TRAMA:
Nel diciottesimo secolo, la fisica, che riguardava solo i fenomeni meccanici, era analizzata solo dal punto di vista matematico. Più avanti, il calore e l’elettricità vennero spiegati con l’esistenza di fluidi imponderabili, ma si trattava di speculazioni qualitative, separate dalla scienza esatta ovvero dalla meccanica, nonostante i diversi tentativi di trattazioni matematiche. Oersted (1820) e Faraday (1831) riuscirono a collegare, con i loro esperimenti, le forze elettriche e quelle magnetiche; Joule stabilì l’equivalenza tra calore e lavoro meccanico e nel 1847 Helmholtz trattò i fenomeni di meccanica, calore, luce, elettricità e magnetismo come differenti manifestazioni dell’energia. Il modo in cui i problemi fisici della luce, del calore e dell’elettricità venivano trattati era tale da consentirne un’analisi matematica e ciò favorì molto l’unificazione della fisica. Ebbero particolare importanza gli esperimenti di Joule: mentre i fisici del diciottesimo secolo avevano considerato i processi meccanici e quelli non meccanici come processi relativi a differenti sistemi fisici, la dimostrazione dell’equivalenza tra lavoro meccanico e calore fatta da Joule negli anni Quaranta dell’Ottocento consentì, insieme alla legge della conservazione dell’energia, l’unificazione dei processi termici e meccanici. E così negli anni Cinquanta e Sessanta Thomson e W.J. Macquorn Rankine elaborarono un nuovo modello della teoria fisica in cui il concetto fondamentale era quello di energia, tentando di rendere più chiara la base matematica e fisica del principio di conservazione dell’energia.
Il concetto di campo emerse intorno al 1850, nella fisica britannica, quando Thomson e Maxwell formularono le teorie dell’elettricità e del magnetismo. La concezione meccanicistica della natura ricevette un ulteriore supporto negli anni Cinquanta e Sessanta con lo sviluppo della teoria cinetica dei gas elaborata da Clausius e Maxwell, nella quale il moto delle particelle era descritto come fenomeno meccanico. I dubbi sorti dopo questa spiegazione indussero Maxwell a introdurre il paradosso del «demone», per dimostrare che le interpretazioni molecolari dovevano basarsi su un’analisi statistica del moto di un immenso numero di molecole.
Con l’enunciazione dell’equivalenza tra massa ed energia e l’abbandono di spazio e tempo assoluti, la teoria della relatività di Einstein segna una «rivoluzione» nella storia della fisica: per quanto l’accento che si pone generalmente sulla discontinuità tra fisica classica e moderna sia appropriato quando serve a distinguere le assunzioni filosofiche della fisica sette-ottocentesca dalle dottrine relativistiche e indeterministiche della fisica del nostro secolo, e a distinguere una fisica prima e una fisica dopo lo sviluppo della meccanica quantistica negli anni Venti, questa frattura è esagerata e trascura, in un modo che risulta alla fine fuorviante, la continuità di idee che pur esiste tra il periodo classico e il periodo moderno.
COMMENTO:
Una storia della fisica approfondita ed interessante, che può essere affrontata con le conoscenze che si sono acquisite con la scuola superiore. Il linguaggio non rende la lettura sempre agevole, ma con un po’ di concentrazione ed attenzione si può capire ogni cosa.
TRAMA:
A partire dalla matematica dell’antichità, essenzialmente greca, Cresci tratteggia la storia della matematica attraverso i secoli, seguendo il percorso con brevi descrizioni delle curve piane. Non ci sono trattazioni matematiche o dimostrazioni: ci siamo sforzati di legare ogni curva che viene presentata nel testo al suo ideatore e di quest’ultimo tratteggiare la personalità: le biografie dei matematici sono spesso ricche di episodi, di avvenimenti, di aneddoti curiosi, e la parte matematica delle curve non può prescindere dalle circostanze della loro creazione.
Grazie ai tentativi dei greci di ottenere le soluzioni dei tre grandi problemi dell’antichità – la quadratura del cerchio, la duplicazione del cubo e la trisezione dell’angolo – si ottennero altre curve: le lunule di Ippocrate, la trisettrice di Ippia, la quadratrice di Dinostrato.
