Daniela Molinari

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Giovedì, 01 Agosto 2013 15:57

I cinque di Cambridge

TRAMA:
“I cinque di Cambridge” è una fiction scientifica. È l’autore stesso a spiegarci che è un’opera che tenta di trasferire in uno scenario fittizio le questioni intellettuali e conoscitive su cui si confrontano gli esseri umani impegnati nel modellare la scienza e la tecnologia del proprio futuro.
Casti ipotizza che nel giugno del 1949 il celebre romanziere e fisico C.P. Snow abbia discusso con Sir Ben Lockspeiser, primo scienziato di Sua Maestà, e Sir Henry Tizard, consulente scientifico del ministro della Difesa, della questione delle macchine pensanti. I due scienziati gli avrebbero chiesto di sondare la comunità scientifica e Snow avrebbe quindi organizzato una cena, invitando il genetista J.B.S. Haldane, il matematico Alan Turing, precursore della struttura logica degli attuali calcolatori digitali, il filosofo Ludwig Wittgenstein e il fisico premio Nobel Erwin Schrödinger, famoso per il suo lavoro sulla meccanica quantistica.
Il pensiero di Snow ci viene chiarito fin dall’inizio: tutte le discipline universitarie e le competenze scientifiche e filosofiche raccolte questa sera intorno al tavolo dovrebbero poter chiarire se l’intuizione da parte di Turing di una macchina pensante sia solo una fantasia accademica o abbia qualche fondamento reale. Durante la cena, si crea un conflitto di idee tra Wittgenstein e Turing: il primo ha scelto di partecipare alla cena per curiosità, il secondo alla ricerca di una serata interessante, convinto di poter contribuire a fare chiarezza sull’argomento.
Turing espone ai commensali il funzionamento delle macchine calcolatrici e descrive i risultati che gli hanno fornito le basi per l’analogia macchina-cervello, ma dispera di riuscire a convincere gli altri dei suoi risultati, mentre Wittgenstein si agita e si infervora sempre di più per contestare il matematico. Il discorso prosegue analizzando il legame esistente tra linguaggio e pensiero: Turing propende per un organo linguistico nel cervello che fornisce una struttura sintattica universale; Wittgenstein ci dice che l’essenza del linguaggio è il significato, che può essere acquisito solamente in un contesto sociale. Entrambi sostengono che l’uomo ha bisogno di una vita sociale per sviluppare le proprie facoltà intellettuali e il discorso prende quindi in esame altri aspetti della cultura umana: la religione, l’arte, la letteratura e altre attività artistiche. 
Nella conclusione, Casti ci mette a conoscenza degli odierni progressi in termini di Intelligenza Artificiale: non è detto che non si possano costruire macchine pensanti, ma sicuramente le cose non sono così semplici come si pensava negli anni Cinquanta.
 
COMMENTO:
Casti è molto bravo a mettere in scena la sua fiction: sembra di assistere davvero alla cena dei cinque di Cambridge, di sentire i loro battibecchi, di cogliere i lunghi silenzi e le sfuriate di Wittgenstein, la ritrosia di Turing che fa da contraltare al suo entusiasmo.
Il discorso non è certamente semplice – l’Intelligenza Artificiale affascina, ma coinvolge elevati discorsi filosofici e implica complicate connessioni logiche – eppure Casti è molto bravo e le spiegazioni sono veramente alla portata di tutti.
Giovedì, 01 Agosto 2013 15:53

