«Marie e Bronia, un patto tra sorelle» è stato pubblicato In Italia dalla casa editrice Giralangolo nell’ottobre del 2020, ma in realtà l’edizione originale è del 2017. In Francia, il libro è stato finalista nel Prix Historia Jeunesse ed è stato nominato per undici premi letterari nel 2019. Da esso è stato tratto un adattamento teatrale dalla Compagnie du Saut de l’Ange con il titolo «Il patto delle sorelle», finalista al Prix Olympe de Gouges. Natacha Henry, l’autrice, è una saggista, storica e giornalista franco-britannica, che si è impegnata nella difesa della libertà di espressione personale delle donne e ha fondato, nel 2005, l’Associazione Gender Company, che analizza le disuguaglianze di genere e i pregiudizi della cultura popolare.
Nella versione italiana, il sottotitolo dice «L’affascinante storia di Marie Curie», ma di fatto non si tratta solamente della storia di Marie Curie ed è il titolo a dirci qual è il centro di questo romanzo, ovvero il «patto» tra le due sorelle, Bronia e Maria. Il testo comincia con la storia d’amore dei genitori e procede con la loro nascita, fino ad arrivare al momento in cui, nella Polonia di fine Ottocento controllata dai russi, alle ragazze è vietato l’accesso agli studi universitari. Le due sorelle, inizialmente, seguono le attività dell’Università Volante, un’università clandestina che permetteva alle donne di proseguire negli studi, ma che era rischioso frequentare. Bronia, che desiderava diventare un medico dalla morte della madre e della sorella, comincia a sentire la frustrazione del non poter realizzare il proprio sogno ed è Maria a proporre il patto: la sorella maggiore andrà a Parigi a studiare e poi, una volta laureata, manterrà Maria a Parigi con il suo stipendio da dottore. Il romanzo racconta la storia delle due sorelle in parallelo fino al 1903: la vita a Parigi di Bronia, dove conosce Kazimierz Dłuski, suo futuro marito e le vicende di Maria che, in Polonia, fa l’istitutrice e vive la sua prima storia d’amore, con Kazimierz Zorawski, che le sarà vietato sposare, in quanto lei è di un’estrazione sociale inferiore. Dopo questa delusione, Maria decide di abbandonare il suo sogno di studiare, ma la frequentazione del laboratorio di chimica grazie al cugino Jozef le restituisce un po’ di entusiasmo. Maria è quindi pronta per raggiungere Bronia e sarà ospite sua e del marito, mentre porterà avanti i propri studi. Durante il suo percorso, Maria conosce Pierre Curie e, dopo un po’ di dubbi, deciderà di stabilirsi definitivamente a Parigi.
In questo romanzo, ciò che appassiona è il fatto che le due sorelle vengono viste nella loro quotidianità e anche attraverso gli scontri che appartengono ad ogni rapporto di sorellanza. Il racconto si concentra, quindi, sul lato più umano di una giovane Marie. Il patto tra le due sorelle è stato reso possibile dal sostegno del padre, che riteneva che non ci fosse nulla che poteva essere loro negato solo perché donne: «lui ci ha incoraggiate a sfidare la mentalità di chi voleva relegare le donne in casa, ed era certo che saremmo state capaci di andare fino in fondo», dice Marie nella fase finale. E Bronia fa diventare questo esempio vincolante per entrambe, come madri: dice a Marie che entrambe dovranno «insegnare alle [proprie] figlie che niente è impossibile».
Nonostante conoscessi già la storia di questo patto – secondo me uno degli aspetti più affascinanti nella vicenda di Marie – mi è piaciuto molto leggere questo romanzo: scorrevole, reso molto dinamico dalla ricchezza di dialoghi, l’ho trovato una lettura alla portata dei ragazzi delle medie. Ne consiglierei la lettura in particolare alle ragazze, che possono trovare in Marie e Bronia un’ispirazione e un modello.
«Pinguini all’Equatore», edito da DeAgostini, è stato scritto da Serena Giacomin e Luca Perri. Laureata in fisica e meteorologa del Centro Epson Meteo, Serena Giacomin è anche Presidente dell’Italian Climate Network, il movimento italiano per il clima. È autrice del libro «Meteo che scegli tempo che trovi», pubblicato nel 2018 con la casa editrice Imprimatur. Astrofisico e divulgatore scientifico, Luca Perri è sempre più popolare dopo la vittoria al FameLab del 2015, la competizione internazionale per ricercatori scientifici sul tema della comunicazione. Tra i libri di Perri ricordiamo «Astrobufale», dedicato alle bufale dell’esplorazione spaziale e «Partenze a razzo» e «Errori galattici», anch’essi pubblicati da DeAgostini. La narrazione è arricchita dalle illustrazioni di Caterina Fratalocchi, che ha lavorato in precedenza per studi di animazione e videogiochi.
