TRAMA:
Da otto anni all’École Normale Supérieure di Lione, a marzo del 2008 Cédric Villani decide di dimostrare l’equazione di Boltzmann non omogenea. Fin dalle prime pagine, appare evidente che la matematica si costruisce grazie al confronto con gli altri matematici: Clément Mouhot, al quale sette anni prima ha “messo il piede nella staffa”, suggerisce a Villani di usare lo smorzamento di Landau e Étienne Ghys, forse il miglior conferenziere di matematica al mondo, suggerisce il collegamento con la KAM, ovvero la teoria Kolmogorov-Arnold-Moser.
Anche le piccole intuizioni vanno dimostrate e la strada è davvero lunga. Gran parte del lavoro verrà svolto, a distanza, da Villani e Mouhot, in un confronto continuo, gestito via posta elettronica. Con l’inizio dell’anno nuovo, Cédric Villani si trasferisce infatti a Princeton per sei mesi, per consacrarsi interamente ai propri “amori matematici”. L’invito arriva al momento giusto, dato che un soggiorno a Princeton significa “nessun libro, nessun incarico amministrativo, nessun corso”, ovvero Villani potrà dedicarsi alla matematica senza distrazioni.
Due mesi prima, Villani ha ricevuto la nomina come nuovo direttore dell’Institut Henri Poincaré: da un lato sarebbe una sfida stimolante, dall’altro ha paura di restare schiacciato dagli impegni amministrativi, oltretutto la moglie, Claire, ha ricevuto una proposta di lavoro allettante nei corsi dottorali in geoscienze dell’Università di Princeton. A fine febbraio, Villani riceve una mail dall’IHP, proprio quando ormai ha deciso di rifiutare l’offerta della dirigenza: decide di tornare in Francia alla fine del mese di giugno, visto che hanno accettato tutte le condizioni che lui aveva imposto.
Il lavoro con Mouhot è, a tutti gli effetti, un lavoro di squadra: quando uno è titubante, è l’altro che trascina, quando uno è pessimista, l’altro fa l’ottimista e quando, a marzo, Clément ha una nuova idea, Cédric sente la paura che il suo subalterno lo stia superando. Il lavoro è diventato più intenso, con un centinaio di mail scambiate a febbraio e il doppio a marzo. Con la modifica numero 36, Clément e Cédric sono a quota 130 pagine, ma c’è ancora parecchio da fare: “Ci sono talmente tante cose sulle quali dovrei concentrarmi che lavoro fino alle due di mattina da diversi giorni”. E il tempo incalza: “annuncio il risultato a Princeton tra due giorni…”, “la dimostrazione è corretta almeno al 90 % e tutti gli ingredienti significativi sono stati identificati”. L’accoglienza è polemica, ma le critiche permetteranno al lavoro di progredire più rapidamente: bisogna “mettersi in posizione vulnerabile per diventare più forti”.
È arrivato anche l’ultimo giorno a Princeton, il 26 giugno: siamo “riusciti a far stare in piedi la dimostrazione, abbiamo riletto tutto. Che emozione quando abbiamo messo on line il nostro articolo!”. A fine giugno, Villani è a Lione, per prendere le proprie cose e cominciare come direttore all’IHP dal primo luglio: “Il lavoro effettuato a Princeton mi ha trasformato, come un alpinista di ritorno a valle che ha ancora la testa piena delle cime che ha esplorato. La sorte ha deviato la mia traiettoria scientifica a un punto tale che non potevo immaginare sei mesi fa.”
A ottobre, ottiene la risposta dalla rivista Acta Mathematica, la “rivista di ricerca matematica che molti considerano come la più prestigiosa di tutte”: l’editore non è convinto che i risultati riportati nel mastodontico articolo di 180 pagine siano definitivi e quindi lo rifiuta. Villani è disgustato. Nonostante contemporaneamente riceva la notizia di aver vinto il premio Fermat, questo non basta a compensare la frustrazione del fallimento.
All’ennesima critica, Villani decide di riprendere tutto in mano e così, a fine novembre, è “Tutto rifatto, tutto semplificato, tutto riletto, tutto migliorato, tutto riletto ancora una volta.”