Procedendo nella storia, incontriamo Archimede: al suo nome sono legate la spirale, una curva piana, tracciata da un punto che si sposta uniformemente lungo una semiretta, mentre questa a sua volta ruota uniformemente attorno al suo estremo e la circonferenza, visto che il genio dell’antichità raggiunse una buona approssimazione del p, inventando un procedimento iterativo.
Nel XVII secolo si celebra l’inizio della geometria analitica: René Descartes operò una vera rivoluzione, identificando una relazione algebrica, e cioè un insieme di simboli formali, con una curva, o meglio con un luogo geometrico, e cioè con l’insieme di tutti i punti che soddisfano ad una data proprietà geometrica. L’utilizzo delle coordinate non era una novità, perché già Apollonio aveva utilizzato un sistema analogo. Le coniche erano già comparse secoli prima: Menecmo le definì e utilizzò per primo, ricavando la parabola, l’ellisse e l’iperbole dall’intersezione di coni circolari retti (rispettivamente con angolo al vertice retto, acuto e ottuso) e piani perpendicolari alla generatrice del cono. Euclide scrisse quattro libri sulle sezioni coniche, probabilmente andati perduti perché superati dall’opera di Apollonio, Le coniche, trattato nel quale dà alle curve il nome con cui le conosciamo anche oggi ed effettua una generalizzazione, ottenendo le curve da uno stesso cono e variando l’inclinazione del piano di sezione. Le sue sono innovazioni coraggiose e profonde.
Altra curva degna di nota è la cicloide, “la bella Elena” della geometria, che non è altro che il percorso che fa nell’aria il punto di una ruota, quando essa rotola nel suo movimento normale, dal momento in cui il punto comincia a sollevarsi da terra, fino al momento in cui la rotazione continua della ruota l’abbia ricondotto a terra, dopo un giro completo. Se la curva fissa non è una retta ma una circonferenza, la cicloide diventa epicicloide se la circonferenza che rotola è all’esterno, ipocicloide se rotola all’interno. I moti epicicloidali furono usati da Tolomeo per descrivere il movimento di alcuni pianeti.
Tra le curve più famose citate nel libro: la concoide di Nicomede, la cissoide di Diocle, la lumaca di Pascal (padre), la lemniscata di Bernoulli, la spirale logaritmica, la catenaria, la cardioide, la nefroide, la strofoide, la clotoide – studiata inizialmente da Eulero –, la versiera di Gaetana Agnesi – nota in inglese come witch of Agnesi –, la funzione di Gauss, la funzione logistica di Verhulst – per lo studio della crescita demografica di una popolazione –, la curva di Peano, la polvere di Cantor, la curva a fiocco di neve, il setaccio apolloniano e i frattali di Mandelbrot.
Le appendici che concludono il testo riprendono tre argomenti oggetto di presentazione nel testo: la biblioteca di Alessandria, l’invenzione della Pascaline e la storia di Lady Lovelace e Charles Babbage, che precorsero i tempi concependo l’Analytical Engine – il predecessore dell’odierno pc – già nel XIX secolo.
COMMENTO:
Visto l’elevato numero di argomenti, curve, aneddoti, non si può che trattare di un “assaggio” di storia della matematica, da sottoporre a ulteriori approfondimenti. Semplice e scorrevole, la sua lettura è consigliata a tutti.
TRAMA:
Nella notte tra il 18 e il 19 febbraio del 1512, durante il sacco di Brescia ad opera dei soldati francesi, Niccolò Tartaglia cercò riparo dentro il Duomo, ma i francesi assalirono i rifugiati e uno di essi gli inferse cinque ferite in volto. Niccolò guarì nel giro di qualche mese, grazie alle cure della madre, ma le ferite alla bocca gli causarono la balbuzie: i coetanei lo prendevano in giro per questo suo difetto chiamandolo “tartaglia” ed egli adottò questo nomignolo come cognome.
