Visualizza articoli per tag: storia

Giovedì, 01 Agosto 2013 21:25

I dieci esperimenti più belli

TRAMA:

George Johnson riflette sugli sviluppi della fisica negli ultimi decenni. Nel XXI secolo la scienza non è più trattata in un laboratorio da un singolo scienziato, ma è ormai industrializzata. Gli esperimenti occupano numerose colonne sui giornali, generano una tale quantità di dati che sono necessari supercomputer per analizzarli e sono svolti da équipe composte da parecchi scienziati. Ma fino a non molto tempo fa la scienza più rivoluzionaria arrivava da singole paia di mani, da menti individuali che sfidavano l’ignoto. I grandi esperimenti che segnano i confini del nostro sapere sono stati quasi sempre condotti da uno o due scienziati, e di solito sul piano di un tavolo. I calcoli, se servivano, erano svolti su carta o, più tardi, su un regolo calcolatore.

Sentendo il bisogno di ripartire dalle fondamenta, Johnson dedica questo libro a dieci esperimenti.

 

  1. Galileo: il vero moto degli oggetti. La grandezza di questo esperimento sta nella trovata geniale di Galileo per seguire la caduta di un grave, visto che non aveva a disposizione i sofisticati strumenti odierni. Per rallentare il moto di caduta dei gravi, Galilei utilizzò un piano inclinato liscio e per misurare i tempi, secondo una recente ricostruzione, fissò un ritmo cantando un motivo semplice. Trovò così che la distanza coperta dalla pallina aumentava con il quadrato del tempo.
  2. William Harvey: i misteri del cuore. Harvey arrivò ad estrarre il cuore di un animale ancora in vita, sentendo sul palmo della mano il ritmo sempre più lento dei suoi ultimi battiti, per riuscire a risolvere il mistero del funzionamento di tale organo e per stabilire che il movimento del sangue è circolatorio (si parla, infatti, di circolazione sanguigna).
  3. Isaac Newton: che cos’è un colore. Con questo esperimento Newton cambiò per sempre il nostro modo di intendere la luce, perché aveva scoperto che cos’è il colore. L’esperimento cruciale di Newton consiste nel far passare un raggio di luce attraverso un prisma, proiettandone lo spettro su una tavola di legno.A un estremo della tavola Newton aveva praticato un foro e, reggendo il prisma in maniera opportuna, poteva far sì che i colori passassero uno alla volta attraverso il buco e da qui in un secondo prisma, prima di finire proiettati sul muro.
  4. Antoine-Laurent Lavoisier: la figlia del fattore. Facendo esperimenti bruciando il mercurio, Lavoisier riuscì a capire che la combustione consuma l’ossigeno e lascia l’azoto, in altre parole separò i due componenti principali dell’atmosfera. In molti stavano lavorando a questi esperimenti, ma Lavoisier fu l’unico a capire che cosa aveva scoperto. Stabilì inoltre la legge della conservazione della massa.
  5. Luigi Galvani: elettricità animale. Nella disputa tra Galvani e Volta sull’esistenza dell’elettricità animale, Galvani fu costretto a perfezionare il suo esperimento originario, eliminando qualsiasi influenza esterna: stimolò i due nervi delle zampe di una rana con una piccola bacchetta di vetro e ottenne una contrazione muscolare. In modo complementare, Volta inventò la pila. I due esperimenti ruotavano attorno alla stessa verità e cioè che non esiste la distinzione tra elettricità animale ed elettricità artificiale.
  6. Michael Faraday: qualche cosa di profondamente nascosto. Mentre gli scienziati di tutta Europa cercano di svelare i misteri connessi al fenomeno dell’elettricità, Faraday trova un collegamento tra elettricità e magnetismo, magnetismo e luce, con un esperimento nel quale il campo magnetico fa ruotare un fascio di luce, dopo aver tentato invano di effettuare lo stesso esperimento con la corrente elettrica.
  7. James Joule: lavoro e calore. Joule dimostrò che lavoro e calore sono la stessa cosa con un esperimento noto ad ogni studente di fisica delle superiori: in un recipiente contenente acqua, c’è un’asta centrale sulla quale sono fissate delle palette. Lasciando cadere dei pesi, le palette cominciano a ruotare mescolando l’acqua. In questo modo, la temperatura dell’acqua viene innalzata e si dimostra l’uguaglianza tra l’energia (la caduta delle masse) e il calore (l’innalzamento di temperatura).
  8. Albert A. Michelson: persi nello spazio. La storia di un esperimento che dimostra il contrario di quanto tutti si aspettavano: l’esperimento dell’interferometro doveva dimostrare l’esistenza dell’etere, misurando una diversa velocità della luce a seconda della direzione nella quale la stessa si propagava. Contrariamente alle attese, nessuna differenza venne rilevata: l’etere non esiste.
  9. Ivan Pavlov: misurare l’immisurabile. Nei suoi esperimenti con gli animali, Pavlov studiò le reazioni dei cani, misurando la loro salivazione, nel rispondere agli stimoli che lui proponeva. Per il suo lavoro sulla fisiologia della digestione, fu insignito del premio Nobel nel 1904.
  10. Robert Millikan: nella terra di confine. Si è ipotizzata l’esistenza dell’elettrone, ma solo Millikan riesce a misurarne la carica, osservando delle goccioline d’olio elettrizzate, (fu lo studente Harvey Fletcher a proporre l’utilizzo dell’olio al posto dell’acqua). L’esperimento sembra semplice quando lo si spiega, ma, come riconosce lo stesso autore: provai molte volte senza successo, prima di rendermi conto che per me riuscire a dominare un esperimento così delicato sarebbe stato come imparare a suonare il violino, o a costruire buoni mobili.

 

COMMENTO:

Molto scorrevole e semplice, il libro è estremamente godibile pur non avendo preparazione in materia, dato che l’autore spiega con estrema chiarezza gli esperimenti, oltre al contesto nel quale sono nati. I protagonisti degli esperimenti sono descritti nelle loro ambizioni e nella loro genialità, nei punti di forza e nelle debolezze, anche se non sempre sono presentati i particolari delle loro biografie, come lo stesso autore ci spiega nell’introduzione. La scienza che emerge da questo libro ha un carattere individuale ed è potuta progredire proprio grazie alla grandezza di questi singoli scienziati, che con la loro genialità hanno permesso il progresso degli ambiti in cui hanno lavorato.