A febbraio del 2010, mentre Villani è impegnato nella riorganizzazione dell’ufficio, riceve la telefonata di László Lovász, il presidente dell’Unione matematica internazionale che gli comunica la vittoria della medaglia Fields, che Villani accetta con entusiasmo, promettendo di mantenere il segreto per sei mesi. La medaglia gli viene conferita a Hyderabad, in India, il 19 agosto: “Circa tremila persone mi acclamano nella gigantesca sala conferenze dell’hotel di lusso che ospita il Colloquio internazionale dei matematici, annata 2010.”
A febbraio del 2011, finalmente l’articolo è accettato anche da Acta Mathematica!
“Non ha prezzo un sentiero senza illuminazione! Quando non c’è la luna, non si ha neanche una visibilità di tre metri. Il passo accelera, il cuore batte un po’ più in fretta, i sensi restano sul chi vive. Uno scricchiolio nei boschi fa drizzare le orecchie, ci si dice che la strada è più lunga del solito, ci si immagina un malintenzionato in agguato, ci si trattiene a malapena dal mettersi a correre. Questa galleria buia è un po’ come la fase buia che caratterizza l’inizio di un progetto matematico.”
COMMENTO:
Un libro che non può mancare nella biblioteca di un insegnante di matematica: l’avventura di Villani è l’avventura di chiunque voglia convivere con la matematica, a qualsiasi livello. Il cammino di “scoperta” del teorema è il cammino di chiunque voglia risolvere un problema: le false partenze, le fatiche, le vittorie, i momenti di stanchezza, le paure, l’entusiasmo, la passione… non manca nulla!
Per gli alunni leggere questo libro potrebbe essere un’illuminazione, un modo per comprendere, finalmente, che la matematica è un’avventura, un percorso a volte accidentato e pieno di ostacoli, ma ricco di soddisfazioni. E il matematico, al contrario di quanto pensa l’alunno medio, non è colui che non fa fatica, ma colui che riesce a mettere la propria passione al di sopra della fatica.
TRAMA:
Nato nel 1898, William Sidis è figlio dello psichiatra russo Boris Sidis e di Sarah Mandelbaum, medico ucraino. I genitori lo allevano in modo che possa sviluppare le proprie potenzialità solo replicando ciò che osserva fare, ovvero gli danno “un’educazione volta a stimolare le comuni e naturali attitudini all’attività intellettuale che tutti i bambini hanno.” A un anno, gioca con i cubi leggendo nuove parole e scrivendo ciò che gli detta il padre, a tre è esibito per far divertire ricche signore e come regalo al padre, impara il latino.
A 8 anni frequenta il liceo, che conclude dopo sole 12 settimane, avendo passato i test di selezione per l’università, ma la vita a scuola non è semplice: i compagni lo prendono in giro e gli insegnanti non riescono a instaurare un rapporto con lui, visto che si sentono controllati. A ottobre del 1909 fa il suo ingresso a Harvard e tra i compagni solo con Sharfman instaura un legame di amicizia, mentre evita tutti gli altri. Al termine del percorso si laurea in giurisprudenza, con il sogno di migliorare il mondo, ma la madre è molto delusa visto che si è laureato solo “cum laude”. Ad Harvard gli è stato offerto il corso di geometria, ma il rapporto con gli studenti non è facile, soprattutto quando distribuisce loro delle dispense in greco antico.
A 21 anni, incontra Martha Foley, della quale si innamora: organizzano insieme una manifestazione per il primo maggio e, rimasto ferito durante i tumulti, William viene arrestato. Per salvarlo dal carcere, i genitori lo fanno dichiarare mentalmente instabile. Resta a lungo sotto il loro controllo e, quando riesce a fuggire, contatta Martha, che ormai si è costruita una vita.
Nella sua vita da adulto, William non ha grandi successi: lavora per un po’ di tempo in un posto, fin quando non si accorgono delle sue doti e cercano di proporgli un impiego che sia più adeguato alle sue capacità. Allora si licenzia e cerca altro da fare.
Un giorno, si sente male per strada, ma rifiuta i soccorsi e, ricoverato al Brigham Hospital, muore solo per un’emorragia cerebrale.