Il libro «Pinguini all’Equatore» ha come sottotitolo «Perché non tutto ciò che senti sul clima è vero» ed ha come obiettivo quello di smontare alcune bufale sul clima. L’incipit è un elenco di luoghi comuni e, proprio a partire da questi, procede con la distinzione tra meteo e clima. Il disorientamento della gente di fronte agli eventi climatici è stata la molla che ha spinto i due autori a realizzare questo libro: «La situazione è talmente confusa che è normale che nascano dei dubbi. E nonostante il dubbio sia alla base della scienza, lo è solo quando si indaga rispettando sempre il metodo scientifico. Altrimenti, il dubbio è solo un ostacolo alla comprensione, alla presa di coscienza e infine all’azione.» L’obiettivo del testo è quello di vincere i pregiudizi ed esaminare razionalmente ogni posizione, «per comprendere la situazione e capire come agire non solo in futuro, ma già da oggi».
Nel primo capitolo, si analizzano le bufale nate dal nome geografico della Groenlandia, che richiama una “Terra verde”, se non fosse per il fatto che in realtà è frutto di una trovata pubblicitaria di Erik il Rosso. Il secondo capitolo parla dell’inclinazione dell’asse terrestre e Perri non fa mancare le sue analogie culinarie, visto che paragona la terra a un kebab blu. Questo capitolo evidenzia la differenza tra la lentezza dei cambiamenti che sono avvenuti nel passato e la velocità degli ultimi decenni: il clima ha sempre subito cambiamenti nel passato, ma mai così in fretta ed è quindi evidente che ciò che stiamo vivendo è imputabile all’intervento dell’uomo. Il terzo capitolo è dedicato agli elefanti di Annibale (37 o 20.000?) e alla difficile vita di Ötzi. Anche se si parla del clima, Perri non perde occasione per parlare di cacca, in questo caso quella che gli elefanti hanno lasciato sulle Alpi. Il quarto capitolo analizza gli indizi di colpevolezza che portano a sospettare del Sole: la discussione al riguardo è cominciata nel 1990, quando Friis-Christensen e Lassen hanno presentato le proprie ipotesi al mondo scientifico, compiendo degli errori e, al tempo stesso, manipolando i dati. Nel quinto capitolo, si parla dell’anidride carbonica, per la quale è aumentata indubitabilmente la concentrazione nell’atmosfera. Il sesto capitolo apre la strada all’azione: Greta ha cominciato la propria protesta richiamando l’attenzione del mondo sul fatto che non può esistere un Pianeta B e Perri si impegna ad analizzare tutte le mete alternative che potremmo trovare nell’universo, ma non ne va bene nemmeno una. D’altra parte, come sottolinea la Giacomin, anche la Terra ha dei luoghi inospitali che stanno aumentando la propria estensione al passare del tempo. Le conclusioni ci permettono di distinguere il dubbio positivo dal dubbio negativo: fondamentale per la ricerca scientifica, il dubbio rischia di diventare paralizzante quando si allea con la paura. Il libro si chiude con un bigino anti-bufala, nel quale vengono ripresi velocemente i contenuti dei capitoli, in un conciso riassunto.
Dedicato ai ragazzi delle medie, «Pinguini all’Equatore» non ha limiti di età. La narrazione è gestita in forma di dialogo tra Serena e Luca, mentre le caricature dei due autori sottolineano le battute di Perri e gli interventi della Giacomin: in questo dialogo ben equilibrato, che regala un po’ di dinamismo alla narrazione, si inseriscono i fumetti di Caterina Fratalocchi che concludono ogni capitolo e aiutano a evidenziarne l’aspetto più significativo. La lettura è consigliata a tutti: potrebbe essere una delle prime azioni che mettiamo in atto per vincere i cambiamenti climatici, perché informandoci possiamo impegnarci a combattere la diffusione delle fake news sul clima, per vincere l’immobilismo.
«Cronache di scienza improbabile» è un libro pubblicato nel 2013 da edizioni Dedalo. L’autore, Pierre Barthélémy è un giornalista francese indipendente, che con questo libro ha vinto il premio Le goût des sciences del Ministero dell’Istruzione e della Cultura francese. Il libro è la raccolta di cinquantuno articoletti che sono stati pubblicati per il supplemento “Science” del quotidiano “Le monde” a partire dal 2011.