Nato a Brescia presumibilmente nel 1499 da una famiglia molto povera, Niccolò Tartaglia lavorò autonomamente alla propria formazione scientifica, studiando le opere di Euclide, Archimede e Apollonio. Tra il 1516 e il 1518 si trasferì a Verona, dove rimase fino al 1534; qui acquisì notorietà e rispetto, con il ruolo di maestro d’abaco. La fama raggiunta da Tartaglia è testimoniata dai quesiti da lui posti a numerosi interlocutori. A quei tempierano di gran voga in Italia le disfide tra matematici, di rango universitario e non: veri e propri duelli scientifici il cui svolgimento ricalcava i canoni dei tornei cavallereschi. Uno studioso inviava a un secondo alcuni problemi, che rappresentavano il guanto di sfida di queste particolari tenzoni, e lo sfidato doveva cercare di risolverli entro un termine prestabilito, proponendo a sua volta all’avversario ulteriori quesiti. La consuetudine voleva poi che ogni duello dall’esito contrastato culminasse in un pubblico dibattito, nel corso del quale i contendenti erano tenuti a discutere dei problemi scambiati e delle relative soluzioni alla presenza di giudici, notai, governanti e di una platea di spettatori sovente assai folta. Non era infrequente, inoltre, che tali disfide si facessero parecchio incandescenti, sconfinando dal piano scientifico a quello dell’invettiva personale. D’altra parte, la posta in palio poteva essere molto alta: il vincitore di una pubblica disfida matematica, ossia colui che aveva risolto il maggior numero di problemi, non guadagnava solo gloria e prestigio, bensì più concretamente anche un eventuale premio in denaro, nuovi discepoli paganti, l’acquisizione o la conferma di una cattedra, aumenti di stipendio e spesso incarichi professionali ben remunerati. La carriera dello sconfitto, invece, rischiava di rimanere seriamente compromessa.
Il secondo protagonista di questa storia è Gerolamo Cardano: nato a Pavia il 24 settembre 1501, si laureò in medicina nel 1526, ma solo nell’estate del 1539 fu accolto dal Collegio dei medici di Milano, che aveva osteggiato la sua elezione a causa dei suoi illegittimi natali. Divenne in seguito il medico più famoso e richiesto della città. Informato da un matematico che Tartaglia aveva trovato la formula risolutiva delle equazioni di terzo grado, si mise in contatto con lui all’inizio del 1539 per avere la formula, ma Tartaglia rispose negativamente alla richiesta: “quando vorrò pubblicar tal mia inventione la vorrò publicar in opere mie et non in opere de altri”. Dopo una corrispondenza dai toni abbastanza vivaci, Tartaglia si recò a Milano da Cardano in primavera: ebbero a disposizione diverso tempo per discorrere tra loro e confrontarsi su vari temi, uno dei quali non poteva che essere la questione delle equazioni cubiche e delle loro regole risolutive. Cardano giurò a Tartaglia che non avrebbe mai svelato la formula risolutiva e questi si lasciò convincere a rivelarla. I due smisero di scriversi nel gennaio del 1540 e non sono documentati ulteriori contatti personali o epistolari.
Mentre Tartaglia rivelava la formula, Cardano era in compagnia di un giovanissimo allievo, Ludovico Ferrari. Nato a Bologna il 2 febbraio 1522, Ferrari discendeva da una famiglia milanese: rimasto presto orfano, fu mandato a Milano come servitore nell’abitazione di Cardano, il quale, accortosi della sua predisposizione agli studi, si prese cura della sua istruzione. Nel 1542 si recarono a Bologna per far visita a un matematico: questi mostrò loro un vecchio taccuino appartenuto al suocero, Scipione Dal Ferro, nel quale i due trovarono la formula risolutiva delle equazioni cubiche. Dopo aver appreso la formula, Cardano e Ferrari si persuasero della necessità di diffondere in tutto il mondo scientifico le nuove conoscenze acquisite e Cardano, in particolare, si sentì svincolato dal giuramento fatto a Tartaglia. Nel 1545, Cardano pubblicò il volume Artis magnae, sive de regulis algebraicis più noto come Ars Magna, un testo destinato a imprimere una svolta profonda nella storia dell’algebra, determinando l’avvio di una nuova era per le ricerche matematiche. Nel suo trattato, Cardano attribuì agli autori delle formule risolutive i dovuti meriti e riconobbe i contributi di Ferrari, con il quale aveva collaborato. La formula risolutiva delle equazioni cubiche è spesso denominata «formula cardanica» poiché, pur non essendone stato lo scopritore, fu Cardano a farla conoscere al mondo scientifico, e per di più completa di dimostrazione.