Enrico Fermi, fisico

TRAMA:
Come ci dice Segrè nella prefazione, per quanto Fermi sia vissuto in un’epoca piena di drammatici eventi storici e per quanto, a causa del suo lavoro, si sia trovato ad avere in essi una parte importante, la sua vita più intensa e avventurosa fu quella intellettuale della scoperta scientifica
Fermi nacque il 29 settembre 1901: imparò a leggere e scrivere precocemente e rivelò subito una memoria fenomenale. Si presentò al concorso di ammissione alla Scuola Normale di Pisa il 14 novembre 1918: il saggio aveva un livello e una maestria che avrebbe fatto onore a un esame di laurea universitaria, tanto che il prof. Pittarelli, dell’Università di Roma, disse a Fermi di non aver mai incontrato uno studente come lui e che senza dubbio egli era una persona straordinaria, che sarebbe andato molto lontano e sarebbe diventato uno scienziato importante.
Discusse la tesi il 7 luglio 1922 e gli venne conferita la laurea magna cum laude. In quegli anni, l’interesse dei fisici era focalizzato sulla relatività e Fermi cominciò con i primi lavori proprio nel campo della relatività generale. Studiò a Gottinga e, al rientro a Roma, ricevette, per intercessione di Corbino, l’incarico dell’insegnamento della matematica per i chimici. Lavorò a Leida, poi a Firenze, vinse il concorso di fisica matematica a Cagliari, ma in un ulteriore concorso del 1926, ottenne Roma: in questo modo aveva praticamente raggiunto lo zenith di una carriera universitaria.
In quegli anni, l’insegnamento della fisica era condotto come un servizio per i futuri ingegneri o come preparazione per gli insegnanti delle medie, ma Fermi riuscì a rivoluzionarne l’insegnamento e la gestione. La sede delle attività era il vecchio istituto di fisica dell’Università di Roma sito in via Panisperna 89a: le apparecchiature erano mediocri e l’officina meccanica antiquata, ma, mantenendo frequenti contatti con l’estero, Fermi risollevò lo stato della fisica italiana. 
Il 19 luglio del 1928 sposò Laura Capon, dalla quale ebbe due figli: Nella, 31 gennaio 1931 e Giulio, 16 febbraio 1936. 
Visitò gli Stati Uniti per la prima volta nel 1930: in Europa la situazione stava degenerando, con l’avvicinarsi del secondo conflitto mondiale e la Germania stava perdendo il proprio primato nella fisica, mentre l’America appariva come il paese del futuro, così Fermi cominciò a perfezionare la propria conoscenza dell’inglese e a pubblicare i lavori più importanti in inglese. 
Con la promulgazione delle leggi razziali, Fermi, dato che la moglie era ebrea, cominciò a prendere in considerazione l’idea di un trasferimento negli Stati Uniti e scelse la Columbia University di New York. Il 10 novembre 1938 ricevette l’annuncio telefonico del conferimento del premio Nobel e decise quindi di proseguire per gli Stati Uniti partendo da Stoccolma, dopo aver ritirato il premio.
Alla Columbia, Fermi trovò amici personali e colleghi: ricominciò a insegnare con energia, pur lasciando il primato alla ricerca. 
Gli americani ancora non capivano l’urgenza, l’importanza e la vastità dei problemi posti dalle possibili applicazioni della fisica nucleare, ma fra il 1939 e il 1940 si fecero grandi progressi nella fisica dei reattori: lo sviluppo dell’energia atomica fu compiuto da fisici europei immigrati da poco, in quanto in America lo sviluppo del radar aveva la precedenza su tutto e i fisici americani erano per la maggior parte impegnati con progetti che lo riguardavano. Dopo l’invasione della Polonia da parte di Hitler, il governo statunitense cercò di rafforzare la propria posizione militare e durante la primavera del 1941 si cominciarono a vedere segni di interesse per gli studi sulle applicazioni nucleari da parte di fisici americani importanti. La decisione di fare uno sforzo senza limiti fu annunciata il 6 dicembre 1941, alla vigilia dell’attacco di Pearl Harbor
Si formò il Manhattan District del Corpo del Genio Militare (MED), alla cui guida militare venne nominato il generale Leslie R. Groves, il 17 settembre 1942. Tra il generale e Fermi si creò un buon rapporto, per quanto provenissero da mondi completamente diversi: il militare poneva l’accento sulla segretezza del progetto e teneva lo sguardo allo scopo finale, lo scienziato aveva bisogno di comunicare per procedere negli studi e si lasciava coinvolgere nelle novità scientifiche che si rivelavano con il progresso del progetto. 
Il 2 dicembre 1942 venne realizzato un esperimento che segna una pietra miliare nello sviluppo dell’energia atomica: era però diventato chiaro che questi sforzi dovevano essere sensibilmente intensificati per poter raggiungere in tempo conclusioni utili e che sarebbe stato necessario disporre di un apposito laboratorio dedicato alla costruzione della bomba. Dopo un sopralluogo, venne scelta come sede per il laboratorio Los Alamos, sede di un collegio privato per ragazzi. Oppenheimer fu messo alla guida del progetto e vi si riunirono buona parte dei fisici nucleari più attivi e brillanti del mondo. L’età media del gruppo era assai bassa, circa 32 anni, solo alcuni avevano passato i quaranta. Fermi si stabilì a Los Alamos solo nell’agosto del 1944, lavorandovi a tempo pieno. Si trovava bene: funzionava come una specie di oracolo a cui ogni fisico con problemi difficili poteva rivolgersi e spesso ricevere valido aiuto. L’altro oracolo era Von Neumann, con il quale Fermi aveva un rapporto di amicizia e stima.
Il 16 luglio alle 5,30 ci fu l’esperimento Trinity, con il quale fu fatta esplodere la bomba. L’impresa ebbe successo. 
Alla fine della guerra, Fermi accettò la nomina a Chicago e lasciò Los Alamos il 31 dicembre1945. Fu in seguito membro del General Advisory Committee, dal gennaio del 1947 all’agosto del 1950, fu Presidente dell’American Physical Society, tornò in Europa per alcune conferenze e continuò l’attività di insegnante e di fisico sperimentale fino alla morte. 
Morì il 29 novembre 1954, poche settimane dopo l’inutile intervento chirurgico per l’asportazione di un cancro allo stomaco.
 