Bisogna definire innanzi tutto cosa si intende per “scienza improbabile”: l’autore dice che si possono considerare scienza improbabile «tutte le ricerche e gli esperimenti a prima vista grotteschi, che mai si sarebbero dovuti intraprendere né pubblicare», in altre parole ricerche ed esperimenti irripetibili, una vera perdita di tempo. Eppure, questi esperimenti godono dell’attenzione, a partire dal 1991, della prestigiosa Università di Harvard, che ha istituito i premi Ig Nobel, ovvero il premio Oscar della scienza improbabile, ormai abbastanza ambito. «Il fascino della scienza improbabile sta proprio qui: all’inizio provoca un sorriso, in seguito scaturisce la riflessione. E ci si accorge che, sotto l’apparente assurdità di un esperimento strampalato, prima di tutto c’è il desiderio profondo di far avanzar la ricerca.» Scopriremo così che gli scienziati, nel corso degli anni, si sono prestati a esperimenti non sempre piacevoli in nome della scienza: hanno mangiato toporagni e cibo per gatti, hanno ignorato il proprio disgusto per dimostrare che la febbre gialla non è contagiosa, si sono fatti schiacciare i testicoli per trovare l’origine del dolore che viene percepito in una zona diversa rispetto al punto colpito, hanno annusato odori e aliti delle persone, hanno svolto esperimenti nei quali erano coinvolti scarabei stercorari o nomi improbabili, hanno verificato che dare il proprio contributo alla collettività partecipando alle elezioni può essere mortale, ma purtroppo nemmeno sorteggiare i deputati potrebbe essere una soluzione equa, hanno dimostrato che scrocchiarsi le dita delle mani non provoca l’artrosi, hanno cercato modi meno dolorosi di partorire proponendo l’utilizzo di una centrifuga o ingegnosi modi per dimagrire, pur mantenendo la propria sedentarietà e la passione per la televisione. Ci sono addirittura scienziati che sono arrivati ad impiccarsi per portare avanti la propria ricerca scientifica e altri che hanno misurato la velocità della morte, alcuni hanno addirittura trovato la risposta alla domanda che tutti ci poniamo quando siamo imbottigliati nel traffico se l’altra fila avanzi più velocemente di noi.
Insomma, le ricerche proposte in questo libretto, che dedica ad ogni esperimento un paio di facciate accompagnate dalle simpatiche illustrazioni di Marion Montaigne, sono una lettura leggera, ma al tempo stesso aiutano a riflettere sul metodo scientifico mostrandoci quanta fantasia sia necessaria per verificare le ipotesi. Alcune ricerche sono, in effetti, dei veri e propri rompicapo: come potremmo verificare ad esempio, senza uccidere nessuno, se colpire un essere umano sulla testa con una bottiglia di birra da mezzo litro gli provocherebbe lo sfondamento del cranio? E se invece si rompesse prima la bottiglia? Se volete conoscere la risposta a queste e ad altre domande improbabili, la lettura di questo libro è sicuramente adatta a voi ed è garantito che vi regalerà qualche momento di svago e molte risate, anche se alcuni esperimenti metteranno a dura prova il vostro stomaco.
«Perché diamo i numeri?» è un libro pubblicato nel 2012 dalla casa editrice Editoriale Scienza. La collana Teste Toste, cui appartiene questo libro, si avvale delle domande impertinenti di Federico Taddia, andando alla scoperta della scienza grazie alle risposte che i grandi divulgatori danno. La collana ha vinto nel 2013 il premio Andersen come migliore collana di divulgazione. Federico Taddia è giornalista, scrittore e divulgatore e ha vinto il premio Alberto Manzi per la comunicazione educativa e Bruno D’Amore, il divulgatore che risponde alle domande, è un matematico che si occupa in particolare di didattica della matematica. Il libro è arricchito dalle illustrazioni di AntonGionata Ferrari, che ha vinto il premio Andersen come miglior illustratore italiano per ragazzi nel 2007.