Nel 1546, Tartaglia pubblicò Quesiti et inventioni diverse, nel quale si scagliò contro Cardano, che non aveva tenuto fede al giuramento di silenzio. Cardano non replicò all’attacco, ma lo fece Ferrari: il 10 febbraio 1547, inviò a Tartaglia un pubblico «cartello di matematica disfida», proponendogli di misurarsi con lui in un pubblico “duello”. I due continuarono a scambiarsi cartelli dal giugno all’ottobre del 1547 e si scontrarono il 10 agosto 1548 a Milano. Tartaglia abbandonò la disputa dopo il primo giorno, perché la riteneva invalidata dal comportamento del pubblico presente, apertamente schierato a favore dell’avversario, ma dichiarò di esserne il vincitore, contestando alcune delle risposte di Ferrari. Non possiamo sapere come siano andate davvero le cose, ma la maggior parte delle fonti riconosce in Ferrari il vincitore dello scontro.
Tartaglia morì a Venezia il 13 dicembre 1557, in solitudine e povertà. Ferrari morì a soli quarantatre anni, probabilmente avvelenato dalla sorella. Cardano morì il 20 settembre 1576, dopo aver visto giustiziare uno dei suoi figli per uxoricidio ed essere stato condannato dall’Inquisizione.
COMMENTO:
Quanto è raccontato in questo libro costituisceun complesso di vicende tanto sorprendenti e appassionanti da richiamare, crediamo, la curiosità anche dei non addetti ai lavori: vicende ricche di situazioni dal sapore romanzesco – intrighi, segreti, arroventate dispute erudite – e animate da personaggi affascinanti, geniali e bizzarri, capaci di eccellere nella loro epoca sia per virtù di intelletto che per umane debolezze. Con queste parole nell’introduzione, l’autore ci fornisce un ottimo motivo per leggere questo libro. Per molte persone, è difficile immaginare che tante passioni possano animare la scoperta di una formula matematica: per questo tutti coloro che considerano la matematica arida e priva di passionalità dovrebbero leggere questa storia.
Le ultime righe del libro:
Nella prima metà del Cinquecento, di fatto, Scipione Dal Ferro, Niccolò Tartaglia, Gerolamo Cardano e Ludovico Ferrari furono i quattro scintillanti moschettieri che illuminarono il cielo dell’algebra con le loro straordinarie e feconde scoperte. Scoperte originate non solo da genio creativo e abilità tecnica, ma altresì da passione, dedizione, perseveranza, competizione, gelosia, ambizione, stima, risentimento, impeto, sofferenza. Insomma, da tutto il carico di umanità che si può nascondere anche dietro una formula matematica.
TRAMA:
Dall’introduzione:
Le vicende in cui ci imbatteremo hanno a che fare con la religione, l’amore e l’imbroglio non meno che con la scienza oggettiva e la tecnologia. Ci faranno spaziare dalle strade di Amburgo durante un bombardamento della seconda guerra mondiale alla mente di Alan Turing, geniale inventore del computer, perseguitato proprio dalle autorità del paese che aveva salvato; da Michael Faraday, nato nei bassifondi e tenuto in scarsa considerazione dai suoi contemporanei a causa della sua fede religiosa (grazie alla quale, però, fu il primo a vedere le forze elettriche intrecciarsi invisibili nello spazio), a un pittore, Samuel Morse, che si candidò entusiasta a sindaco di New York con un programma di persecuzioni contro i cattolici, e che apprese più di quanto non fosse mai disposto ad ammettere sul funzionamento dei telegrafi da un pioniere il quale non riusciva a credere che qualcuno volesse brevettare un’idea così ovvia.
