È in corso in questi giorni, presso l’Università di Pavia, il XXI Congresso dell’Unione Matematica Italiana. Aperto a tutti i matematici, è anche un’occasione per consegnare dei premi, come quello dedicato alla memoria di Stefania Cotoneschi, docente presso Scuola Città Pestalozzi di Firenze, scomparsa nel 2015. Il premio «è destinato ad un docente di ruolo di Scienze Matematiche, Chimiche, Fisiche e Naturali di scuola secondaria di primo grado, che si sia distinto per la diffusione della educazione matematica tra i giovani e più in generale nella società o nella comunità scientifica, attraverso pubblicazioni oppure opere grafiche o produzione di materiale audiovisivo o interventi su siti web» e quest’anno è stato assegnato a Sofia Sabatti (spesso citata anche in questa newsletter), docente dell’Istituto comprensivo “Cristoforo Colombo” di Chirignago, a Venezia. L’articolo che ha scritto per MaddMaths!, in occasione dell’assegnazione del premio, parte da un suo errore che l’ha «confermata nell’idea che imparare la matematica è un po’ come salire una scala a chiocciola e che il lavoro di squadra (oltre che bello) è indispensabile». Sofia ha una vera passione per la topologia, perciò non è un caso che cominci con un nastro di Möbius, che in qualche modo scatena sempre un po’ di meraviglia. Al di là delle interessanti riflessioni in merito, che lasciano stupiti anche chi, come me, conosceva già il nastro di Möbius, ciò che mi colpisce sempre di Sofia è che non perde occasione per sottolineare la bellezza e l’utilità dell'errore e così il motto “sbagliando si impara” diventa “senza sbagliare, non si impara”. «Credo che dobbiamo dare ai nostri alunni l’occasione di sbagliare, mettendoli di fronte a problemi autentici, significativi e difficili, se vogliamo che imparino davvero un po’ di matematica.» E l'immagine della scala a chiocciola è davvero ispirante, un ottimo inizio di anno scolastico: una sfida e un invito ad approfondire, sempre.
Da un’eccellenza all’altra, ecco un’intervista a Federico Benuzzi, rilasciata a Chiara Sirk, che comincia con l’ammissione di ritenere la matematica e la fisica un vero incubo. Eppure Benuzzi riesce, con i suoi spettacoli, a darci un’immagine diversa di queste due materie. A metà intervista, Chiara ammette che la matematica e la fisica possano essere affascinanti, ma resta il fatto che il fascino di queste materie contrasta con il numero insufficiente degli iscritti alle facoltà scientifiche e non manca di interrogare Federico al riguardo: «La scienza, almeno quella delle superiori o dei primi anni di università, non ha niente di incomprensibile, il problema è che in essa tutto è strettamente collegato. A un passaggio ne segue un altro, che si comprende solo avendo chiaro il precedente, in una lunga sequenza. Lo studio saltuario, sporadico, finalizzato al compito in classe con queste materie è un disastro.» Insomma, il segreto è sempre lo stesso: poco ogni giorno, come fa chi si allena per eccellere in un qualsiasi sport.
Capita spesso di sentir associare la matematica a tutti i sentimenti negativi che possono venire in mente, dall’odio all’insofferenza, eppure a me piace ricordare che la matematica è spesso associata anche alla passione. Insomma, io credo che sia molto più probabile trovare la passione tra gli insegnanti di matematica che tra gli altri, tanto che spesso gli alunni accusano i propri insegnanti di matematica di essere degli “invasati”, non riuscendo a spiegarsi questa passione. Se si pensa anche ai grandi matematici, la passione può essere così grande da guidare scelte estreme: è il caso di Sonia Kowalewskaja, che, grazie alla sua tenacia, ha potuto studiare a Berlino con Karl Weierstrass. Anne-Charlotte Leffler, drammaturga, attivista, sorella del famoso matematico e amica svedese di Sofia, la racconta in “La vita di Sonia” e il brano è riportato sulla rivista Prisma del Pristem.
Ed è la passione che ha guidato la scelta di partecipare alla XVII Edizione del Festival di BergamoScienza con un tema come quello dei poliedri. Quando la testa comincia a concentrarsi su un argomento come quello dei poliedri, sembra di vederli ovunque: ecco l’esempio di Castel del Monte, «una perla del patrimonio storico-architettonico pugliese». Non è un caso che questo edificio mi sia stato suggerito da un’alunna durante l’ultima riunione di progettazione: oltre ad essere stato l’ispirazione dell’architettura della biblioteca del convento dove si svolge la storia de Il nome della rosa, nella trasposizione cinematografica di Jean-Jacques Annaud è un ottimo esempio di poliedro, con la sua pianta ottagonale.