Ogni piccolo capitolo comincia con una domanda e dalla prima risposta fornita da Bruno D’Amore, si scatena tutta una serie di ulteriori domande. Le domande possono essere raggruppate in cinque ambiti: matematica come regina delle scienze, storia della matematica, operazioni, numeri e curiosità e, al termine di ogni capitoletto, c’è il rimando a domande precedenti o successive che costituiscono un prolungamento rispetto a quanto detto. La cosa interessante è che Taddia non rivolge al matematico domande complicate, ma fa quelle domande che potrebbe fare ognuno di noi, dando rilievo a tutte quelle curiosità che ci portiamo dentro. Domande come “Dove posso andare se non so contare?” o come “La matematica è bella?”. La risposta di Bruno D’Amore è in fondo anche una risposta al motivo per il quale sarebbe bene leggere questo libro: “La matematica è una forma d’arte, a volte di grande bellezza”. Potremmo intravvedere anche domande riguardanti la didattica della matematica, come quando Taddia chiede se ci sia un modo divertente per imparare la matematica o dove si possa trovare la matematica, domanda alla quale D’Amore risponde dicendo “La matematica è dentro alle cose, dalle più piccole alle più grandi. È negli atomi, nelle galassie e anche nella tua merenda”. La curiosità di Taddia si spinge fino a chiedere a Bruno D’Amore se sia rimasto qualche enigma da risolvere, perché effettivamente l’impressione che ha la persona comune è che la matematica abbia ormai scoperto tutto. In realtà, ci sono ancora parecchi enigmi da risolvere e Bruno D’Amore descrive uno dei più semplici da presentare, ovvero la Congettura di Goldbach, che anche a distanza di tre secoli dal suo enunciato non ha ancora avuto dimostrazione.
Il libro ci trasmette l’idea che la matematica sia un gioco divertente perché ogni giorno regala delle sorprese e perché al suo interno lascia ampio spazio alla fantasia. Il libro si rivolge ai ragazzi della scuola secondaria di primo grado, ma in realtà è ricco di curiosità che possono essere interessanti anche per quegli adulti che hanno sempre considerato negativamente la matematica e hanno in questo modo la possibilità di modificare l’idea negativa che si sono costruiti.
La collaborazione tra Federico Taddia e Bruno D’Amore si è spinta anche oltre e li possiamo trovare sul canale YouTube Big Bang, con i loro viaggi all’interno della matematica.
«Il grande romanzo della matematica» è stato pubblicato nel maggio del 2019 dalla casa editrice La nave di Teseo ed è stato scritto da Mickaël Launay. Classe 1984, dopo essersi laureato all’École Normale Supérieure, ha aperto il sito di matematica ludica Micmaths e l’omonimo canale YouTube nel 2013, con il quale nel giro di pochi anni ha raggiunto i 470 mila iscritti, mentre i suoi video hanno totalizzato 35 milioni di visualizzazioni. È Piergiorgio Odifreddi che, nell’introduzione, presenta questo romanzo con una descrizione entusiasta dell’autore e delle sue imprese.
Il libro racconta la storia della matematica in diciassette capitoli e sembra davvero un romanzo, mancando una trattazione teorica impegnativa, ma essendo ricco dei racconti delle vicende dei singoli matematici. Alcuni capitoli cominciano con un luogo, come i primi capitoli ambientati al Louvre, il quarto alla Cité des sciences et de l’industrie mentre l’autore osserva la Géode e il sesto, dedicato a pi greco, ambientato al Palais de la Découverte: è come se l’autore volesse farci riscoprire una Parigi matematica. I capitoli sono ricchi di immagini che permettono di visualizzare gli argomenti trattati e poi ci sono dei piccoli box, scritti con un carattere più piccolo, che fanno riferimento ad alcuni aspetti particolari, come delle piccole parentesi di approfondimento che si aprono all’interno della narrazione.
L’autore dice che di fatto la matematica pur facendo paura, è affascinante, ovvero “non la amiamo, eppure ci piacerebbe amarla”, visto che c’è una grande curiosità nei confronti di questa disciplina. Launay l’ha sperimentato durante un mercatino estivo, quando, con il suo stand dedicato alla matematica, ha fatto esperienza in mezzo alla gente, prendendo “i passanti un po’ al laccio”. È la dimostrazione che la divulgazione di Launay è davvero rivolta a tutti.
Il testo comincia con quella forma di matematica preistorica che presto dà origine ai numeri e sconfina poi nella filosofia nell’antica Grecia. Il metodo matematico nasce con gli Elementi di Euclide, sistematizzazione di tutto il sapere del tempo, attraverso la classificazione in definizioni, assiomi e teoremi, mentre il fascino della matematica trova una sua espressione con il pi greco, grazie ad Archimede. Questa storia della matematica non ha luogo solo in Europa: la nascita dello zero ci richiede un trasferimento in India, per poi proseguire presso la Casa della Sapienza di Baghdad, con la nascita della trigonometria e dell’algebra di Al-Khwārizmī. Dopo il necessario passaggio attraverso Fibonacci per giungere in Europa, il percorso prosegue con le equazioni di terzo grado e il teorema fondamentale dell’algebra, ovvero con Tartaglia, Bombelli, Gauss e Galois. Si arriva poi al Rinascimento con la nascita del linguaggio della matematica, con l’algebra che diventa simbolica e l’unificazione di algebra e geometria grazie al lavoro di Cartesio. Dopo un capitolo che esplicita il legame con la fisica, attraverso le vicende di Galilei, Newton e Halley, fanno la loro comparsa il calcolo infinitesimale, nato con la disputa tra Newton e Leibnitz, e il calcolo delle probabilità inventato da Fermat e Pascal. Il penultimo capitolo è dedicato alle macchine, con la pascalina, Babbage e Ada Lovelace, fino a Turing e il libro si conclude con il Congresso Internazionale della Matematica nell’agosto del 1900, che porta la matematica verso l’assiomatizzazione, ma si scontra con il teorema di incompletezza di Gödel. Con l’epilogo, Launay si interroga sulla matematica del futuro, ma è un interrogativo che sconvolge, perché “spingersi fino al confine delle nostre conoscenze e gettare lo sguardo sulla distesa di ciò che non conosciamo ci sgomenta!”
