Verifica di matematica, classe terza liceo scientifico.
Argomento: piano cartesiano e retta.
Durata: 120 minuti.
Verifica di fisica, classe quarta liceo scientifico.
Argomento: dinamica dei fluidi.
Durata: 90 minuti.
Verifica di fisica, classe terza liceo scientifico.
Argomento: lavoro ed energia.
Durata: 60 minuti.
Pc collegato al proiettore, sullo schermo è aperto MINECRAFT, davanti al pc Alunno 01, con le cuffie sulle orecchie, concentrata a lavorare alle illusioni prospettiche realizzate.
Prof.1: (voce dal corridoio) Alunno 01! Alunno 01! (Alunno 01 non risponde. La Prof.1 arriva davanti al pc di Alunno 01) Impossibile farsi rispondere da te, vero? (Alunno 01 si toglie le cuffie). Cosa stai facendo? Ancora a pc? (Arrabbiata) Basta con questo computer! È estate! Se non ti decidi a fare altro, te lo brucio!
Alunno 01: Ma mamma, sto lavorando per BergamoScienza!
Prof.1: (di colpo interessata!) Davvero? E cosa stai facendo di bello?
Alunno 01: (mostra alcune delle illusioni realizzate con Minecraft) In questo caso sembra che ci sia un muro. Vedi? Avvicinandomi sembra che il muro diventi sempre più grande.
Prof.1: Vedo! E invece?
Alunno 01: E invece non c’è nessun muro!
Prof.1: Bello! Davvero interessante! (passando ad una nuova slide) Ma questa è la scala di Penrose!
Alunno 01: Sì, non mi è uscita benissimo, però sono riuscita a farla. E guarda cosa succede quando mi avvicino!
Prof.1: Si vede che non è realmente una scala!
Alunno 01: Esatto! Però, vedi? In questa ultima slide, si vede il punto di vista della prima parte.
Prof.1: Ah, eri lì in alto?
Alunno 01: Sì. È solo da quel punto che la scala appare reale!
Prof.1: Ma… non è che per caso hai realizzato anche il Belvedere di Escher?
Alunno 01: Sì. Eccolo qui!
Prof.1: Bellissimo! Sembra proprio reale!
Alunno 01: Sì. E ci si può salire sopra, scoprendo che i due piani sono perpendicolari e scollegati e che la scala che collega i due piani in realtà è come sospesa.
Prof.1: Bellissimo! Davvero un gran bel lavoro!
La voce si perde, mentre entra Alunno 02:
Il gioco della PROSPETTIVA
Alunno 02: Buonasera a tutti e benvenuti alla seconda conferenza corale di BergamoScienza! Dopo il successo strepitoso dell’anno scorso (se n’è parlato per settimane nei corridoi della scuola) abbiamo deciso di ripetere l’esperienza. Durante questa serata, vi mostreremo ciò che abbiamo realizzato nei nostri laboratori…
Prof.2: (seduta tra il pubblico) Ma… e la scena di prima? Non spieghi cosa è successo?
Alunno 02: Beh… (imbarazzata) La scena di prima… che dire? Diciamo che si può prestare a diverse interpretazioni, a seconda del punto di vista! Magari è successa davvero da qualche parte – magari quest’estate a casa della Prof.1 – o magari è stato solo un modo per introdurre questa conferenza. Insomma, è davvero difficile stabilire dove stia di casa la verità, così suscettibile ai… punti di vista!
Ma non perdiamo tempo e concentriamoci sul lavoro che dobbiamo fare questa sera! Non vi avevano avvisato? Questa sera vi proponiamo un piccolo gioco, giusto per scaldare un po’ l’atmosfera. Il gioco si intitola: Punti di vista! Vi mostreremo delle fotografie e voi dovrete indovinare di cosa si tratta! Pronti? Basta alzare la mano per rispondere.
Ecco la prima. Che cos’è?
Diverse voci si alzano dal pubblico: chi dice un pupazzo, chi parla di una rana (!)…
Prof.3: (sbracciandosi) Io lo so, io lo so, io lo so!
Alunno 02: (sottovoce, fingendo di parlare solo con la Prof.3) Certo professoressa, che lo sa: mi ha aiutato lei a trovarla!
Prof.3: (facendo finta di nulla) È un portasapone!
Alunno 02: Ehm… sì! Bravissima! Passiamo alla seconda immagine allora! Cos’è questo?
Diverse voci si alzano dal pubblico: qualcuno dice sia Batman, qualcuno parla di un pupazzo…
Prof.3: (sbracciandosi) Io lo so, io lo so, io lo so!
Alunno 02: (sottovoce, fingendo di parlare solo con la Prof.3) Certo professoressa, però, per favore, non risponda lei: è bene che partecipino gli altri!
Prof.3: (facendo finta di nulla) È un apribottiglie!
Alunno 02: Ehm… sì! Bravissima! Sembra proprio che le sapesse in anticipo, eh? Ma allora vediamo se sa cos’è questo!
Questo non lo conosce! Per forza! L’ho inserito senza che lei lo sapesse. Qualcuno sa cos’è?
Diverse voci si alzano dal pubblico: qualcuno dice sia una pianta, qualcuno una rana (!) e poi:
Alunno 03: È uno scopino del water! Anzi: è meglio noto con il nome di Merdolino!
Alunno 02: Esatto! Bravissimo! E… questo?
Prof.3: (sbracciandosi) Io lo so, io lo so, io lo so!
Prof.2: (infastidita) Sì, Prof.3, lo sappiamo anche noi! Ma non per questo ci agitiamo come fai tu e diciamo a tutti che è un portauovo! Basta adesso!
Prof.3: Ma così l’hai detto tu! E non hai nemmeno alzato la mano!
Prof.2: Boh, è vero! (e ride)
Alunno 02: (seccata) Beh, direi che questo gioco di riscaldamento non ha funzionato molto.
Allora, passiamo a cose un po’ più serie e lasciamo la parola ai due seri del gruppo, che ci raccontano la prospettiva da un punto di vista molto particolare. Vi presento il Prof.4 e Alunno 03, studente del liceo scientifico.
La PROSPETTIVA in matematica
Prof.4: Buonasera a tutti. Ora, con Alunno 03, ripasseremo il laboratorio sulla proiezione stereografica che abbiamo presentato alle elementari, perciò, anche se parleremo di matematica, state tranquilli: è davvero semplice!
Alunno 03: Ma certo, è talmente semplice che avremmo potuto presentarlo anche all’asilo.
Prof.4: Ok, allora... anche se non ce ne sarebbe bisogno, spiega un attimo al nostro pubblico cosa sta vedendo in questo momento sulla slide.
Prof.3: LA PROIEZIONE STEREOGRAFICA!!!
Alunno 03: Ma sì, lo sappiamo che per noi è ovvio, visto che ne abbiamo parlato alle elementari... Cerchiamo di stare concentrati e prendiamo la 2-sfera che tutti conosciamo, con il suo bel polo Nord N, di coordinate (0; 0; 1). Consideriamo poi un punto P, di coordinate generiche (x'1; x'2; x'3) appartenente a S2 privata di N. Per dedurre l’immagine P’ mediante la proiezione stereografica sul piano z=0, come evidente dalla figura, bisogna determinare l’intersezione della retta NP con xy.
Prof.4: Con calcoli banali troviamo che le equazioni di NP sono (x1-0)/(x’1-0)=(x2-0)/(x’2-0)=(x3-1)/(x’3-1), quindi ponendo x3=0, ricaviamo le coordinate di P’: (x’1/(1-x’3); x’2/(1-x’3)), da cui l’azione della proiezione stereografica πN che tutti conosciamo. (tra il pubblico si sente un po’ di fermento e il Prof.4 si gira, stizzito, facendo segno alle ragazze di fare silenzio)
Alunno 03: E per dimostrare che è una mappa biunivoca tra e il piano basta ora considerare il viceversa: sia, quindi, un generico punto di R2... (Le chiacchiere del pubblico aumentano di volume e…)
Prof.4: Alunno 05, per favore, potresti smettere di chiacchierare? Stai disturbando la nostra lezione!
Alunno 05: Mi scusi, prof, non avevo capito che si trattava di una lezione, ma: penso che stiate esagerando!
Prof.4: (infastidito) Cosa intendi, scusa?
Alunno 05: Scusi, non volevo farla arrabbiare, ma intendo che, secondo me, c’è un modo più semplice per spiegare queste cose!
Prof.4: Ah sì! Beh, questo è il tuo punto di vista! (rivolgendosi a Alunno 03, con sarcasmo) A questo punto direi che possiamo lasciare spazio a Alunno 05, allora, visto che ritiene di poter far meglio di noi. Prego, Alunno 05! Procedi!
(Alunno 05 sale sul palco, un po’ imbarazzata)
PROSPETTIVA e geografia
Alunno 05: Scusate, non volevo essere presuntuosa, ma credo che queste cose si possano spiegare con una certa semplicità, visto che, dopo tutto, le abbiamo spiegate anche ai bambini di quarta elementare durante i laboratori. Voi stavate capendo la spiegazione?
(coro di no, proveniente dal pubblico – aizzato dagli animatori presenti)
Ok, allora provo io a spiegarvelo, che ne dite?
Sappiamo tutti che possiamo rappresentare la superficie della Terra, che è rappresentabile con una sfera.
Prof.4: UN GEOIDE!
Alunno 05: Sì, ehm, si può approssimare con una sfera, non abbiamo parlato di geoidi con i bambini delle elementari. (Alunno 03 e il Prof.4 lasciano il palco, infastiditi) Comunque, possiamo rappresentare la superficie della Terra con i paralleli, circonferenze parallele all’Equatore, e i meridiani, le circonferenze massime passanti per i Poli, e questo permette di realizzare un reticolo, che possiamo riportare su un foglio per rappresentare i continenti. Ovviamente una carta piana non può riportare precisamente ciò che si trova su una sfera: pensate ad un’arancia! Qualcuno è mai riuscito ad appiattire completamente la buccia intera di un’arancia? No! Non è possibile! (e, come dimostrazione, sbuccia un’arancia e cerca di appiattirne la buccia). Perciò, una carta geografica “piatta” non può che essere un’approssimazione di ciò che si trova sulla sfera.
Procediamo a realizzare la nostra carta geografica, come abbiamo fatto con i bambini delle elementari. Prendiamo come riferimento l’Equatore, che evidenziamo sulla carta, e un meridiano a caso (nel caso della Terra si usa il meridiano di Greenwich): questi costituiscono i nostri assi cartesiani sul foglio. Contando i meridiani e i paralleli, possiamo ottenere le coordinate dei vertici della figura rappresentata su questa sfera e, unendoli, rappresenteremo il “continente” anche sulla nostra carta. Partiamo dall’origine e scegliamo il primo punto del nostro continente a forma di M: ci spostiamo verso destra di 2 unità e verso il basso di altre 2 unità e rappresentiamo questo punto sul piano. Procediamo con il secondo punto, che si trova 4 unità lungo il meridiano andando verso il polo Nord e facciamo la stessa cosa con tutti gli altri vertici della nostra M.