La forma particolare dei cristalli è un altro esempio di poliedro: a cosa è dovuta questa forma perfetta? Un affascinante video sui cristalli realizzato per Ted-Ed, che è possibile vedere anche con i sottotitoli in italiano, ci spiega che le loro forme rispecchiano la disposizione degli atomi, come dimostrato dalla galena con la sua forma cubica o dalla struttura tetraedrica del quarzo. Non può mancare l’esempio particolarmente affascinante dei diamanti, che crescono naturalmente come cubi quando le temperature sono più basse o come ottaedri a temperature maggiori (dimenticate la forma classica in cui li conosciamo, perché in natura non si presentano così).
In altre parole, la passione può assumere diverse forme, ma può diventare anche un gioco, come dimostrato dal Cubo di Rubik, il famoso rompicapo, che possiede 43000000000000000000000000000000 configurazioni possibili e che è stato inventato nel 1974 dal professore ungherese Erno Rubik. 27 cubi più piccoli, disposti in un reticolo 3x3x3, con adesivi con sei colori diversi: qualcuno di voi è riuscito a risolverlo? Attualmente il record è di 3,47 secondi per la soluzione. Che la matematica sia alla base di questo gioco è evidente per tutti e, quindi, i matematici si sono posti una domanda da matematici e cioè se ci sia un numero minimo di mosse per risolverlo: ci sono voluti 36 anni per avere una risposta, perché solo nel 2010 «un gruppo di matematici e di programmatori informatici ha dimostrato che il Cubo di Rubik può essere risolto in, al massimo, 20 mosse». La simpatica curiosità è che Erno Rubik ha impiegato più di un mese per risolvere il gioco!
Concludo con un ultimo suggerimento: un questionario della Mathesis per gli insegnanti di matematica e fisica per l’esame di maturità. «Dal momento che la didattica della matematica e della fisica sembra sempre più essere centrata sui cambiamenti normativi, la Mathesis propone questo questionario, da somministrare ai docenti di matematica e/o fisica dei Licei Scientifici interessati ad un dialogo e un confronto che potrà avvenire nelle sezioni Mathesis, come attività condivisa, e successivamente in un dibattito che avrà luogo a livello nazionale.»
Buona matematica! Ci sentiamo tra TRE settimane!
Daniela
Verifica di matematica, classe seconda liceo scientifico.
Argomento: recupero di settembre.
Durata: due ore.
Il 26 luglio il prof. Francesco Daddi ha condiviso, sulla propria bacheca di Facebook, il seguente post: «Sono su Facebook da più di 10 anni e continuo a vedere roba del genere: “Se sai risolvere 9 – 3 : 3 + 1 allora sei un genio”. Qualcosa deve essere andato storto». La discussione ha portato i vari insegnanti ad analizzare il rapporto tra la matematica e il calcolo, osservando che per la maggior parte delle persone la matematica si riduce proprio al calcolo: non è genialità saper risolvere un calcolo, la genialità matematica risiede altrove. Gianfranco Bo, insegnante di matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado, ha fatto virare la discussione su un’altra questione, quella del PEMDAS Paradox, trattato in un articolo sulla rivista online +Plus Magazine. Tutto comincia dall’espressione 6 : 2 (1 + 2), il cui risultato potrebbe essere 1 o 9, a seconda che la si legga come 6 : (2 (1 + 2)) oppure come (6 : 2)(1 + 2). Innanzi tutto, partiamo dall’acronimo PEMDAS, che significa Parentesi, Esponenti, Moltiplicazioni e Divisioni, Addizioni e Sottrazioni, e indica l’ordine delle operazioni all’interno di una espressione. Nel momento in cui si susseguono moltiplicazioni e divisioni, che sono sullo stesso piano, la precedenza segue semplicemente l’ordine da sinistra a destra, perciò il risultato giusto è 9. Ma se provate a fare il calcolo indicato con una calcolatrice Casio e lo impostate come 6 : 2 (1 + 2) o come 6 : 2 * (1 + 2) avrete due risultati diversi: nel secondo caso, infatti, la calcolatrice segue la regola che abbiamo appena indicato, nel primo caso, invece, dà come risultato 1, perché, come spiegato dal professor Alberto Saracco dell’Università di Parma, la prima operazione viene interpretata come se fosse 6 : 2x = 6 / (2x), dove la x = (1 + 2). La cosa buffa è che qualche giorno dopo, il 6 agosto, su ilPost, è comparso un articolo sulla questione della precedenza delle operazioni, che faceva riferimento a un tweet pubblicato il 28 luglio: in questo caso il discorso è un po’ diverso, ma risolve l’ambiguità richiamando sempre l’acronimo PEMDAS ed è sorprendente la coincidenza delle date.