Incontreremo un esuberante immigrato in America poco più che ventenne, Alexander Bell, deciso a tutto per conquistare l’amore di una studentessa adolescente sorda, e il quarantenne Robert Watson-Watt, che invece cerca disperatamente di sfuggire a un matrimonio noioso e al tedio della città di Slough degli anni 1930. E ancora Otto Loewi, che si sveglia la notte prima di Pasqua rendendosi conto di aver risolto il problema di come l’elettricità opera nel nostro corpo, ma che il mattino dopo, disperato, non riesce a leggere gli appunti scarabocchiati che ha buttato giù accanto al letto durante la notte; e il ragazzo scozzese di campagna, James Clerk Maxwell, che per anni alla scuola elementare viene trattato da tonto dai compagni prepotenti, eppure diviene il massimo scienziato teorico del XIX secolo, capace di concepire la struttura intima dell’universo in modo che gli scienziati delle epoche successive riconosceranno profondamente vero. Tutte queste vicende mettono in luce come la forza immensa dell’elettricità fu gradualmente svelata, come fu sottratta al suo regno occulto, e che cosa noi, esseri umani imperfetti, abbiamo fatto dei poteri accresciuti che essa ci ha conferito.
COMMENTO:
Una delle caratteristiche principali del libro è la sua semplicità: i passaggi più complessi sono lasciati alle note in fondo al testo, che spiegano il funzionamento delle macchine descritte, mentre il resto della trattazione è alla portata di tutti.
La storia degli uomini che hanno reso possibili le comodità del mondo attuale è coinvolgente: in alcuni tratti della storia del radar, ad esempio, si ha quasi l'impressione di leggere un romanzo di Ken Follett, vista la suspense! E poi le vicende di questi uomini, si tratti delle slealtà di Morse o della solitudine di Turing, rendono tutto il mondo della fisica più vicino alla nostra quotidianità.
TRAMA:
Ipazia è una filosofa, matematica e astronoma che insegna al Museo di Alessandria d’Egitto alla fine del IV sec. d.C. Fra le sue imprese c’è il commento a un libro del grande Tolomeo – al sistema geocentrico da lui proposto, Ipazia preferisce il sistema eliocentrico di Aristarco – e alle Coniche di Apollonio di Perga.
Un anno dopo la morte del padre Teone, Ipazia si ritrova a far lezione in un’Alessandria perennemente in tumulto: da quando l’imperatore Teodosio ha proclamato il cristianesimo religione di stato, il patriarca di Alessandria, Cirillo, durante le sue prediche istiga i cristiani alla violenza contro i pagani. Nel frattempo, anche la partenza per Atene di Sinesio, l’allievo preferito di Ipazia, contribuisce a farla sentire amareggiata e offesa per una separazione che sente come un tradimento. A questi si aggiunga il matrimonio di Sinesio con Fulvia: Ipazia ha sempre pensato che avrebbero condiviso la scelta della verginità e che sarebbero invecchiati insieme e, sull’onda dell’emozione, decide di sposare Evandro, un celebre grammatico, amico del padre. Dopo il matrimonio, però, non si concede al marito e questi, a un mese dalle nozze, la lascia.
La Chiesa entra sempre più prepotentemente nelle questioni di stato e Teodosio ordina che vengano requisiti tutti i templi pagani per farne delle chiese cristiane: ad Alessandria si arriva ad una vera e propria carneficina. Ipazia, che si lascia guidare dalla ragione della filosofia, cerca di scoraggiare la violenza: «Se vogliamo pensare e agire secondo virtù, dobbiamo volere un mondo in cui a ognuno sia permesso di onorare i suoi dei, quali che siano, e di praticare pubblicamente il suo culto, senza che nessuno lo infastidisca o lo offenda nelle sue convinzioni e nei suoi riti.»