Proprio per il suo carattere estremamente semplice, il libro può considerarsi un assaggio di scienza: per le persone più preparate può apparire quasi scarno e povero di approfondimenti, ma per gli studenti delle superiori può costituire un invito all’approfondimento, possibile anche grazie alla ricca bibliografia fornita dall’autore.        

Pubblicato in Libri
Etichettato sotto
Giovedì, 01 Agosto 2013 16:36

Atomi in famiglia

TRAMA:
Figlio di un amministratore delle ferrovie e di una maestra elementare, Enrico Fermi nacque il 29 settembre del 1901, dopo la sorella Maria (1899) e il fratello Giulio (1900), morto nel 1915. La morte del fratello lasciò Enrico improvvisamente solo e con un grande vuoto: forse per questo motivo, cominciò a dedicarsi allo studio con tanta assiduità. Nei suoi studi, fu guidato dall’ingegnere Adolfo Amidei, un amico di famiglia, che prestò al giovane Enrico i libri che possedeva, uno alla volta, in ordine logico, per formargli solide basi matematiche e per dargli le nozioni fondamentali della fisica.
Fu proprio l’ingegnere a suggerire a Enrico di andare a Pisa, alla Reale Scuola Normale Superiore. Gli anni di Pisa, dal 1918 al 1922, furono caratterizzati da un’intensa vita goliardica, da lunghe gite sulle Alpi Apuane e da numerosi successi scolastici, nonostante il poco tempo dedicato allo studio. Dopo la laurea, avvenuta il 4 luglio del 1922, Enrico si recò a Roma per avere dal senatore Orso Mario Corbino, direttore dell’Istituto di Fisica di Via Panisperna, alcuni consigli per l’avvenire. Fermi trovò in Corbino un maestro affabile che mostrava comprensione e interesse sia per le questioni di fisica moderna sia per quelle umane. Per parte sua Corbino fu colpito dalla cultura scientifica di quel giovanetto timido e modesto, e ne intuì immediatamente l’eccezionale intelligenza.
Nell’autunno del 1926 divenne professore di ruolo all’Università di Roma e, grazie all’intraprendenza di Corbino, negli anni seguenti altri giovani vennero all’Istituto di Fisica: studenti nuovi, laureati di altre Università, fisici stranieri. Erano di passaggio: stavano alcuni mesi o alcuni anni, poi se ne andavano. Ma il nucleo iniziale rimase: Rasetti, Fermi, Segrè e Amaldi. Corbino li chiamava i suoi ragazzi e, come un padre, li seguiva affettuosamente nelle loro ricerche, oltremodo orgoglioso dei loro successi. I ragazzi di Corbino lavoravano insieme, in una collaborazione naturale e spontanea. Diversi di carattere, si adattarono l’uno all’altro, e ne risultò un’amicizia che andò crescendo col passar degli anni.
Enrico Fermi e Laura Capon si sposarono il 19 luglio del 1928: incontratisi per la prima volta una domenica di primavera del 1924, ebbero modo di ritrovarsi durante le vacanze estive del 1926 in Val Gardena. Nell’estate del 1930, i coniugi si recarono per la prima volta negli Stati Uniti, per un corso di lezioni di meccanica quantistica all’Università del Michigan ad Ann Arbor. 
Nel gennaio del 1934, Irène Curie e Frédéric Joliot annunciarono di aver scoperto la radioattività artificiale e Fermi decise di dedicarsi alla fisica sperimentale: con Amaldi e Segrè, si dedicò all’estrazione di neutroni dal radio. Verso la fine del 1935 il ritmo di lavoro era fiacco e i risultati scarsi per molti motivi: la guerra etiopica scoppiata in ottobre, l’allontanamento di Majorana, la partenza di Rasetti per gli Stati Uniti e il trasferimento di Segrè a Palermo. Fu la fine del gruppo di via Panisperna.
Il 10 novembre del 1938 la famiglia Fermi ricevette la telefonata dalla commissione del Nobel. Avendo già deciso di lasciare l’Italia, approfittarono del viaggio a Stoccolma per proseguire per gli Stati Uniti: nel settembre dello stesso anno erano state promulgate le leggi razziali e la situazione di Laura, ebrea per nascita, sarebbe diventata un vero problema per la famiglia, nonostante la notorietà del marito. La famiglia partì da Roma il 6 dicembre del 1938, Enrico ricevette il premio il 10 dicembre e il 2 gennaio 1939 sbarcarono in America. Per sei mesi, la famiglia abitò a New York, nel quartiere della Columbia University, poi si trasferirono in un villino a Leonia, nel New Jersey, nel settembre del 1939. 
Dopo che gli esperimenti condotti a Roma nel 1934 avevano apparentemente dimostrato che bombardando l’uranio con neutroni si produceva un nuovo elemento, Hahn, Strassman e Lise Meitner a Berlino fecero parecchi progressi in questo campo e la Meitner, costretta a rifugiarsi a Stoccolma dopo l’Anschluss, ne parlò a Bohr, che era in procinto di partire per l’America. La Meitner, con il nipote Frisch, avanzò l’ipotesi di una scissione dell’uranio, ovvero la separazione dello stesso in due parti quasi uguali, processo che sprigiona una grandissima quantità di energia nucleare, mettendo in fuga i neonati elementi a grandissima velocità in direzioni divergenti. Quindi progettarono un esperimento per verificare questa ipotesi e per misurare la quantità di energia che viene liberata nella scissione di un atomo di uranio. Avvisarono poi Bohr con un telegramma, per informarlo dei risultati positivi dell’esperimento e Bohr mise al corrente Enrico Fermi della nuova interpretazione dei suoi esperimenti del 1934. Fermi formulò l’ipotesi che l’uranio, nello scindersi in due pezzi, potesse emettere neutroni e non appena l’ipotesi di Enrico divenne nota, molti fisici sperimentali si misero a cercar neutroni nella scissione con grande alacrità e in preda a evidente eccitazione. Si cominciò a parlare di una “reazione a catena automantenuta”: i neutroni derivati dalla scissione avrebbero permesso la scissione di altro uranio che avrebbe generato quindi altri neutroni… e così via. Per la prima volta apparve agli occhi degli uomini la possibilità di sfruttare le illimitate riserve di energia contenuta nella materia. Si cominciò a parlare di armi atomiche e gli scienziati erano preoccupati per il fatto che l’inizio di questi studi fosse avvenuto in Germania, anche se non si sapeva se l’esperimento, ipotizzato in teoria, fosse realizzabile in pratica. 
Anche alla Columbia University si cominciò a lavorare per realizzare la reazione a catena: Fermi, con Pegram, Dunning e Anderson, stabilì un piano di ricerche da eseguire con il ciclotrone. Si unirono al gruppo anche Szilard e Zinn. 
Si decise di mettere al corrente il Governo dei progressi effettuati: Einstein, Szilard e Wigner, di comune accordo, decisero di preparare una lettera per il Presidente Roosevelt. L’avrebbe firmata Einstein, lo scienziato di gran lunga più insigne in tutti gli Stati Uniti. Una volta ricevuta la missiva, Roosevelt istituì un “Comitato Consultivo per l’uranio”. Inizialmente, l’appoggio del Governo fu ben poca cosa in termini economici, ma dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor nel dicembre del 1941, l’atteggiamento cambiò. 
Nel 1942 i Fermi si trasferirono a Chicago: Enrico lavorava al Laboratorio Metallurgico, il Met Lab, e tutto quello che vi succedeva era un segreto militare di primaria importanza. In questo laboratorio venne realizzata la prima pila atomica: la realizzazione della pila atomica veniva a coronare quattro anni di ricerche ininterrotte, di sforzi intensi, cominciati non appena fu annunciata la scoperta della scissione dell’uranio. L’esperimento della pila fu realizzato con successo il 2 dicembre del 1942. 
Nell’estate del 1944, la famiglia Fermi si trasferì al Sito Y.
Il lavoro atomico, chiamato “Reparto Manhattan”, era guidato dal generale Groves, che, con l’aiuto del prof. Robert Oppenheimer, cercò un luogo per costruire la bomba atomica. Fu Oppenheimer a suggerire a Groves una scuola-convitto per ragazzi, situata su un altopiano, in prossimità di Santa Fé. Sotto la direzione di Oppenheimer, sorse una vera e propria città a 2200 metri sul livello del mare, con più di 6000 abitanti alla fine della guerra. In quella città si raccolsero scienziati provenienti da tutte le parti degli Stati Uniti e dall’Inghilterra; e sparirono dal mondo. Per due anni e mezzo la città non venne segnata sulle carte geografiche, non ebbe riconoscimento ufficiale, non fece parte amministrativa del New Mexico, i suoi abitanti non ebbero il voto nelle elezioni. Quella città veniva chiamata Los Alamos dagli abitanti, Sito Y dalle poche persone al di fuori di essa che ne conoscevano l’esistenza, Casella Postale 1663 di Santa Fè da corrispondenti e amici dei residenti
La fine della guerra si avvicina, gli esperimenti si susseguono. Il 16 luglio 1945 ad Alamogordo (chiamata Trinity per misura di sicurezza) nel mezzogiorno del New Mexico era stata fatta esplodere la prima bomba atomica che fosse mai stata costruita. Il generale Farrell, che aveva preparato una relazione dell’avvenimento pubblicata in agosto dopo Hiroshima, descrisse l’esplosione con le seguenti parole: “Tutta la campagna fu illuminata come da un riflettore di intensità molte volte superiore a quella del sole di mezzogiorno. La luce era dorata, color porpora, violetta, grigia e azzurra. Illuminava ogni cima, ogni crepaccio e ogni cresta della vicina catena di montagne, con una vivida bellezza impossibile a descrivere. Trenta secondi dopo l’esplosione si ebbe dapprima lo spostamento d’aria che investì con forza persone e cose; seguì quasi immediatamente il boato forte, prolungato e terrificante che sembrava annunciare il giudizio universale.”
Nell’agosto del 1945 furono sganciate le bombe su Hiroshima e Nagasaki: il 14 agosto il Giappone si arrese. 
All’inizio del 1946, la famiglia Fermi tornò a Chicago, dove Fermi lavorò ancora in università e, in marzo, con altri quattro scienziati ricevette la medaglia al merito del Congresso degli Stati Uniti per la parte avuta nell’attuazione della bomba atomica.
 