COMMENTO:
È un libro particolarmente ricco: pieno di riferimenti storici, pieno di aneddoti riguardanti la vita di Fermi e il lavoro dei fisici impegnati nel Progetto Manhattan, pieno di riferimenti scientifici per quanto riguarda le ricerche di quegli anni. 
La figura di Fermi, affascinante e accattivante, coinvolge il lettore, che vorrebbe conoscere le motivazioni che hanno spinto i fisici a partecipare al Progetto Manhattan. Ma persino Segrè, suo carissimo amico e collaboratore fin dagli inizi, non conosce i pensieri più intimi e personali di Fermi. Per certi aspetti, quindi, potremmo dire che la biografia si mantiene in superficie e d’altra parte è lo stesso Segrè che ci avvisa nella prefazione: “Nel suo libro Atomi in Famiglia la moglie Laura ha trattato altri aspetti della vita di Fermi e, ovviamente, i nostri punti di vista sono differenti: il suo è quello di una compagna devota e affezionata, il mio è quello di un discepolo amico e collega scienziato”.
Giovedì, 01 Agosto 2013 15:50

Sophie Germain una matematica dimenticata

TRAMA:
Sophie Germain nasce il primo aprile del 1776. A tredici anni scopre il suo interesse per la matematica, leggendo la “Storia della matematica” di Jean-Étienne Montucla, trovato nella biblioteca paterna. Leggendo l’episodio di Archimede, arriva a concludere che se l’analisi di un problema geometrico poteva essere tanto interessante da anteporsi alla preoccupazione per la sopravvivenza, quello della matematica doveva essere veramente un mondo affascinante
Studia da autodidatta, contravvenendo gli ordini della famiglia, contraria a questa sua passione, ma dal 1794 può frequentare l’École Polytechnique, assumendo l’identità di un ex studente, tale Antoine-Auguste Le Blanc. Tra gli insegnanti, Lagrange restò colpito dall’ingegnosità di Le Blanc e chiese un incontro, durante il quale la Germain fu costretta a rivelare la propria identità. In Lagrange Sophie trovò un amico e finalmente un insegnante. Lagrange la mise a conoscenza dell’esistenza del problema dell’Ultimo Teorema di Fermat e, arrivata a un risultato importante, Sophie osò scrivere a C.F. Gauss, firmandosi con il suo pseudonimo. La lettera di Sophie suscitò in Gauss viva impressione e stupore per la profondità dei risultati da lei ottenuti
Nel 1806, a seguito dell’invasione della Prussia da parte di Napoleone, Sophie intervenne presso un generale, amico del padre, perché facesse in modo che Gauss non corresse pericoli. Fu così che Gauss venne a conoscenza della vera identità della Germain: “… quando una persona del suo sesso che, secondo i nostri costumi e pregiudizi, deve incontrare difficoltà infinitamente superiori a quelle degli uomini nel familiarizzare con queste scabrose ricerche, riesce nondimeno a sormontare gli ostacoli ed a penetrare le parti più oscure della materia, allora senza dubbio ella deve possedere il coraggio più elevato, talenti straordinari e un genio superiore.
A seguito dei suoi lavori, ricevette una medaglia dall’Institut de France e fu la prima donna ammessa a seguire le lezioni dell’Accademia delle Scienze. Ricevette un premio di 3000 franchi da Napoleone, ma non si presentò a ritirarlo, a causa della sua timidezza. 
Grande fu il suo lavoro: la sua influenza sulla comunità scientifica era tale da far eleggere Fourier come segretario perpetuo all’Accademia delle Scienze e fu l’unica a rendersi conto delle capacità di Galois.
Proprio a seguito delle sue abilità, Gauss chiese e ottenne che l’Università di Gottinga le conferisse una laurea “honoris causa”, ma ella morì, il 26 giugno del 1831, prima che le venisse conferita.
 
Le lettere presenti nel testo sono in ordine cronologico, vanno dal 1802 al 1831. Sono ventiquattro lettere, ma l’ultima è di Sophie Germain e indirizzata a Guglielmo Libri. Una lettera è del Libraio Bernard alla madre, ma le altre sono tutte per lei: tra i matematici Cauchy (due), Delambre (due), Fourier (sei), Gauss (una), Lagrange (una), Legendre (quattro), Navier (una), Poisson, nei confronti del quale non nutriva una buona opinione (una). Poi c’è una lettera di Choron, teorico della musica, una di D’Ansse de Villoison, ellenista, una di Tessier, medico e una di Libri, storico.
Seguono alcune citazioni della Germain e alcune indicazioni biografiche degli autori delle lettere.
 
COMMENTO:
Il libro costituisce un semplice assaggio, che lascia, però, la bocca un po’ asciutta. Troppo scarne sono le notizie di Sophie Germain: il libro basta per intuirne la grandezza e l’originalità, ma non per gustarne fino in fondo l’impatto che essa ha avuto sui suoi contemporanei. Per quanto riguarda le lettere, manca un filo conduttore che faccia capire meglio il loro significato e che le possa collocare meglio nella vita della Germain. 
Rispetto alla biografia di Galois, il lavoro sulla Germain appare quindi scarno, povero. Si sarebbe potuto scrivere molto di più…
Giovedì, 01 Agosto 2013 15:48