Launay conclude la sua carrellata, ricordando che “non occorre gran cosa per fare matematica” e invita il lettore a lasciare spazio alla curiosità e alla fantasia, fornendo delle indicazioni per l’esplorazione: nell’ultima parte vengono così elencati musei ed eventi, libri e siti. Non manca infine una ricca bibliografia e la lista, che ovviamente segue l’ordine alfabetico degli autori, distingue i testi per epoca e per tema, per cui è abbastanza semplice orientarsi.
L’autore scrive in modo colloquiale e la leggerezza dello scritto è un modo per invogliare alla lettura. Il libro permette di dare una maggiore sistematicità alle conoscenze che si possono avere in materia, ma i capitoli si prestano ad essere letti anche indipendentemente l’uno dall’altro, come articoli, la cui lettura richiede pochi minuti. Gli insegnanti potrebbero seguire il percorso tracciato dall’autore per accompagnare gli argomenti trattati a scuola con un racconto o con la lettura del capitolo corrispondente.
“Basta guardare il mondo con altri occhi per veder comparire la matematica. Una ricerca affascinante e senza fine.”
«La nonna di Pitagora» è stato pubblicato nel 2013 dalla Casa Editrice Dedalo ed è stato scritto da Bruno D’Amore e Martha Isabel Fandiño Pinilla, entrambi matematici, entrambi impegnati nei master post-laurea e nei dottorati di ricerca in Didattica della Matematica.
Il libro, che si rivolge agli adolescenti, è una raccolta di dieci racconti dedicati a importanti matematici: Pitagora, Archimede, Euclide, Ipazia, Maria Gaetana Agnesi, Eudosso, Talete, Cartesio, Eulero e Giuseppe Peano. I loro importanti risultati sono descritti in forma di “racconti menzogneri”, ovvero la storia che viene raccontata è fantasiosa, totalmente inventata e utilizza la casualità e l’intervento di personaggi secondari per spiegare il modo in cui sono stati raggiunti importanti risultati. Così la nonna di Pitagora lo aiuta nella dimostrazione del suo teorema; Archimede viene aiutato dalla sorella Iliada che gli permette di trovare la formula del volume della sfera, facendo ricorso a una simpatica e famosa filastrocca; Euclide ha l’aiuto dello zio, che gli suggerisce di classificare come postulato il ben noto postulato delle parallele; Ipazia, poco prima di essere uccisa, viene aiutata dal monaco Atanasio nelle sue riflessioni sulle coniche; Maria Gaetana Agnesi dà il nome di versiera alla sua curva grazie a un mendicante che glielo suggerisce; Eudosso trova il volume della piramide grazie all’intervento di uno schiavo che gli realizza dei solidi con il fango; Talete deve il suo celebre teorema, in questo caso la misurazione dell’altezza di una colonna, all’intervento dei suoi figli, gemelli; Cartesio inventa il piano cartesiano, grazie all’intervento di un prete che disegna l’asse delle ordinate; Eulero riesce a dimostrare il problema dei ponti di Königsberg, grazie all’intervento della moglie, poco prima dell’incendio che distrugge la sua casa; Peano ammette lo zero tra i numeri naturali, grazie all’intervento della sua governante.
Questa prima parte, che è volutamente favolistica e parabolica, ha un intento anche didattico: descrivere in qualche modo la scoperta casuale di grandi risultati matematici e al tempo stesso permettere allo studente di interiorizzare meglio questi risultati, grazie al racconto. Nella seconda parte, però, ci sono le biografie di questi importanti matematici, accompagnate dai risultati conseguiti nel corso della loro carriera. Il cambio di passo tra le due parti viene segnalato anche dalle illustrazioni di Franco Grazioli che, nella prima parte, aiutano la memoria fotografica, mentre sono poco presenti nella seconda parte. Il libro si apre con la prefazione di Maurizio Matteuzzi, filosofo del linguaggio, scomparso recentemente.