Quella che ho usato per questa proiezione è la carta di Lambert, che, come possiamo vedere dagli indicatori di deformazione di Tissot, conserva le aree dei continenti, ma non le loro forme. Infatti, le circonferenze rappresentate diventano ellissi avvicinandosi ai Poli, ma mantengono la stessa area. Al contrario, la proiezione di Tolomeo, che avviene a partire da un Polo e tracciando i raggi che incontrano i punti della semisfera opposta e li proiettano su un piano parallelo all’Equatore ma passante per l’altro Polo, conserva le forme, e quindi gli angoli, ma non le aree, infatti le forme restano sempre circolari, ma aumentano la propria area allontanandosi dai Poli. Infine, la carta forse più nota è quella di Mercatore, che non conserva l’area, ma l’ampiezza degli angoli e per questo motivo era la preferita dai navigatori.
(Alunno 05, presa dalla spiegazione, decide di andare anche oltre)
Alunno 05: Sapete, durante i laboratori non abbiamo parlato solo di carte geografiche, ma anche di stelle e credo che potrebbe spiegarvele molto bene il mio collega Alunno 06. Alunno 06 (chiamandolo dal pubblico), puoi proseguire tu?
La PROSPETTIVA delle stelle
Alunno 06: (salendo sul palco) Grazie, Alunno 05, per questa occasione. Io direi, però, che potremmo parlare delle stelle come avremmo voluto fare fin dall’inizio. Ricordi al campus quando avevamo parlato degli oroscopi, ma i professori hanno detto che non avrebbe funzionato durante i laboratori? Io direi che, visto che con le stelle abbiamo avuto un grande successo, potremmo cominciare proprio dall’oroscopo. Però lo facciamo in modo un po’ originale! Allora… Visto che io sono del segno del toro, comincerei proprio dalla costellazione del Toro e leggerei l’oroscopo di oggi per me (alle sue spalle compare l’immagine della costellazione del Toro allo specchio ma lui non se ne accorge, troppo intento a frugare in tasca alla ricerca dell’oroscopo del giorno…)
“La giornata del toro non avrà grandi eventi di rilievo” – (commenta con Alunno 05) vero! Non è successo niente di che, oggi
Alunno 05: Infatti, siamo stati qui tutto il giorno a fare le prove!
Alunno 06: (proseguendo nella lettura) “ma in serata avrà l’occasione di sentirsi al di sopra di tutti” – ed effettivamente sono qui su un palco, più in alto di tutti voi! – “Peccato che questa sensazione di forza sarà in qualche modo smorzata dall’amore” – Perché? Con Alunno 07 va tutto bene…
Alunno 05: Non avete litigato?
Alunno 06: No, va tutto bene! Comunque, l’oroscopo si conclude con: “Il vostro partner vi riporterà con i piedi per terra!” – Chissà che significa…
(Alunno 06 non fa a tempo a finire la frase, che una inviperita Alunno 07 lo tira giù dal palco e, cercando di non farsi sentire dal pubblico, sibila):
Alunno 07: Ma sei impazzito? Cosa stai facendo? Va bene che assomigli a Paolo Fox, ma mi pare che tu stia esagerando!
Alunno 06: Ma è una cosa del campus. Tu non c’eri, non puoi saperlo!
Alunno 07: Però so che non si può parlare di oroscopi durante un festival scientifico! Facciamo così, lascia perdere questa storia degli oroscopi e facciamo vedere l’attività delle stelle, dai! (Lo riporta sul palco e poi si rivolge al pubblico) Magari potremmo far partecipare al nostro gioco qualcuno del pubblico, per far vedere come funziona la nostra attività sulle stelle, che ne dici?
Alunno 06: Hai ragione! (Sale sul palco uno degli animatori dell’anno scorso)
Alunno 07: Dopo tanti anni da animatore, una volta tanto fai l’animato!
Alunno 06 e Alunno 07 presentano l’attività, mentre ExAlunno 08 deve realizzare quanto richiesto
Come vedi, ExAlunno 08, all’interno della scatola abbiamo realizzato la costellazione della bilancia (Alunno 07 accende la torcia del cellulare, per illuminare l’interno della scatola, ExAlunno 08 si inchina a guardare all’interno). Se, però, giriamo la scatola e mostriamo il piano laterale della nostra scatola, vediamo che non compare più la costellazione, come l’avevamo vista all’inizio. Sai dare una spiegazione?
ExAlunno 08: Beh, perché girando la scatola ho un diverso punto di vista!
Alunno 06: Esattamente! E proprio questo ci ha permesso di far capire ai partecipanti ai nostri laboratori che le costellazioni non esistono realmente, sono delle illusioni!
Alunno 02: Volete parlare di illusioni? Allora tocca a me…
(Alunno 02 fa per alzarsi, ma Alunno 09 la trattiene e le sibila) Non tocca a te, ora!
Alunno 02: Non tocca a me? Sei sicura?
Alunno 09: Sicurissima
Alunno 06: (riprendendo a parlare come se non fosse stato interrotto) Credo che sia chiaro per tutti come funziona questa storia delle costellazioni. Anche la visione di una costellazione dipende dal punto di vista e quelle che noi “leggiamo” nella volta celeste sono frutto della nostra posizione e, in altre parole… (Tra il pubblico, Alunno 10 ed Alunno 11 cominciano a parlottare, interrompendo la spiegazione di Alunno 06) Alunno 10, Alunno 11, non potreste stare un po’ zitte? Qui stiamo cercando di lavorare!
Alunno 10: Alunno 06, stavo solo dicendo a Alunno 11 che, secondo me, quello che abbiamo fatto nel laboratorio di arte potrebbe essere più semplice per spiegare la prospettiva. Se vuoi, possiamo andare a prendere una cosa nella sala della mostra e te la facciamo vedere. (Senza aspettare una risposta, si alzano ed escono)
Alunno 06 (rivolto a Alunno 07): Ma tu sai di cosa stanno parlando?
(Alunno 07 scuote la testa. Rientrano Alunno 10 ed Alunno 11 e salgono sul palco)
PROSPETTIVA meccanica
Alunno 11: Stavo raccontando a Alunno 10 che durante la mostra, abbiamo usato questo strumento inventato, pensate un po’, da Leonardo da Vinci. Noi l’abbiamo realizzato per la mostra, ma è stato così efficace che anche i bambini più piccoli riuscivano a capirne il funzionamento. Avremmo bisogno, però, di qualcuno del pubblico per spiegarlo meglio e…
(Alunno 12, travestito da Leonardo da Vinci con una vistosa tunica dorata e una parrucca, che lo fa assomigliare più a Einstein che a Leonardo, sale sul palco, inchinandosi di fronte al pubblico. Dal pubblico – sempre aizzato dagli animatori – si levano grida entusiaste. Alunno 11 e Alunno 10 sono un po’ intimidite):
Alunno 10: Buonasera, signor Leonardo! Che piacere averla qui con noi!
(Leonardo-Alunno 12 non parla, si limita a fare cenni con la testa e a sorridere)
Alunno 11: Signor Leonardo, vuol provare a farci vedere come funziona questo strumento di sua invenzione?
(Leonardo-Alunno 12 si siede e, enfatizzando i gesti, comincia a disegnare. Nel frattempo, Alunno 11 e Alunno 10 predispongono un solido dietro la reticella e spiegano al pubblico)
Alunno 10: Vedete, questo strumento è un prospett… un prospett…
(dal pubblico si leva una voce):
Prof.3: PROSPETTOGRAFO!
Alunno 11: Ecco, grazie… Questa, ehm, finestrella! serve per rappresentare con facilità gli oggetti in un disegno, dando un’idea di profondità.
Alunno 10: Sì, Alunno 11, serve per trasferire la realtà tridimensionale su un foglio bidimensionale, usando la prospettiva, senza però aver bisogno di conoscere tutte le regole della prospettiva. In questo modo, si riesce a dare un’idea di profondità e…
(Leonardo-Alunno 12 si alza in piedi e mostra una riproduzione del Cenacolo!)
Alunno 11: Oh… beh… (resta senza parole)
Alunno 10: Beh, direi che non ha proprio esattamente mostrato come funziona, ma… beh, diciamo che ha usato la prospettiva. (voltandosi verso il pubblico) Voi che dite?
(applausi dal pubblico, aizzati dagli animatori. Leonardo-Alunno 12 si inchina e si allontana dal palco compiaciuto)
Alunno 11: Beh… (imbarazzata) direi che abbiamo fatto ciò che volevamo, ma mi ero illusa che…
Alunno 02: Volete parlare di illusioni? Allora tocca a me…
(Alunno 02 fa per alzarsi, ma Alunno 09 la trattiene e le sibila) Non tocca a te, ora!
Alunno 02: Non tocca a me? Ma a chi tocca allora?
(dal pubblico si leva una voce):
Prof.3: alla Prof.5!
(La Prof.5 si alza in tutta fretta e si avvicina al palco)
PROSPETTIVA chimica
Prof.5: Buonasera a tutti! Scusate, mi sono distratta un attimo! È che i ragazzi sono così bravi che si resta rapiti ad ascoltarli, non trovate? Allora, io sono un’insegnante di scienze, ma sono innanzi tutto una chimica e, quindi, vorrei parlarvi di chimica. Sapete, quando abbiamo progettato questi laboratori di BergamoScienza, noi docenti di scienze avevamo grandi idee e avremmo voluto parlare di tante cose, ma i ragazzi… beh, sapete come sono fatti i ragazzi! Hanno detto che, siccome toccava a loro fare i laboratori, avrebbero scelto loro di cosa parlare e, quindi, abbiamo dovuto rinunciare alla bellissima storia di… Rosalind Franklin!
(Alunno 13, impersonando Rosalind, sale sul palco con passo elegante e si inchina al pubblico)
Sapete chi è Rosalind Franklin? È stata una chimica, biochimica e cristallografa britannica e il suo lavoro è stato fondamentale per capire la struttura del DNA… Mi pare importante raccontarvi la sua storia! (Prendendo in mano il libro in inglese su Rosalind Franklin, la Prof.5 finge di tradurre) Sapete, ho appena fatto il corso B2, perciò posso permettermi di tradurvi direttamente il testo!
