dall’immaginazione umana.”
 
COMMENTO:
Equazioni come poesia. E questa poesia ha reso possibile la nostra vita di oggi, con le sue comodità che diamo per scontate, che ormai consideriamo necessità, come l’elettricità o gli aerei che ci portano in qualunque luogo vogliamo in fretta. 
È la matematica ad averci condotto fin qui, la matematica ad averci permesso non solo l’atterraggio sulla Luna, ma anche una maggiore comprensione del significato della vita e della morte. A volte lo dimentichiamo. A volte pensiamo che la matematica sia solo un’arida serie di equazioni e di formule, ma questo avviene solo se non riusciamo ad apprezzarne la bellezza, perché “non la leggiamo nel medesimo linguaggio decisamente bizzarro nel quale è stata composta”. 
Un libro che tutti gli alunni delle superiori dovrebbero leggere: per comprendere meglio la fisica, la matematica, per rendersi conto che ciò che studiano non è scollegato dalla loro vita e per cogliere fino in fondo la bellezza di ciò che sono chiamati a studiare.
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Venerdì, 02 Agosto 2013 16:06

Il piccolo libro delle stringhe

TRAMA:

In questo libro, l’autore ci offre alcune delle idee principali sull’odierna teoria delle stringhe: i primi tre capitoli sono di carattere introduttivo, perché ci spiegano i concetti cruciali per la comprensione delle stringhe, come l’energia, la meccanica quantistica e la relatività generale. Nei successivi tre capitoli, l’autore cerca di rendere ragionevole e ben motivata la teoria delle stringhe e gli ultimi due sono dedicati ai tentativi più attuali di connessioni tra la teoria delle stringhe e gli esperimenti con le collisioni di particelle ad alta energia.

Nonostante nella teoria delle stringhe siano estremamente importanti le equazioni, l’autore ha scelto di “mettere in parole” le equazioni più importanti, consapevole del fatto che comportano calcoli di cui non è possibile dare una trattazione divulgativa. Eppure la matematica della teoria delle stringhe, per quanto sia importante, non riduce la teoria a una collezione di equazioni: “Le equazioni sono come le pennellate di un dipinto: senza di queste il quadro non ci sarebbe, ma un quadro è più di un’ampia collezione di pennellate.”

Si ritiene che la Teoria del Tutto sia data dalla teoria delle stringhe, ma non ha conferme sperimentali ed inoltre con le sue dimensioni supplementari, le fluttuazioni quantistiche e i buchi neri, non è per nulla semplice, tanto che persino gli esperti ammettono di non comprenderla. Per la teoria delle stringhe, gli oggetti fondamentali che costituiscono la materia non sono particelle, ma stringhe: un elettrone è in realtà una stringa, che vibra e ruota, ma troppo piccola persino per essere investigata dai più avanzati acceleratori di particelle oggi disponibili.

La teoria delle stringhe è una teoria inventata “all’indietro”, visto che gli scienziati ne possedevano delle parti, elaborate in maniera pressoché completa, ma non capivano il significato profondo dei risultati ottenuti. Dopo una prima formula, scoperta nel 1968, che descriveva come le stringhe non influissero l’una sull’altra, negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta la teoria vacillava: non descriveva adeguatamente le forze nucleari, pur incorporando la meccanica quantistica. Le stringhe non riuscivano a dare una risposta esauriente: fu così che vennero introdotte le brane, oggetti che si dispiegano in molteplici dimensioni. A metà degli anni Novanta, la teoria fece un ulteriore passo avanti, ma continuavano e continuano a esserci difficoltà nel realizzare una teoria completa ed esauriente. Il lavoro del Large Hadron Collider (LHC) di Ginevra – dove vengono accelerati e fatti collidere protoni a velocità prossime a quella della luce – potrebbe dire se la teoria delle stringhe sia sulla buona strada, grazie all’eventuale scoperta di molte particelle, tra le quali il cosiddetto bosone di Higgs.

L’autore mostra tutta la sua abilità nelle metafore utilizzate per spiegare i passaggi più complessi: la sovrapposizione di due rimi differenti in Fantasia-Improvviso di Chopin diventa la metafora per descrivere la meccanica quantistica, la caduta durante l’arrampicata in artificiale sulla via Cryogenics diventa utile per descrivere la caduta all’interno di un buco nero, la civiltà romana è a fondamento della nostra civiltà esattamente come la teoria delle stringhe è alla base del mondo che conosciamo e la distanza che ci separa dai Romani in termini temporali è la stessa che ci separa dal controllo sperimentale della teoria in termini di energia, il valzer è utile per spiegare la dualità di stringa e le cordate di scalatori forniscono una buona analogia per il bosone di Higgs.

 

COMMENTO:

Un libro interessante, per quanto molto complesso: nonostante la buona volontà dell’autore, nonostante le sue intuizioni e le sue metafore, la teoria delle stringhe resta comunque una teoria complessa, con l’elevato numero di dimensioni, le D-brane, la dualità di stringa e tutto il resto. Per questo motivo a volte è un po’ complesso: diciamo che una lettura superficiale non aiuta a cogliere in pieno quanto descritto, oltre ad avere una buona concentrazione, bisogna sempre tenere a portata di mano carta e penna… 

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Venerdì, 02 Agosto 2013 16:04