«Tutti dicono che gli adolescenti odiano o, per lo meno, non amano la matematica; ma non sarà perché la vedono come intoccabile, lontana dalla loro vita reale, perfetta, cristallina, intoccabile?». Eppure sappiamo che «si appropriano di tutto quel che li entusiasma», perciò perché non usare questo entusiasmo?
«Matematica per giovani menti», pubblicata dalla Casa Editrice Dedalo nel 2019, è il secondo libro di Daniele Gouthier e Massimiliano Foschi ed è accompagnato anche questa volta dalle illustrazioni di Salvatore Modugno, in arte Sal.
Il libro segue lo stile di «Dar la caccia ai numeri»: i protagonisti sono gli stessi e cioè Eleprof, Alberto e Giovanna, Giada e Marta e la banda dei quattro, formata da Alessandro, Barbara, Carlo e Dario; i giochi, 75 questa volta, sono suddivisi in quattro capitoli (“Metti in moto i neuroni”, “Scommettiamo che ci riesci?”, “Guarda un po’ cosa sai fare!” e “Me lo dimostri?”) e in ordine di difficoltà crescente e le categorie, che ritroviamo con un simbolo in fondo alla pagina del gioco a sinistra, sono sei, ovvero numeri e operazioni, schemi e modelli, logica, geometria piana e solida e probabilità.
Anche in questo caso, si tratta di «un libro da risolvere» più che da leggere, perciò è necessario raccogliere la sfida e cimentarsi con i giochi proposti, confidando nel fatto che, proseguendo con i giochi, le cose dovrebbero farsi più semplici, avendo un po’ di allenamento alle spalle. Come il libro precedente, quindi, è interessante e stimolante e alterna giochi semplici e facilmente risolvibili a sfide abbastanza impegnative. Chiunque potrebbe ritrovarsi a fraintendere il testo o a sbagliare il proprio approccio risolutivo, ma le soluzioni poste alla fine del libro sono un modo per capire i propri errori, ma ci si potrebbe trovare a seguire una strategia diversa rispetto a quella ideata dagli autori e comunque corretta.
Il libro merita di essere “risolto”: basta armarsi di carta e penna, un po’ di pazienza e tanta voglia di mettersi in gioco.
«Dar la caccia ai numeri», pubblicato dalla Casa Editrice Dedalo nel 2017, è dedicato a «enigmi, problemi e giochi matematici» – come recita il sottotitolo – ed è stato scritto da Daniele Gouthier e Massimiliano Foschi. Daniele Gouthier è un matematico, insegna alla SISSA di Trieste e ha al suo attivo numerosi libri, a partire dal Glossario di matematica del 2003 fino al romanzo Sulle tracce di un sogno del 2019. Massimiliano Foschi, classe 2003, studente liceale, è il primo italiano ad aver conquistato il primo posto in tre diverse categorie ai Campionati Internazionali di Giochi Matematici.
In un’intervista rilasciata a Jacopo De Tullio per il sito della Bocconi, Massimiliano descrive così la genesi del libro: «Il libro è nato quasi per caso: ho conosciuto il mio coautore, mentre frequentavo la seconda media, quando ha tenuto una conferenza nella mia scuola, dopo che avevo appena vinto il primo torneo nazionale di Geometriko. Così ci siamo messi a parlare della nostra passione. Da allora siamo rimasti in contatto e abbiamo iniziato a inviarci indovinelli matematici. I giochi matematici sono come le ciliegie: uno tira l’altro. Dopo poco ne è venuta fuori una raccolta.» Per questo motivo, più che di un libro da leggere, si tratta di un «libro da risolvere», come recita la quarta di copertina. Contiene 72 giochi, presentati in ordine di difficoltà, suddivisi in quattro capitoli, ovvero: “Metti in moto i neuroni” (17 giochi), “Scommettiamo che ci riesci?” (28 giochi), “Guarda un po’ cosa sai fare!” (17 giochi) e “Me lo dimostri?” (10 giochi). La struttura ci trasmette l’idea che le abilità matematiche si possano acquisire grazie all’allenamento, da qui la scelta di mettere i giochi più impegnativi nel capitolo finale. Massimiliano è spesso indicato dai media come il «piccolo genio italiano dei numeri», ma è il primo a ribellarsi a questa definizione: in effetti, parlare di genialità a volte impedisce di cogliere la fatica dell’allenamento costante per raggiungere i risultati e nasconde la passione che accompagna la scelta di sottoporsi a questa fatica.