C'era una volta una giovane scienziata di nome Rosalind Franklin. Era molto curiosa e intelligente, e passava le sue giornate in laboratorio, cercando di scoprire i segreti della vita. Un giorno, dopo tanto lavoro e studio, fece una scoperta incredibile. Rosalind era felice, ma anche concentrata. Sapeva di avere qualcosa di grande tra le mani, ma non immaginava che due loschi scienziati, Watson e Crick, stessero osservando da lontano, pronti a prendersi il merito di quella scoperta. Senza che lei lo sapesse, rubarono la famosa ‘Foto 51’. Con quell’immagine, Watson e Crick capirono come era fatta la struttura del DNA. Svelarono al mondo la loro scoperta, e furono acclamati come eroi. Ma nessuno sapeva che, in realtà, il loro grande successo era anche merito di Rosalind.
(Mentre la prof.5 racconta, Rosalind-Alunno 13 guarda nel microscopio, poi ad un certo punto ne tira fuori una fotografia e la osserva. Nel frattempo, Watson-Alunno 14 e Crick-Alunno 15, la guardano scuotendo la testa, commentando tra loro con aria sarcastica. Quando Rosalind-Alunno 13 mette la foto nella borsa, Watson-Alunno 14 e Crick-Alunno 15, le rubano la borsa. Poi si vedono esultanti mentre ricevono il premio Nobel consegnato da Alunno 10. Ad un certo punto, Watson-Alunno 14 prende la parola):
Watson-Alunno 14: (parlando con accento inglese) Vorrei raccontarvi la mia versione della storia, o meglio la versione ufficiale, e non ho bisogno di spendere troppe parole. La verità è che Rosalind non aveva davvero capito quale sarebbe stata la struttura del DNA. Ha fatto semplicemente una buona fotografia, tutto qui, ma non era in grado di interpretarla. Vorrei farvi vedere cosa abbiamo intuito io e Crick e, casualmente, ho qui una piccola realizzazione tridimensionale di ciò che intendo. (Alunno 14 mostra al pubblico la sua riproduzione di un modello del DNA e alle sue spalle compare l’immagine di come abbia funzionato la fotografia, mostrata durante un laboratorio dai nostri animatori). Quella di aver capito davvero la struttura del DNA era, per Rosalind, solo una vana illusione…
Alunno 02: Volete parlare di illusioni? Allora tocca a me…
(Alunno 02 fa per alzarsi, ma Alunno 09 la trattiene e le sibila) Non tocca a te, ora!
Illusioni PROSPETTICHE
Alunno 02: Non tocca a me? Ma… Le illusioni sono belle, devo parlarne io! (Sale sul palco e comincia a mostrare delle illusioni sullo schermo). Allora: è il momento di parlare delle illusioni ottiche. Sapete, no, quando il cervello male interpreta ciò che vedono gli occhi? Ecco, ora vediamo se voi riuscite a vincere il vostro cervello. Ecco la prima illusione: secondo voi, qual è la linea più lunga tra queste due in neretto?
Alunno 09 (dal pubblico, esasperata): sono uguali, è evidente!
Alunno 02: Ma, veramente, non è così evidente, comunque… passiamo alla prossima:
Alunno 09 (dal pubblico, esasperata): i due tavoli sono uguali!
Alunno 02: Ma io non avevo ancora chiesto niente. Ma Alunno 09, insomma, smettila, non puoi far sempre così
Alunno 09 (dal pubblico): Ma smettila tu, scusa!
Prof.2 (dal pubblico), facciamo che smettete entrambe? Anzi (alzandosi e andando verso il palco, e rivolgendosi al pubblico), io direi che si è fatta una certa e che potremmo anche chiudere qui…
Prof.1 (dal pubblico): NO!
Prof.2: Come scusa?
Prof.1 (dal pubblico): Ci sono ancora 212 slide da mostrare, non si può chiudere così! Alunno 16, prof.6, non dovevate parlare delle vostre proiezioni?
(Alunno 16 e prof.6 si alzano dal proprio posto tra il pubblico e raggiungono il palco)
PROSPETTIVA anamorfica
Prof.6: Direi che non si può chiudere la conferenza senza parlare dell’anamorfosi!
Alunno 07: Oh, che bello, professoressa, l’ha pronunciato alla greca! Si vede proprio che è una grecista!
Prof.6: Grazie, Alunno 07. Dicevamo, Alunno 16, che ne dici di parlare di anamorfosi?
Alunno 16: Sono d’accordo! Soprattutto dopo che ho passato un intero pomeriggio, con la prof.7, a capire come colorare quelle benedette griglie!
Prof.6: Sì, certo, ma soprattutto dobbiamo parlarne perché sono davvero belle. Sai, ad esempio, che sono state fondamentali per realizzare la Cappella Sistina?
Alunno 16: No, guardi professoressa che si confonde: l’anamorfosi è quella che abbiamo fatto con le griglie quelle rotonde
Prof.6: Intendi le griglie polari?
Alunno 16: Sì, certo… non ho detto polari?
Prof.6: No, comunque l’anamorfosi è quella deformazione che Michelangelo ha dovuto usare per rappresentare le figure umane più in alto nella Cappella Sistina, altrimenti per un effetto prospettico noi…
Alunno 16: Sì, va bene, è interessante, ma forse è meglio se presentiamo quello che abbiamo fatto con i bambini delle elementari, no? Così almeno capiscono tutti!
Prof.6: Va bene, come vuoi tu.
Alunno 16: (mostrando l’immagine di un disegno realizzato su una griglia polare) Ad esempio questo: secondo lei cosa rappresenta?
Prof.6: Eh… io direi: chiediamolo al pubblico! Però… prof.3, per favore, non dare tu la risposta, ok? Lasciamo che ci provino loro!
(Tentativi da parte del pubblico e poi…)
Alunno 16: C’è un trucco per capire cosa è rappresentato! Basta usare uno specchio cilindrico…
Prof.6: Sì, direi che così è più chiaro (mostrando la fotografia della griglia polare riflessa da uno specchio cilindrico). Certo che l’idea di rappresentare un cuore con occhi e bocca…
Alunno 16: Proviamo con questo, allora! Che cos’è? (e mostra una seconda griglia polare)
(Tentativi da parte del pubblico e poi…)
Alunno 16: Lo so, lo so, quel cappello sembrava un colletto, vero? E invece no! L’immagine è capovolta!
Prof.6: Ma così, Alunno 16, hai svelato il trucco. Ora non funzionerà più…
Alunno 16: Secondo me non è così semplice, nemmeno conoscendo il trucco. Proviamo! Cos’è questo?
(Tentativi da parte del pubblico e poi…)
Prof.6: Questo effettivamente non è semplice, nemmeno a sapere che devi guardarlo a testa in giù. Proviamo a girarlo (l’immagine viene capovolta)
Prof.6: Così dovrebbe essere più chiaro…
Alunno 16: Certo, sì! Ed è… (rivolgendosi al pubblico… e…)
Prof.3: UN CUORE! Scusate, non ho resistito, ma era così semplice!
Alunno 16: Semplice, certo!
Prof.6: Alunno 16, siccome non abbiamo la foto sullo specchio, potremmo invitare qualcuno del pubblico perché verifichi se è davvero un cuore, no? (Rientra Leonardo-Alunno 12)
Alunno 16: Ecco, nessuno meglio di Leonardo può verificarlo visto che pare che anche lui abbia realizzato delle anamorfosi. (Leonardo-Alunno 12 controlla il riflesso, osserva l’immagine proiettata, ci pensa un attimo, guarda di nuovo il riflesso e poi, convinto, alza i pollici)
Prof.6: Direi che se anche Leonardo ha confermato, possiamo dirci soddisfatti e potremmo anche concludere, no? Prof.1, vuoi concludere tu?
Prof.1: (salendo sul palco) Direi che possiamo davvero chiudere qui. Abbiamo parlato di tutto quello che abbiamo presentato nei nostri due laboratori: nel primo, abbiamo fatto un percorso matematico-artistico, che è stato presentato proprio in questa sala, parlando di anamorfosi e mostrando la finestrella prospettica.
Prof.3: PROSPETTOGRAFO!
Prof.1: Sì, certo, prospettografo… o finestrella prospettica! E comunque il nome non cambia la sostanza… ma in ogni modo, stavo concludendo (guardando storto la Prof.3). Le attività che abbiamo svolto nel laboratorio di scienze, invece, avevano per oggetto le carte geografiche, le costellazioni e gli inganni prospettici. Forse stasera abbiamo parlato in modo un po’, diciamo così, originale di queste cose e forse avete ritenuto che siamo stati un po’… sopra le righe, ecco! In tal caso, forse sarebbe meglio rendersi conto che questa non è stata una vera conferenza, ma una… come dire?... illusione?!?!
Alunno 02: Illusione! Ha parlato di illusione! Tocca ancora a me, allora
(Alunno 02 fa per alzarsi, Alunno 09 comincia a tirare fuori un sacco di fogli, quelli usati nel laboratorio)
Alunno 09: Alunno 02, basta! Sono qui le tue illusioni, vedi? E le conoscono tutte tutti! Ora basta, vieni con me che usciamo!
Alunno 02: Ma io…
Alunno 09: Basta, Alunno 02, andiamo che è tardi! (e la accompagna fuori, mentre, parlando sottovoce, ma facendosi sentire dal pubblico): Tra la palla pelosa l’anno scorso e le illusioni quest’anno, hai fatto proprio una pessima figura!
Prof.1: Ecco, sì! È tardi! Perciò non mi resta che ringraziarvi per la vostra presenza, sperando che vi siate divertiti. Noi, nel caso non si fosse notato, ci siamo divertiti un sacco! Buona serata!
Realizzato con il contributo di Carolina Bergamini, Chiara Bertoni, Asia Corna, Francesco Mognetti, Roberta Moretti e dei ragazzi che hanno partecipato ai laboratori di Arte-Matica realizzati presso il nostro istituto, per partecipare al festival di BergamoScienza, Chiara, Rossana, Davide, Luca, Alessio, Luca, Agata, Federica, Nicole, Emma, Lorenzo, Beatrice ed Elisa. L’articolo è la trascrizione (quasi) fedele della conferenza presentata al pubblico venerdì 11 ottobre, nella Sala degli Affreschi dell’Accademia Tadini. Grazie al curatore dott. Marco Albertario per l’ospitalità e per le idee, sparse qua e là, grazie alle quali è stata realizzata la mostra presentata nel corso del Festival.
In allegato le slide realizzate per l'occasione
È capitato in più occasioni che qualcuno mi domandasse come riesca a trovare il tempo per la newsletter: questa è una di quelle volte in cui trovare il tempo non è stato facile ed ecco spiegato il ritardo di una settimana! Il Festival di BergamoScienza, con i laboratori gestiti dai ragazzi del nostro Istituto, ha riempito ogni vuoto, lasciando poco spazio per la newsletter. Eppure, la necessità di scrivere anche solo due righe si fa sentire: è una necessità che nasce dal bisogno di rimettere ordine fra i contenuti matematici incontrati sul web dall’ultima newsletter e, al tempo stesso, di creare una memoria, che trovi nei contenuti online una risonanza a ciò che vivo.