La comunità dei pagani diviene sempre più debole: gli elleni più noti e influenti abbandonano Alessandria e Ipazia diventa il punto di riferimento per i pagani rimasti in città. Decide di sfidare Cirillo a un duello di idee in pubblico, come soluzione pacifica dello scontro, per trovare in qualche modo una mediazione tra cristiani e pagani. Durante il duello, Cirillo definisce Ipazia una prostituta e non si comporta in maniera leale, ma la lotta si conclude più o meno alla pari. Ipazia è come assente da quando uno dei cristiani, tra il pubblico, le ha chiesto se sa chi sia sua madre. A Ipazia è sempre stato detto che sua madre, una nobile dell’Illiria, è morta di parto, ma non è così: la sua vera madre è Demetra, la serva che le ha fatto da balia. Nei giorni che seguono, le due donne parlano a lungo. Presa dai suoi pensieri e dalla nuova vita che ha cominciato a vivere, Ipazia trascura il pericolo e un giorno, andando a lezione, viene ferita gravemente. Il medico riesce in qualche modo a salvarla, ma dopo il grande pericolo corso le ordina, per il bene della sua salute, di trasferirsi in campagna.
Qualcosa in lei è davvero cambiato: in Antinoo, servitore fedele, trova finalmente l’anima che la completa. Quando viene raggiunta dai suoi allievi, Ipazia decide di fare lezione in campagna: si forma così una comunità filosofica, una vera scuola, come aveva sempre desiderato.
Nel frattempo, Sinesio, divenuto vescovo di Tolemaide, ha perso tutto visto che i tre figli sono morti e Sinesio, sentendo di non aver molto da vivere, cerca di contattare Ipazia: muore tra le sue braccia, finalmente rappacificato con lei e con se stesso.
Ipazia torna dalla sua dimora di campagna, intenzionata a spendere la propria vita in nome della verità. Alessandria si presenta preda del furore delle opposte fazioni. Ipazia tenta di risolvere la situazione aiutando il prefetto Oreste, ma è ormai convinta da tempo che la filosofia è impotente contro l’irrazionalità della folla. Riprende il suo insegnamento al Museo, ma attorno a lei tutto parla di abbandono.
Dopo la decisione di Oreste di proibire una processione organizzata dal vescovo, Cirillo fomenta la reazione, dando la colpa a Ipazia, sicuramente l’ispiratrice delle scelte del prefetto. Aggredita mentre si reca al Museo, Ipazia viene uccisa sul sagrato del Cesareo, il tempio cristiano: Le gridano insulti e sconcezze, la toccano, le strappano le vesti, gridano, ridono risate oscene. Si spingono gli uni con gli altri, si calpestano, corrono come un branco di animali infuriati o sorpresi da un incendio. Non sono più una somma di uomini, ma un unico immenso animale acefalo che corre qua e là senza sapere dove né perché, reso cieco da un immenso furore. Sono come una muta di cani che abbia annusato l’odore della preda, ne abbia già assaggiato il sangue e non possa più fermarsi, non oda più il richiamo del padrone che vorrebbe trattenerla. Hanno bocche spalancate nell’urlo dell’odio, mani adunche che graffiano e sbranano, occhi sbarrati, senz’altra espressione che un’ira cieca e bestiale. La tirano da ogni parte, lacerandole la pelle e poi la carne; la prendono a calci sul ventre, sul petto, sul viso.
COMMENTO:
Libro molto coinvolgente e attuale: la storia di intolleranza che viene descritta potrebbe essere avvenuta ai giorni nostri. Ipazia è descritta a tinte vivaci: è un personaggio che suscita simpatia, una donna che vive per la verità e per la conoscenza, e che cerca di cambiare in qualche modo il corso della storia. Le sue intuizioni matematiche passano in secondo piano rispetto alla vicenda che la vede protagonista, ma è interessante vedere la lungimiranza con la quale ha proposto il sistema eliocentrico, andando contro il grande Tolomeo, e lo studio di mondi a più dimensioni.
Per il poco risalto che la sua vita ha avuto nel passato (difficilmente nominata quando si parlava dei matematici del passato), pareva che Cirillo avesse avuto ragione di lei, riuscendo a far dimenticare la sua esistenza: questo libro ce la descrive finalmente nella sua umanità e nella sua tensione verso la verità.
Questo libro è ora pubblicato con il titolo "Ipazia muore", l'autrice usa il suo vero nome, Maria Moneti Codignola, e la casa editrice è La Tartaruga Edizioni.