Lidi Matematici, il blog di istigazione alla conoscenza, aveva affrontato il problema della precedenza delle operazioni a marzo del 2016, lanciando l’operazione 8+8x0+5x0+1: il quiz era stato pubblicato dagli studenti dell’Università Cattolica di Milano e ne era scaturito «un putiferio di risposte fantasiose». Leggendo i commenti si può «constatare che il nostro paese sta ancora molto indietro in quanto a cultura scientifica». La cosa interessante è che nel post viene spiegato il motivo della precedenza tra le quattro operazioni e, dopo aver capito il motivo (e forse capirlo vi permetterà di non dimenticarlo più) leggete la raccolta di commenti proposta nell’immagine allegata al post.
Dando per scontato che non si possa ridurre la matematica a semplice calcolo, segnalo comunque questa app per cellulari, PhotoMath, che può essere un valido aiuto per risolvere i compiti a casa in autonomia (come controllo, non come strumento principale, mi raccomando!). «Consideriamo quest’applicazione uno strumento d’aiuto validissimo quando si è in difficoltà nella risoluzione di un esercizio matematico».
Fra i colleghi di matematica che impegnano l’estate in ragionamenti importanti troviamo anche Roberto Demontis, il trentasettenne docente precario. Nel 1939, Bonnie Madison Stewart propose un problema sull’American Mathematical Monthly chiedendo il numero minimo di mosse necessarie per risolvere la Torre di Hanoi nel caso in cui si disponga di almeno quattro pioli (quello di tre pioli è un esempio di dimostrazione per induzione). Dopo ottant’anni, Roberto Demontis è riuscito a risolvere il problema, dopo averci lavorato per cinque anni.
«L’uomo di lettere raggiunse con il navigatore il luogo della conferenza in cui disse che la matematica non serve a nulla» ha scritto Marco Fulvio Barozzi, ovvero Popinga, ieri sera sulla sua pagina Facebook: in altre parole, come spesso mi è capitato di scrivere in questa newsletter, la matematica è ovunque nella nostra vita di tutti i giorni, che ne siamo consapevoli oppure no. Sul sito del CICAP, Davide Passaro propone un articolo riguardante la teoria delle decisioni e il ruolo della matematica in questo ambito: più precisamente, Passaro ci spiega le coincidenze facendo addirittura riferimento a G.H. Hardy e J.E. Littlewood. Insieme, i due matematici hanno proposto una legge, chiamata “legge dei miracoli”, secondo la quale “nella vita di un uomo accade circa un miracolo al mese”.
La matematica può essere utile anche per… andare a comprare il pane, visto che potrebbe capitarvi, come è capitato al grande fisico e matematico Henri Poincaré, di avere un panettiere che cerca di ingannarvi. La storiella è simpatica anche se per Poincaré è stata necessaria un po’ di pazienza e l’attenta misurazione del pane per almeno un anno oltre al confronto della distribuzione delle misurazioni con la curva di Gauss.
Con l’imminente rientro a scuola, potrebbero essere utili, sia per gli studenti che per i genitori, i formulari proposti da Redooc: italiano e matematica per la scuola primaria, matematica per le scuole secondarie di primo e secondo grado. I formulari hanno un comodo formato e sono di facile consultazione, perciò sono consigliati davvero a tutti. Per quanto riguarda invece i libri da leggere, la prima proposta è La relatività a fumetti, scritto da Bruce Bassett, cosmologo e Ralph Edney, matematico e illustratore. Di rapida lettura, unisce la forza delle immagini ad alcune breve spiegazioni e, per gli studenti, può essere un ottimo modo per fare il punto della situazione rispetto a quanto studiato a scuola. Il secondo libro, Dialoghi, di Clifford V. Johnson è un fumetto un po’ impegnativo, ma sicuramente ricco di spunti. I dialoghi sono undici “Conversazioni sulla natura dell’Universo”: l’autore ha lavorato a lungo a questo testo per poter affinare anche le proprie abilità di disegnatore, in modo da realizzare autonomamente tutta l’opera. L’autore è un fisico che si occupa di gravità quantistica e di teoria delle superstringhe e nel dialogo finale, forse facendo riferimento anche a se stesso, ci ricorda che «gli scienziati non sono gente speciale, ma gente normale che si occupa di una cosa speciale: la scienza». L’ultimo suggerimento di lettura è un libretto di Luca Novelli, appartenente alla collana “Lampi di genio” di Editoriale Scienza e dedicato a Newton. Novelli ha realizzato una trasmissione anche per Rai Scuola, tratta dai suoi libri e la puntata dedicata a Newton è un ottimo riassunto del libro in questione.