COMMENTO:
Il romanzo non segue uno sviluppo cronologico: l’autore ci presenta il personaggio come se stesse componendo un puzzle, mostrandoci William in tutte le sue contraddizioni. All’inizio questo metodo disorienta un po’, dà un’idea di frammentarietà, ma abituandosi allo stile, pagina dopo pagina, si finisce con l’apprezzarlo. William Sidis ci sconcerta con le sue contraddizioni, ci stupisce con la sua genialità, ma ci lascia una grande amarezza, perché non riesce a costruire nessun rapporto umano, tranne quello con l’amico di Harvard Sharfman. E i genitori? Il loro atteggiamento non può che interrogarci: esiste davvero un modo adeguato per crescere un genio? C’era davvero la possibilità, per lui, di vivere una vita normale? Anche se sembra difficile rispondere, i genitori continuano a sembrarci un modello di egocentrismo e narcisismo…
TRAMA:
Un bambino che impara a leggere piuttosto tardi, a 8 anni, e a scuola, se si fa una graduatoria per i risultati, non va “mai oltre la metà circa della classe”. Eppure il futuro che lo aspetta è un futuro grandioso. Nato trecento anni esatti dopo Galilei, Stephen Hawking, figlio di un medico specializzato in medicina tropicale e di una segretaria, ha due sorelle più piccole e un fratello adottato. Dopo un’ammissione precoce a Oxford, a soli diciassette anni, Hawking fa proprio l’atteggiamento antilavorativo della vita universitaria e riesce facilmente a sottrarsi allo studio. Nonostante questo, ottiene una laurea di primo livello e sceglie di fare ricerca a Cambridge.
All’inizio del suo percorso, vorrebbe lavorare con Hoyle, il più famoso astronomo britannico degli anni Sessanta e principale fautore della teoria dello stato stazionario, ma, impedito dall’elevato numero di studenti, viene assegnato a Dennis Sciama, che si occupa di astrofisica. D’altra parte, il giovane Hawking non ha una sufficiente preparazione matematica per fare altro, ma sceglie la sua grande passione, la cosmologia e decide di colmare da solo le proprie lacune.
Durante l’ultimo anno a Oxford, Hawking viene stato sottoposto a dei controlli in ospedale a causa dei movimenti sempre più impacciati: gli viene diagnosticata la SLA. Inizialmente scioccato, fatica a lavorare, pensando di non aver molto da vivere, ma dopo la crisi iniziale, riesce – con sua grande sorpresa – a godersi la vita. Diventa un fellow del Caius College e sposa, nel 1965, Jane Wilde dalla quale avrà tre figli: Robert (1967), Lucy (1970) e Tim (1979).
Nel 1969, Weber convince i fisici di aver rilevato le onde gravitazionali e Hawking accarezza il pensiero di diventare un fisico sperimentale: fortunatamente, la sua scelta professionale trova nuovi sbocchi nell’ambito della fisica teorica. Lo stesso Hawking conferma di essere molto contento di essere rimasto un teorico, visto che sarebbe “stato un disastro come sperimentatore” con la sua “crescente disabilità”. Inoltre, oltre a essere molto difficile farsi un nome in campo sperimentale, spesso si è parte di un grande gruppo e gli esperimenti possono durare anni. “Un teorico può avere un’idea in un solo pomeriggio, o magari […] mentre va a letto, e scrivere un articolo da solo o con uno o due colleghi, facendosi così un nome”.
Negli anni Sessanta, la cosmologia ruota attorno alla domanda se l’universo abbia avuto un inizio e la scoperta della debole radiazione di fondo nel 1965 dà il colpo di grazia alla teoria dell’universo stazionario. Anche in tal senso, Hawking è stato fortunato: se avesse lavorato con Hoyle, come desiderava, avrebbe dovuto difendere la teoria dell’universo stazionario, ormai superata dalle nuove scoperte. Con Roger Penrose e Bob Geroch, negli anni Sessanta elabora la teoria della struttura causale della relatività generale e, con un saggio su questo argomento, vince il premio Adams a Cambridge nel 1966.