Autobiografia di un fisico

TRAMA:
Emilio Segrè nasce il 30 gennaio del 1905 (anche se la data ufficiale è il primo febbraio). Ultimo di tre figli, trascorre l’infanzia a Tivoli, fino al 1917, quando si trasferisce a Roma. Gli zii paterni sono ben noti negli ambienti culturali italiani, mentre il padre ha come attività principale la gestione delle cartiere. Dopo aver frequentato il liceo classico e aver incontrato professori dei quali aveva poca stima, si iscrive al biennio di matematica e fisica propedeutico a ingegneria: L’idea di una carriera di fisico mi avrebbe allettato molto, ma sembrava troppo aleatoria.
Al terzo anno di ingegneria, annoiato da una scuola nella quale non si trovava bene, conosce Franco Rasetti, assistente di Corbino e intimo di Fermi. Ed è proprio a Fermi che Rasetti lo presenta. I due erano in cerca di studenti da allevare, io ero in cerca di professori e ci combinammo bene. Decide quindi di compiere il passaggio a fisica, anche se la famiglia accolse con freddezza questa sua scelta. 
Laureatosi nel luglio del 1928, frequenta la Scuola Ufficiali di Spoleto durante il servizio militare.
Nel 1931 comincia a viaggiare per l’Europa, incontrando fisici importanti. 
Conosce la moglie agli inizi del 1934: Elfriede Spiro, fuggita dalla Germania l’anno prima, è ebrea come Segrè. Si sposano il 2 febbraio del 1936, in occasione del suo trasferimento a Palermo, dopo aver vinto la cattedra di Michele La Rosa, morto prematuramente. Segrè aveva l’obiettivo di ristabilire la fisica, risistemare l’insegnamento e dare nuovi input alla ricerca. 
Nell’estate del 1938, Segrè è a Berkeley per compiere delle ricerche. Sbarcato a New York il 13 luglio del 1938, si fa raggiungere dalla moglie tre mesi dopo, a causa del clima sempre più oppressivo esistente in Italia. Nell’estate del 1942 si radunò un gruppo teorico diretto da Oppenheimer, per iniziare il progetto di una bomba nucleare. Quando gli viene proposto di partecipare al progetto di Los Alamos, Segrè non ha dubbi: Sentivo il dovere di aiutare un paese che mi aveva accolto quando mi trovavo in una situazione difficile. A parte questo, l’idea di poter contribuire alla distruzione di Hitler e delle sue infamie e alla conclusione vittoriosa della guerra mi allettava grandemente.
Dopo l’esperimento Trinity del luglio 1945 e dopo Hiroshima, Segrè torna a Berkeley, dove ottiene una buona posizione universitaria. Nel 1947 torna in Italia: deve sistemare alcune questioni d’affari, dopo la morte dei genitori. 
La morte di Fermi per un cancro allo stomaco, il 29 novembre 1954, lascia Segrè profondamente scosso. 
Continua nel frattempo la sua corsa al Nobel, per il quale lo stesso Fermi l’aveva proposto un paio di volte. Il Premio Nobel arriva nel 1959: Mi è rimasto sempre un profondo rammarico che né i miei genitori, né lo zio Claudio, né Corbino, né Fermi abbiano potuto vedere il Pippi laureato.
Il 15 ottobre 1970 muore la moglie. Segrè contrae un secondo matrimonio nel 1972 con Rosa Mines e successivamente viene messo a riposo dall’attività di Berkeley per raggiunti limiti d’età.
Segrè muore il 22 aprile del 1989: La vita che era cominciata a Tivoli ottantaquattro anni prima era giunta al termine.
 
COMMENTO:
Libro intenso e coinvolgente. Le vicende personali di Segrè e i suoi studi sono strettamente intrecciati con le vicende storiche del Novecento: l’epoca del fascismo, la seconda guerra mondiale, la bomba atomica, il dopoguerra, non sono solo uno sfondo, perché determinano le scelte di vita dell’uomo, fanno di lui ciò che è stato. I giudizi di Segrè riguardo le persone che hanno accompagnato la sua vita sono schietti e sinceri: vi si legge tutta la sua stima per Fermi e Corbino, ma non mancano critiche ai fratelli e considerazioni molto personali che non si fa scrupolo di pubblicare.
Giovedì, 01 Agosto 2013 15:43

L'enigma dei numeri primi

TRAMA:
L’introduzione della dimostrazione segna il vero inizio della matematica: l’intuizione da sola non basta e non serve nemmeno la verifica caso per caso, che potrebbe essere svolta da un computer. Gauss, principe dei matematici, dà un senso pieno alla dimostrazione e trova una certa regolarità nei numeri primi stabilendo che i numeri primi inferiori a un certo numero N sono N/lnN. Legendre perfeziona questa formula e nasce un’aspra disputa tra i due, vinta da Gauss che aveva effettuato un’analisi teorica, nettamente superiore ai tentativi del rivale.
Nel novembre del 1859, Riemann pubblica un saggio, di sole dieci pagine, nelle note mensili dell’Accademia di Berlino: solo dieci pagine perché, essendo un grande perfezionista, voleva pubblicare solo dimostrazioni rigorose. Determina una formula che fornisce il numero esatto di primi non maggiori di N, ma non va oltre: fuggendo dall’esercito invasore nel 1866, Riemann muore in Italia a soli trentanove anni e la sua solerte governante distrugge molti dei suoi appunti inediti, prima che qualcuno riesca a fermarla. Fra le sue carte, la dimostrazione non è mai stata trovata e fino a oggi i matematici non sono stati in grado di replicarla.
Agli inizi del Novecento, Hilbert riporta al centro dell’attenzione l’ipotesi, con il suo discorso al Congresso Internazionale dei matematici, nel quale elenca una serie di ventitre problemi, ritenendoli la linfa vitale della matematica: fra di essi l’ipotesi di Riemann, che secondo lui avrebbe sicuramente aperto nuove vie.
Con la seconda guerra mondiale e l’avvento del nazismo, l’Europa perde la propria centralità e molti matematici trovano rifugio a Princeton: Siegel, Selberg, Erdős,… fanno importanti passi avanti ma non giungono a una dimostrazione completa dell’ipotesi. Turing avrebbe solo potuto trovare un eventuale errore di Riemann, con il computer che consente solo di valutare ogni singolo caso. Fino ad ora ha permesso di trovare che 300 milioni di zeri si trovano sulla retta, facendo vincere a Enrico Bombieri due bottiglie di ottimo bordeaux in una scommessa contro Don Zagier: trecento milioni di zeri non sono una dimostrazione, ma una gran massa di indizi.
Con l’avvento di Internet, la teoria dei numeri ha assunto un ruolo di primo piano nelle applicazioni, visto che la cifratura RSA (da Rivest – Shamir – Adleman), che salvaguarda gran parte delle transazioni che avvengono su Internet, è basata sulla scomposizione di numeri con un elevato numero di cifre. L’ipotesi di Riemann aiuterebbe a capire la distribuzione dei numeri primi e cambierebbe anche la scomposizione dei numeri molto grandi: per ora contribuisce “solo” ad arricchire questa “odissea intellettuale” che non ha ancora avuto un lieto fine.
 