Per quanti ne hanno la possibilità, approfittate del cinquecentesimo anniversario della morte di Leonardo per visitare, presso la Fabbrica del Vapore a Milano, la mostra Leonardo 3D: «è un evento multisensoriale dedicato a tutta la famiglia, un racconto che conduce i visitatori al cuore dell’incredibile mondo di Leonardo». La mostra è aperta fino al 22 Settembre.
Buona matematica! Ci sentiamo tra TRE settimane!
Daniela
Il libro appartiene alla collana “Lampi di genio” di Editoriale Scienza che raccoglie le biografie di grandi scienziati, raccontate e illustrate da Luca Novelli. Tradotti in venti lingue, i testi sono diventati anche un programma televisivo, ideato, realizzato e condotto dallo stesso Luca Novelli per Rai Educational e trasmesso da Rai 3.
Ogni libro della collana ha la stessa struttura: i grandi scienziati raccontano la propria storia in maniera colloquiale, in forma di brevi capitoli illustrati, al termine dei quali c’è un piccolo box, come se si trattasse di una voce fuori campo, che focalizza la nostra attenzione su alcuni sviluppi importanti o piccoli approfondimenti.
Al termine del libro, è presente un piccolo dizionarietto illustrato, per chiarire gli eventuali dubbi.
Che cosa c’è nel libro dedicato a Isaac Newton ce lo dice direttamente l’autore all’inizio:
“Che cosa c’è in questo libro… Ci sono io, Isaac Newton, voce narrante. C’è la mia infanzia e la mia adolescenza nella fattoria di Woolsthorpe. E il mio arrivo all’Università di Cambridge. Ci sono gli anni della Peste Nera e la vera storia della mela. Ci sono i miei studi sulla luce e la scoperta della legge che regola il movimento delle stelle e dei pianeti. C’è il mio lavoro alla zecca di Londra e la mia sfolgorante carriera al servizio dei re e delle regine d’Inghilterra. E per finire c’è un bel dizionarietto… newtoniano.”
Di dialoghi è piena la storia della scienza, a partire da Platone fino ad arrivare a quelli di Galilei, e Clifford Johnson ha deciso di ampliare questa tecnica letteraria, offrendo dei dialoghi a fumetto. Pubblicato dalla casa editrice Dedalo nel 2018, il libro «Dialoghi, Conversazioni sulla natura dell’Universo» è a tratti impegnativo, ma ricco di spunti. L’autore stesso, al termine di ogni dialogo, propone un paio di pagine di note, nelle quali sono stati aggiunti degli approfondimenti.
Gli undici dialoghi costituiscono un’unica narrazione, visto che si intrecciano, si interrompono per poi riprendere in un secondo momento e danno l’idea di una staffetta che sviluppa il discorso. A parte il secondo dialogo, dedicato al metodo scientifico, con protagonisti due fratelli che ipotizzano una spiegazione per l’aumento di volume del riso durante la cottura, gli altri sono in qualche modo collegati. Il primo dialogo avviene in un museo, durante una festa: si incontrano un astrofisico e una donna che cominciano a parlare dell’elettromagnetismo, ma continuano la spiegazione nel quarto dialogo, dove si parla di bellezza, simmetria e rottura della simmetria. Il terzo dialogo è l’incontro in un locale tra una fisica e un uomo: al di là del loro coinvolgimento personale, la protagonista è la teoria del tutto. Il quinto incontro avviene in stazione e il dialogo si svolge sul treno, sconfinando in considerazioni metafisiche e religiose e proseguendo nel settimo dialogo con i buchi neri. I protagonisti del sesto dialogo sono i personaggi del primo, che si incontrano alla Angel’s Flight Railway di Los Angeles: il fisico viene paragonato a un abile cuoco che, assaggiato un piatto, riesce a elencare gli ingredienti e a capire come sono stati legati, così come i fisici che, «combinando le osservazioni astronomiche con le equazioni giuste deducono le proprietà dell’universo primordiale». Nell’ottavo dialogo, l’esperta è quella del terzo dialogo e, sconfinando nel nono dialogo, le due protagoniste parlano di diagrammi di Feynman, di teoria di Gauge, di dimensioni… L’esperta poi incontra, nel decimo dialogo, l’esperta del quinto dialogo e insieme si confrontano: il confronto non è semplice da seguire, ma dà l’idea che, pur appartenendo ad ambiti diversi e avendo specializzazioni diverse, i fisici riescano a confrontarsi e a costruire nuove idee, grazie ai nuovi spunti. L’ultimo dialogo, un incontro in autobus, è un modo per descrivere il lavoro degli scienziati: «gli scienziati non sono gente speciale, ma gente normale che si occupa di una cosa speciale: la scienza».