COMMENTO:
La descrizione accurata della vita a Los Alamos, il racconto della partenza per l’America della famiglia Fermi, il comportamento di Enrico Fermi durante l’esperimento Trinity… sono solo alcune delle curiosità contenute in questo libro, nel quale Laura Fermi presenta un’ottima combinazione di racconti di vita familiare con il grande fisico e di elaborate spiegazioni scientifiche del lavoro del marito. Il libro è semplice e scorrevole, accessibile anche per coloro che non hanno alcuna preparazione in campo fisico. 
La vita di Enrico Fermi appassiona il lettore e il contesto storico nel quale si è svolta rivela una serie di sfaccettature che non si possono ritrovare in un libro di storia, che ci parla degli avvenimenti della seconda guerra mondiale: gli eventi di quegli anni sono, infatti, presentati con il filtro delle emozioni degli spettatori di quegli anni, spettatori che riescono a diventare parte attiva e che vivono sulla propria pelle le conseguenze delle scelte di personaggi come Hitler e Mussolini. 
Libro consigliatissimo a tutti.
Pubblicato in Libri
Etichettato sotto
Giovedì, 01 Agosto 2013 16:02

Giochi matematici del medioevo

TRAMA:
Non tutti sanno che nel medioevo la matematica si diffonde in Italia grazie ai mercanti che portano dalle terre lontane non solo le droghe e l’oro, ma anche le idee migliori di tutti i popoli. Leonardo Pisano, detto il Fibonacci, è, per l’appunto, un mercante, ma anche il principale matematico italiano del medioevo. Con il Liber Abaci nel 1202, presenta innanzi tutto le nove cifre indo-arabiche e lo zero, ma anche le operazioni sugli interi e le frazioni, i criteri di divisibilità, la ricerca del massimo comun divisore e del minimo comune multiplo, le regole di acquisto e vendita, gli scambi monetari, le regole del tre semplice e del tre composto, lo studio delle equazioni algebriche quadratiche… 
Il Liber Abaci è denso di problemi, come quello più famoso: “Determinare quante coppie di conigli saranno prodotte in un anno, da una sola coppia che diventa produttiva a partire dal secondo mese”. L’antologia è stata scritta da un mercante (matematico) per altri mercanti, che hanno sì bisogno di conoscenze tecniche, senza però mai perdere di vista l’utile e il concreto: la maggior parte dei problemi, infatti, è dedicata a questioni di pratica mercantile.
Il presente libro è una raccolta di alcuni dei problemi di Fibonacci (sessantaquattro per la precisione): in ogni capitolo compare il testo del problema, una nota nella quale si danno indicazioni circa l’ubicazione del problema nell’opera o di ulteriori traduzioni dal linguaggio utilizzato da Fibonacci al linguaggio più moderno e la soluzione. La soluzione può essere presentata utilizzando i moderni metodi algebrici, oppure attraverso il procedimento di Fibonacci, spesso più originale, meno monotono e più geniale.
 