Succede un po’ la stessa cosa anche con il Carnevale della Matematica, che è stato ospitato il 14 settembre scorso – nella sua 180^ edizione – proprio da Amolamatematica. Ho proposto il tema dello sport, perché siamo stati tutti immersi nello sport durante la stagione estiva, grazie alle Olimpiadi. I miei alunni mi accusano di vedere la matematica ovunque, ma la verità è che… la matematica È ovunque! Quando gli atleti vengono intervistati, al termine delle gare, possiamo leggere nelle loro parole la stessa fatica richiesta per un’impresa intellettuale come la matematica. Nonostante la sua astrazione, lo studio della matematica non è così lontano dalla volontà di essere il/la più veloce nella corsa o nel nuoto, di essere quell* che arriva più in alto nella gara di salto, o quell* che fa il tuffo migliore. Insomma, una qualsiasi impresa che richieda impegno, tenacia e un lavoro continuo non può che essere associata alla matematica, per questo ho elencato le caratteristiche necessarie per una buona riuscita nello sport, abbinando ad ogni sportivo un matematico o un fisico. La risposta dei matematti non mi ha deluso: Annalisa Santi, di Matetango, ha parlato del golfista Francesco Molinari, Mauro Merlotti dalle pagine dello Zibaldone scientifico ha parlato del fotofinish e Roberto Zanasi, nel suo blog Gli studenti di oggi, ha proposto una classifica particolare delle Olimpiadi. Il tema è piaciuto poi particolarmente a Paolo Alessandrini, autore di Matematica in campo, che dopo aver coniugato in maniera eccezionale matematica e calcio nel suo libro, ha proposto parecchi contenuti anche per il carnevale. Non sono mancati i contenuti di Marco Menale, Cesco Reale, Alberto Saracco e Stefano Pisani, dalle pagine di MaddMaths!, mentre Gianluigi Filippelli, con Dropsea, ha proposto un articolo a tema Formula Uno.
Teoremi al Cinema
Mentre la matematica mi trasportava lontano grazie alla prospettiva, mi sono ritagliata un po’ di tempo per guardare Il teorema di Margherita: è un peccato non aver avuto occasione di vederlo in sala, visto che a casa si finisce sempre con il lasciarsi distrarre da mille cose, ma è valsa la pena guardarlo su Raiplay. Il film mi è piaciuto, ma guardandolo ho toccato con mano come le cose riportate da altri (i commenti letti o ascoltati in rete dopo l’uscita del film) siano sempre viziate dal punto di vista: guardando un film, la nostra attenzione viene attratta da ciò che scatena più emozioni dentro di noi in quel momento. Io sono rimasta colpita da un particolare messo in evidenza dal film: quando una mente matematica va alla ricerca della soluzione di un problema, o della dimostrazione di un teorema, non racchiude la propria azione in un luogo e un tempo definito, ma va alla ricerca di idee, spunti e strategie, anche nella vita di tutti i giorni, come capita appunto a Margherita durante il gioco del Mah Jong.
Indimenticabile topologia
Ogni partecipazione a BergamoScienza crea una nuova strada e permette approfondimenti matematici che lasciano un segno, nella mia testa. È successo con la topologia, trattata l’anno scorso (indimenticabile la nostra Conferenza senza bordi!): ha lasciato un segno tale che non potevo non guardare il video di Tom Crawford dedicato alla bottiglia di Klein. Nello stile del personaggio, l’argomento è stato trattato con grande originalità, grazie alla presenza di Moira Chas, artista e docente alla Stony Brook University. Si parte dalla presentazione classica della Bottiglia di Klein, mentre Moira non manca di sottolineare durante la spiegazione come, nei suoi scritti, Klein non parli di una bottiglia, ma di una superficie: è stato poi il traduttore a vedere una bottiglia in questa superficie e a indicarla in questo modo. Nel corso del video, Moira presenta diverse bottiglie di Klein, una a partire da un rettangolo che porta a due anelli che sembrano intrecciati tra loro e che mi hanno fatto venire voglia di riprendere in mano l’uncinetto e il filo per provare a replicarlo (sul suo sito si trovano un sacco di suggerimenti per realizzare la topologia all’uncinetto!) In tutto questo, Tom Crawford ascolta con evidente interesse e meraviglia le spiegazioni di Moira e, a un certo punto, ammette candidamente di non aver mai studiato topologia e Moira reagisce con un “mi dispiace per te!”. Un video da guardare assolutamente, soprattutto se siete alla ricerca di idee e spunti originali per lavorare con la matematica.
Problemi sconcertanti e poliedri inaspettati
Tra i vari canali che seguo su YouTube c’è quello di Mind Your Decisions, citato già in passato, e la proposta di Presh Talwalkar in questo caso è davvero interessante. Nella formulazione del problema sembra che ci stia facendo uno scherzo: si parla di una via con case numerate in modo consecutivo, a partire dall’1, si parla di uno degli abitanti, Benoit, che abita in questa via e fa la media dei numeri delle case, escludendo la propria. Aggiungendo al risultato la propria età, ottiene come risultato 20,16. Se sappiamo che oggi è il suo compleanno, qual è l’età di Benoit? La soluzione del quesito offre uno spaccato interessante della matematica, uscendo dagli schemi abituali e obbligando a mettere in gioco una serie di strategie e una grande attenzione ai particolari, che non possono che meravigliarci.
Ogni volta che mi imbatto in un video di Vihart, non posso che restare a bocca aperta a vedere cosa riesce a realizzare con un pezzo di carta, forbici e pennarelli. In questo video propone gli scutoidi, in tre versioni diverse. Secondo Wikipedia, «Lo scutoide è un solido geometrico compreso tra due superfici parallele (poligoni), dove due vertici di uno dei poligoni sono uniti ad un vertice del poligono opposto tramite una curva o una congiunzione a forma di Y. Lo scutoide formato dall’unione di un esagono e un pentagono è stato definito per la prima volta nel 2018 dai ricercatori dell’Università di Siviglia osservando le cellule epiteliali che aderiscono tra loro per formare un tessuto con la funzione di rivestimento in grado di curvarsi e piegarsi. In futuro potrà avere applicazioni in biomedicina, ingegneria tissutale e nella creazione di organi artificiali.» La tassellazione che riesce a realizzare permette di riempire lo spazio, ma ci offre anche tanta bellezza: il video di Vihart fa venire voglia di mettersi alla prova…
Anche con BergamoScienza abbiamo realizzato bottiglie di Klein, nastri di Mobius, ma non ci siamo (per ora) cimentati con gli scutoidi: per questa edizione ci siamo accontentati di un piccolo braccialetto che cambia colore a seconda di come lo si osserva. Nel trattare la prospettiva, l’oggetto è stato l’ideale per sottolineare l’importanza del punto di vista, di come la percezione delle cose cambi a seconda di come lo guardiamo. Il bracciale ha conquistato i partecipanti alla scuola in piazza e speriamo che coinvolgerà anche quanti parteciperanno, domani, alla prima edizione del Celeri in Piazza, che si svolgerà sulla piazza del porto di Lovere.
Novità importanti!
Non posso che chiudere la newsletter richiamando la notizia condivisa sui social: il sito MaddMaths! è ora un’associazione! Si tratta di «un’organizzazione senza scopo di lucro, con l’obiettivo di promuovere la matematica, la ricerca e la cultura scientifica, combattendo i pregiudizi e le resistenze verso le discipline STEM.» L’associazione, oltre ad avere questi grandi obiettivi condivisibili da tutti coloro che hanno a che fare in qualche modo con la matematica, aggiunge una «particolare attenzione all’insegnamento della matematica e alle questioni di genere, sociali, economiche e culturali ad essa collegate». A questo punto MaddMaths! non sarà più «solo una vetrina della matematica, sia italiana che internazionale, ma anche un luogo di incontro e confronto per chiunque sia interessato: studenti, insegnanti, persone attive nella ricerca, curiosi, fino a chi ha solo un’infarinatura di matematica.» La prima Assemblea è stata convocata per martedì 22 ottobre alle 18.30 e siccome possono partecipare solo le persone che abbiano già ricevuto comunicazione dell’approvazione del Consiglio Direttivo della loro adesione all’Associazione, meglio iscriversi quanto prima!
Buona matematica e buon cammino! Ci sentiamo tra TRE settimane!
Daniela
PS: Traduzione della vignetta allegata
Mi spiace per il mio compito di matematica, signora.
Nel venire a scuola, stamattina, l'ho in qualche modo lasciato cadere nel fango.
Magari potrebbe pulirlo con la sua manica... vuole provare?
Immagino di no
“Canta canta, il merlo, il merlo tra i cespugli”
(poesia gaussiana)
Benvenuti all’edizione numero 180 del Carnevale della matematica!
Come i precedenti, il numero 180 è introdotto dalla consueta CELLULA MELODICA predisposta da Dioniso Dionisi che l’ha definita una «cellula melodica con un’armonizzazione minimalista».
180 è, evidentemente, un numero pari, e, come evidenziato dalla poesia gaussiana sopra riportata ha cinque fattori primi: 2 (che corrisponde a “canta”), 3 (che corrisponde a “il merlo”) e 5 (che corrisponde a “tra i cespugli”). Le ripetizioni della cellula melodica (e la fattorizzazione imparata alla scuola secondaria di primo grado!) ci fanno dire che 180 è dato da 2x2x3x3x5. La somma dei suoi divisori (sono 18) è 366, perciò 180 è un numero abbondante, ma è anche l’undicesimo numero altamente composto, che significa che ha più divisori di tutti i numeri che lo precedono (il prossimo sarà 240). Tra le curiosità a mio avviso più belle che emergono dal web cercando 180:
Visto che mi sto perdendo in campo automobilistico, non posso non citare l’«inversione a U», che può essere indicata come una svolta di 180°. È abbastanza comune, quando si nomina 180, pensare all’angolo piatto, indicato in radianti come p, e direi quindi che è il caso di passare al primo post (che non è esattamente in tema, ma a suo modo sì), che tratta della Sezione Aurea e di un’identità dove compaiono contemporaneamente alcune delle più importanti costanti matematiche. Essendo formule che contengono Pi Greco, ecco trovata la prima connessione con il #180. Il post è di Mauro Merlotti dello Zibaldone Scientifico e si intitola Formule complesse.
Il tema scelto per questa 180^ edizione del carnevale è Matematica e sport, ispirato da questa estate di Olimpiadi e Paralimpiadi, da un mondo dello sport sempre più ricco di matematica e da una matematica che può offrire sempre più risorse anche allo sport.
Comincio il Carnevale settembrino dando la precedenza ai matematti che hanno scritto qualcosa in tema. La prima a rispondere alla chiamata è stata Annalisa Santi, che ha dedicato il proprio contributo al grande campione Francesco Molinari, l’uomo che il 22 luglio 2018 entrò nella storia del golf. «Con questo articolo avevo voluto fare un omaggio al grande golfista che vinse l’Open Championship scozzese, il più antico e celebre dei Major, lasciando così a Carnoustie, per la prima volta dal 1860, il nome di un atleta italiano, e, nello stesso tempo, parlare di questo stupendo gioco del golf e di un po’ della matematica che vi si cela.»