COMMENTO:
Libro molto interessante, spiegato con estrema semplicità e chiarezza. L’ipotesi di Riemann è la protagonista di una storia della matematica ricca di vicende umane, che si apre con il pesce d’aprile di Bombieri a dimostrazione del fatto che anche nella matematica più seria c’è spazio per l’umorismo. 
Adatto anche per studenti delle superiori.
Giovedì, 01 Agosto 2013 14:26

Il disordine perfetto

TRAMA:
Cos’è la simmetria? Questa è la prima domanda cui Marcus du Sautoy cerca di dare una risposta: la simmetria indica qualcosa di speciale che il nostro cervello sembra programmato per cogliere. 
A partire dai tempi dei greci, Platone aveva cominciato uno studio sistematico dei solidi simmetrici che devono a lui il loro nome, considerandoli capaci di trascinare l’anima verso verità più profonde. I musulmani hanno proseguito questo studio, come dimostrato dal palazzo dell’Alhambra, nel quale sono presenti tutte le 17 simmetrie possibili. Per i musulmani, non è possibile raffigurare le persone, per questo motivo essi si sono concentrati su oggetti geometrici e la capacità di ripetere il motivo di una piastrella senza sosta e senza imprecisioni era segno di vera abilità. 
Mentre in Spagna si costruisce il palazzo dell’Alhambra, al Khwarizmi e Khayyam portano avanti i loro studi sulle equazioni, passando poi il testimone a Cardano e Tartaglia, che si contendono la soluzione delle equazioni di terzo grado. Abel, nella sua sfortunata e breve vita, dà un grande contributo allo studio delle equazioni e con Cauchy si ha l’evidenza del ruolo del linguaggio per comunicare i nuovi risultati: “Non lasciate che tocchi un libro di matematica o che scriva un solo numero prima di avere completato i suoi studi di letteratura”, disse Lagrange al padre di Cauchy, avvertendo l’imminenza di importanti cambiamenti nel mondo della matematica. 
All’indomani della Rivoluzione Francese, l’opera di Galois evidenzia finalmente il legame esistente fra le equazioni e la simmetria: Galois comprese che alla base del tentativo di risolvere le equazioni di quinto grado si nascondeva un problema più sottile, ovvero si rese conto che la chiave per rispondere a questo problema stava nelle simmetrie delle soluzioni dell’equazione.
La simmetria pervade ogni aspetto della quotidianità, pensiamo ad esempio alla musica: la trascrizione del Miserere da parte di Mozart (pezzo di 12 minuti) a soli 14 anni, è stata possibile solo cogliendo la struttura logica della composizione.
Tutte le simmetrie possibili sono state raggruppate nell’Atlas of finite groups, di Conway, Curtis, Norton, Parker e Wilson, ovvero in quello che l’autore definisce un viaggio record di 2000 anni attraverso la simmetria.
 
COMMENTO:
La storia della simmetria, la storia della soluzione delle equazioni, le ricerche di Marcus du Sautoy e la sua stessa vita si intrecciano in questo bellissimo libro, molto scorrevole e adatto anche a studenti delle superiori. 
Du Sautoy ci spiega cos’è la matematica e in cosa consiste il lavoro del matematico, coinvolgendoci con la descrizione dei convegni cui ha partecipato, delle collaborazioni in cui ha dato il suo contributo, dell’intricata rete di rapporti umani che si crea tra i matematici. 
Ma non si ferma qui, dato che la sua stessa vita è parte integrante del libro: ci racconta l’incontro con la moglie Shani, l’esperienza della fecondazione assistita e, infine, l’adozione delle gemelle guatemalteche Magaly e Ina.
Giovedì, 01 Agosto 2013 14:17