L'anomalia

TRAMA:
Massimo Redi, professore universitario, è stato invitato a tenere una conferenza a Erice, presso la Fondazione “Ettore Majorana”, creata dal prof. Antonino Zichichi nel 1962, in occasione di un seminario sulle Emergenze Planetarie. Al suo atterraggio a Palermo, trova Fabio Moebius, un suo ex allievo, intelligente ma molto originale, che attualmente si trova alla Stanford University in California, con una borsa di studio. Fabio chiede al professore un passaggio per Erice e dichiara di contare su di lui per essere ammesso al seminario. Più avanti Fabio spiegherà a Massimo il motivo per cui è giunto a Erice: occupandosi di reti strutturate, gli sono stati messi a disposizione – presumibilmente dalla National Security Agency – dei dati reali. Qualche mese prima ha visto una struttura insolita: con radice al Cern, si è propagata verso le principali università del mondo e le ambasciate, con un gran numero di utenti presumibilmente collegati ai servizi segreti. Quando ha capito che una delle propaggini aveva investito l’indirizzo IP di Massimo, ha deciso di raggiungerlo, per capire cosa stesse succedendo.
Appena giunto al seminario, Massimo incontra Alexander Kaposka, fisico nucleare ucraino, conosciuto a un precedente meeting sulla riconversione della tecnologia militare. Poco dopo, Massimo intravede Giulia Perego, una sua ex, donna molto bella, dall’eleganza semplice e raffinata, ma anche molto intelligente e impegnata in campo scientifico. Altra vecchia conoscenza è il colonnello Craig, che lo saluta con grande affetto: si tratta di un tenente del reparto approvvigionamenti dell’esercito degli Stati Uniti.
Rientrando in camera la prima sera, Massimo e Fabio trovano il corpo di Alexander Kaposka; dopo essere stati in caserma dai carabinieri per la deposizione, vengono convocati da Zichichi nel suo studio: questi vuole chiedergli, come favore personale, di non raccontare a nessuno quanto è successo, perché durante il seminario è previsto l’intervento del Pontefice.
Il seminario comincia come previsto, ma un nuovo evento obbliga gli inquirenti a sospendere le conferenze: l’omicidio di Giulia Perego. Per capire se esista un collegamento tra i due omicidi, Massimo e Fabio decidono di indagare.
 
COMMENTO:
Thriller scientifico dal ritmo incalzante, nel quale si alternano e quasi si confondono passato e presente, Guerra Fredda e attentato dell’11 settembre, razionalità e amore, scienza e fede. Un libro coinvolgente, con il quale l’autore ci aiuta a comprendere meglio la scienza moderna e, al tempo stesso, smonta alcune delle errate convinzioni riguardanti matematica e fisica. 
L’autore è abile nel lasciar formulare al lettore le ipotesi più fantasiose per la soluzione dei misteri che si aprono una pagina dopo l’altra e ciò che ci svela nel finale non è scontato  né prevedibile.
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Venerdì, 02 Agosto 2013 16:02

La teoria del tutto

TRAMA:
La nascita dell’universo è una questione sulla quale si è discusso fin dai tempi più remoti, ma solo sul finire degli anni Venti tale questione entrò finalmente nel campo di indagine proprio della scienza, grazie ad Hubble che dimostrò che la Via Lattea non è l’unica galassia. A partire dai suoi studi, si osservò la frequenza delle onde luminose provenienti dalle altre galassie: risulta ridotta, a significare il fatto che esse si stanno allontanando da noi. 
La fede in un universo statico era forte e radicata, tanto che persino Einstein tentò di evitare la predizione di un universo dinamico, introducendo una costante cosmologica. Fridman, invece, cercò di spiegare l’universo dinamico, partendo da due presupposti: l’universo è identico in qualunque direzione guardiamo e da qualunque punto lo osserviamo. Secondo i due assunti di Fridman, tre diversi modelli predicono l’evoluzione dell’universo e i dati attualmente disponibili suggeriscono che, probabilmente, l’universo continuerà ad espandersi per sempre. 
I tre modelli di Fridman presentano un tratto in comune: il big bang, oggi generalmente accettato. 
Proprio come nel big bang, all’interno di un buco nero ci deve essere una singolarità di densità infinita. Il buco nero è una stella di massa e densità sufficientemente elevate con un campo gravitazionale talmente forte che neppure la luce riesce a sfuggirne. 
Nei buchi neri, l’area dell’orizzonte degli eventi non può mai decrescere: tale proprietà ricorda molto da vicino il comportamento di quella quantità fisica chiamata entropia, che misura il grado di disordine di un sistema. Essa è infatti una misura dell’entropia del buco nero, che deve perciò avere anche una temperatura. Un corpo con una temperatura superiore allo zero assoluto deve emettere un determinato tasso di radiazioni, quindi per riuscire ad osservare i buchi neri, potremmo cercare i raggi gamma che essi emettono. Quand’anche la ricerca di buchi neri avesse esito negativo ci fornirebbe comunque una serie di importanti informazioni sui primissimi stadi della vita dell’universo. 
Man mano che l’universo si espande, la temperatura della sua radiazione continua a diminuire. Il quadro di un universo che, dopo un inizio estremamente caldo, è andato via via raffreddandosi ed espandendosi, si trova in accordo con tutti i dati di cui siamo oggi in possesso. Ma tante domande non hanno ancora risposta e, presa da sola, la teoria della relatività generale non può risolvere il problema. Infatti, in corrispondenza della singolarità del big bang, la relatività generale stessa e tutte le altre leggi della fisica verrebbero a perdere la loro validità. Per comprendere l’origine dell’universo, abbiamo bisogno della teoria quantistica, le cui leggi scientifiche possono mantenere la loro validità in qualunque situazione. Con la teoria quantistica della gravità emerge la possibilità che lo spazio-tempo abbia un’estensione finita pur senza avere una singolarità che lo delimiti al pari di un confine, di un margine esterno. Lo spazio-tempo sarebbe simile alla superficie della Terra, con l’unica differenza di avere due dimensioni in più. Per questo, non c’è più la necessità di determinare cosa sia avvenuto in corrispondenza del confine: l’universo sarebbe autonomo, non sarebbe stato creato, né verrebbe mai distrutto.
Restano altre domande: perché il tempo procede in avanti? Ciò è in qualche modo legato al fatto che l’universo si sta espandendo? Le leggi della fisica non distinguono tra passato e futuro, eppure, nella vita di tutti i giorni, sperimentiamo una grande differenza tra la direzione del tempo in avanti e quella all’indietro. 
La freccia del tempo psicologica e quella termodinamica hanno sempre la stessa direzione: il nostro senso soggettivo della direzione del tempo è quindi determinato dalla freccia termodinamica. Ma la direzione del tempo nella quale il disordine aumenta è la stessa in cui l’universo si espande? Sì, nonostante non si possa stabilire se l’universo abbia avuto inizio in uno stato molto omogeneo e ordinato, oppure molto eterogeneo e disordinato. 
Sarebbe molto difficile costruire di getto una teoria unificata completa in grado di dare una spiegazione a ogni cosa, ma si sono compiuti notevoli progressi scoprendo delle teorie parziali. Ciononostante, la speranza resta quella di trovare una teoria unificata, coerente e completa, che includa tutte le teorie parziali come semplici approssimazioni. 
Einstein dedicò la maggior parte dei suoi ultimi anni all’infruttuosa ricerca di una teoria unificata, ma si rifiutava di credere alla realtà della meccanica quantistica. Invece sembra che il principio di indeterminazione costituisca un tratto fondamentale dell’universo in cui viviamo: una teoria unificata dovrà necessariamente incorporarlo.
Una teoria unificata del tutto rivoluzionerebbe la comprensione che la gente comune ha delle leggi che governano l’universo, ma lascerebbe comunque senza risposta la domanda: perché l’universo esiste?
 