Mauro Merlotti, dalle pagine dello Zibaldone scientifico, parla del fotofinish, uno «strumento indispensabile per molte gare sportive; potrebbe sembrare una fotografia, ma mentre questa è la riproduzione un oggetto ad un determinato istante (almeno in prima approssimazione), il fotofinish riproduce un oggetto ad una determinata posizione (con scorrimento continuo della pellicola)».
Nel suo blog Gli studenti di oggi, Roberto Zanasi propone un post senza tante parole, con un grafico della classifica delle Olimpiadi costruito con «un ordinamento parziale in cui uno stato X è stato migliore di un altro stato Y se il medagliere di Y può essere trasformato nel medagliere di X mediante una sequenza di aggiunte di medaglie oppure di sostituzione di medaglie basse con medaglie alte.»
Paolo Alessandrini, autore di Matematica in campo, non poteva far mancare il proprio contributo a questa edizione del Carnevale e infatti ci regala ben sei post, quattro in forma di “shorts” e due in forma di video più lunghi e articolati. I link rimandano al nuovo blog Paolo Alessandrini – Racconto la matematica in più modi: sono autore, divulgatore, docente. Ecco l’elenco dei link, descritto direttamente da Paolo:
Per i contributi di MaddMaths! comincio dai due contributi realizzati sulla scia degli ultimi europei di calcio, lasciando a loro la parola:
E, poi, un paio di extra sul tema, dall’archivio di questo 2024:
Tra le varie proposte pervenute da Gianluigi Filippelli per il suo blog DropSea, c’è l’articolo Inseguimenti in pista, a tema Formula 1, per la serie dei Paralipomeni di Alice: il problema è proposto da Maurizio Codogno nel 22° volume della serie Matematica della Gazzetta dello Sport ed è una bellissima idea da proporre in classe. Siccome il post è stato pubblicato in occasione del Gran Premio d’Ungheria, Gianluigi si è divertito a cercare le due velocità che permettono le prestazioni riportate nel problema proprio sul circuito d’Ungheria, scoprendo risultati a dir poco fantascientifici, per delle auto da corsa.
I matematti difficilmente riescono a stare nei confini di un tema, forse perché la matematica stessa va ben al di là dei limiti imposti, perciò non sorprende che i contributi di altri argomenti superino di gran lunga quelli che parlano di sport. Procediamo quindi con Dioniso Dionisi, che ci offre la prima parte di Archita, Platone, Eudosso e la duplicazione del cubo. Si tratta, secondo le parole dell’autore, di «un dialogo in cui il giovane Eudosso illustra a Platone, in visita a Taranto, la soluzione del suo maestro Archita per la duplicazione del cubo.» Eccone un estratto: “«Ah, conosco bene la duplicazione del cubo», replicò subito il giovane. «Il maestro Archita ha preteso che la studiassimo a fondo. Anche perché… la vera soluzione è sua. Quella di Ippocrate è insufficiente perché semplifica il problema ma non lo risolve. Invece il mio maestro ha trovato la soluzione concreta e non solo teorica, come quella di Ippocrate». «E… quale sarebbe questa soluzione concreta?», chiese Platone con circospezione.”
I contenuti di Maurizio Codogno sono tantissimi, come sempre. Eccoli, presentati da lui stesso e distinti per categoria.
Cominciamo con i volumi della collana Matematica:
Ci sono anche altre recensioni matematiche:
Per quanto riguarda il mercoledì matematico:
C’è una bella rassegna anche per i Quizzini della domenica:
Solo un paio di post per la serie povera matematica:
È ora dell’altrettanto lunga lista di articoli di MaddMaths! e, come al solito, la parola passa a loro:
Iniziamo questo secondo numero del 2024 di Archimede con un contributo importante di Anna Baccaglini-Frank, scritto con un gruppo di ricerca internazionale, sull’educazione matematica “tecnocritica”, un approccio che permette agli studenti di «impacchettare e spacchettare la matematica», sia riguardo l’uso della tecnologia digitale in classe sia riguardo l’esplorazione da parte degli studenti della tecnologia che li circonda. Segue la nuova puntata della serie promossa da Francesca Gregorio sui numeri nell’insegnamento con i numeri razionali. Infine Ruggero Pagnan ci propone alcune sfide matematiche che comportano l’esercizio del pensiero laterale. Per le Strane storie matematiche, proponiamo la discussione sul quesito Invalsi sui numeri pari e il lancio di una nuova storia. Il fumetto e la copertina, sempre dedicati a Mandelbrot, sono opera di Lorenzo Palloni, il titolo della storia è “Rugoso”.
Per La matematica danzante di Raffaella Mulas:
Per La Lente Matematica di Marco Menale:
Non sarebbe Carnevale se non ci fossero i contributi dei Rudi Matematici ed ecco i “post istituzionali”:
I Q&D, invece, sono ben sette e il testo espositivo è così corto che non vale davvero la pena riassumerlo:
Oltre al post in tema Gianluigi Filippelli ha deciso di raccogliere tutti i post estivi in due post: il primo link raccoglie i contributi postati tra giugno e luglio, mentre il secondo raccoglie quelli postati tra luglio e agosto: ci sono le pubblicazioni su DropSea, quelle dal Cappellaio Matto e quelle in inglese, con alcune cose non necessariamente a tema matematico.
Tra gli articoli più recenti ci sono tre recensioni:
Nella sezione de Le grandi domande della vita, invece, ecco Di perimetri, aree e volumi sullo stretto legame analitico tra questi particolari “bordi” geometrici. Infine, dal Caffè del Cappellaio Matto, un post ne La scienza dei supereroi sulla ricorsione: L’Osservatore osserva l’Osservatore che osserva l’Osservatore...
In chiusura, non mi resta che presentare anche il mio articolo Non solo sport: nel quale elenco una serie di caratteristiche necessarie per una buona riuscita nello sport, riconoscendo come siano le stesse per la matematica. Per questo motivo, abbino allo sportivo nel quale ho riconosciuto questa caratteristica un matematico o un fisico, suggerendo letture e spunti di riflessione.
Questo è quanto…
Direi che la rassegna offre, come sempre, matematica per tutti i gusti. Ci si ritrova a ottobre!
L’estate delle Olimpiadi porta con sé tantissime riflessioni. Personalmente, vivendo la scuola da insegnante di matematica, ho scoperto che matematica e sport hanno parecchio in comune: «Creare la matematica è un’esperienza sofferta e misteriosa» scrive Simon Singh e tutti noi sappiamo che realizzare le grandi imprese dello sport non è certo facile. Ho già tentato un’esplorazione di questi aspetti con le Olimpiadi di Tokyo, ma l’articolo che avevo scritto è stato pubblicato su un sito che ormai è chiuso e le mie riflessioni si sono perse nella nebbia del web. Provo a ripercorrere il sentiero di allora, aggiungendo nuove tappe e nuovi panorami, elencando le caratteristiche necessarie per una buona riuscita nello sport e abbinando ad ogni sportivo un matematico o un fisico, suggerendo letture e spunti di riflessione.
Forza di volontà
La forza di volontà è quella caratteristica che non si può che riconoscere a tutti gli atleti, ma se devo sceglierne un rappresentante propongo Gianmarco Tamberi, vincitore della medaglia d’oro nel salto in alto a Tokyo: sul gesso con il quale l’avevano fasciato dopo l’infortunio che gli era costato le Olimpiadi di Rio, nel momento in cui aveva deciso di ricominciare a lottare aveva riportato la frase “Road to Tokyo 2020” (poi corretto in 2021). Quel gesso l’ha accompagnato a Tokyo, come ricordo delle fatiche, fisiche e mentali, che aveva dovuto affrontare per raggiungere l’ambito traguardo, un «simbolo della mia forza d’animo, della mia volontà di provarci e riprovarci nonostante le avversità». La vittoria di Tamberi alle Olimpiadi di Tokyo è stata anche un esempio di amicizia, quella con Mutaz Essa Barshim, con il quale ha condiviso la medaglia d’oro. Abbiamo rivisto la stessa amicizia a Parigi, dove, però, la forza di volontà non è bastata: Gimbo ce l’ha messa davvero tutta per conquistare il podio anche in questa edizione, ma le sue condizioni di salute hanno remato contro di lui fin dall’inizio. Eppure, io credo che, nel fallimento dell’impresa, Gianmarco Tamberi abbia regalato a tutti noi più di quanto avrebbe potuto fare con una vittoria: ci ha dimostrato che, a volte, è necessario impegnarsi in tutti i modi, anche quando l’obiettivo sembra fuori dalla nostra portata. Dal canto suo, Gimbo aveva la consapevolezza di essere al meglio della forma e di poter dare buoni risultati, nel caso in cui fosse riuscito a combattere la sofferenza fisica.
La forza di volontà mi riporta alla mente tantissimi esempi e, tra tutti, scelgo quello di Marie Curie: il racconto della sua vita ci è presentato, in maniera essenziale, nella sua Autobiografia, dove non mancano riferimenti alla fatica di un lavoro ripetitivo, ma anche alla felicità che quel lavoro procurava a lei e a Pierre. «Una delle nostre gioie era recarci di notte nel laboratorio. Allora scorgevamo da tutte le parti le sagome debolmente illuminate dei flaconi e delle boccette che contenevano i nostri prodotti. Era davvero una vista incantevole e sempre nuova per noi. Le provette scintillanti sembravano tenui luci fiabesche.» Anche Marie Curie ha vissuto grandi amicizie nel corso della sua vita: oltre al sodalizio con Pierre, oltre all’amicizia con Albert Einstein, non si può dimenticare il patto stretto con la sorella Bronia, raccontato in Marie e Bronia, un patto tra sorelle. Bronia parte per Parigi per studiare medicina, mentre la sorella lavora come istitutrice per mantenerla agli studi; una volta conclusi gli studi di Bronia, anche Marie può partire per Parigi, potendo contare sul sostegno della sorella: il patto ha permesso a entrambe di realizzare il proprio sogno.
Nella vita di Marie Curie, non sono mancati i momenti di difficoltà: la morte di Pierre, quando le figlie erano ancora piccole, e poi l’attacco mediatico subito nel momento in cui è diventata di dominio pubblico la relazione con Paul Langevin. Sara Rattaro nel romanzo Io sono Marie Curie racconta molto bene questi momenti della vita di Marie Curie, immaginando che sia proprio lei a raccontare il dolore dopo la morte del marito, il ritrovato entusiasmo agli inizi della relazione con Langevin, e la forza di ricostruirsi, con l’appoggio degli amici, dopo i pesanti attacchi.