La teoria dei buchi neri – di cui traccia una breve storia – lo vede in prima linea, come dimostra l’adesivo appeso alla porta del suo studio “i buchi neri non sono visibili”. Inizia a lavorare ai buchi neri nel 1970, elaborando tutta la teoria senza che vi sia alcuna prova osservativa della loro esistenza. Tra una scommessa e l’altra con i colleghi, nel 1974 Hawking viene eletto fellow della Royal Society, nonostante sia ancora molto giovane e sia solo un assistente ricercatore. Invitato al California Institute of Technology (Caltech), si impegna con una simpatica scommessa con il suo ospite Kip Thorne: la speranza è di perdere la scommessa, ovvero di vedere le prove dell’esistenza di un buco nero, ma in caso contrario l’alternativa è la consolazione di un abbonamento quadriennale a “Private Eye”.
Tornato a casa nel 1975, nel 1979 ottiene la cattedra lucasiana di matematica. Nel 1985, una polmonite, durante un viaggio al Cern, compromette la sua salute, tanto che deve essere attaccato a un respiratore. Solo una tracheotomia lo libera da questa schiavitù, ma gli toglie la parola: può esprimersi solo grazie a un sintetizzatore vocale, che gli consente di comunicare, lavorare, scrivere. Il rapporto con la moglie è sempre più compromesso e nel 1990 si separano. Nel 1995, Hawking si sposa con Elaine Mason, una sua infermiera, ma il matrimonio si concluderà nel 2007: il secondo matrimonio è “appassionato e burrascoso” e lei gli salva la vita in più occasioni, ma le sue frequenti crisi hanno un costo emotivo troppo alto. Ora vive con la governante ed è attaccato a un respiratore ventiquattr’ore su ventiquattro.
Dopo aver trattato i viaggi nel tempo e il tempo immaginario, Hawking conclude la sua breve storia con un bilancio, nettamente positivo nonostante la malattia. La cosa sorprendente è che, per certi aspetti, Hawking riesce a parlare dei vantaggi che la malattia gli ha dato e, in fondo, la vita gli ha dato tanto: “Sono felice se ho contribuito ad accrescere un poco la nostra comprensione dell’universo.”
COMMENTO:
Un inno alla vita: la storia di un uomo, delle sue scelte, degli eventi fortunati che costellano la sua vita e della fisica, le cui vicende sono intrecciate strettamente con quelle dello studioso.
Un libro piacevole, ma breve: a volte gli eventi della sua vita, anche i più importanti, sono presentati in modo scarno, quasi come se si presentasse il risultato di un esperimento. Ma il vero sentimento lo troviamo nella conclusione, nel bellissimo bilancio che Hawking traccia della sua vita. “Ho avuto una vita piena e soddisfacente. Credo che le persone disabili dovrebbero concentrarsi sulle cose che il loro handicap non impedisce di fare e non rammaricarsi di quelle che non possono fare.”
Consigliato a tutti!
TRAMA:
Una biografia di Ada Lovelace, che l’autrice immagina ci venga raccontata dalla stessa protagonista ormai al termine della sua breve vita: ripensa ai figli ormai lontani, all’inesistente rapporto con il padre, il famoso poeta George Byron, rivive il rapporto conflittuale con la madre, che costituisce la parte centrale del libro. Infatti, Ada non riesce a svincolarsi dalla sua influenza: fin dalla sua infanzia, ha predisposto per lei un programma impegnativo fatto di studio e povero di libertà, per paura che potesse scegliere di fare la scrittrice o, peggio ancora, la poetessa, ma anche da adulta continua a influenzare le sue scelte. Nonostante sia così ostinatamente presente nella sua vita, la madre non le dà però l’amore di cui ha necessità, perché, come ci spiega con un diario, è più importante “porre le basi alle buone abitudini e prevenire che se ne formino di pericolose”, risparmiandosi “il pericolo di amare, la paura dell’interdizione, il fastidio dello scontro.”