COMMENTO:
Testo semplice, visto che spiega anche i concetti più complessi in modo che possano essere compresi da tutti. Sicuramente, il primo capitolo, con la storia della storia dell’universo e l’ultimo, con alcune considerazioni matematiche, bene si prestano ad essere presentati anche in classe. 
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Venerdì, 02 Agosto 2013 16:00

L'energia del vuoto

TRAMA:
Il romanzo si apre con la fuga di Pietro Leone, impiegato dell’Onu, con il figlio Nico, adolescente ribelle: la moglie di Pietro, Emilia Viñas, direttore di uno degli esperimenti dell’Lhc (Large Hadron Collider) del Cern di Ginevra è scomparsa lasciando un dischetto sul quale sono registrati alcuni dati dell’esperimento. Pietro parte per Barcellona, dove incontra Juan Manuel Fajardo, professore all’Institut de Fisica d’Altes Energies: l’amico potrà forse aiutarlo a decifrare la pista lasciata da Emilia e, in questo modo, magari potranno ritrovarla.
In un incastro continuo tra presente e passato, prima-dopo-durante, Arpaia ha la capacità di presentare più storie in una: 
- la vicenda di Nuria Moreno, nota giornalista di uno dei più importanti giornali di Madrid: a Ginevra per intervistare Emilia, scoprirà un nuovo mondo, attraverso le spiegazioni dei più bravi fisici impegnati al Cern. La sua passione per la fisica continuerà anche dopo la stesura dell’articolo e, grazie al suo legame con Nico, aiuterà padre e figlio a trovare una parte della soluzione dell’enigma che ha coinvolto Emilia;
- l’impegno professionale di Emilia Viñas che viene nominata direttore dell’esperimento, ma deve pagare lo scotto di una grave crisi familiare. Inoltre, il suo coinvolgimento in un’indagine di polizia, volta a trovare i responsabili dell’attentato che ha portato alla caduta della Torre Eiffel, complica ulteriormente la sua vita, mettendola in crisi anche dal punto di vista lavorativo;
- le vicissitudini interiori di Pietro, addolorato per il fallimento del matrimonio, preoccupato per la moglie, disorientato dal difficile rapporto con il figlio adolescente, bistrattato dal capo: la sua ricerca di una risposta è un viaggio attraverso l’Europa, in una fuga confusa e disordinata come la sua vita.
Altri personaggi popolano il romanzo: tra i fisici ci sono George Murray, “crociato delle stringhe”, Marcello Milanesi, Eduard, che non si accontenta della risposta più semplice e rischierà di rimetterci la vita; poi ci sono Yusuf Zaman, capo di Pietro all’Onu, usato dagli attentatori come copertura del complotto contro l’acceleratore, Safira, Nirad, Abdulaziz, il misterioso Monsieur Lévy… e l’acceleratore: il principale protagonista e l’obiettivo del complotto. Il modo in cui vengono processati i dati provenienti dagli esperimenti del Cern è la chiave di volta dell’intero romanzo, perché il complotto nasce proprio dalla scelta degli eventi che vengono studiati (con 40 milioni di collisioni al secondo, bisogna setacciare gli eventi più rilevanti attraverso filtri elettronici, trigger, che li riducono a cento per ogni secondo).
«Quando pensiamo di avere qualche nuova idea, siamo molto più simili agli artisti: in quella zona confusa in cui le idee non sono ancora né giuste né sbagliate, ma solo ombre di possibilità, seguiamo, sì, le regole, il rigore matematico, ma ci lasciamo anche guidare dalle sensazioni, dalle nostre intuizioni, o forse solamente dal desiderio che l’universo sia proprio come noi lo immaginiamo. Spesso, poi, andiamo avanti seguendo quel presentimento, e ci restiamo aggrappati anche se i dati dicono che probabilmente stiamo prendendo qualche cantonata. Alla fine, di solito, ci salva la sperimentazione. È giusto, non è giusto: punto. E si prosegue. Almeno, questo era vero fino a poco fa. Oggi abbiamo teorie che non prevedono possibili verifiche e sono in tanti a chiedersi se questa è ancora scienza… Comunque, le assicuro che la fisica è molto divertente. E appassionante, intensa, perché può darti fitte di adrenalina da restarci secco…»
 