Per realizzare il progetto, Johnson, fisico che si occupa di gravità quantistica e di teoria delle superstringhe, ha dedicato mesi a perfezionare le proprie doti di disegnatore, per poter realizzare autonomamente tutta l’opera, tant’è che la stesura del libro ha richiesto diciassette anni di lavoro. I dialoghi sono ricchi di significati, come dimostrano «Le espressioni del volto e il linguaggio del corpo [che] entrano in azione», secondo le parole del premio Nobel per la fisica (2004) Frank Wilczek nella prefazione. Addirittura, alcune volte Johnson ha legato «la fisica di cui discutono i protagonisti alla disposizione delle immagini nella pagina», ovvero ha rappresentato i contenuti della fisica a più livelli. Allo stesso tempo, ha inserito equazioni e diagrammi, a differenza di altri libri divulgativi (ricordo che gli editor incoraggiano gli autori a evitare le equazioni).
«La relatività a fumetti» è stato pubblicato nel 2008 nella collana La scienza a fumetti della Casa Editrice Raffaello Cortina. Gli autori sono Bruce Bassett, cosmologo e Ralph Edney, matematico e illustratore, che della stessa collana ha curato i libri sui frattali e sul tempo.
Il libro, di rapida lettura, unisce la forza delle immagini ad alcune brevi spiegazioni, chiare ed efficaci. Può essere un modo per fare il punto della situazione rispetto a quanto studiato a scuola, per gli studenti, o una guida con i suggerimenti per alcuni approfondimenti per gli insegnanti.
Il libro si apre con la descrizione del contesto scientifico, storico e filosofico in cui è maturata la teoria della relatività. Dopo aver descritto, nei suoi tratti essenziali, la relatività speciale, il focus si sposta sulla complessità della relatività generale. Dalle trasformazioni di Lorentz al particolare comportamento dei muoni, si arriva poi al confronto tra la fisica classica e quella quantistica. Posto l’accento sul “più felice pensiero della [sua] vita”, ovvero l’intuizione dell’esperimento mentale della caduta libera, tra disegni illuminanti e vignette che contribuiscono ad alleggerire il tema, alcune piccole sintesi, sparse qua e là nel libro, aiutano a focalizzare l’attenzione sugli aspetti fondamentali. «La materia dice alla geometria come curvarsi, mentre la geometria dice alla materia come muoversi», ad esempio, è un modo per evidenziare la difficoltà della relatività generale, richiamando il celebre interrogativo sulla priorità di uova e galline. La pubblicazione è precedente alla rivelazione delle onde gravitazionali, perciò in alcune parti e in alcune considerazioni sull’efficacia della relatività per spiegare la realtà, risulta superato.
Mi ha fatto riflettere questo articolo del New York Times dello scorso maggio, che già dal titolo affascina e intriga: gli insegnanti di matematica dovrebbero assomigliare agli allenatori di football. L’autore è John Urschel, candidato per un Ph.D. in matematica al MIT ed ex giocatore professionista di football. Ci racconta che, crescendo, era convinto che lo studio della matematica fosse qualcosa che andava sopportato, non qualcosa che avrebbe potuto provocare piacere o divertire. John ripercorre per noi gli anni della scuola: per gli insegnanti della scuola primaria, era “lento”, ma il suo problema non era con la matematica, visto che spendeva un sacco di ore facendo giochi logici e matematici o, da adolescente, dedicando un sacco di ore all’approfondimento dei problemi che l’avevano affascinato. Il vero problema era che pensava ad altro, quando gli rivolgevano una domanda, oppure si annoiava e si rifiutava di applicare alcuni procedimenti meccanici che gli venivano insegnati per risolvere i problemi. Una volta approdato alla scuola superiore, nessuno dei suoi insegnanti ha messo in dubbio il suo talento per la matematica, ma nessuno l’ha incoraggiato ad affrontare una carriera in tale ambito. Eppure, nonostante non avesse il fisico per diventare un giocatore di football, nessun allenatore gli impedì di continuare a sognare un futuro in ambito sportivo, anzi: gli allenatori lo incoraggiavano a credere di poter raggiungere il proprio obiettivo e lo spingevano ad allenarsi. John dice di aver spesso sentito la loro voce quando, prima dell’alba, riusciva a trascinarsi fuori dal letto per allenarsi. Gli piacerebbe, quindi, che gli insegnanti di matematica assomigliassero di più agli allenatori: i ragazzi vengono influenzati da qualcosa che va ben al di là di una lezione ben organizzata. Rispondono anche alla passione che viene loro trasmessa dagli insegnanti, all’impegno che vedono nei loro pari e ricercano una motivazione. Traggono beneficio da istruzioni chiare, da un feedback costante e da una cultura dell’apprendimento che incoraggia la resilienza di fronte al fallimento, esattamente come succede per gli allenamenti di football. I bravi insegnanti, come i bravi allenatori, ti fanno capire che hanno a cuore i tuoi obiettivi.