Determinazione
Un altro esempio di forza di volontà che non è riuscita a combattere la sfortuna ci è offerto da Derek Redmond, che alle Olimpiadi di Seoul del 1988 era stato obbligato a ritirarsi a causa di un infortunio, dieci minuti prima della gara. Quattro anni dopo, alle Olimpiadi di Barcellona, la sua voglia di vincere è al massimo livello: qualificatosi alle semifinali dei 400 m piani con il tempo migliore, sta affrontando al meglio la gara, ma dopo 250 m lo strappo del bicipite femorale destro lo obbliga a fermarsi, segnando la fine del suo sogno olimpico. Si rimette in piedi, perché vuole tagliare il traguardo: procede con determinazione, nonostante il dolore e, nella sua gara personale, lo raggiunge il padre, Jim, che lo sostiene fino alla fine, accogliendo le sue lacrime e cercando di consolarlo. Quando taglia il traguardo, Derek viene accolto dalla standing ovation dei 65 mila spettatori presenti. Il filmato della gara è disponibile sul canale YouTube ufficiale delle Olimpiadi, nella descrizione del quale si parla di «vero coraggio contro le avversità»: «Pochi ricordano che lo statunitense Steve Lewis ha vinto la semifinale in un tempo di 44.50. Ma nessuno, tra quelli che hanno visto la gara, può dimenticare il coraggio di Derek Redmond nel giorno che ha definito l’essenza dello spirito umano e olimpico».
«Da quando l’ho incontrato per la prima volta da bambino, l’Ultimo Teorema di Fermat è stata la mia grande passione»: sono le parole di Andrew Wiles riportate da Simon Singh nel celebre L’Ultimo teorema di Fermat, il racconto di una dimostrazione che ha richiesto più di 350 anni. La passione per una delle congetture più celebri, e forse più semplice da enunciare, della storia della matematica accompagna Wiles nella sua crescita e, quando decide di impegnarsi seriamente nella dimostrazione, lavora in completo isolamento e in segreto, quasi ad imitare il lavoro di Fermat: «Capii che tutto ciò che ha a che fare con l’Ultimo Teorema di Fermat genera un interesse eccessivo. Non è possibile rimanere concentrati per anni a meno che non ci sia un completo raccoglimento, che troppi spettatori avrebbero distrutto.» Forse non c’è stata una standing ovation quando Andrew Wiles ha concluso la sua conferenza, nel giugno del 1993, dicendo: «Penso di fermarmi qui», ma c’è stato un lungo applauso, dopo che un silenzio denso di attenzione e solennità aveva accolto la sua dimostrazione. Quel momento di gloria sembra rovinato dalla scoperta di un errore: «A meno di sei mesi dalla conferenza al Newton Institute, il sogno d’infanzia di Wiles era a brandelli. Alla gioia, alla passione e alla speranza che lo avevano accompagnato negli anni trascorsi a eseguire calcoli in segreto si sostituirono l’imbarazzo e la disperazione.» Credo che sia proprio in questo momento che viene allo scoperto la determinazione di Wiles: non sono bastati gli anni in solitudine a lavorare alla dimostrazione, è in questo momento che la sua forza si mostra in tutta la sua bellezza, adesso che gli occhi della comunità matematica sono puntati su di lui e che qualcuno comincia a parlare di fallimento dell’impresa. «Dopo essere stato spinto sull’orlo della resa, Wiles aveva reagito dimostrando il proprio genio al mondo. Gli ultimi quattordici mesi avevano rappresentato il periodo più doloroso, umiliante e deprimente della sua carriera matematica. Adesso un’intuizione brillante aveva posto fine alla sua sofferenza.» Difficile riuscire a raccontare meglio di Singh questa impresa eccezionale.
Grinta
Come Tamberi, anche Bebe Vio ha puntato alle Olimpiadi di Tokyo accompagnata da un conto alla rovescia: ha parlato dei suoi 119 giorni, quelli che ha dedicato alla preparazione per le Paralimpiadi, «119 giorni per raggiungere l’impossibile» (come ha titolato Repubblica): anche lei, durante la gara, aveva con sé il braccialetto dell’ospedale sul quale era scritto «– 119» e solo a gara conclusa abbiamo saputo del terribile verdetto di aprile e dei rischi corsi a causa di un’infezione. In realtà, anche questa competizione è stata preceduta da molte difficoltà: sono passati solo tre anni da Tokyo e Bebe Vio ne ha usati due per sottoporsi a interventi chirurgici per essere al meglio della forma. Con la positività che la contraddistingue è riuscita a dire: «è stato un periodo difficile, ma è stato fantastico» e questo perché ha avuto il supporto di varie figure che l’hanno aiutata a coronare il sogno di ottenere la medaglia di bronzo sia nel fioretto individuale che in quello a squadre.
Prima ancora della competizione, Bebe Vio aveva dichiarato sui social che non avrebbe partecipato alle Paralimpiadi di Parigi, ma che avrebbe GAREGGIATO, facendosi portavoce di un cambiamento non solo verbale, ma di sostanza, culturale. Possiamo ricordare le sue parole, citate in questo articolo di Lorena Encabo e Benedetto Giardino: «Sappiamo di avere il potere di provare a dire qualcosa. Sappiamo che ogni punto qui, alle Paralimpiadi, potrebbe essere un punto con cui possiamo smuovere le persone, se un piccolo ragazzo con una disabilità sta guardando la televisione in quel momento specifico, guardando quel singolo punto. Possiamo letteralmente scuoterle e dire loro: “Ok, lo sport è bello, è sano, è fantastico”. È qualcosa di così bello e vogliamo che quante più persone possibili si spingano un po’ di più.»
Anche Cedric Villani, come Bebe Vio, dopo aver identificato il suo obiettivo, ha dovuto confrontarsi con un conto alla rovescia serrato: «Dopo mi resteranno cinque mesi, li passerò sul mio grande sogno, la regolarità di Boltzmann! A questo fine mi sono portato dietro degli appunti che ho scribacchiato in una decina di Paesi differenti.» Il sogno di Villani è l’Olimpo della matematica, la medaglia Fields, ma il conto alla rovescia è necessario: «Il limite di età a 40 anni, che stress! Non ho che 35 anni… […] Nel 2014 per soli 3 mesi sarò troppo vecchio; la MF sarà quindi nel 2010 o mai più.» Il teorema vivente è il racconto di questa impresa: narrato in prima persona, ricco di storia della matematica, di fumetti e di matematica, è un libro da leggere e da far leggere, per poter capire cosa significhi fare matematica ad alto livello. «Non ha prezzo un sentiero senza illuminazione! Quando non c’è la luna, non si ha neanche una visibilità di tre metri. Il passo accelera, il cuore batte un po’ più in fretta, i sensi restano sul chi vive. Uno scricchiolio nei boschi fa drizzare le orecchie, ci si dice che la strada è più lunga del solito, ci si immagina un malintenzionato in agguato, ci si trattiene a malapena dal mettersi a correre. Questa galleria buia è un po’ come la fase buia che caratterizza l’inizio di un progetto matematico», ma in fondo è così l’inizio di qualsiasi progetto.
L’importanza della squadra
Nel suo avvicinamento al traguardo, Derek è stato sostenuto dal padre Jim, la sua squadra. Ripensare alle olimpiadi del 2021 non può che riportarci alla mente la squadra italiana che ha vinto la medaglia d’oro nella staffetta maschile 4x100 m: Patta, Jacobs, Desalu e Tortu. Domenico Licchelli, astrofisico che si occupa di didattica e comunicazione scientifica, ha evidenziato, in un post su Facebook, gli aspetti matematici e fisici che si nascondono dietro la vittoria della staffetta: i corridori devono avere, innanzi tutto, caratteristiche diverse, visto che «il primo frazionista deve essere un buon partente ed un buon corridore in curva. Il secondo frazionista deve essere potente nella corsa lanciata e resistente a lungo ad alta velocità. Il terzo deve esprimere una potenza muscolare tale che gli consenta di sopportare le maggiori spinte in curva opponendosi alla gravità terrestre ed alla forza centrifuga. […] Il quarto dovrà eccellere nella corsa lanciata e saper gestire le forze per portare a termine l'impresa, mantenendo il vantaggio o recuperando terreno». E tutto questo ancora non basta per vincere, perché conta anche l’«indice di cambio», ovvero la capacità di scambiarsi il testimone nel più breve tempo possibile e, per rendere l’operazione il più fluida e veloce possibile, è necessario provare e riprovare. Non possiamo riassumere il tutto dicendo semplicemente che l’unione fa la forza, perché è necessario ricordare anche l’esercizio che migliora le prestazioni. Nella vita scolastica, entrambi gli aspetti sono importanti, innanzi tutto perché i ragazzi si trovano inseriti in due squadre, la squadra formata dalla classe – perché a scuola non si impara come singoli ma come gruppo – e la squadra formata con i propri docenti, preparatori atletici consapevoli di ciò che è necessario fare per affrontare al meglio il percorso, e in secondo luogo perché è necessario un continuo esercizio per migliorare le proprie prestazioni (e non solo in matematica).
La squadra è presente nel lavoro di Cedric Villani: «Quello che anzitutto apprezzo del mio laboratorio, così piccolo e insieme così dinamico, è il modo in cui gli argomenti si mescolano tra i ricercatori di diversi orizzonti matematici, davanti alla macchina del caffè o nei corridoi, senza timore delle barriere tematiche.» La squadra è quella che ha formato Maryam Mirzakhani prima con Curtis McMullen e poi con Alex Eskin, dell’Università di Chicago, come raccontato in questo video. Ma se penso ad un’altra squadra, mi viene in mente, in tempi recentissimi, quella mostrata nel video dell’Università di Parma, realizzato in occasione dell’assegnazione dell’EMS Prize a Cristiana De Filippis: la giovane matematica parla di come sia stata attirata a Parma, durante il suo dottorato a Oxford, per la ricerca di alto livello fatta dal gruppo di analisi, racconta del suo lavoro dai ritmi intensi e senza orari, racconta con passione ed entusiasmo come si approccia alla ricerca. E poi ci sono le parole di Tuomo Kuusi dell’Università di Helsinki e di Giuseppe Mingione dell’Università di Parma con i quali sta lavorando. Il video ci permette di cogliere il senso di una squadra, di vedere le risate e la complicità che legano i singoli componenti.
Gli errori
Nello sport come nella vita non mancano gli errori e i fallimenti: cominciamo da una (rara) sconfitta di Sinner ai primi di luglio di quest’anno e dal commento di Panatta al riguardo: «Nel tennis si perde, i più forti non lo fanno così spesso, e Jannik Sinner è tra questi, ma ogni tanto succede anche a loro. Esiste una normalità della sconfitta che andrebbe maggiormente rispettata.»