COMMENTO:
Un romanzo avvincente e coinvolgente, con la fisica come sfondo, la fisica moderna dei grandi investimenti del Cern, quella delle grandi collaborazioni – più di ottomila fisici, tecnici e ingegneri di una sessantina di paesi – la fisica che stupisce e impaurisce (come dimostrano i titoli dei giornali che hanno preceduto l’apertura degli esperimenti). Le spiegazioni date a Nuria Moreno aiutano il lettore a capire meglio il funzionamento dell’Lhc, scardinano le convinzioni più diffuse – non conosciamo tutto, ma più o meno il 4 % dell’universo – aprono la mente sulle nuove indagini attualmente in corso. Si inseriscono bene all’interno della storia, il cui ritmo non risente di questi approfondimenti. 
All’inizio si fa fatica a destreggiarsi tra il presente, con il viaggio di Pietro e Nico, e i diversi livelli di passato, che ci spiegano l’antefatto, ma la relatività del tempo anche all’interno del romanzo richiama in qualche modo la teoria della relatività di Einstein. 
Un po’ insoddisfacente il finale: un po’ affrettato ed inoltre la sua mancata collocazione temporale e i tempi al futuro danno alla vicenda un che di non concluso.
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Venerdì, 02 Agosto 2013 15:48

Una forza della natura

TRAMA:

«È stata una vita straordinaria, la sua. Nato in una foresta pluviale nella parte più a sud del globo terrestre, Ernest Rutherford era, detto molto semplicemente, un genio. Ha cambiato per sempre il modo in cui vediamo il mondo e noi stessi. È stato il primo a mostrare che gli elementi non sono immutabili: possono trasformarsi in altri elementi, naturalmente, secondo quel processo per il quale usiamo le parole “decadimento radioattivo” e “tempo di dimezzamento”. Ha scoperto la struttura nucleare dell’atomo, dando inizio a un’età “eroica” per la fisica. E ha “fatto l’atomo a pezzi”. Nel 1932 lui e i suoi “ragazzi” furono i primi a farlo, o, più precisamente, furono i primi a frantumare il nucleo dell’atomo e a svelare e liberare forze mai neppure immaginate.»

 

Grazie ad una borsa di studio istituita nel 1851, l’anno dell’Expo londinese, Rutherford – nato il 30 agosto del 1871 in Nuova Zelanda – ottenne, nel 1895, di continuare i suoi studi in Inghilterra. Collaborando con Thomson, si occupò del passaggio di elettricità nei gas. Ovunque gli scienziati stavano trovando, o comunque cercando, gli esperimenti e le teorie matematiche giuste per descrivere e determinare un mondo fino a quel momento inaccessibile all’occhio umano e ai microscopi. Thomson aveva ideato un modello di atomo, il più accreditato durante il primo decennio del XX secolo, ma nuovi esperimenti sembrarono suggerire che l’atomo consistesse principalmente di spazio vuoto.

A Rutherford fu offerta una cattedra di fisica sperimentale a Montreal: qui il fisico avrebbe avuto una posizione di responsabilità e avrebbe potuto dedicare più tempo alla ricerca. Collaborando con Soddy, assistente nel dipartimento di chimica, riuscirono a provare l’ipotesi della disintegrazione atomica come spiegazione della radioattività, dicendo cose mai dette prima, ma l’isolamento coloniale di Montreal rendeva più difficile accettare la rivoluzione di Rutherford a molti. Ottenne il premio Nobel nel 1908, «per le sue ricerche relative alla disintegrazione degli elementi e alla chimica delle sostanze radioattive».

Il 24 maggio del 1907, ebbe finalmente l’occasione di tornare in Europa in via definitiva: a Machester, il laboratorio più importante in Inghilterra dopo il Cavendish, dove ebbe in eredità un team di laboratorio invidiabile.

Rutherford puntava a guardare all’interno dell’atomo, del quale si conoscevano solo gli elettroni, per la cui scoperta era stato insignito del Nobel Thomson nel 1906. All’inizio di dicembre del 1910, Rutherford aveva chiara in mente l’immagine dell’atomo e di quello che nel 1913 battezzò nucleo: intuì che, in proporzione, il nucleo nell’atomo era come una capocchia di spillo al centro della cattedrale di St. Paul. Rutherford espose i suoi risultati in un articolo il 7 marzo del 1911. Il modello fu accolto come uno dei tanti, ma non convinse: appariva instabile e solo Bohr, dopo qualche mese, mostrò come potesse essere stabile. Il modello di Rutherford-Bohr, frutto di esperimenti ispirati e teorie geniali, rappresentava allo stesso tempo una fine e un inizio: l’inizio della fine della fisica da bancone di Rutherford, quella fatta con ceralacca e cordini. La fisica classica, su cui si poteva letteralmente mettere le mani, stava lasciando il passo alle lavagne; i nuovi esperimenti, tesi a “entrare” nel nucleo, avrebbero richiesto macchine gigantesche in grado di accelerare e manipolare le forze e i corpi descritti e dominati per primi da Isaac Newton, Michael Faraday, J.J. Thomson e dallo stesso Rutherford.

La prima guerra mondiale toccò pesantemente i giovani impegnati nel laboratorio di Rutherford: chi morì in azione, chi rimase ferito, chi, come Chadwick venne internato in un campo di prigionia tedesco. Rutherford invece sviluppò ciò che ora chiamiamo sonar.

Nel marzo del 1919, Thomson abbandonò la direzione del Cavendish e Rutherford ottenne il suo posto.