COMMENTO:
Il consiglio è quello di leggere con attenzione la prefazione di Pietro Nastasi “Leonardo Pisano detto Fibonacci: un commerciante matematico ai tempi di Federico II” e l’introduzione e poi di buttarsi a capofitto nei problemi, cercando di trovare una propria strategia e utilizzando la soluzione proposta dal testo come controllo del procedimento.
Il libro è stimolante, perché invita a trovare la propria strada nella soluzione dei problemi. Alcuni sono semplici, soprattutto se si affrontano con i moderni metodi algebrici, altri sono più complessi e si fatica a procedere, ma tutti sono interessanti e offrono uno spaccato dei costumi dell’epoca. Le spiegazioni di Fibonacci sono precise e, come dice il curatore, viene in mente un insegnante alle prese con uno studente che ha un ritmo di apprendimento lento. E Fibonacci mostra di essere un valido insegnante…
Come dice il curatore, Nando Geronimi: Buona lettura, dunque: agli appassionati di giochi matematici, per la bellezza di alcuni problemi; agli appassionati di storia della matematica, per la novità della documentazione; agli insegnanti delle scuole secondarie, per le suggestioni didattiche che via via accompagnano i testi e le soluzioni presentati. A tutti, buona lettura!
Pubblicato in Libri
Etichettato sotto
Giovedì, 01 Agosto 2013 15:43

L'enigma dei numeri primi

TRAMA:
L’introduzione della dimostrazione segna il vero inizio della matematica: l’intuizione da sola non basta e non serve nemmeno la verifica caso per caso, che potrebbe essere svolta da un computer. Gauss, principe dei matematici, dà un senso pieno alla dimostrazione e trova una certa regolarità nei numeri primi stabilendo che i numeri primi inferiori a un certo numero N sono N/lnN. Legendre perfeziona questa formula e nasce un’aspra disputa tra i due, vinta da Gauss che aveva effettuato un’analisi teorica, nettamente superiore ai tentativi del rivale.
Nel novembre del 1859, Riemann pubblica un saggio, di sole dieci pagine, nelle note mensili dell’Accademia di Berlino: solo dieci pagine perché, essendo un grande perfezionista, voleva pubblicare solo dimostrazioni rigorose. Determina una formula che fornisce il numero esatto di primi non maggiori di N, ma non va oltre: fuggendo dall’esercito invasore nel 1866, Riemann muore in Italia a soli trentanove anni e la sua solerte governante distrugge molti dei suoi appunti inediti, prima che qualcuno riesca a fermarla. Fra le sue carte, la dimostrazione non è mai stata trovata e fino a oggi i matematici non sono stati in grado di replicarla.
Agli inizi del Novecento, Hilbert riporta al centro dell’attenzione l’ipotesi, con il suo discorso al Congresso Internazionale dei matematici, nel quale elenca una serie di ventitre problemi, ritenendoli la linfa vitale della matematica: fra di essi l’ipotesi di Riemann, che secondo lui avrebbe sicuramente aperto nuove vie.
Con la seconda guerra mondiale e l’avvento del nazismo, l’Europa perde la propria centralità e molti matematici trovano rifugio a Princeton: Siegel, Selberg, Erdős,… fanno importanti passi avanti ma non giungono a una dimostrazione completa dell’ipotesi. Turing avrebbe solo potuto trovare un eventuale errore di Riemann, con il computer che consente solo di valutare ogni singolo caso. Fino ad ora ha permesso di trovare che 300 milioni di zeri si trovano sulla retta, facendo vincere a Enrico Bombieri due bottiglie di ottimo bordeaux in una scommessa contro Don Zagier: trecento milioni di zeri non sono una dimostrazione, ma una gran massa di indizi.
Con l’avvento di Internet, la teoria dei numeri ha assunto un ruolo di primo piano nelle applicazioni, visto che la cifratura RSA (da Rivest – Shamir – Adleman), che salvaguarda gran parte delle transazioni che avvengono su Internet, è basata sulla scomposizione di numeri con un elevato numero di cifre. L’ipotesi di Riemann aiuterebbe a capire la distribuzione dei numeri primi e cambierebbe anche la scomposizione dei numeri molto grandi: per ora contribuisce “solo” ad arricchire questa “odissea intellettuale” che non ha ancora avuto un lieto fine.
 
COMMENTO:
Libro molto interessante, spiegato con estrema semplicità e chiarezza. L’ipotesi di Riemann è la protagonista di una storia della matematica ricca di vicende umane, che si apre con il pesce d’aprile di Bombieri a dimostrazione del fatto che anche nella matematica più seria c’è spazio per l’umorismo. 
Adatto anche per studenti delle superiori.
Pubblicato in Libri
Etichettato sotto
Giovedì, 01 Agosto 2013 14:26