Il meridiano

TRAMA:
Il 23 giugno 1792, a Parigi due carrozze si apprestano a partire: a bordo della prima l’astronomo Pierre Méchain, accompagnato dal geografo Tranchot e diretta a sud; a bordo della seconda Jean-Baptiste Delambre, accompagnato da Bellet e diretta a nord. Obiettivo della missione la misurazione del meridiano tra Dunkerque e Barcellona, per predisporre una nuova unità di misura della lunghezza che, negli intenti della Commissione dei pesi e delle misure, non doveva dipendere da eventi mutevoli, ma essere legata a oggetti invariabili. In tal senso, si era scelta come unità di misura della lunghezza la decimilionesima parte del meridiano terrestre: i due astronomi avrebbero misurato una parte del meridiano, l’uno procedendo verso sud e l’altro verso nord e si sarebbero incontrati a Rodez, per poi far rientro a Parigi.
Fin da subito, i due astronomi incontrano problemi con i lasciapassare: grande è la diffidenza nei loro confronti, per la strana missione che è stata loro affidata, per le numerose lotte intestine che fanno seguito alla Rivoluzione e per gli attacchi provenienti dagli altri paesi europei.
Il 25 febbraio del 1793, Méchain si trova ospite del dottor Salva, suo ammiratore, a Montserrat. Qui, impegnato ad aiutare il suo gentile ospite a far funzionare una pompa, resta gravemente ferito. Ripresosi dall’incidente, dopo una lunga convalescenza, viene bloccato a Barcellona, da dove non solo non può far rientro in Francia a causa delle ostilità tra i due paesi, ma non può nemmeno spedire i propri risultati, che vengono scambiati per segreti militari scritti in codice. Durante la permanenza a Barcellona, Méchain ripete alcune misurazioni ed è in questo modo che trova un errore. Questo lo porta a interrogarsi su tutto il lavoro svolto fino a quel momento e a una profonda crisi.
Nel frattempo, a Parigi il Comitato di sorveglianza sembra convinto della sua migrazione all’estero e, per questo motivo, ne incarcera la moglie. Delambre è stato destituito dal suo incarico e le sue misurazioni interrotte: egli si ritira in un paese di campagna fino a quando non gli viene restituito il posto che occupava.
Méchain e Tranchot, finalmente liberi, raggiungono l’Italia, dove restano per circa un anno. Rientrati in Francia, hanno una discussione: Tranchot vorrebbe procedere più speditamente, partecipando attivamente alle misurazioni, per raggiungere quanto prima Delambre, Méchain si sente tradito e gli impone di andarsene. Nemmeno l’intervento della moglie, Thérèse, che lo raggiunge nel sud della Francia, riesce a rasserenarlo. 
Finalmente Delambre e Méchain si incontrano a Carcassonne e da lì proseguono per Parigi. Méchain si rifiuta di consegnare tutti i suoi appunti alla Commissione, ottenendo di presentare solamente un resoconto. 
Il 26 aprile del 1803 ottiene il permesso di lasciare di nuovo Parigi, per proseguire con nuove misurazioni del Meridiano, illudendosi di poter correggere il proprio errore, ma muore poco tempo dopo a seguito di un’epidemia.
Il figlio riporta in patria i suoi appunti e li consegna a Delambre, il quale ha modo così di rendersi conto dell’errore di Méchain, anche se si rifiuta di renderlo pubblico.
 
COMMENTO:
Il libro presenta con grande intensità la figura di Méchain, che ha avuto un ruolo tanto importante nell’errore commesso nella determinazione del metro. Le vicende personali dei due astronomi ben si inseriscono nelle vicende storiche che la Francia sta vivendo all’indomani della Rivoluzione ed il tutto è dosato con grande maestria da Guedj, che mostra di essersi molto appassionato alla vicenda. Una passione che trasmette anche al lettore.
Giovedì, 01 Agosto 2013 13:43

C'era una volta un paradosso

TRAMA:
I paradossi presentati sono di vario tipo: quelli delle arti figurative, come i trompe l’oeil e la prospettiva, quelli della religione, una delle idee astratte paradossali sulle quali si basa la nostra cultura, quelli della politica, come la dimostrazione di Amartya Sen (1970), con la quale stabilisce che in una società al massimo un individuo può avere dei diritti!
Interessante è la trattazione del paradosso del mentitore di Epimenide di Creta (VI sec. a.C.), che ha avuto nel corso dei secoli innumerevoli peripezie filosofiche e letterarie, fino a reincarnarsi nel paradosso degli insiemi di Russell, diverso nella forma rispetto all’originario, ma simile nella sostanza. I paradossi di Zenone (V sec. a.C.), che esprimono l’impossibilità del movimento, danno il titolo al capitolo “La corsa nel tempo della tartaruga” e la loro storia si snoda attraverso numerosi personaggi, fino ad arrivare alla raffigurazione visiva del paradosso da parte di Escher.
Matematica e scienza vengono confrontate proprio nel diverso ruolo che i paradossi hanno al loro interno: la differente direzione, dagli assiomi ai teoremi per la matematica e dai dati sperimentali alle leggi per la scienza, consente di considerare l’induzione matematica come sempre vera, a differenza dell’induzione scientifica, anche se nemmeno l’induzione matematica è immune al paradosso. Come viene ben spiegato nell’ultimo capitolo, in matematica il paradosso può generare, a seguito di un’ulteriore revisione, una dimostrazione: così, il paradosso dell’incommensurabilità della diagonale del quadrato rispetto al lato è diventato la dimostrazione dell’irrazionalità di radice di 2; i paradossi di Zenone diventano la dimostrazione della convergenza di una serie infinita da parte di Gregorio di San Vincenzo; il paradosso del mentitore diventa la dimostrazione di Gödel dell’indimostrabilità di alcune verità…
 
COMMENTO:
Risultano particolarmente interessanti gli ultimi due capitoli, che presentano un’interpretazione completamente nuova dei paradossi: come già detto, in matematica possono diventare delle dimostrazioni, che aprono la strada a nuovi ambiti. Interessanti sono anche i due capitoli densi di filosofia, come la Storia del paradosso del mentitore e l’evoluzione del paradosso della tartaruga di Zenone. 
Il libro merita di essere letto per i numerosi ambiti che esplora e la sottile ironia, sempre presente nelle opere di Odifreddi, alleggerisce un argomento non sempre facile. 
 