Nel 1920, Rutherford chiamò protone la particella che usciva dal bombardamento dei nuclei di azoto con le particelle alfa.

Nel frattempo, si era aperta una grande competizione internazionale per frantumare l’atomo e farlo esplodere. Erano impegnati: il laboratorio del Cavendish, la Carnegie Institution di Washington, la University of California, l’Institute of Technology di Pasadena e il Kaiser Wilhelm Institute di Berlino.

Il 1932 fu l’anno dei trionfi per il team di Rutherford: Chadwick, scoprì il neutrone e Walton e Cockcroft videro per la prima volta l’atomo fatto a pezzi, con i nuclei di litio, di massa 7, colpiti da un protone, di massa 1, che si disintegravano in due particelle alfa (nuclei di elio), di massa 4. L’atomo di litio era stato spezzato. Nella violenza dell’evento una parte della massa – 0,02 unità di peso atomico – era stata trasformata in energia. Numericamente si trattava della quantità prevista dalla formula E = mc2. L’energia prodotta era uguale alla massa moltiplicata per la velocità della luce al quadrato. Era la prima prova sperimentale della teoria della relatività di Albert Einstein del 1905.

L’ascesa al potere di Hitler aveva indotto alla fuga millecinquecento scienziati tedeschi, epurati dalle università e dai laboratori: Rutherford spese parecchie energie per trovare un lavoro agli studiosi tedeschi, che lui aveva ribattezzato “gli studiosi erranti”.

Dopo le vittorie conseguite, Rutherford cominciò ad allontanarsi dal Cavendish, prendendosi lunghe pause per stare con i nipoti (avuti dall’unica figlia, morta nel 1930 dando alla luce il quarto figlio): era chiaro che il suo mondo stava cambiando.

Morì il 19 ottobre del 1937, dopo una breve agonia in seguito a una caduta. Le ceneri di Rutherford riposano nell’abbazia di Westminster, vicino alla tomba di sir Isaac Newton.

 

COMMENTO:

Leggendo il libro, si ha a volte l’impressione di sentir tuonare la voce di Rutherford, nei numerosi aneddoti che lo vedono come protagonista, che ci guidano alla scoperta del mondo subatomico. Grande uomo, grande personaggio, di un’intelligenza eccezionale e vivace, è stato anche un grande maestro, perché numerosi furono i suoi collaboratori che vinsero il premio Nobel: Frederick Soddy (chimica, 1921), Niels Bohr (fisica, 1922), Francis William Aston (chimica, 1922), Paul Dirac (fisica, 1933), James Chadwick (fisica, 1935), Georg von Hevesy (chimica, 1943), Otto Hahn (chimica, 1944), Edward Appleton (fisica, 1947), Patrick Blackett (fisica, 1948), John Cockcroft ed Ernest Walton (fisica, 1951), Pyotr Leonidovich Kapitsa (fisica, 1978).

Questo libro ci racconta la sua vicenda personale, le vicende di questi giovani studiosi e, soprattutto, il cammino della fisica nei primi anni del XX secolo, quando è passata da attività da bancone, con semplici esperimenti realizzabili in piccoli laboratori, agli esperimenti con gli acceleratori di particelle.

Il libro è semplice e coinvolgente e chiunque può affrontarne la lettura, pur non avendo conoscenze specifiche.

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Venerdì, 02 Agosto 2013 15:45

Energia, forza e materia

TRAMA:

Nel diciottesimo secolo, la fisica, che riguardava solo i fenomeni meccanici, era analizzata solo dal punto di vista matematico. Più avanti, il calore e l’elettricità vennero spiegati con l’esistenza di fluidi imponderabili, ma si trattava di speculazioni qualitative, separate dalla scienza esatta ovvero dalla meccanica, nonostante i diversi tentativi di trattazioni matematiche. Oersted (1820) e Faraday (1831) riuscirono a collegare, con i loro esperimenti, le forze elettriche e quelle magnetiche; Joule stabilì l’equivalenza tra calore e lavoro meccanico e nel 1847 Helmholtz trattò i fenomeni di meccanica, calore, luce, elettricità e magnetismo come differenti manifestazioni dell’energia. Il modo in cui i problemi fisici della luce, del calore e dell’elettricità venivano trattati era tale da consentirne un’analisi matematica e ciò favorì molto l’unificazione della fisica. Ebbero particolare importanza gli esperimenti di Joule: mentre i fisici del diciottesimo secolo avevano considerato i processi meccanici e quelli non meccanici come processi relativi a differenti sistemi fisici, la dimostrazione dell’equivalenza tra lavoro meccanico e calore fatta da Joule negli anni Quaranta dell’Ottocento consentì, insieme alla legge della conservazione dell’energia, l’unificazione dei processi termici e meccanici. E così negli anni Cinquanta e Sessanta Thomson e W.J. Macquorn Rankine elaborarono un nuovo modello della teoria fisica in cui il concetto fondamentale era quello di energia, tentando di rendere più chiara la base matematica e fisica del principio di conservazione dell’energia.

Il concetto di campo emerse intorno al 1850, nella fisica britannica, quando Thomson e Maxwell formularono le teorie dell’elettricità e del magnetismo. La concezione meccanicistica della natura ricevette un ulteriore supporto negli anni Cinquanta e Sessanta con lo sviluppo della teoria cinetica dei gas elaborata da Clausius e Maxwell, nella quale il moto delle particelle era descritto come fenomeno meccanico. I dubbi sorti dopo questa spiegazione indussero Maxwell a introdurre il paradosso del «demone», per dimostrare che le interpretazioni molecolari dovevano basarsi su un’analisi statistica del moto di un immenso numero di molecole.