L’articolo è già di per sé una fonte di riflessione, perciò, in questa newsletter estiva, mi limito ad aggiungere solo qualche consiglio di lettura, visto che l’estate è sempre un ottimo momento per svagarsi e approfondire al tempo stesso. Dopo aver visto il film su Edison (anche se il titolo originale sarebbe «La guerra delle correnti»), ho letto la graphic novel dedicata a Nikola Tesla, per avere conferma di quanto già conoscevo sull’inventore: nel film, Tesla è passato in secondo piano, surclassato da Westinghouse e dalla fama di Edison, ma la guerra tra le correnti avviene effettivamente tra Tesla e Edison e questa graphic novel lo mette in evidenza. Magari sarete tra i fortunati ad avere l’occasione di vedere la mostra dedicata a Tesla che sarà visibile a Milano a partire dal 5 ottobre: questa sarà la prima e unica tappa in Italia del tour mondiale di una mostra dedicata alla vita e alle invenzioni di «colui che ha regalato all’umanità scoperte straordinarie».
Il secondo consiglio di lettura è per i bambini della scuola primaria, terzo libro di Pettarin, un modo per far amare la matematica e per parlare di tolleranza e diversità: Le cose non quadrano… ci vogliono i cerchi! è stato scritto insieme a Jacopo Olivieri e arricchito dalle illustrazioni di Giulia Orecchia. Dal mio punto di vista, la favola mi ricorda un po’ certi racconti di Gianni Rodari, forse perché la morale è facilmente riconoscibile e dietro un’apparente leggerezza ci sono concetti importanti. Ho usato il libro Capire davvero la relatività di Daniel F. Styer durante la spiegazione della teoria della relatività ristretta: gli esempi dettagliati e la spiegazione chiara del paradosso dei gemelli o dell’asta nel fienile, ma anche dello strano caso della viaggiatrice golosa hanno accompagnato le mie lezioni aiutando i miei alunni a capire meglio. Ogni volta che mi capita di spiegare la teoria della relatività, capisco meglio alcuni particolari e uno dei meriti va proprio a Styer, che ha pubblicato questo libro nel 2011 e che nella versione italiana è comparso nella collana “Chiavi di lettura” della Zanichelli. L’ultimo libro è una delle prime fatiche di Gabriella Greison, fisica, scrittrice, giornalista e nota per i suoi monologhi sulla fisica quantistica, sua grandissima passione: L’incredibile cena dei fisici quantistici è il racconto della cena che si è svolta al termine del V Congresso di Solvay, dedicato a elettroni e fotoni. Un ottimo modo per sentire il libro raccontato dalla voce dell’autrice è quello di ascoltare il TED della Greison realizzato nel 2017, oppure ascoltare le Pillole di Fisica, rubrica televisiva che è andata in onda sul canale RaiNews24: sono cinque minuti dedicati di volta in volta a un fisico del Novecento.
Buona matematica! Ci sentiamo tra TRE settimane!
Daniela
«L’incredibile cena dei fisici quantistici», pubblicato per Salani nel settembre del 2016, è uno dei primi libri di Gabriella Greison: fisica, scrittrice, giornalista professionista, Gabriella ha una vera passione per la fisica quantistica, «mi faccio accompagnare dalla fisica quantistica, la sfioro, l’accarezzo, tutto qui. Ma l’unica certezza che ho in cambio è il meraviglioso dubbio che mi crea». «1927 – Monologo quantistico» è lo spettacolo teatrale tratto da questo libro.
Il libro è a metà tra un romanzo e un saggio: da un lato il racconto della cena che si è svolta presso il Salon de la Taverne Royale di Bruxelles, il 29 ottobre del 1927 al termine del V Congresso di Solvay (quello della famosa foto che si trova sulla copertina, per intenderci), dall’altro non solo le biografie dei fisici che parteciparono al congresso, ma anche le riflessioni sulla fisica quantistica, guidate in qualche modo dai dialoghi avvenuti durante la cena. I dialoghi sono inventati, ovviamente, ma sono in qualche modo attendibili, visto che sono stati ricostruiti dalle lettere, dalle carte, dalle biografie dei singoli fisici: «Questa storia è l'intreccio di cose vere, cose veritiere, cose probabili e cose inventate». La distribuzione dei posti a tavola, ad esempio, disegnata da Lorentz, è stata in parte rispettata e in parte cambiata e ci sono dei personaggi fittizi: le persone invitate sono venti, tra le quali ci sono cinque donne, dieci premi Nobel e i reali del Belgio. Sono tutti puntuali e di buonumore, appaiono rilassati, ma è solo apparenza. Heisenberg, Pauli, Dirac, Ehrenfest non sono stati invitati, mentre Schrödinger e Planck, invitati, rifiutarono, l’uno perché detestava i ritrovi convenzionali, l’altro perché troppo stanco per andarci. Tra gli assenti anche Fermi e Marconi, che non furono invitati né alla cena né al congresso.