TRAMA:
Fin dall’antichità, l’uomo si è fatto aiutare dai numeri e, nel momento in cui l’organizzazione sociale è diventata più complessa, essi sono diventati indispensabili per gli scambi commerciali. Dai pezzi di osso sui quali erano riportate tacche che indicavano la numerosità di un insieme, i sistemi di numerazione si sono evoluti diventando posizionali, a base 10 e con l’irrinunciabile presenza dello zero, che gli europei hanno conosciuto solo nel XII secolo.
Riuscire a distinguere tra numerosità è vantaggioso anche per l’evoluzione degli animali, ma per quanto tale capacità sia più che buona, essa si limita a quantità piuttosto piccole e decisamente diverse tra loro. Sarebbe quindi insensato attribuire agli animali una naturale predisposizione ad apprendere l’aritmetica simbolica. Un discorso diverso e al tempo stesso simile si può fare per i bambini piccoli: alcuni ricercatori hanno dimostrato che i bambini già a quattro mesi di vita sono sensibili alla numerosità. Solo a partire dagli anni Ottanta gli psicologi evolutivi si sono posti delle domande riguardo alle abilità aritmetiche dei bambini, mentre prima di allora c’era la convinzione che solo la continua interazione con il mondo esterno favorisse la graduale comparsa delle abilità logico-matematiche. Come si è dimostrato, i bambini sviluppano del tutto spontaneamente molteplici procedure di calcolo, che con la memorizzazione e la pratica possono permettere a un bambino di diventare un abile calcolatore.
A metà del XIX secolo Sir Francis Galton, cugino di Charles Darwin e strenue sostenitore dell’ereditarietà delle abilità intellettive, riconosceva nell’entusiasmo e nell’applicazione gli ingredienti essenziali dell’eccellenza, per quanto la passione e l’esercizio non bastino da soli ad ottenere grandi risultati. Ci sono infatti persone per le quali la matematica costituisce una dura fatica, ma solo negli ultimi anni si è imparato a riconoscerne i disturbi di apprendimento e le difficoltà di calcolo. Al di là delle oggettive difficoltà cognitive, la matematica resta comunque l’unica materia che riesce a suscitare una così grande antipatia in chi la deve studiare, l’unica ad essere fonte di un’ansia tale da arrivare a generare il fallimento nelle prestazioni in cui è coinvolta. Se si riuscisse in qualche modo a diminuire la distanza della matematica dalla realtà, mostrando quanto i numeri e il loro uso siano parte integrante della quotidianità, l’insegnamento sarebbe più efficace. Secondo l’autrice, diventa utile integrare il più possibile situazioni scolastiche ed extrascolastiche, perché il riferimento a contesti familiari aumenta il senso di fiducia e di competenza di colui che sta imparando.
Con la nascita della neuropsicologia e lo studio delle lesioni cerebrali, si è potuto comprendere qualcosa di più del funzionamento del cervello e possiamo dire con ragionevole certezza che il cervello umano, grazie a una lunga evoluzione biologica, è dotato di circuiti neurali dedicati localizzati a livello delle aree parietali di entrambi gli emisferi, su cui si fonda il nostro senso della quantità.
COMMENTO:
In forma più semplice de Il pallino dei numeri di S. Dehaene, in cui è possibile ritrovare tutti i temi qui trattati affrontati con maggior respiro, l’autrice cerca di dare una risposta al difficile quesito se esista o meno un “bernoccolo” della matematica. La Girelli afferma che ciò che più influenza il nostro modo di affrontare la matematica è il metodo di insegnamento usato: Ciò che rende un bambino un brillante futuro matematico o un esitante e ansioso calcolatore non è da cercare nel suo cervello, ma è soprattutto nei tempi e nei modi in cui gli è stato svelato il mondo dei numeri e questo, in un certo senso, apre il cuore di ogni alunno alla speranza. Infatti, è sempre possibile cambiare il proprio atteggiamento nei confronti della matematica ed ottenere risultati più brillanti: non devono mancare fiducia in se stessi, entusiasmo, passione e una buona memoria.