Con l’enunciazione dell’equivalenza tra massa ed energia e l’abbandono di spazio e tempo assoluti, la teoria della relatività di Einstein segna una «rivoluzione» nella storia della fisica: per quanto l’accento che si pone generalmente sulla discontinuità tra fisica classica e moderna sia appropriato quando serve a distinguere le assunzioni filosofiche della fisica sette-ottocentesca dalle dottrine relativistiche e indeterministiche della fisica del nostro secolo, e a distinguere una fisica prima e una fisica dopo lo sviluppo della meccanica quantistica negli anni Venti, questa frattura è esagerata e trascura, in un modo che risulta alla fine fuorviante, la continuità di idee che pur esiste tra il periodo classico e il periodo moderno.

 

COMMENTO:

Una storia della fisica approfondita ed interessante, che può essere affrontata con le conoscenze che si sono acquisite con la scuola superiore. Il linguaggio non rende la lettura sempre agevole, ma con un po’ di concentrazione ed attenzione si può capire ogni cosa.

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Venerdì, 02 Agosto 2013 15:40

L'universo elettrico

TRAMA:

Dall’introduzione:

Le vicende in cui ci imbatteremo hanno a che fare con la religione, l’amore e l’imbroglio non meno che con la scienza oggettiva e la tecnologia. Ci faranno spaziare dalle strade di Amburgo durante un bombardamento della seconda guerra mondiale alla mente di Alan Turing, geniale inventore del computer, perseguitato proprio dalle autorità del paese che aveva salvato; da Michael Faraday, nato nei bassifondi e tenuto in scarsa considerazione dai suoi contemporanei a causa della sua fede religiosa (grazie alla quale, però, fu il primo a vedere le forze elettriche intrecciarsi invisibili nello spazio), a un pittore, Samuel Morse, che si candidò entusiasta a sindaco di New York con un programma di persecuzioni contro i cattolici, e che apprese più di quanto non fosse mai disposto ad ammettere sul funzionamento dei telegrafi da un pioniere il quale non riusciva a credere che qualcuno volesse brevettare un’idea così ovvia.

Incontreremo un esuberante immigrato in America poco più che ventenne, Alexander Bell, deciso a tutto per conquistare l’amore di una studentessa adolescente sorda, e il quarantenne Robert Watson-Watt, che invece cerca disperatamente di sfuggire a un matrimonio noioso e al tedio della città di Slough degli anni 1930. E ancora Otto Loewi, che si sveglia la notte prima di Pasqua rendendosi conto di aver risolto il problema di come l’elettricità opera nel nostro corpo, ma che il mattino dopo, disperato, non riesce a leggere gli appunti scarabocchiati che ha buttato giù accanto al letto durante la notte; e il ragazzo scozzese di campagna, James Clerk Maxwell, che per anni alla scuola elementare viene trattato da tonto dai compagni prepotenti, eppure diviene il massimo scienziato teorico del XIX secolo, capace di concepire la struttura intima dell’universo in modo che gli scienziati delle epoche successive riconosceranno profondamente vero. Tutte queste vicende mettono in luce come la forza immensa dell’elettricità fu gradualmente svelata, come fu sottratta al suo regno occulto, e che cosa noi, esseri umani imperfetti, abbiamo fatto dei poteri accresciuti che essa ci ha conferito.

 

COMMENTO:

Una delle caratteristiche principali del libro è la sua semplicità: i passaggi più complessi sono lasciati alle note in fondo al testo, che spiegano il funzionamento delle macchine descritte, mentre il resto della trattazione è alla portata di tutti.

La storia degli uomini che hanno reso possibili le comodità del mondo attuale è coinvolgente: in alcuni tratti della storia del radar, ad esempio, si ha quasi l'impressione di leggere un romanzo di Ken Follett, vista la suspense! E poi le vicende di questi uomini, si tratti delle slealtà di Morse o della solitudine di Turing, rendono tutto il mondo della fisica più vicino alla nostra quotidianità.

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Venerdì, 02 Agosto 2013 12:00