Il disordine perfetto

TRAMA:
Cos’è la simmetria? Questa è la prima domanda cui Marcus du Sautoy cerca di dare una risposta: la simmetria indica qualcosa di speciale che il nostro cervello sembra programmato per cogliere. 
A partire dai tempi dei greci, Platone aveva cominciato uno studio sistematico dei solidi simmetrici che devono a lui il loro nome, considerandoli capaci di trascinare l’anima verso verità più profonde. I musulmani hanno proseguito questo studio, come dimostrato dal palazzo dell’Alhambra, nel quale sono presenti tutte le 17 simmetrie possibili. Per i musulmani, non è possibile raffigurare le persone, per questo motivo essi si sono concentrati su oggetti geometrici e la capacità di ripetere il motivo di una piastrella senza sosta e senza imprecisioni era segno di vera abilità. 
Mentre in Spagna si costruisce il palazzo dell’Alhambra, al Khwarizmi e Khayyam portano avanti i loro studi sulle equazioni, passando poi il testimone a Cardano e Tartaglia, che si contendono la soluzione delle equazioni di terzo grado. Abel, nella sua sfortunata e breve vita, dà un grande contributo allo studio delle equazioni e con Cauchy si ha l’evidenza del ruolo del linguaggio per comunicare i nuovi risultati: “Non lasciate che tocchi un libro di matematica o che scriva un solo numero prima di avere completato i suoi studi di letteratura”, disse Lagrange al padre di Cauchy, avvertendo l’imminenza di importanti cambiamenti nel mondo della matematica. 
All’indomani della Rivoluzione Francese, l’opera di Galois evidenzia finalmente il legame esistente fra le equazioni e la simmetria: Galois comprese che alla base del tentativo di risolvere le equazioni di quinto grado si nascondeva un problema più sottile, ovvero si rese conto che la chiave per rispondere a questo problema stava nelle simmetrie delle soluzioni dell’equazione.
La simmetria pervade ogni aspetto della quotidianità, pensiamo ad esempio alla musica: la trascrizione del Miserere da parte di Mozart (pezzo di 12 minuti) a soli 14 anni, è stata possibile solo cogliendo la struttura logica della composizione.
Tutte le simmetrie possibili sono state raggruppate nell’Atlas of finite groups, di Conway, Curtis, Norton, Parker e Wilson, ovvero in quello che l’autore definisce un viaggio record di 2000 anni attraverso la simmetria.
 
COMMENTO:
La storia della simmetria, la storia della soluzione delle equazioni, le ricerche di Marcus du Sautoy e la sua stessa vita si intrecciano in questo bellissimo libro, molto scorrevole e adatto anche a studenti delle superiori. 
Du Sautoy ci spiega cos’è la matematica e in cosa consiste il lavoro del matematico, coinvolgendoci con la descrizione dei convegni cui ha partecipato, delle collaborazioni in cui ha dato il suo contributo, dell’intricata rete di rapporti umani che si crea tra i matematici. 
Ma non si ferma qui, dato che la sua stessa vita è parte integrante del libro: ci racconta l’incontro con la moglie Shani, l’esperienza della fecondazione assistita e, infine, l’adozione delle gemelle guatemalteche Magaly e Ina.
Pubblicato in Libri
Etichettato sotto
Giovedì, 01 Agosto 2013 14:17

Il meridiano

TRAMA:
Il 23 giugno 1792, a Parigi due carrozze si apprestano a partire: a bordo della prima l’astronomo Pierre Méchain, accompagnato dal geografo Tranchot e diretta a sud; a bordo della seconda Jean-Baptiste Delambre, accompagnato da Bellet e diretta a nord. Obiettivo della missione la misurazione del meridiano tra Dunkerque e Barcellona, per predisporre una nuova unità di misura della lunghezza che, negli intenti della Commissione dei pesi e delle misure, non doveva dipendere da eventi mutevoli, ma essere legata a oggetti invariabili. In tal senso, si era scelta come unità di misura della lunghezza la decimilionesima parte del meridiano terrestre: i due astronomi avrebbero misurato una parte del meridiano, l’uno procedendo verso sud e l’altro verso nord e si sarebbero incontrati a Rodez, per poi far rientro a Parigi.
Fin da subito, i due astronomi incontrano problemi con i lasciapassare: grande è la diffidenza nei loro confronti, per la strana missione che è stata loro affidata, per le numerose lotte intestine che fanno seguito alla Rivoluzione e per gli attacchi provenienti dagli altri paesi europei.
Il 25 febbraio del 1793, Méchain si trova ospite del dottor Salva, suo ammiratore, a Montserrat. Qui, impegnato ad aiutare il suo gentile ospite a far funzionare una pompa, resta gravemente ferito. Ripresosi dall’incidente, dopo una lunga convalescenza, viene bloccato a Barcellona, da dove non solo non può far rientro in Francia a causa delle ostilità tra i due paesi, ma non può nemmeno spedire i propri risultati, che vengono scambiati per segreti militari scritti in codice. Durante la permanenza a Barcellona, Méchain ripete alcune misurazioni ed è in questo modo che trova un errore. Questo lo porta a interrogarsi su tutto il lavoro svolto fino a quel momento e a una profonda crisi.
Nel frattempo, a Parigi il Comitato di sorveglianza sembra convinto della sua migrazione all’estero e, per questo motivo, ne incarcera la moglie. Delambre è stato destituito dal suo incarico e le sue misurazioni interrotte: egli si ritira in un paese di campagna fino a quando non gli viene restituito il posto che occupava.
Méchain e Tranchot, finalmente liberi, raggiungono l’Italia, dove restano per circa un anno. Rientrati in Francia, hanno una discussione: Tranchot vorrebbe procedere più speditamente, partecipando attivamente alle misurazioni, per raggiungere quanto prima Delambre, Méchain si sente tradito e gli impone di andarsene. Nemmeno l’intervento della moglie, Thérèse, che lo raggiunge nel sud della Francia, riesce a rasserenarlo. 
Finalmente Delambre e Méchain si incontrano a Carcassonne e da lì proseguono per Parigi. Méchain si rifiuta di consegnare tutti i suoi appunti alla Commissione, ottenendo di presentare solamente un resoconto. 
Il 26 aprile del 1803 ottiene il permesso di lasciare di nuovo Parigi, per proseguire con nuove misurazioni del Meridiano, illudendosi di poter correggere il proprio errore, ma muore poco tempo dopo a seguito di un’epidemia.
Il figlio riporta in patria i suoi appunti e li consegna a Delambre, il quale ha modo così di rendersi conto dell’errore di Méchain, anche se si rifiuta di renderlo pubblico.
 