I giochi sono presentati, uno per pagina, con le illustrazioni di Salvatore Modugno, noto come Sal, grafico e fumettista pugliese. Ogni gioco è presentato con una storiella i cui protagonisti sono Eleprof, un’insegnante che propone un problema ai suoi alunni ogni volta che entra in classe, i due pensionati Giovanna e Alberto, rispettivamente maestra e orologiaio, la banda dei quattro, Alessandro, Barbara, Carlo e Dario e infine la coppia di amiche Giada e Marta. In ogni pagina, in alto a sinistra, troviamo un simbolo che richiama l’argomento del gioco. Le categorie in cui sono riuniti sono sette e sono: numeri e operazioni elementari, triangoli, geometria piana e geometria solida, probabilità, logica e schemi e modelli.
L’ultimo capitolo è dedicato alle soluzioni dei problemi, che ogni tanto sono accompagnate da “Una sfida in più”, un ulteriore problema del quale non è offerta la soluzione, ma che si propone come una generalizzazione o un approfondimento di quello appena risolto.
Nella selezione dei problemi, troviamo problemi classici, come il problema di Monty Hall con le sue varianti, ma anche problemi originali, inventati dagli autori: accanto ad alcuni semplici e immediati, ce ne sono altri che richiedono un po’ di impegno (mi è capitato di fare una danza di vittoria al termine di un paio, dopo aver verificato di averli risolti correttamente!). Mi è piaciuto in particolare il problema con il logo della Mathesis e non mancherò di proporlo ai miei alunni.
La sfida lanciata dai due autori è stata davvero interessante e nell’esercitarmi con questi quesiti ho avuto modo di mettermi in gioco e di imparare qualcosa di nuovo. Ho segnato alcuni esercizi per proporli in classe in un prossimo futuro, in quanto costituiscono non solo una sfida, ma anche un esempio di come la matematica possa diventare narrazione e gioco al tempo stesso, un po’ come hanno fatto i grandi enigmisti come Gardner e Smullyan.
«Le tue antenate» è stato pubblicato nel 2008 dalla casa editrice Gallucci, anche se la nuova edizione che ho tra le mani è del 2017. L’autrice è la celeberrima Rita Levi Montalcini (1909-2012), Premio Nobel per la medicina nel 1986, senatrice a vita dal 2001, membro dell’Accademia dei Lincei e dell’Accademia Pontificia, che ha curato questa pubblicazione per ragazzi (la lettura è consigliata dai dieci anni) insieme a Giuseppina Tripodi, che è stata per quarant’anni sua collaboratrice. Insieme hanno pubblicato «I nuovi magellani dell’era digitale» nel 2006 e «La clessidra della vita» nel 2008.
Il libro è «dedicato alle nuove generazioni, perché siano consapevoli dei contributi scientifici fondamentali apportati dalle loro antenate»: è importante offrire dei modelli di riferimento alle bambine e, leggendo queste biografie, si può cogliere come la presenza femminile sia in continuo aumento, proprio perché la ricerca scientifica non ha nulla a che fare con il genere, «è un attributo proprio della specie umana senza distinzione di sesso o di classe». Relegate spesso a ruoli di secondo piano, le donne non hanno avuto accesso alla ricerca scientifica per lungo tempo: «soltanto nel 1874 le donne furono ammesse alle scuole pubbliche e dopo il 1900 si registrò un notevole aumento delle iscrizioni in tutti i gradi d’istruzione». I 190 paesi membri della Conferenza Mondiale della Scienza hanno siglato un piano d’azione il cui principio recita: «Se si vuole che la scienza sia davvero al servizio dei reali bisogni dell’Umanità è urgente la realizzazione di un migliore equilibrio nella partecipazione di entrambi i sessi alla scienza e al suo progresso». Non stupisce una scelta simile, visto che la parità è ancora una chimera in ogni parte del mondo.
Le «donne pioniere nella società e nella scienza dall’antichità ai giorni nostri» sono presentate in ordine cronologico, raggruppandole in base al periodo storico: dall’Antichità al Medioevo che ne sono solo tre, ovvero Ipazia, Trotula de Ruggiero e Ildegarda di Bingen; dal Rinascimento al Seicento sono nove e spicca Virginia Galilei, figlia di Galileo Galilei. Nel Settecento, sono solo otto e possiamo citare Gabrielle Émilie Du Chatelet, Laura Bassi, Maria Gaetana Agnesi e Sophie Germain. Nell’Ottocento sono ventidue e tra esse possiamo ricordare Ada Augusta Byron King, Sofia Kovalevskaja, Maria Sklodowska Curie, Maria Montessori, Lise Meitner e Emmy Amalie Noether. Nel Novecento sono ventisette e tra di esse possiamo citare Irene Joliot-Curie, Barbara McClintock, la stessa Rita Levi Montalcini, Rosalind Elsie Franklin e Margherita Hack.