L’ingresso in società permette a Ada di incontrare personalità importanti e il 5 giugno del 1833, quasi diciottenne, incontra Charles Babbage a una delle serate organizzate proprio a casa del matematico: “Finalmente qualcuno che non ripete le stesse cose degli altri. Che si sforza di capire i problemi e di farli comprendere usando immagini fantasiose o comunque mai banali. Quella sera, il padrone di casa ci ha parlato della sua Macchina delle differenze, una meraviglia dell’intelletto umano.” La Macchina delle differenze è un congegno pensato per eseguire i calcoli e sostituirsi alle persone nell’esecuzione di questo compito. La madre non capisce la passione della figlia per le scoperte di Babbage, che ritiene “prive di fondamento e paradossali”: da questo punto di vista, Ada mostra di essere all’avanguardia, in anticipo sui tempi. Durante le sue apparizioni a Corte, Ada incontra anche William King, conte di Lovelace, che sposa nel 1835: il conte sosterrà le sue passioni e i suoi progetti fino alla fine.
Charles Wheatstone, fisico e inventore, propone a Ada di tradurre, per una rivista scientifica, la nuova presentazione della Macchina analitica realizzata da un giovane militare italiano, il capitano Luigi Menabrea. L’articolo è scritto in francese e si basa sull’esposizione che lo stesso Babbage ha fatto al Congresso degli scienziati italiani di Torino nel 1840. Babbage le suggerisce di non limitarsi alla traduzione, ma di aggiungere delle note per chiarire alcuni concetti e al termine l’articolo è tre volte più lungo dell’originale e al suo interno c’è anche il primo algoritmo pensato per i computer, per il calcolo dei numeri di Bernoulli.
Il testo si conclude esattamente come era iniziato con un riferimento alla Grande Esposizione Universale: proprio l’anno prima della morte di Ada, è stato eretto a Londra il Crystal Palace, installato a Hyde Park, uno degli esempi più celebri di architettura del ferro. Nonostante il progresso in molti campi, le proposte di Babbage per la sua Macchina analitica non vennero ascoltate, visto che la sua invenzione non trovò posto nella Grande Esposizione universale e l’inventore non trovò nemmeno i finanziamenti necessari per far andare a buon fine il progetto.
COMMENTO:
Con le sue illustrazioni e con un linguaggio semplice, il libro è adatto anche ai ragazzi delle medie. La voce narrante di Ada ci illustra, senza falsa modestia, il contributo dato alla matematica e all’informatica: dalle pagine, traspare la sua passione per l’invenzione di Babbage, che – a suo dire – potrebbe rivoluzionare il mondo in cui viviamo e il nostro modo di gestire la scienza. Ada ha davvero precorso i tempi e, in questo libro, ci presenta tutto il fascino degli inizi.
TRAMA:
“Memorie d’infanzia” di Sofja Kovalevskaja è “un libro scritto da un matematico di alta classe, di prestigio indubbio, ma sotto forma narrata, autobiografico, nel quale il personaggio rivela di sé le più umane passioni” (dalla prefazione di Bruno D’Amore).
Giovane e appassionata, Sofja è la seconda figlia di una ricca famiglia che, al congedo del padre dall’esercito nel 1856, si stabilisce nella dimora di famiglia di Palibino, nella provincia di Vitebsk. Qui Sofja trascorre l’infanzia con la sorella Anjuta, di sei anni più grande e il fratellino Fedja, di tre anni più piccolo. Sofja è nata nel 1850, quando i genitori si trovavano in grandi difficoltà economiche per i debiti di gioco del padre e la sua nascita ha deluso i genitori, visto che avrebbero desiderato un maschio: per questi motivi, Sofja si sente poco amata. Con il trasferimento a Palibino, cambia l’organizzazione interna della famiglia: viene assunta una governante inglese e, in casa, ogni membro della famiglia ha i propri spazi, così separati che si incontravano tutti solo a pranzo e per il tè della sera. Miss Smith, l’istitutrice inglese che si occupa di Sofja, organizza le sue giornate in modo rigido: la sveglia alle 7, le lezioni impegnative, la marcia igienica dopo pranzo e le punizioni, che hanno più l’aspetto delle umiliazioni, nel momento in cui Sofja non si comporta come dovrebbe, come quando viene sorpresa a leggere, quando invece dovrebbe giocare con la palla, e il padre la lascia per mezz’ora in piedi in un angolo del proprio studio senza rivolgerle la parola.