"Spesso le crisi dei paradigmi e le scintille per le rivoluzioni matematiche sono appunto stimolate e innescate dai paradossi. Al loro apparire essi provocano tragedie personali e collettive. Ma col passare del tempo, magari dopo millenni, i paradossi finiscono per essere integrati nel corpo della matematica, occupandone non di rado un posto d’onore."
Giovedì, 01 Agosto 2013 13:41

Abbi il coraggio di conoscere

TRAMA:
Abbi il coraggio di conoscere è una raccolta di 40 saggi, suddivisi in tre diversi gruppi: “L’universo cerebrale” (15), “Rivoluzioni socioculturali” (17), “Sistemi di valori” (8).
Nel primo gruppo Rita Levi Montalcini ci parla del cervello, cominciando con la storia delle strutture e delle funzioni di questo organo, durante un processo evolutivo durato quattro milioni di anni. Ripete più volte che la conoscenza dell’organo cerebrale è “essenziale per fornire […] un complesso di istruzioni per un uso adeguato delle potenzialità cognitive ed emotive”. Si sofferma anche sul discorso della coscienza e delle emozioni e del loro legame con l’organo cerebrale. Parla degli studi neuroanatomici, dell’Intelligenza Artificiale, del linguaggio, dell’apprendimento e della memoria, per concludere con il binomio “Scienza e arte: un unico processo cognitivo”. La Montalcini sostiene che “le facoltà che si manifestano in campo scientifico o si estrinsecano nella scoperta di nuovi fenomeni e leggi universali non differiscono da quelle attivate nella realizzazione di opere d’arte, perché entrambe sono basate sugli stessi processi cerebrali”.
Nel secondo gruppo di saggi, Rita Levi Montalcini offre la propria opinione spaziando dal ruolo della donna, all’importanza dell’acqua, dalla fame alla guerra e al razzismo, fornendo un commento serio e pacato, dalle forti basi scientifiche. 
Nell’ultima parte, vengono affrontati i temi più attuali: l’eutanasia, la clonazione, il rapporto tra scienza e etica. L’idea di fondo è espressa chiaramente: “La conoscenza è per definizione un bene – forse il bene primario dell’uomo – perché senza di essa non vi possono essere le altre libertà fondamentali alle quali ci si appella di continuo.” Al tempo stesso “Difendere la scienza e le sue conquiste non significa porsi come difensori di ufficio degli scienziati, tra i quali, necessariamente, esistono individui ambigui o senza scrupoli esattamente come nelle altre professioni. Dovere della società moderna è quello di continuare a perseguire la conoscenza del mondo che ci circonda e di noi stessi e di porre sotto controllo, a doppia mandata, tutti coloro, compresi gli stessi scienziati, che siano nella posizione di utilizzare queste conoscenze.”
 