COMMENTO:
Il libro presenta con grande intensità la figura di Méchain, che ha avuto un ruolo tanto importante nell’errore commesso nella determinazione del metro. Le vicende personali dei due astronomi ben si inseriscono nelle vicende storiche che la Francia sta vivendo all’indomani della Rivoluzione ed il tutto è dosato con grande maestria da Guedj, che mostra di essersi molto appassionato alla vicenda. Una passione che trasmette anche al lettore.
Pubblicato in Libri
Etichettato sotto
Giovedì, 01 Agosto 2013 13:18

Com'è bella la matematica

TRAMA:
Le lettere sono indirizzate a Meg e seguono il suo percorso scolastico, dalle scuole superiori fino a un incarico universitario. La matematica delle superiori non ha molto a che fare con la matematica di più alto livello, ma è necessaria per potervi accedere, perché essa “richiede una grande quantità di nozioni fondamentali e di tecnica”. E nonostante la ricerca continui a progredire, esistono ambiti in continua espansione: “lo spazio per la ricerca è così sconfinato, che sarà difficile stabilire da dove partire o quale direzione prendere”. La matematica fugge la rigidità, richiede grande immaginazione, fa sorgere sempre nuove domande con il progredire della conoscenza: “se fosse un edificio sarebbe una piramide costruita al contrario, con una base molto stretta e ogni piano più ampio del sottostante. Più l’edificio è alto, più c’è spazio per costruire”. 
“Incontriamo dei matematici ogni giorno e in ogni luogo, ma raramente ce ne rendiamo conto”: la matematica permette di vedere l’universo in modo diverso, aprendo gli occhi di chi la studia, ma tutto questo non è possibile senza insegnanti che la presentino “come una disciplina multiforme, creativa, originale e sempre nuova”.
All’inizio del percorso universitario, con il timore del nuovo cammino che le si prospetta, Stewart offre a Meg “un’idea cui aggrapparsi nei momenti più difficili”: le parla delle proprie passeggiate in Texas e della matematica che studia le simmetrie della natura. Come hanno fatto i matematici a pensare quelle cose? Qual è il metodo di studio più adeguato? Rifacendosi all’esperienza di Poincaré, Stewart propone un metodo di studio, in base al quale è meglio non soffermarsi troppo sulle cose che non si capiscono, perché anche ciò che in un primo momento non è chiaro può sempre chiarirsi in seguito. 
E le dimostrazioni? Nella vita universitaria, a differenza delle superiori, le dimostrazioni sono onnipresenti e si fatica a capire l’accanimento dei matematici per questo aspetto della disciplina, ma “I matematici hanno bisogno delle dimostrazioni per ragioni di onestà”. I computer, al contrario di quanto si è portati a credere, non aiutano nella dimostrazione, se non laddove si devono enumerare tutti i casi possibili. La dimostrazione è come una narrazione: le dimostrazioni più difficili sono il “Guerra e pace” della matematica.
Stewart prosegue suggerendo a Meg il metodo migliore per diventare un matematico famoso, mettendola in guardia dalle difficoltà dei problemi più famosi, descrivendo i gradini della carriera, indicandole come scegliere il proprio supervisore.
Le propone la scelta, che le si presenterà al termine degli studi universitari, fra la matematica pura e quella applicata e, sostenendo che ormai è una distinzione sterile, senza senso, racconta di come sia sorta (risale solo agli anni ’60) e sottolinea come i due aspetti non possano esistere separatamente: alla matematica pura mancherebbe “la vera forza creativa della matematica [che] sta nei suoi legami con il mondo naturale”, ma anche quella applicata “ha bisogno di diventare generale e astratta, altrimenti non farebbe nessun progresso”. 
Raccomanda a Meg di leggere, di tenere “la mente sveglia e le antenne dritte”, per lasciare spazio alle nuove idee originali che potranno aprire la via ad una nuova ricerca. Parlandole della comunità matematica, della necessità di un respiro internazionale, per una disciplina che solo apparentemente si svolge nel chiuso di uno studio e in solitudine, la invita a aprire “bene le orecchie al momento del caffé”, per approfittare della collaborazione che, per quanto difficoltosa, è l’anima della ricerca. 
Nell’ultima lettera, Stewart affronta il discorso dell’Universo, del ruolo di Dio all’interno di esso e spiega a Meg che se Dio può essere considerato un matematico “ogni tanto ci permette di sbirciare da dietro le sue spalle”.
 
COMMENTO:
Come dichiara lo stesso autore, il testo è un “tentativo di aggiornare alcune parti del libro di Hardy”, Apologia di un matematico. E in effetti in molte pagine sembra che l’autore stia dibattendo con Hardy, come quando spiega il motivo per cui non ha più senso contrapporre la matematica pura a quella applicata.
Il libro è ottimo sia per gli insegnanti, sono numerosi e costruttivi gli spunti offerti e le critiche presentate, che per gli studenti, grazie ai suggerimenti per trovare il proprio metodo di studio. Offre un’ottima descrizione della matematica, attraverso semplici metafore, comprensibili per tutti. Più complessa è la seconda parte, quando, in conseguenza all’approfondirsi degli studi di Meg, l’autore si addentra nei particolari del mondo matematico, non tralasciando di descrivere, con una buona dose di ironia, la vita accademica e le piccole e grandi manie di famosi matematici. 
Interessanti le digressioni autobiografiche, che, inserendosi nel ritmo della narrazione, danno un tono di leggerezza agli argomenti trattati.
Pubblicato in Libri
Etichettato sotto
Giovedì, 01 Agosto 2013 07:52