Nel quadro della famiglia si inseriscono anche due zii: un fratello del papà, un anziano eccentrico ma molto colto, responsabile dell’incontro di Sofja con la matematica e il giovane fratello della mamma, per il quale Sofja nutre una vera e propria passione, tanto da ferire con un morso la compagna di giochi, colpevole di aver stuzzicato la sua gelosia. Da entrambi gli zii, Sofja sente quell’amore che ritiene di non ricevere dai genitori e ha modo inoltre di ampliare le proprie conoscenze, intrattenendosi con loro in dotte conversazioni.
La seconda metà del libro è dedicata alla sorella maggiore, Anjuta: dopo aver vissuto l’adolescenza passando da una passione all’altra, la ragazza entra in contatto con le idee che fervevano nelle grandi città e decide di dedicarsi alla scrittura. I suoi primi tentativi letterari vengono inviati, in gran segreto, a Dostoevskij, redattore di una rivista: dopo la pubblicazione del primo racconto, Anjuta ne prepara un altro, ma la lettera con la conferma dell’avvenuta pubblicazione viene intercettata dal padre, che si mostra adirato e deluso. Solo l’intercessione della madre permette ad Anjuta di continuare questa corrispondenza e di incontrare a San Pietroburgo il grande scrittore: Sofja è affascinata da lui e resta molto male quando si accorge che lui è in realtà innamorato della sorella e le chiede di sposarlo. Solo il rifiuto di Anjuta e il ritorno in campagna permette alle sorelle di rinsaldare il loro legame di amicizia.
Nel capitolo conclusivo, Sofja traccia un breve profilo autobiografico – scritto pochi mesi prima di morire – ripercorrendo le varie fasi del suo innamoramento per la matematica e rivivendo l’ostilità del padre, che nutriva “un forte pregiudizio verso tutte le donne istruite”. Era costretta a leggere di notte, alla fioca luce di una lampada, per non farsi scoprire e solo l’intervento di un proprietario terriero che abitava vicino a loro, il professor Tjrtov, che perorò la necessità che le fosse impartita un’istruzione rigorosa, le permise di cominciare le lezioni con il professor Strannoljubskj, a cui fece seguito, dopo il matrimonio con Kovalevskj, l’incontro con Weierstrass, che la prese sotto la sua ala protettrice. La laurea summa cum laude all’Università di Gottinga, la pubblicazione di uno dei suoi lavori sul giornale di Crelle – ritenuta la più seria pubblicazione di matematica in Germania – furono seguiti da un periodo di scarsa attività scientifica, visto il ritorno dei coniugi in Russia e la loro dedizione a imprese commerciali che si conclusero con il fallimento. Ripresi i giri per l’Europa, Sofja ebbe modo di incontrare eminenti matematici e di veder pubblicati alcuni dei suoi lavori; l’incontro con Mittag-Leffler, uno degli allievi di Weierstrass, le fruttò un invito a Stoccolma a tenere lezioni di matematica, dove – dopo un primo anno da privatdozent – le fu offerto un incarico stabile nel 1884. Grazie ai suoi lavori, ottenne un premio dell’Accademia delle Scienze di Parigi, per il quale le furono tributati “onori su onori”.
COMMENTO:
L’introduzione di Laura Guidotti permette al lettore di conoscere l’autrice, Sofja Kovalevskaja, prima ancora di cominciare a leggere le sue memorie. In questo modo, si leggono questi ricordi da bambina inserendoli in un quadro più completo e in questa visione d’insieme trovano spazio le enormi difficoltà che Sofja ha incontrato nella sua breve vita per affermarsi come matematica in un mondo dominato – e controllato – dagli uomini. Le difficoltà che incontra da bambina per farsi amare da genitori che ci appaiono troppo distanti diventano in questo modo un banco di prova per ciò che si troverà ad affrontare nella sua vita di adulta. Le cotte adolescenziali, l’amore per la matematica, nato fortuitamente grazie alla mancanza di tappezzeria in una stanza, ce la fanno sentire vicina: una bambina come tante, che legge il mondo che cambia attorno a lei, senza avere gli strumenti adeguati per interpretare ciò che vede.
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