Marie Curie, il primo Nobel di nome donna

TRAMA:
Marya Sklodowki nasce il 7 novembre 1867 a Varsavia. Comincia presto a lavorare, prendendosi cura dei bambini delle famiglie ricche e, a partire dal 1885, mantiene la sorella Bronya, che studia medicina a Parigi: il patto è che, una volta laureata, la sorella manterrà lei durante i suoi studi. Il periodo più lungo, quattro anni, lo trascorre presso la famiglia Zorawski: qui conosce Casimir, il figlio dei padroni, che studia a Varsavia. Si innamorano e vorrebbero sposarsi, ma i genitori di lui si oppongono. Per Marya è un duro colpo. 
Grazie a un lavoro più remunerativo del padre, Marya può cominciare a risparmiare per se stessa e nell’autunno del 1891 raggiunge la sorella: si iscrive alla Sorbona il 3 novembre e francesizza il suo nome in Marie. In due anni di sforzi intensi, isolamento e privazioni si laurea in scienze fisiche ed è la prima del suo corso. Torna a Varsavia per perfezionare lo studio della matematica e si laurea nel luglio del 1894. 
Rientra a Parigi per lavorare nel laboratorio della Sorbona e si sposa con Pierre nel luglio del 1895. Il 12 settembre del 1897 nasce la loro prima figlia, Irène. 
Marie ha trent’anni quando comincia ad esporsi alla radioattività: la strada esplorata da Henri Becquerel, dopo la scoperta dei raggi X nel 1895 da parte di Röntgen, offre a Marie un campo di ricerca fecondo e poco esplorato, in vista del suo progetto di diventare dottore in scienze. Redige la sua prima relazione il 12 aprile 1898 per l’Accademia delle scienze, ma i fisici restano indifferenti. Quando Marie confida al marito di poter ipotizzare l’esistenza di un nuovo elemento, Pierre interrompe i suoi lavori per aiutarla. Il 18 luglio 1898 i coniugi Curie dichiarano di aver trovato un nuovo elemento, il polonio e il 26 dicembre un ulteriore nuovo elemento, il radio, viene nominato in una nota all’Accademia delle scienze firmata dai coniugi Curie e da Georges Bémont. Per ottenere pochi milligrammi di radio puro e stabilirne il peso atomico, è necessario lavorare la pechblenda e i due coniugi lavorano instancabilmente, mentre i primi riconoscimenti cominciano ad arrivare dall’estero. Entrambi presentano alcuni problemi di salute dovuti all’esposizione alla radioattività, ma non sono ancora consapevoli della pericolosità del loro lavoro. Nel frattempo, Pierre ottiene il posto di insegnante alla Sorbona e Marie è incaricata delle lezioni di fisica del primo e secondo anno alla Scuola Normale superiore femminile di Sévres. 
Due ricercatori tedeschi annunciano che le sostanze radioattive hanno conseguenze fisiologiche e Pierre, esponendosi a una sorgente di radio, vede formarsi una lesione sul braccio. Anche Becquerel si è ustionato, ma nota che una protezione di piombo rende il radio inoffensivo. È proprio in seguito al suo lavoro con la radioattività che Marie dà alla luce un bambino prematuro, che muore qualche ora dopo la nascita. Nessuno però capisce allora la causa della disgrazia. Nel 1904 Marie ha un’altra bambina Ève, nata sana grazie al fatto che la notorietà del Nobel la tiene lontana dalla radioattività.
Il 28 marzo 1902 Marie può annotare il peso di un atomo di radio: 225,93. Alcuni giorni dopo, non si parla d’altro che del radio che guarisce il cancro. 
Nel 1903 Pierre, Marie e Becquerel vengono insigniti del premio Nobel per la fisica. 
Nell’aprile del 1906, Pierre muore calpestato dalle ruote di una pesante carrozza. Marie si chiude in se stessa. Il 13 maggio successivo, le viene assegnata la cattedra di fisica generale di Pierre. 
Lord Kelvin dichiara che il radio non è un elemento e distrugge, con le sue ipotesi, la teoria dei Curie: per Marie è lo stimolo per tornare a studiare e in un laboratorio completamente organizzato, grazie ai finanziamenti di un americano, forma una nuova generazione di ricercatori e lavora contro l’ipotesi di Kelvin, fino ad un nuovo risultato, quattro anni dopo. 
Alla fine del 1911, Marie ottiene un altro premio Nobel, per la chimica. Nei mesi precedenti, però, uno scandalo ha infangato il suo nome: è stata resa pubblica la sua relazione con Paul Langevin, un fisico con il quale lavora da anni. I coniugi Borel, i coniugi Perrin e Debierne intraprendono una campagna di riabilitazione. Grazie al premio Nobel, il suo prestigio scientifico è al culmine, ma ci vuole parecchio tempo per risolvere i problemi di salute insorti nel frattempo.
Durante la prima guerra mondiale, Marie partecipa attivamente: il primo novembre del 1914 la prima vettura radiologica, con a bordo Marie e Irène, prende la via del fronte. Le vetture vengono battezzate “le piccole Curie” e riusciranno a salvare, effettuando migliaia di radiografie, la vita di molti soldati. Anche il radio contribuisce a salvare soldati: il radon, ottenuto dal decadimento del radio, viene utilizzato per cicatrizzare alcune ferite.
All’inizio degli anni Venti, la scienza francese non gode di grandi privilegi: nel suo laboratorio Marie non ha nemmeno una macchina per scrivere. L’intervento di Meloney Mattingley, redattrice capo di un periodico femminile americano, la aiuterà a raccogliere fondi in America per acquistare un grammo di radio.
Il suo fisico è fortemente minato dalla radioattività e una forte febbre, sintomo di un’anemia perniciosa fulminante, la porterà alla morte il 4 luglio del 1934.
 
COMMENTO:
La straordinaria vita di Marie Curie… Purtroppo non ho avuto la possibilità di leggere l’edizione integrale di Françoise Giroud, mi sono dovuta accontentare di uno dei condensati di Selezione, ma sono riuscita comunque a cogliere la forza e la grandezza di questa incredibile scienziata. Ne ho colta anche l’umanità nelle lettere citate e mi sono commossa leggendo il suo dolore per la morte di Pierre. L’impegno per lo studio, l’amore per la sua famiglia di origine e per le figlie, la sofferenza per la Polonia occupata, il lavoro durante la guerra… una donna straordinaria. 
Ogni donna che si occupa di scienza dovrebbe conoscere la vita della prima donna insignita del premio Nobel per la fisica.
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Giovedì, 01 Agosto 2013 21:25

I dieci esperimenti più belli

TRAMA:

George Johnson riflette sugli sviluppi della fisica negli ultimi decenni. Nel XXI secolo la scienza non è più trattata in un laboratorio da un singolo scienziato, ma è ormai industrializzata. Gli esperimenti occupano numerose colonne sui giornali, generano una tale quantità di dati che sono necessari supercomputer per analizzarli e sono svolti da équipe composte da parecchi scienziati. Ma fino a non molto tempo fa la scienza più rivoluzionaria arrivava da singole paia di mani, da menti individuali che sfidavano l’ignoto. I grandi esperimenti che segnano i confini del nostro sapere sono stati quasi sempre condotti da uno o due scienziati, e di solito sul piano di un tavolo. I calcoli, se servivano, erano svolti su carta o, più tardi, su un regolo calcolatore.

Sentendo il bisogno di ripartire dalle fondamenta, Johnson dedica questo libro a dieci esperimenti.