Il secondo fallimento (perché qui non si tratta di errore) è quello di Ambra Sabatini alle Paralimpiadi di Parigi: la sua emozionante intervista dopo la gara, e dopo la caduta che le è costata il podio, mostra tutta la sua grandezza, visto che parla del suo senso di colpa per aver rovinato la gara di Monica Contrafatto, ma mostra anche la sua grinta quando dice «Ho superato tante cose, supererò anche questa». Lo sguardo di Ambra è già puntato avanti: «C’è dell’amaro ora, so che però ho tante opportunità davanti ed è già cominciato il percorso verso Los Angeles 2028», perché, come diceva Paola Egonu all’indomani delle Olimpiadi di Tokyo, gli errori sono importanti per migliorarsi e crescere.
Di errori ha parlato anche Julio Velasco, all’indomani della vittoria della medaglia d’oro: intervistato dai giornalisti che gli hanno chiesto se avesse ritrovato la pace dopo le Olimpiadi di Atlanta del 1996, dove la nazionale maschile da lui guidata aveva perso in finale contro l’Olanda, il celebre allenatore ha parlato con la consueta saggezza ricordando che nello sport funziona così, a volte si perde per un soffio e a volte si vince per un altro soffio. La sua grandezza è nell’aver accettato la sconfitta che forse molti tifosi ancora non hanno accettato, ma soprattutto nel non accettare di essere messo su un piedistallo dopo la vittoria alle Olimpiadi: «Non siamo speciali. Siamo vincenti. In questa occasione siamo stati i vincitori.» Se si accettasse di essere speciali quando si vince, bisognerebbe mettere in conto di non esserlo quando si perde, e Velasco non si lascia vincere da questa tentazione.
Nel cercare storie per questo articolo, nel libro di Simon Singh sull’ultimo teorema di Fermat ho trovato due riferimenti al ruolo di Eulero nella costruzione della dimostrazione: «Il matematico più creativo della storia fu umiliato dalla sfida di Fermat», scrive inizialmente Singh. Ma, subito dopo, scrive qualcosa di ancora più grande: «Per nulla scoraggiato dal fallimento, Euler continuò a creare geniali teorie matematiche fino alla morte, un risultato reso ancor più notevole dal fatto che durante la fase conclusiva della sua carriera rimase completamente cieco.» Come non citare, infine, Alessio Figalli? In un’intervista con l’Università di Padova nel marzo di due anni fa, ha parlato proprio dell’errore: «Vivo nel fallimento, come tutti gli scienziati. Diciamo che per un problema risolto, dieci non riesco a risolverli. […] La ricerca è fatta di fallimenti e non c’è niente di male. Ognuno di noi, quando fa ricerca, deve capire come gestire la frustrazione del fallimento, perché quella è inevitabile: io, per esempio, la gestisco lavorando su più problemi. Di solito magari da due o tre non riesco a tirare fuori nulla, però magari al quarto che sto facendo qualcosa salta fuori e quello mi dà la motivazione e la soddisfazione per gestire poi quelli che non funzionano.»
La medaglia di legno
Tendiamo a considerare il quarto posto, quando il podio ti sfugge per poco, il fallimento peggiore, eppure dal 3 agosto potremmo avere una visione diversa della cosa. In quella data, Benedetta Pilato si è classificata quarta, a un solo centesimo dal podio, nei 100 m rana: l’abbiamo sempre raccontata così, che ha perso il podio per un centesimo, ma da subito dopo la gara, durante un’intervista, la nuotatrice ci racconta una realtà diversa, cambiando il nostro punto di vista al riguardo, parlando del giorno più felice della sua vita. Ma come è possibile? «Questo è solo un punto di partenza» dice e poi ricorda: «Un anno fa questa gara non ero nemmeno in grado di farla.» La bellissima testimonianza di Benedetta Pilato e la polemica che ne è seguita – e che ha contribuito ad attirare l’attenzione sul problema – hanno permesso di cominciare a cambiare il punto di vista, tanto che, nella cerimonia del Quirinale che si svolgerà a fine mese, Mattarella riceverà anche i classificati al quarto posto.
C’è un illustre esempio anche nella matematica di una medaglia mancata, ed è realmente una medaglia, trattandosi della prestigiosa Fields: nel 1957, sia Ennio De Giorgi che John Nash “incontrano” il diciannovesimo problema di Hilbert, uno dei 23 proposti dal matematico tedesco durante la conferenza del Congresso Internazionale dei matematici a Parigi nel 1900. De Giorgi lo dimostra con metodi mai usati in precedenza e pubblica la soluzione su una rivista italiana non molto nota all’estero, mentre John Nash arriva alla soluzione un paio di mesi dopo. «Quarant’anni più tardi, dopo aver vinto il Nobel, Nash accennò a quelle speranze infrante nel suo saggio autobiografico, esprimendosi nel suo abituale stile ellittico: “Sembra plausibile che, se De Giorgi o Nash non avessero risolto questo problema (o i calcoli aprioristici sulla continuità effettuati da Holder), l’unico scalatore a raggiungere la vetta sarebbe stato il vincitore della Fields (che di solito viene conferita a persone con meno di quarant’anni).”» La delusione di Nash fu grandissima, come viene ben descritto nel libro appena citato di Sylvia Nasar Il genio dei numeri.
Il talento
«Effortless is a myth», ovvero: il fatto che un obbiettivo possa essere raggiunto senza sforzo è un mito, dichiara Roger Federer nel suo celebre discorso all’Università di Dartmouth, proponendo questa affermazione come prima lezione (sono tre in totale).
Gregorio Paltrinieri ha dichiarato durante le Olimpiadi: «Non sono qui grazie al talento, sono qui grazie al sacrificio che faccio tutti i giorni» dopo le due medaglie vinte a Parigi.
«Sveglia alle sei e mezza, alle 7 e mezza già in piscina, tre ore di allenamento, cinque chilometri di nuoto, sonnellino, pranzo, poi di nuovo piscina, altri cinque chilometri, cena alle 20 e a letto presto.» è la vita che dichiara di aver condotto Thomas Ceccon per prepararsi alle gare.
Ecco un altro dei terribili miti che vanno assolutamente sfatati: parlare di talento nasconde la volontà di crearsi un alibi. Se riconosco “solo” il talento a Federer, a Paltrinieri, a Ceccon, nessuno pretenderà da me che io mi impegni per raggiungere simili obiettivi; se, invece, riconoscessi il lavoro e lo sforzo fatto, mi renderei conto che potrei raggiungere anch’io obiettivi di un certo livello. Questo non vale non solo nello sport, ma ovunque: «La verità è che ho dovuto lavorare molto duramente per farlo sembrare facile» dichiara Federer.
Non posso non citare le parole di Katalin Karikò, dalla sua autobiografia, Nonostante tutto:
«Non mi considero particolarmente intelligente. Nel corso degli anni ho conosciuto molte persone apparentemente dotate di una memoria fotografica che permetteva loro di imparare senza fatica. A uno dei miei compagni di scuola delle elementari bastava sentir dire una cosa una volta e non se la scordava più. Io no, non ho mai avuto questo dono. Ma già da piccola avevo capito una cosa fondamentale: quello che mi mancava a livello di abilità naturali, potevo compensarlo con lo sforzo. Potevo impegnarmi di più, applicarmi per un numero maggiore di ore, fare di più e farlo con maggiore attenzione.
Persino in prima elementare e in seconda elementare mi impegnavo con tutta me stessa nello studio. Cercavo di non sbagliare niente. Se commettevo un errore, ricominciavo da capo.
Studiavo.
Studiavo.
Studiavo.
E, coincidenza, a quanto pare il cervello è malleabile. Più lo esercitiamo, più lo rafforziamo. Quanto a me, mi sono esercitata a eccellere negli studi: era un esercizio attivo, come allenarsi a fare canestro per un aspirante atleta. Come un atleta, miglioravo. Man mano, per me la scuola è diventata un ambiente sempre più naturale. In terza elementare ero talmente immersa negli studi che ho iniziato a prendere sempre 5 [il massimo dei voti], e non ho più smesso.
Né, aggiungerei, ho mai smesso di esercitarmi.»
Come già fatto in Inesauribile caparbietà, non posso non citare Gigliola Staffilani, prima donna italiana full professor al MIT, che alla domanda di Roberto Natalini in un’intervista del 2018 «Quanto del tuo lavoro è intuizione e quanto è solo duro lavoro?» ha dato una bella risposta: «Credo che l’intuizione arrivi quando ti sei chiarita abbastanza della tua mente da poterla ricevere. E per chiarirti devi lavorare duramente per cercare di eliminare tutti quei tentativi che non portano da nessuna parte.»
Infine, a tutti coloro che parlano di talento matematico non posso che suggerire la lettura del libro di Stanislas Dehaene Il pallino della matematica.
Lo sport ci insegna che non sempre è possibile realizzare i propri sogni e così, a scuola, quel 10 che sentivamo di meritare davvero a volte ci viene negato, ma questo non è necessariamente una cosa negativa. Ciò che conta è imparare, e ricordiamo le parole di Einstein, scritte nel 1931 in «Come io vedo il mondo»: «È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie».
Estate, tempo di riflessione
Mi piace pensare all’estate come al tempo della sistematizzazione di quanto fatto in passato, della riflessione e della progettazione in vista del futuro. Quest’ultima estate è stata per me l’uscita dalla mia comfort zone: a fine aprile ho ricevuto la proposta di tenere sei ore dell’insegnamento Metodi e strategie didattiche per l’insegnamento della matematica, nei corsi dei 30 e 60 CFU organizzati dall’Università Cattolica di Brescia (la stessa università dove mi sono laureata). Dover preparare le lezioni per fine agosto è stato per me un modo per riflettere su quanto realizzato in 25 anni di insegnamento, accogliendo il suggerimento di una collega/corsista che mi ha detto che a lei sarebbe piaciuto sentirmi parlare della mia esperienza di insegnamento. In effetti, non avendo una solida formazione in termini di didattica (a parte alcune letture), è stato meglio partire dalla mia esperienza, realizzando poi piccoli approfondimenti, costruiti con il lavoro di chi di didattica si occupa per professione.
La partenza non poteva che essere con l’intervista che Ilaria Fanelli ha fatto ad Alberto Saracco, docente di geometria presso l’Università di Parma, il 18 giugno scorso, con la presentazione del libro Le geometrie oltre Euclide. Durante la diretta, ho chiesto ad Alberto cosa avrebbe suggerito ad uno studente delle superiori per motivarlo a studiare matematica nonostante la fatica e la sua risposta è stata davvero articolata e profonda, focalizzando l’attenzione sui due attori principali del processo di insegnamento/apprendimento, ovvero lo studente e il docente. Siccome il mio intervento in questo corso si è svolto in due giornate consecutive, ho dedicato le prime tre ore al docente e le successive allo studente.