Le donne raccontate sono sessantanove e ad ognuna è dedicato un paio di pagine: si tratta di piccoli ritratti nei quali è descritto il campo di studi e alcuni episodi significativi del loro percorso. È importante che, fin da piccoli, si impari che «le abilità intellettuali non sono monopolio del sesso maschile», ecco perché è così bella l’idea di parlare delle «pioniere nella società e nella scienza». La lettura è assolutamente consigliata e non solo ai bambini.
«Voglio che le bambine sappiano che per millenni alle donne è stato impedito l’accesso alla conoscenza» (RLM)
Nella stesura di questo testo, è stata fondamentale la ricerca di Sara Sesti e Liliana Moro e del loro Scienziate nel tempo: in effetti questo libro ricorda il loro lavoro, solo che è dedicato ai ragazzi, non agli adulti.
«Salendo su un foglio di carta» è stato pubblicato dalla casa Editrice Aracne a gennaio di quest’anno. Gli autori sono Alfredo Marzocchi e Stefano Martire, insegnante di fisica matematica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia il primo e giovane laureato in matematica e dedito alla divulgazione il secondo.
Il libro, di facile lettura anche per i meno esperti, ha un carattere divulgativo, ma un’originalità mai vista. Ogni capitolo è a sé stante e ogni capitolo è diverso, non solo per l’argomento ma soprattutto per la strategia narrativa scelta: «abbiamo usato stili diversi, inserito parti narrative, mantenendo alcune zone dove puoi trovare una spiegazione classica, però cercando anche di divertirti un po’». Protagoniste del libro sono le idee della matematica, con i loro «risultati meravigliosamente sorprendenti». L’obiettivo degli autori è quello di rispondere alla domanda del liceale medio: “Ma perché studio matematica?” e così il primo capitolo non poteva che essere dedicato alla dimostrazione dell’infinità dei numeri primi. Nel secondo capitolo, troviamo Euclide che rincorre una bella ragazza sulla spiaggia, ma non riesce a non pensare ai numeri primi. Il terzo capitolo è dedicato alla probabilità e in particolare al problema dei compleanni, ma da un punto di vista diverso: la protagonista è la prof.ssa Bernelli, che ha commesso un errore, dimenticando, nel calcolo, la probabilità condizionata. La magia della matematica è protagonista del quarto capitolo, con il teorema del fogliettino (che dà il titolo al libro) e l’innalzamento della corda che chiude, come con un lazo, la Terra. Il quinto capitolo è ambientato nello spazio e fa riferimento ad un gruppo di pianeti sferici. Il sesto capitolo è un processo alla matematica e il suo avvocato difensore è nientemeno che Richard Dedekind, che cercherà di dimostrare come la matematica «non abbia “inventato numeri” finalmente a se stessi, ma con il solo scopo di definire, chiarire ed estendere l’idea di operazione». Fortunatamente la Corte la proclama innocente per non aver commesso il fatto, ma colpevole «di fuorviante ingenuità nell’attribuzione dei nomi degli insiemi numerici» e per questo condannata «a sopportare titoli di giornali» non sempre sensati. Il capitolo si conclude con la dimostrazione della formula di Eulero, una delle formule più belle della matematica. Il settimo capitolo è dedicato alle dimensioni, l’ottavo al teorema di Pitagora, ma indagato con la geometria del Taxi invece che con quella euclidea e il nono cerca di mostrare come le intuizioni, a volte, in matematica siano fuorvianti: «”Bisogna avere intuizione per andare bene in matematica”, dicono molti, ma esattamente a che cosa serve l’intuizione nella matematica? È davvero utile?». Il decimo capitolo avrà un posto speciale nelle mie lezioni di analisi di quinta liceo d’ora in avanti, perché spiegare le derivate usando le crocchette di un cane è davvero originale e divertente.
Come si è intuito, nel libro non mancano le dimostrazioni, ma sono spiegate in modo semplice e il testo non perde la sua vena umoristica, anche grazie alle battute che trovano spazio tra le pagine. Il libro è consigliato a tutti: agli insegnanti alla ricerca di nuovi stimoli da fornire agli alunni e agli alunni che sono annoiati dalle solite spiegazioni, ma anche a quegli adulti che sentono di avere un conto in sospeso con la matematica. I capitoli si possono leggere nell’ordine proposto, ma si possono anche piluccare in ordine sparso, dando tempo ai contenuti di sedimentare e di trovare il proprio spazio tra le nostre idee.
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