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Grafici, tabelle, dati... persino coloro che si sono sempre ritenuti incapaci in matematica, in questi giorni stanno rispolverando le proprie competenze per tentare di capire un po’ di più cosa stia succedendo con la pandemia. Ma, una volta tanto, sono i matematici a dirci che non è così semplice: se fosse semplice non troveremmo interpretazioni (e conclusioni) completamente diverse sui giornali e «perché mai, se i dati sono dati, la matematica è oggettiva e i numeri non mentono mai, ogni analisi e ogni modello sembra dare risposte diverse?». Samuele Mongodi, ricercatore di Geometria presso il Politecnico di Milano, cerca di darci una spiegazione al riguardo, servendosi di alcuni esempi: «volete comprare un frullatore su Amazon e finalmente trovate il modello che fa per voi; ci sono due venditori, con prezzi sostanzialmente identici, uno ha una soddisfazione del 90% con 20 recensioni, l’altro ha una soddisfazione dell’88% con 200 recensioni. Qual è meglio? E se il primo profilo avesse avuto il 90% su 30 recensioni?». Già queste due domande dimostrano che l’interpretazione dei dati non ha nulla a che fare con l'intuizione: «i DATI non ci dicono niente, i numeri non “parlano da sé”, non sono mai chiari, lampanti, è rarissimo…
«Non sopportavo l’idea che le meraviglie che voi avete realizzato, padrone, restassero ad ammuffire nelle segrete del Palazzo. Volevo che il popolo le ammirasse, che ne condividesse i benefici.» «Vuoi dire “che condividesse il piacere che la visione di quelle macchine aveva dato a me”» corresse Archimede. Assentii. «È così, padrone. Come fate a sapere?» Il maestro abbozzò un sorriso. Un gesto lieve, quasi timido. «Una volta, Dinostrato, io ero proprio come te. Ingenuo, orgoglioso. Credevo fosse mio dovere usare la matematica per donare un futuro roseo agli uomini. Mi illudevo di essere in grado di cambiare il mondo, o almeno di contribuire col mio lavoro a tratteggiare un domani migliore.» «Ma voi potete, padrone!» protestati. Lui scosse la testa. «Ho tentato, anni fa. E ho fallito. Gli uomini, Dinostrato, non vogliono essere aiutati. Meno che mai dalla Scienza. Sai perché? […] Gli uomini, Dinostrato, non credono che il domani possa essere migliore dell’oggi. L’Età dell’Oro, c’insegnano sin da bambini, non è un tempo di là a venire, ma si trova alle nostre spalle. Solo ripetendo pedissequamente le azioni dei nostri avi, ci vien detto, possiamo aspirare a raggiungere la condizione di felicità che abbiamo perduto. Tutto ciò che suona…
Insegnare matematica è una sfida che si affronta ogni giorno. Insegnare matematica vuol dire, a volte, entrare in classe e, senza sentirsi al meglio delle proprie possibilità (perché non si è sempre in formissima), cercare di fare una lezione che abbia un senso. Potrebbe capitarvi, come racconta il prof. Federico Benuzzi, che proprio quando non vi sentite al meglio, sappiate fare una lezione che lascia un segno e che entra tra gli aneddoti che gli alunni poi si raccontano anche negli anni a venire… Insegnare matematica vuol dire cercare sempre nuove strade per proporre cose vecchie, perché è fondamentale non lasciarsi prendere dall’abitudine: se è vero che per noi insegnanti è la ventesima volta che spieghiamo i logaritmi dall’inizio della nostra carriera, non dobbiamo dimenticare che gli alunni che assistono alla nostra spiegazione ne sentono parlare oggi per la prima volta e hanno diritto alla stessa freschezza e originalità che avevamo vent’anni fa. (Fortunatamente, internet ci permette di accedere a nuovi contenuti ogni giorno, come il triangolo del potereproposto dal canale YouTube 3Blue1Brown.) Insegnare matematica vuol dire riuscire a leggere tra le righe e, nel vedere una lavagna piena di simboli, saperci intravvedere una forma di arte (a volte anche…
Se dovessi definire l’anno scolastico 2019/2020 con una parola, userei la parola ERRORE. Lo userei con un’accezione positiva, ovviamente. Ho cominciato con una mia classe sottolineando come l’utilizzo smodato di correttori e scolorine non faccia che evidenziare la nostra necessità di coprire gli errori che commettiamo, portandoci ad ottenere il risultato opposto, ovvero a dare rilievo al fatto che abbiamo sbagliato. Perdiamo, però, per strada l’importanza di quell’errore: l’errore ha un suo valore nel momento in cui impariamo qualcosa. Ed è per questo che il sito MindShift fa una classificazione degli errori. È vero che l’articolo è scritto in inglese, ma il disegno posto all’inizio è molto chiaro: gli errori vengono classificati, mettendo in ascissa l’intenzionalità e in ordinata l’opportunità di imparare, e sono di quattro tipi diversi. Abbiamo gli “stretch mistakes”, che sono quelli che facciamo quando, impegnati a raggiungere un obiettivo, usciamo dalla nostra zona di confort e puntiamo in alto. In questo caso è normale commettere errori: se non li commettessimo, significherebbe che non stiamo realmente sfidando noi stessi. Abbiamo poi gli “aha-moment mistakes”, che compiamo nel percorso che ci porta a raggiungere i nostri obiettivi: possiamo vincerli solo grazie alla riflessione, oppure dedicando dei momenti di…
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