La matematica da Pitagora a Newton

TRAMA:
I NUMERI – L’introduzione delle cifre arabe è un fatto relativamente recente, ma ha cambiato completamente il nostro modo di operare con la matematica: basti pensare alla difficoltà di svolgere anche la più semplice operazione aritmetica con le cifre romane. Le cifre arabe non si affermarono senza incontrare ostacoli: basti pensare che ci vollero due secoli abbondanti perché la nuova numerazione si diffondesse.
App. 1: La numerazione degli antichi romani
App. 2: La regola turca
App. 3: La regola di Pitagora per calcolare il quadrato di un numero
App. 4: Applichiamo la regola di Pitagora per misurare gli spazi percorsi da un sasso che lasciamo cadere dall’alto
App. 5: Numerazioni in basi diverse dal dieci
App. 6: La numerazione “in base due”, ovvero: bastano le due cifre 0 e 1, per scrivere un numero qualunque
I TRIANGOLI – La geometria è stata la prima vera scienza costruita dall’uomo. I greci la portarono ad un ottimo livello, basti pensare alla misurazione della piramide di Cheope da parte di Talete, e alla dimostrazione del teorema di Pitagora.
App. 7: Non credere a quello che vedi! Ovvero: la moltiplicazione dei quadrati
LE MISURE – In geometria, conta la misura. Per tecnici e scienziati, è possibile misurare qualsiasi cosa, ma non per il matematico. Basta pensare alla diagonale del quadrato di lato 1 m, o alla lunghezza della circonferenza. Per determinare, con precisione, il rapporto tra la misura della circonferenza e quella del suo diametro, fu Archimede ad avere l’idea geniale, introducendo il metodo infinitesimale, riscoperto ben milleottocentocinquanta anni dopo.
App. 8: Nessuna frazione ha per quadrato due
App. 9: La scodella di Luca Valerio
App. 10: Un’area misurata da Galileo con la bilancia, da Torricelli con la mente 
I SIMBOLI E I NUOVI NUMERI – La nascita dell’algebra porta all’introduzione di nuovi simboli, le lettere variabili, e nuovi numeri, come i numeri negativi, considerati “assurdi” per molto tempo, o gli irrazionali.
App. 11: Calcolo letterale: simboli e regole
App. 12: “Pensa un numero…” “L’ho pensato”
App. 13: Una porta mezza-chiusa non è una porta mezza-aperta
App. 14: Calcolo di (a+b)^3 con l’algebra geometrica
App. 15: uno è uguale a due, ovvero l’operazione proibita
LA GEOMETRIA DIVENTA ALGEBRA – Con i diagrammi cartesiani, ormai diffusi e usati in ogni ambito della nostra società, geometria e algebra si incontrano. Si tratta di un’enorme scoperta, tanto da poter essere considerata “uno dei principali punti di partenza di tutta la scienza moderna”.
App. 16: La convenzione dei segni nello spazio
App. 17: Le equazioni della parabola e della iperbole equilatera
FUNZIONI, DERIVATE, INTEGRALI – Leibniz e Newton arrivarono alle stesse idee del calcolo infinitesimale in forma diversa, ma nello stesso momento: i tempi erano ormai maturi. Con il calcolo differenziale, si può determinare la velocità istantanea e risolvere le equazioni del moto. “Questa è l’ultima grande idea semplice e geniale della nostra storia”.
App. 18: Alcuni simboli che si impiegano per la derivata e l’integrale (definito)
App. 19: Risposte a dubbi
 
COMMENTO:
“Il libro è deliberatamente breve e facile, in quanto si rivolge a lettori quasi privi di basi matematiche, e in particolare ai lettori più giovani.” Quanto viene espresso nell’introduzione di Giorgio Israel basta per commentare questa veloce esposizione matematica. Ma non bisogna dimenticare che, per quanto la trattazione sia semplice, “Per comprendere la matematica occorre far funzionare il cervello, e questo costa sempre un certo sforzo”. È l’autore stesso a metterci in guardia nella sua introduzione.
Pubblicato in Libri
Etichettato sotto
Giovedì, 01 Agosto 2013 07:50

I pantaloni di Pitagora

TRAMA:
Il VI secolo a.C. fu un secolo prodigioso per l’Occidente, perché avvenne il passaggio da una spiegazione mitologica dell’universo alla ricerca di una spiegazione scientifica. Per Pitagora, questa spiegazione era data dai numeri, Tutto è numero. Cominciò così l’emarginazione delle donne: la matematica era un’attività essenzialmente maschile, le donne dovevano dimenticare la loro natura femminile per far parte delle comunità pitagoriche. 
Con l’avvento dell’era cristiana, le donne furono definitivamente estromesse dalla conoscenza: nel Tardo Medioevo, potevano legittimare le loro parole solo sostenendo che la fonte della loro creatività era Dio stesso. Nel Rinascimento, il clima della cultura europea cominciò a cambiare e le donne poterono permettersi di sfidare l’egemonia maschile in campo intellettuale: nell’astronomia vennero tollerate nella misura in cui aiutavano gli uomini, come Sophie Brahe e Maria Winkelmann. Con la sconfitta della magia, dopo il Concilio di Trento, la natura rimase dominio dell’uomo. La filosofia naturale di Newton diventò l’emblema di un periodo storico nel quale le donne non avevano che un ruolo marginale. Madame de Chatelet non era considerata, Laura Bassi nutriva una propria indipendenza di pensiero, ma non diventò mai una docente a tutti gli effetti, Maria Gaetana Agnesi non poté ritirarsi dalla vita mondana per dedicarsi alla fisica.
Nel 1800, la scienza proseguì con un’escalation ormai inarrestabile: Carnot, Faraday, Maxwell, … mentre le donne erano ai margini. Comparirono le prime università femminili, ma non furono che un modo per rinchiudere le donne nel loro mondo. Harriet Brooks ne è la dimostrazione: dovette scegliere tra insegnamento e famiglia. Maria Sklodowska Curie, invece, riuscì a ottenere un proprio ruolo, ma per tutta la vita fu perseguitata dall’insinuazione che la parte creativa della ricerca fosse stata tutta opera del marito. 
Ancora nel XX secolo, la donna europea non poteva accedere ai livelli superiori dell’istruzione accademica: Emmy Noether diventò presto uno dei più grandi matematici del secolo, ma perse anni preziosi solo per il fatto di essere donna e fu ammessa all’università come “uditrice”; Lise Meitner dovette lavorare alla fisica negli scantinati e alla fine venne ignorata nell’assegnazione del Nobel (venne insignito Hahn, che aveva collaborato con lei).
La discriminazione dei sessi non è più consentita dalla legge, ma continua a prevalere negli ambienti scientifici, come dimostrato dalla vicenda di Chien-Hiung Wu, scienziata cinese delle particelle, esclusa dall’assegnazione del Nobel. 
Anche se la situazione è migliorata dagli anni ’70 ad oggi, la fisica rimane dominio maschile ed è l’ambito della scienza in cui la presenza femminile è più scarsa. La conferma arriva dal fatto che dal giorno della sua istituzione, nel 1901, ad oggi, più di quattrocento uomini hanno vinto il Premio Nobel per la ricerca scientifica, ma solo nove donne hanno avuto questo onore.
 