La storia ha la durata della cena: ci sono sette portate, ovvero sette capitoli, il cui titolo è una rivisitazione di titoli di famosi teoremi di fisica, che la Greison non riesce a «togliersi dalla mente», nonostante siano passati un po’ di anni dalla laurea in fisica. Ogni capitolo è diviso in due parti: dopo i dialoghi tra gli invitati, ci sono gli approfondimenti di fisica.
Si comincia con un’introduzione, ovvero l’aperitivo, che è una breve storia della fisica quantistica e che permette di fare il punto della situazione, fornendoci lo stato dei lavori all’inizio del congresso. La prima portata permette ai commensali di prendere confidenza gli uni con gli altri, ma poi si procede con il racconto del cinquantesimo anniversario di dottorato di Lorentz, nel dicembre del 1925, quando è avvenuto il primo incontro tra Bohr e Einstein. Con la seconda portata, ci sono i racconti che riguardano gli assenti, un modo per l’autrice di rendere parte attiva tutti i fisici coinvolti nella meccanica quantistica. La terza portata apre il discorso sugli scambi epistolari e quindi è l’occasione per citare le lettere più importanti scritte da Einstein. La quarta portata ricorda le rappresentazioni teatrali dei fisici, ma anche la triste conclusione della vita di Ehrenfest. La quinta portata permette il ritorno alle origini, ovvero al precedente congresso, quello di Como, al quale Einstein non era presente: il discorso di Bohr (riportato integralmente) sancisce la nascita della fisica quantistica. Con la sesta portata, vengono riportate le discussioni tra i fisici, ovvero il confronto grazie al quale la ricerca può progredire. L’ultima portata rimette in gioco lo scontro tra Einstein e Bohr, mentre si arriva, in qualche modo, a una mediazione tra le due posizioni, senza dimenticare, però, che «le discussioni sulla fisica quantistica sono ancora attuali».
Sullo sfondo, resta una descrizione generale dei fisici, attraverso le loro manie, le gaffe abituali, la loro inettitudine nella vita quotidiana, i tic e le regole che si impongono: se non fosse che l’autrice appartiene alla categoria, potremmo essere portati a considerarlo il solito elenco di luoghi comuni sulla categoria. In realtà, la narrazione stessa è caratterizzata da momenti intensi – perché parlare di fisica quantistica non è certo facile – alternati a momenti di leggerezza, ovvero quelli in cui la Greison cerca di rendere i fisici protagonisti del primo Novecento più umani. Grazie a questi momenti di leggerezza, la lettura è stata scorrevole, proprio come se si fosse trattato di assistere a uno spettacolo dell’autrice, senza dimenticare il vantaggio di imparare comunque qualcosa di nuovo, che si tratti di una curiosità sulla vita di un fisico o di un aspetto della fisica quantistica che non avevo considerato.
Daniel F. Styer è un fisico teorico, professore di fisica presso l’Oberlin College. Autore di libri riguardanti la meccanica quantistica, nel 2011 ha pubblicato «Relativity for the questioning mind», tradotto in italiano con «Capire davvero la relatività» e pubblicato da Zanichelli nella collana “Chiavi di lettura”. Il titolo originale, traducibile come «La relatività per chi si pone domande», ci dice che Styer vuole dal lettore una partecipazione attiva, perché possa costruirsi una sua conoscenza personale della relatività. Segue l’esempio di Einstein che affermava: «una sciocca fede nell’autorità è il peggior nemico della verità».
Non è un libro tecnico, visto che non usa nemmeno una matematica complessa, si accontenta dell’algebra e del teorema di Pitagora, ma nemmeno descrittivo, visto che è estremamente analitico, non esattamente divulgativo. Non è un racconto: richiede lo svolgimento di esercizi: non è semplicemente un libro da leggere, ma un libro da scrivere. «Com’è noto, non si può imparare a nuotare guardando gli altri: occorre buttarsi in acqua e provare di persona. Vale altrettanto per la scienza: è impossibile impararla facendosela “versare nella mente” come in una bottiglia vuota. Bisogna mettere in discussione gli esperimenti, criticare le deduzioni e verificare le conclusioni. Spero che lo farete in tutto il corso del libro; e in particolare vorrei che dedicaste un po’ di tempo ai problemi presentati alla fine dei capitoli».