 

  1. Galileo: il vero moto degli oggetti. La grandezza di questo esperimento sta nella trovata geniale di Galileo per seguire la caduta di un grave, visto che non aveva a disposizione i sofisticati strumenti odierni. Per rallentare il moto di caduta dei gravi, Galilei utilizzò un piano inclinato liscio e per misurare i tempi, secondo una recente ricostruzione, fissò un ritmo cantando un motivo semplice. Trovò così che la distanza coperta dalla pallina aumentava con il quadrato del tempo.
  2. William Harvey: i misteri del cuore. Harvey arrivò ad estrarre il cuore di un animale ancora in vita, sentendo sul palmo della mano il ritmo sempre più lento dei suoi ultimi battiti, per riuscire a risolvere il mistero del funzionamento di tale organo e per stabilire che il movimento del sangue è circolatorio (si parla, infatti, di circolazione sanguigna).
  3. Isaac Newton: che cos’è un colore. Con questo esperimento Newton cambiò per sempre il nostro modo di intendere la luce, perché aveva scoperto che cos’è il colore. L’esperimento cruciale di Newton consiste nel far passare un raggio di luce attraverso un prisma, proiettandone lo spettro su una tavola di legno.A un estremo della tavola Newton aveva praticato un foro e, reggendo il prisma in maniera opportuna, poteva far sì che i colori passassero uno alla volta attraverso il buco e da qui in un secondo prisma, prima di finire proiettati sul muro.
  4. Antoine-Laurent Lavoisier: la figlia del fattore. Facendo esperimenti bruciando il mercurio, Lavoisier riuscì a capire che la combustione consuma l’ossigeno e lascia l’azoto, in altre parole separò i due componenti principali dell’atmosfera. In molti stavano lavorando a questi esperimenti, ma Lavoisier fu l’unico a capire che cosa aveva scoperto. Stabilì inoltre la legge della conservazione della massa.
  5. Luigi Galvani: elettricità animale. Nella disputa tra Galvani e Volta sull’esistenza dell’elettricità animale, Galvani fu costretto a perfezionare il suo esperimento originario, eliminando qualsiasi influenza esterna: stimolò i due nervi delle zampe di una rana con una piccola bacchetta di vetro e ottenne una contrazione muscolare. In modo complementare, Volta inventò la pila. I due esperimenti ruotavano attorno alla stessa verità e cioè che non esiste la distinzione tra elettricità animale ed elettricità artificiale.
  6. Michael Faraday: qualche cosa di profondamente nascosto. Mentre gli scienziati di tutta Europa cercano di svelare i misteri connessi al fenomeno dell’elettricità, Faraday trova un collegamento tra elettricità e magnetismo, magnetismo e luce, con un esperimento nel quale il campo magnetico fa ruotare un fascio di luce, dopo aver tentato invano di effettuare lo stesso esperimento con la corrente elettrica.
  7. James Joule: lavoro e calore. Joule dimostrò che lavoro e calore sono la stessa cosa con un esperimento noto ad ogni studente di fisica delle superiori: in un recipiente contenente acqua, c’è un’asta centrale sulla quale sono fissate delle palette. Lasciando cadere dei pesi, le palette cominciano a ruotare mescolando l’acqua. In questo modo, la temperatura dell’acqua viene innalzata e si dimostra l’uguaglianza tra l’energia (la caduta delle masse) e il calore (l’innalzamento di temperatura).
  8. Albert A. Michelson: persi nello spazio. La storia di un esperimento che dimostra il contrario di quanto tutti si aspettavano: l’esperimento dell’interferometro doveva dimostrare l’esistenza dell’etere, misurando una diversa velocità della luce a seconda della direzione nella quale la stessa si propagava. Contrariamente alle attese, nessuna differenza venne rilevata: l’etere non esiste.
  9. Ivan Pavlov: misurare l’immisurabile. Nei suoi esperimenti con gli animali, Pavlov studiò le reazioni dei cani, misurando la loro salivazione, nel rispondere agli stimoli che lui proponeva. Per il suo lavoro sulla fisiologia della digestione, fu insignito del premio Nobel nel 1904.
  10. Robert Millikan: nella terra di confine. Si è ipotizzata l’esistenza dell’elettrone, ma solo Millikan riesce a misurarne la carica, osservando delle goccioline d’olio elettrizzate, (fu lo studente Harvey Fletcher a proporre l’utilizzo dell’olio al posto dell’acqua). L’esperimento sembra semplice quando lo si spiega, ma, come riconosce lo stesso autore: provai molte volte senza successo, prima di rendermi conto che per me riuscire a dominare un esperimento così delicato sarebbe stato come imparare a suonare il violino, o a costruire buoni mobili.

 

COMMENTO:

Molto scorrevole e semplice, il libro è estremamente godibile pur non avendo preparazione in materia, dato che l’autore spiega con estrema chiarezza gli esperimenti, oltre al contesto nel quale sono nati. I protagonisti degli esperimenti sono descritti nelle loro ambizioni e nella loro genialità, nei punti di forza e nelle debolezze, anche se non sempre sono presentati i particolari delle loro biografie, come lo stesso autore ci spiega nell’introduzione. La scienza che emerge da questo libro ha un carattere individuale ed è potuta progredire proprio grazie alla grandezza di questi singoli scienziati, che con la loro genialità hanno permesso il progresso degli ambiti in cui hanno lavorato.

Proprio per il suo carattere estremamente semplice, il libro può considerarsi un assaggio di scienza: per le persone più preparate può apparire quasi scarno e povero di approfondimenti, ma per gli studenti delle superiori può costituire un invito all’approfondimento, possibile anche grazie alla ricca bibliografia fornita dall’autore.        

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