COMMENTO:
La lettura del testo è scorrevole e coinvolgente. Oltre ad offrire un ottimo excursus nella storia della fisica, l’autrice, ed è questo il fine principale, presenta la situazione della donna, il suo impegno nella ricerca scientifica, la sua vita ai margini. La storia della fisica, la storia fatta dagli uomini, diventa solo uno sfondo sul quale si svolge la lotta quotidiana anche di grandi scienziate, costrette a misurarsi ogni giorno con la discriminazione. 
Presentato in una classe terza delle superiori, il libro ha suscitato notevole interesse, ha fatto nascere nuovi interrogativi, ha stimolato la sete di conoscenza e ha lasciato un segno profondo, soprattutto nel momento in cui è stata presentata la figura di Marie Curie.
Pubblicato in Libri
Etichettato sotto
Giovedì, 01 Agosto 2013 07:09

La misura di tutte le cose

TRAMA*:
Sul finire del XVIII secolo, centinaia di Cahier de doléances, famosi documenti di protesta, reclamavano l’armonizzazione del sistema di pesi e misure a livello nazionale: un complesso di circa ottocento parametri, radicati nelle usanze, ostacolava i commerci e incoraggiava le frodi. Perché il nuovo sistema potesse essere universale, doveva essere inconfutabile, perciò doveva essere tratto dalla natura. Il metro sarebbe stato la decimilionesima parte del tratto di meridiano terrestre misurato tra Dunkerque e Barcellona. Inghilterra e America si dissociarono: perché la natura doveva passare per forza dalla Francia? Dopo anni di discussioni, nell’estate del 1792 partì la missione per la misura del meridiano. Furono incaricati Delambre e Méchain.
Delambre era nato nel 1749 da commercianti di tessuti, ad Amiens. Méchain, figlio di un imbianchino, era nato nel 1744 a Laon. Il primo fu incaricato di misurare la parte settentrionale del tragitto compreso fra Dunkerque e Parigi, il secondo si occupò del tratto meridionale. Entrambi erano esperti in geodesia.
Delambre si scontrò con i rivoluzionari che vedevano in lui i pregi tanto osteggiati dell’Ancien Régime. Méchain fu immobilizzato per mesi da un infortunio e in seguito partì dalla Spagna con un grande dubbio, visto che due misurazioni non coincidevano. Nel giugno del 1794, salpò per Pisa. Poteva tornare a Parigi ma si trattenne a Genova, temendo l’instabilità politica. Delambre procedeva spedito sotto i cieli del settentrione.
Con l’avvento di Napoleone, sostenitore della loro causa e membro dell’Accademia delle scienze, le cose migliorarono. Il 1° luglio 1794, il sistema metrico decimale, basato su una stima provvisoria, entrò in vigore, anche se la gente era restia ad adeguarsi. 
Nel frattempo, l’autostima di Méchain era ormai minata: non riusciva a giungere a capo dei dati di Barcellona. Temeva di confidarsi, ma non poteva portare da solo il peso di un simile errore. Le energie fisiche scemavano e in tre mesi era arrivato soltanto a Carcassonne. Delambre, tra la primavera e l’estate del 1797, eseguiva le misurazioni da Evaux a Rodez, il punto d’incontro stabilito: Méchain marciva a Pradelles, vaneggiando di tornare a Barcellona per ulteriori verifiche. Per non pregiudicare la missione, Delambre si rivolse alla signora Méchain. La moglie dell’astronomo, senza preannunciare la partenza, raggiunse il marito che non vedeva da sei anni. Nel luglio, quando lo lasciò, le stazioni di Rodez, Rieupeyroux e Lagaste erano completate: gli restavano ancora pochi tratti da misurare. Era possibile congiungersi a Delambre in tempo per la conferenza internazionale di Parigi, in cui gli scienziati delle nazioni amiche, Olanda, Italia, Danimarca, Spagna e Svizzera, avrebbero verificato il lavoro per dare l’imprimatur.
Nel novembre del 1798, Méchaine e Delambre furono accolti dalla capitale come trionfatori, ma alla fine del gennaio 1799, non avevano ancora presentato i dati. Il 2 febbraio, Delambre cessò di coprire il collega e presentò il suo lavoro, che venne approvato. Laplace diede dieci giorni a Méchain, il quale ottenne di non presentare i suoi diari, giustificandosi per il disordine e offrì solo i dati sintetici. Il 22 marzo si presentò alla Commissione e ottenne l’approvazione.
La missione geodetica confermò che la terra è schiacciata, il raggio si accorcia dall’equatore al polo un centocinquantesimo, metà del valore calcolato in precedenza, inoltre i meridiani presentano un andamento irregolare. La missione non si proponeva scoperte scientifiche, perciò fu un exploit.
Il metro fu fissato una volta per tutte a 443,296 linee, contro le 443,44 di quello provvisorio. Come avrebbero rilevato i satelliti, il meridiano tra Dunkerque e Barcellona si estende per 10.002.290 metri: il metro doveva essere due millimetri più lungo. Ciò che conta è il valore convenzionale; oggi solo gli Stati Uniti, la Liberia e Myanmar ne sono fuori. Il chilo fu determinato di conseguenza come il peso di un decimetro cubo di acqua distillata, alla temperatura di 4°C, a livello del mare e a 45° di latitudine. 
L’errore di Méchain rientra nell’approssimazione necessaria anche alla scienza, ma Méchain fu vittima delle sue ossessioni: si fece affidare una missione per estendere la misurazione del meridiano a sud di Barcellona e morì, a causa della malaria, il 20 settembre 1804. Delambre poté finalmente guardare tutte le carte del collega. Si rese conto dell’errore e ne diede notizia, sia pure velatamente, nella Base, l’opera in tre tomi di resoconto della missione metrica che lo occupò quasi fino alla morte, avvenuta serenamente il 19 agosto 1822.
 
COMMENTO:
Un libro di non facile lettura e a tratti un po' noioso, vista la ricchezza di notizie, riguardanti l’evolversi della Rivoluzione Francese. Importante l’ultima parte del libro, l’ultimo capitolo in particolare, contenente alcuni commenti dell’autore, a proposito dell’evoluzione della scienza e del suo rapporto con gli errori.
 
*Trama tratta dall'articolo "Storia del metro" di Antonio Armano, riportato in "La macchina del tempo" Anno 3, n.11 - Novembre 2002, pag. 31/34
Pubblicato in Libri
Etichettato sotto
Pagina 5 di 6

© 2020 Amolamatematica di Daniela Molinari - Concept & Design AVX Srl
Note Legali e Informativa sulla privacy