I primi sedici capitoli sono dedicati alla relatività ristretta, mentre gli ultimi tre riguardano la relatività generale. Ogni capitolo sulla relatività ristretta è costituito da tre parti: la prima è una spiegazione densa di esempi, la seconda è una selezione di domande, scelte tra quelle che gli studenti hanno posto all’autore al termine di ogni sua lezione sulla relatività e l’ultima parte sono problemi posti al lettore, per i quali sono offerti, al termine del libro, alcuni suggerimenti per lo svolgimento.
Durante la trattazione, Styer aiuta ad armonizzare i tre effetti della relatività, ovvero la dilatazione del tempo, la contrazione delle lunghezze e la relatività della sincronizzazione. Non ci sono incoerenze logiche, ma schemi, calcoli ed esempi illuminanti, mentre la simultaneità diventa la «chiave di volta senza cui l’intera struttura crollerebbe rovinosamente». Se considerassimo solo contrazione e dilatazione, alla fine cadrebbero in contraddizione, ma non è certo facile accettare la relatività della simultaneità. Per quanto possa sembrarci strano, Styer ci ricorda che la relatività «si avvicina alla realtà più dell’approssimazione classica basata sul senso comune» e gli esempi al riguardo non mancano. Affronta gli argomenti qualitativamente, numericamente o simbolicamente, a seconda dei casi, scegliendo quello che, di volta in volta, è l’approccio più efficace.
L’ultimo capitolo è dedicato a una serie di approfondimenti, proposti dall’autore attraverso altre letture ed è seguito da una postfazione, legata al caso dei neutrini che, apparentemente, hanno superato la velocità della luce durante un esperimento: offre l’occasione per un’interessante riflessione su come funziona la scienza.
Utilizzare il libro per far lezione sulla relatività aiuta a spiegare meglio alcuni concetti: la scelta dell’autore di un’unità di misura di tempo particolare e i disegni utilizzati per ogni sistema di riferimento, aiutano gli alunni a cogliere le sfumature della teoria della relatività e le contraddizioni con la realtà se da un lato scuotono le nostre convinzioni, dall’altro aiutano a comprendere ancora meglio la novità di questa teoria. La lettura è consigliata a tutti coloro che abbiano veramente la volontà di comprendere e, quindi, di impegnarsi a risolvere i problemi proposti, unico modo per partecipare attivamente a quest’avventura proposta da Styer.
A Matematopia, Zero Junior sta per partecipare alla sua prima Adunanza, durante la quale vedrà all’opera l’Esemplificatore, che «affronta e risolve, rendendoli semplici e comprensibili, problemi ed esercizi di qualunque tipo». L’immensa Piazza Calcolo è gremita, ma gli abitanti di ogni quartiere non hanno rapporti con quelli degli altri, perciò i Numeri e le figure geometriche non si mescolano. Zero Junior attira l’attenzione su di sé, dando la risposta corretta a un problema proposto dall’Esemplificatore: il piccolo Zero e la piccola Cerchiolina fanno fronte comune, mentre attorno a loro gli altri Numeri e i Poligoni cominciano a evidenziare in quanti modi gli Zeri e i Cerchi siano diversi e non rispettino le regole. Mentre gli Assiomi cercano di mettere ordine in mezzo ai tumulti, la famiglia degli Zeri e quella dei Cerchi decidono di lasciare Matematopia. Alla successiva adunanza l’Esemplificatore si arrabbia e dimostra la necessità di cerchi e zeri attraverso problemi che li coinvolgono. Al ritorno delle due famiglie, l’Esemplificatore richiama l’attenzione sulla ricchezza delle diversità: «i “diversi” non esistono. Esistono semmai gli “speciali”: nel senso che le loro differenze sono in realtà delle specialità che arricchiscono non solo loro, bensì tutti quanti».
Parlando di aritmetica e geometria, Pettarin e Olivieri parlano anche di tolleranza, come se la matematica fosse la scusa per parlare d’altro. La favola alimenta l’amore per la matematica attraverso la metafora della vita e, al tempo stesso, permette di affrontare il tema della “diversità” utilizzando cose apparentemente innocue come i numeri. Ha il sapore di certe favole di Gianni Rodari: per quanto i disegni di Giulia Orecchia contribuiscano a dare una certa leggerezza al racconto, non si può non coglierne la morale.