La figura del docente di matematica
Le aspettative del mondo esterno nei confronti dei docenti sono molto elevate, soprattutto per l’insegnamento della matematica, e i docenti si trovano sottoposti, sempre più frequentemente, a forti pressioni, dovendo rispondere alle richieste, o meglio pretese, dei genitori e dei dirigenti. La prima accusa che viene rivolta agli insegnanti è quella di non saper motivare i propri studenti, e questo dà l’idea che il processo di apprendimento sia interamente a carico del docente. Lo stesso scrittore Jonathan Swift (1667-1745) si mostra impietoso quando descrive, nei suoi Viaggi di Gulliver, gli insegnanti di matematica: «Immaginazione, fantasia, invenzione sono loro affatto negate, né hanno nella loro lingua parole con cui queste facoltà possano esprimersi». Dopo aver chiesto ai corsisti di elencare le caratteristiche del docente ideale, ho rubato a Rosetta Zan I danni del ‘bravo’ insegnante. Ricordavo di aver partecipato, all’inizio della mia carriera, a un incontro di aggiornamento tenuto da lei e di essere rimasta molto colpita da quello che ricordavo come un decalogo (mentre i punti sono “solo” sette) e ho voluto riproporlo in questa sede, dopo averlo ritrovato tra gli atti di un convegno che si è svolto nel 2001. Partendo dal fatto che non esiste la ricetta per l’insegnante perfetto, con i corsisti abbiamo riflettuto su:
Anche i social, volendo, offrono occasioni di approfondimento ed è così che mi sono imbattuta, scrollando il mio feed di Instagram, in un post condiviso su Twitter a fine agosto 2018 da André Sasser, all’epoca insegnante di matematica da 9 anni: «Due anni fa dicevo “Hai qualche domanda?”. L’anno scorso sono passata a “Quali domande avete?” Ha fatto la differenza. Oggi ho provato a dire “Fatemi due domande”. E lo hanno fatto! E queste domande hanno portato ad altre domande. Mi stupisce che le cose più piccole abbiano un impatto così grande!» Dopo un mese, le visualizzazioni per questo tweet erano arrivate a 14 milioni, e, a distanza di sei anni, è ancora presente e condiviso. Forse il cuore del problema è proprio questo: ci sono piccole cose, piccoli gesti, singole parole, che possono fare la differenza per i nostri studenti.
L’identikit dello studente
Durante la seconda giornata, il mio punto di riferimento principale è stato John Hattie, direttore dell’Istituto di Ricerca sull’educazione presso l’Università di Melbourne, e il suo Visible Learning, presentato nel libro Apprendimento visibile, insegnamento efficace. La tesi principale di questo libro è che l’insegnante, per essere efficace, deve conoscere il proprio impatto sulla classe, perciò ho cominciato con un identikit particolare dello studente proposto proprio da Hattie: «Cosa significa essere un “buono studente” in questa classe?» I corsisti dovevano tentare di rispondere a questa domanda come avrebbero potuto rispondere i loro studenti, ma ho prima mostrato loro le risposte sorprendenti ottenute nelle mie classi l’anno scorso (secondo i miei ragazzi, il mio alunno ideale mi segue sui social!), dopodiché abbiamo discusso dell’illusione delle etichette che spesso usiamo con i nostri ragazzi. Per poter essere efficaci nel nostro lavoro, dobbiamo sapere cosa e come pensano gli studenti, perché ogni studente è un puzzle di motivazioni, strategie e immagini di sé. Usando come guida il libro di Hattie per descrivere le caratteristiche degli studenti, abbiamo fatto piccole deviazioni, parlando del curriculum dei fallimenti e della TED-talk di Josh Green, che ha raccontato di quando ha combattuto contro le voci nella nostra testa che gli dicevano che non era all’altezza. Josh ha sottolineato che queste voci di inadeguatezza non hanno il nostro timbro di voce, perché sono voci che «tendono a venire da poche persone selezionate nella nostra vita: un insegnante, un genitore, un bullo, un partner». (Noi insegnanti abbiamo il potere di fare la differenza sia in positivo che in negativo) Mentre stavo preparando queste lezioni, ho incontrato un ex alunno, ormai adulto, che mi ha parlato proprio di una di queste voci, un’insegnante che gli aveva detto: «Non combinerai mai nulla di buono nella tua vita!», profezia che, fortunatamente, lui è stato capace di smentire.
Sempre lasciandomi guidare dal libro di Hattie, ho proposto l’attività di valutazione dei fattori che hanno un impatto basso, medio o alto sul rendimento degli studenti, sottoponendo 16 dei 30 fattori da lui proposti, per riflettere su quali possano essere gli aspetti sui quali conviene investire, perché davvero possono fare la differenza. Ho svolto l’attività durante la lettura del libro e ho sbagliato il 50% delle risposte, ma le risposte dei corsisti non sono state molto lontane da questa percentuale. Conoscere l’impatto dei fattori di influenza permette di canalizzare le nostre energie verso ciò che può fare davvero la differenza e lasciar andare altre cose, che diventano uno spreco di tempo. Forse tutti sappiamo che la credibilità dell’insegnante agli occhi degli studenti ha un forte impatto, ma crediamo anche che la conoscenza disciplinare sia fondamentale, mentre le ricerche di Hattie ci dicono ben altro. Nel suo testo, Hattie cita Douglas Reeves, autore di più di 40 libri e più di 100 articoli sulla leadership e sull’educazione, il quale definisce la passione come l’«unica risorsa naturale rinnovabile»: quasi tutto ciò che un docente fa in classe può funzionare, ma è necessario investire parecchie energie nel rinnovo della nostra passione.
Autocitazioni e non solo
Facendo riferimento alla mia esperienza, durante il percorso non ho potuto non fare alcune autocitazioni e ho cominciato con l’articolo scritto per il 177° Carnevale della Matematica ospitato da MaddMaths!: Inesauribile caparbietà. Nel confronto con gli studenti, non possiamo che sottolineare l’importanza della determinazione e della tenacia, messaggio che sembra essere stato colto dai miei alunni, come mostrano alcune delle loro risposte evidenziate nel post. La seconda autocitazione è stata la tesina che ho realizzato al termine del mio anno di formazione (l’ormai lontano a.s. 2004/2005): L’ansia, la matematica e la voglia di imparare, con la quale ho indagato l’impatto della matematica, in termini di emozioni e ansia, sui miei studenti di allora. Questo mi ha ricordato la TED talk di Joe Boaler, How you can be good at math, nella quale viene sottolineato come l’intelligenza sia un insieme di abilità in potenziale crescita e non, come tendiamo a pensare in cerca di un alibi, un insieme di abilità scarsamente modificabili.
Il talento della matematica
In conclusione di percorso, ho voluto regalare un po’ di leggerezza, proponendo la vignetta allegata a questa newsletter e facendo un piccolo riferimento allo sport, in questa estate olimpica, così densa di esempi e riflessioni sul fallimento e sulla tenacia. Le Olimpiadi hanno permesso a tutti noi di riflettere anche sull’importanza del talento, ma chi ha a che fare con la matematica sa quanto il talento NON sia importante per crescere, ma sembri esserlo per gli alunni. Giusto questa settimana, una futura studentessa del nostro liceo mi ha detto: «Io e mia sorella non siamo portate per la matematica, tant’è che abbiamo scelto entrambe il classico. Quello davvero bravo in matematica è mio fratello, e infatti ha studiato al liceo scientifico!» Mi ha guardata con sospetto quando le ho detto che il talento non c’entra e spero che agli sportivi venga dato sempre più spazio quando dichiarano, come Gregorio Paltrinieri: «Non sono qui grazie al talento, sono qui grazie al sacrificio che faccio tutti i giorni» (ma io di questa citazione ho trovato traccia solo sui social…). Non posso non citare, a questo proposito, Katalin Karikò che, nella sua autobiografia Nonostante tutto. La mia vita nella scienza, scrive: «Non mi considero particolarmente intelligente. Nel corso degli anni ho conosciuto molte persone apparentemente dotate di una memoria fotografica che permetteva loro di imparare senza fatica. A uno dei miei compagni di scuola delle elementari bastava sentir dire una cosa una volta e non se la scordava più. Io no, non ho mai avuto questo dono. Ma già da piccola avevo capito una cosa fondamentale: quello che mi mancava a livello di abilità naturali, potevo compensarlo con lo sforzo. Potevo impegnarmi di più, applicarmi per un numero maggiore di ore, fare di più e farlo con maggiore attenzione.
Persino in prima elementare e in seconda elementare mi impegnavo con tutta me stessa nello studio. Cercavo di non sbagliare niente. Se commettevo un errore, ricominciavo da capo.
Studiavo.
Studiavo.
Studiavo.
E, coincidenza, a quanto pare il cervello è malleabile. Più lo esercitiamo, più lo rafforziamo. Quanto a me, mi sono esercitata a eccellere negli studi: era un esercizio attivo, come allenarsi a fare canestro per un aspirante atleta. Come un atleta, miglioravo. Man mano, per me la scuola è diventata un ambiente sempre più naturale. In terza elementare ero talmente immersa negli studi che ho iniziato a prendere sempre 5 [il massimo dei voti], e non ho più smesso.
Né, aggiungerei, ho mai smesso di esercitarmi.»
Non molto tempo fa mi sono imbattuta, sui social, in questo video di Ed Sheeran intitolato Hardwork is Ed Sheeran’s talent!, registrato durante il Jonathan Ross Show più di un anno fa. Cominciamo l’anno scolastico con questo video, per condividere una risata e una solenne verità!
Buona matematica e buon cammino! Ci sentiamo tra TRE settimane!
Daniela
PS: Traduzione della vignetta:
Piperita Patty: «Sto ancora avendo problemi a scuola, Ciccio… Hai qualche suggerimento?»
Charlie Brown: «Fai i compiti… Non dormire in classe… E non provare mai a consegnare il riassunto di un libro se non l’hai letto…»
Piperita Patty: «Odio parlare con te, Ciccio»
PPS: Quello presentato in questa newsletter non è che un riassunto di quanto detto nel corso delle sei ore di lezione. Per averne la versione completa, basta scaricare gli allegati. In caso si desideri avere il file Power Point usato per la presentazione, lo si può richiedere inviando una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Verifica di matematica, classe terza liceo scientifico
Argomento: prova parallela di fine anno sul programma di terza. Geometria analitica: parabola e circonferenza; esponenziali e logaritmi, disequazioni esponenziali e logaritmiche.
Durata: 120 minuti
Prova realizzata in collaborazione con il prof. Francesco Mognetti e la prof.ssa Asia Corna
Verifica di fisica, classe terza liceo scientifico
Argomento: termodinamica e gravitazione
Durata: 120 minuti
© 2020 Amolamatematica di Daniela Molinari - Concept & Design AVX Srl
Note Legali e Informativa sulla privacy