COMMENTO:
Semplice e scorrevole, la lettura di questa raccolta di saggi può essere fatta senza seguire un ordine preciso, ma lasciandosi guidare dai propri interessi. Nel primo gruppo di saggi ho ritrovato alcune considerazioni già lette in Gödel, Escher, Bach di Hofstadter e quindi è stato come riprendere in mano concetti che avevo già avuto modo di approfondire. Il secondo e il terzo gruppo mi hanno coinvolto maggiormente in quanto meno tecnici e più legati a problemi attuali. In particolare, mi ha colpito quanto la Montalcini dice riguardo al ruolo delle donne nel miglioramento della qualità della vita: “l’entrata in azione delle donne può giocare un ruolo fondamentale per la realizzazione di interventi di piccola e grande portata. La loro attività, basata su comuni esigenze sociali, rende possibile l’interazione di gruppi di differente cultura e diversa appartenenza etnica”. Le donne sono considerate dall’autrice come le maggiori portatrici di benessere, per la loro positività nell’ambito economico e nella gestione dei conflitti, senza però dimenticare che: “L’istruzione è la chiave dello sviluppo, e può sconfiggere la povertà e far migliorare le condizioni di vita delle popolazioni dei Paesi emergenti”.
TRAMA:
Il libro comincia con l’Offerta musicale di Bach: «nel 1747 Bach fece una visita improvvisa a Federico il Grande di Prussia e in quell’occasione gli fu richiesto di improvvisare su un tema presentatogli dal Re.» L’autore ci spiega l’importanza di questo esordio: «L’Offerta musicale e la sua storia costituiscono il tema sul quale io stesso “improvviso” per tutto il libro rendendolo così una specie di “Offerta metamusicale”». E in effetti il testo si conclude con un dialogo improntato sull’Offerta musicale, esattamente come gli Strani Anelli del quale l’autore parla all’inizio della sua trattazione. 
È l’autore stesso ad indicarci la strategia di lettura, a spiegarci dettagliatamente come è strutturato il libro: «Questo libro è strutturato in modo insolito: come un contrappunto tra Dialoghi e Capitoli. Lo scopo di questa struttura è di permettermi di presentare i concetti nuovi due volte. Quasi ogni concetto nuovo viene prima presentato metaforicamente in un Dialogo, con una serie di immagini concrete, visive; queste servono poi, durante la lettura del Capitolo successivo, come sfondo intuitivo per una presentazione più seria e astratta dello stesso concetto.»
Perché Gödel, Escher e Bach? Perché proprio questi tre? Cos’hanno in comune? Verso la fine del libro, l’autore spiega che: «Idee collegate in modo profondo spesso sono molto diverse in superficie. L’analogia con gli accordi viene naturale: […] le note armonicamente vicine sono materialmente distanti (per esempio sol, mi, si, che, nella notazione inglese, ci danno tre lettere ben note: G, E, B). Idee che hanno lo stesso scheletro concettuale risuonano in una sorta di analogo concettuale dell’armonia.» Così succede per Gödel, Escher e Bach: Escher «ha dato una parabola pittorica del Teorema di Incompletezza di Gödel» e Bach ne ha fornito la chiave musicale: «Bach e Escher esprimono uno stesso tema in due “chiavi” diverse: musicale e visiva».
Del Teorema di Incompletezza di Gödel, l’autore fornisce una spiegazione esauriente, attraverso anche alcune metafore che aiutano il lettore meno preparato a farsi un’idea chiara dell’importanza di questo teorema, fino a giungere alla sua dimostrazione. Ma il Teorema nasconde in sé un altro gioiello, ovvero l’analisi dell’intelligenza umana per giungere all’obiettivo ben più alto dell’Intelligenza Artificiale. L’autore stesso si domanda: «Come può essere programmato un comportamento intelligente? Non è questa la più appariscente delle contraddizioni in termini? Una delle tesi principali di questo libro è che non si tratta affatto di una contraddizione. Uno degli scopi principali che mi sono prefisso è di spingere ogni lettore ad affrontare questa presunta contraddizione, assaporarla, capovolgerla, smontarla, sguazzarci dentro, così da emergere infine con una nuova capacità di scavalcare il baratro apparentemente invalicabile tra il formalizzato e il non formalizzato, l’animato e l’inanimato, il flessibile e il rigido.»
Come Hofstadter ribadisce anche altrove: «Lo scopo principale di questo libro è quello di indicare quale tipo di rapporto c’è tra il software della mente e lo hardware del cervello.»
 
COMMENTO:
L’impressione che mi è rimasta è di aver colto molto di quello che l’autore ha proposto nel libro, ma di aver anche perso sicuramente qualcosa, perché, come dice l’autore stesso verso la fine: «Non si penetra mai abbastanza a fondo nell’Offerta musicale. Quando si crede di conoscere tutto, vi si trova sempre qualcosa di nuovo». Per questo motivo, ho intenzione di rileggere questo libro tra qualche anno.
Già ora, comunque, sono rimasta affascinata dal legame tra i dialoghi e i saggi: i dialoghi non solo costituiscono un’introduzione ai saggi, ma anche un’evasione da una lettura difficile e impegnata. E danno anche un’idea di quanto sia profonda la preparazione dell’autore. Più volte mi sono ritrovata a dire: «È un grande!», leggendo le pagine dei dialoghi. In ognuno dei dialoghi erano nascoste perle preziose, che non sono sicura di aver colto completamente.
 
Altri commenti:
PIERGIORGIO ODIFREDDI: «Se oggi la logica e alcune delle sue idee epocali sono note a un vasto pubblico, anche non scientifico, lo si deve soprattutto a “Gödel, Escher e Bach” di Douglas Hofstadter, che ha esibito una rete di connessioni, spesso insospettate e sorprendenti, fra i linguaggi naturali, artistici, logici, biologici, informatici e artificiali, ed è valso al suo autore il Premio Pulitzer nel 1980.»
 
GABRIELE LOLLI: «Impegnativo, incredibile, unico, proteiforme libro di Hofstadter, difficile da catalogare, quasi impossibile da descrivere». «Complimenti ai traduttori e a chi ha curato l'edizione di questa opera che è perfetta; deve essere stata una fatica improba, dal punto di vista intellettuale ed editoriale, ma ne valeva la pena; a parte la curiosità di un libro che come uno Strano Anello si chiude sul suo inizio, il tema è cruciale. Per più di duemila anni il pensiero è stato bloccato dal paradosso del mentitore, adesso Hofstadter ci guida per mano su e giù per gerarchie aggrovigliate dove impariamo come nasce l'intelligenza e la vita. E non ci è voluto neanche molto. Sono passati cinquanta anni dal 1931.»
 
ANGELO SCIANDRA: «Si tratta di un buon libro, anche se complicatissimo. […] Il volume, comprendente più di 800 pagine, è un immenso pozzo senza fondo, che spazia dall'offerta musico-logica all'intelligenza artificiale. […] Non credo sia possibile recensire un testo così complesso e ricco di suggestioni, ma penso che le sue pagine non possano essere dimenticate.»
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