TRAMA:
Dalle quattro operazioni con i numeri naturali, dai sistemi numerici e dai criteri di divisibilità, fino ad arrivare alla teoria di Galois, alla teoria dei gruppi e alla questione dell’indecidibile, ecco la scansione dei capitoli di questo libro, suddiviso in tre parti:
PARTE PRIMA: L’APPRENDISTA STREGONE
1. Giocare con le dita (Addizione, moltiplicazione, elevazione a potenza)
2. Le “curve della temperatura” delle operazioni (Volume del cubo. Rappresentazione grafica delle funzioni)
3. Ripartire la successione infinita dei numeri (Sistemi numerici. Criteri di divisibilità)
4. L’apprendista stregone (Progressioni aritmetiche. Area del rettangolo e del triangolo)
5. Variazioni su un tema fondamentale (Diagonali di poligoni convessi. Accoppiamenti. Formula relativa. Nota: Topologia, congruenze e similitudini, solidi regolari)
6. Percorriamo tutte le possibilità (Teoria delle combinazioni. Induzione matematica. Quadrato di un binomio)
7. Coloriamo la monotona successione dei numeri (Decomposizione in fattori primi. Distribuzione dei numeri primi. Legge dei numeri primi)
8. “Ho pensato un numero…” (Equazioni. Impossibilità di risolvere equazioni di quinto grado; teoria di Galois)
PARTE SECONDA: LA FUNZIONE CREATIVA DELLA FORMA
9. Numeri divergenti (Numeri negativi. Vettori. Principio di permanenza delle proprietà formali)
10. Densità illimitata (Operazioni con le frazioni. Media aritmetica. Insiemi ovunque densi. Il numero cardinale dei razionali)
11. Afferriamo di nuovo l’infinità (La trasformazione in decimali delle frazioni e viceversa. Il principio della scatola. Serie infinite)
12. Completiamo la retta numerica (Numeri irrazionali. Teorema di Pitagora. Il numero cardinale dei numeri reali)
13. Le curve diventano regolari (Tavole logaritmiche. L’estensione del concetto di potenza. Curve regolari. Iperboli. Divisione per zero)
14. La matematica è una sola (Concetto generale di funzione. Geometria analitica. Nota: (a) funzioni circolari (seno e coseno), approssimazione di funzioni periodiche; (b) geometria proiettiva, invarianti)
15. Gli elementi “virgola” (La retta all’infinito. Numeri complessi. Relazioni fra le funzioni circolari e la funzione esponenziale. Il teorema fondamentale dell’algebra. Lo sviluppo delle funzioni in serie di potenze)
16. Segreti di laboratorio (La direzione della tangente. La derivata. Massimi e minimi di una funzione)
17. “Molti piccoli fanno un grande” (Integrali indefiniti e definiti. Il calcolo delle aree)
PARTE TERZA: L’AUTOCRITICA DELLA RAGIONE PURA
18. Eppure vi sono differenti tipi di matematica (Quadratura del cerchio. Numeri trascendenti. Il sistema assiomatico di Euclide. La geometria di Bolyai. Diversi tipi di geometria. Nota: la quarta dimensione)
19. L’edificio vacilla (Teoria dei gruppi. Teoria degli insiemi. Antinomie. Intuizionismo)
20. La forma diventa indipendente (Logica simbolica)
21. Davanti al tribunale della matematica (Teoria della dimostrazione. Metamatematica. La dimostrazione di non contraddittorietà dell’aritmetica. L’ipotesi del continuo. Nota: L’assiomatizzazione dell’analisi)
22. Di cosa non è capace la matematica? (Problemi non decisi e problemi indecidibili rispetto a certi strumenti. La questione dell’indecidibile)
COMMENTO:
Corrado Mangione, logico e filosofo italiano, è stato il curatore dell’edizione italiana del 1973 di quest’opera. Introducendo l’opera, nella “Nota all’edizione italiana”, ci fa conoscere il suo giudizio: “Il discorso, specie all’inizio, sembra, più che elementare, quasi pedante e infantile; però presto si avverte una profonda conoscenza dietro di esso e una rara maestria nel raccordare fra loro concetti di diverso grado di difficoltà e di rilievo del tutto differente; e si resta via via stupiti dalla varietà degli argomenti che vengono toccati”. La stessa autrice, Rózsa Péter, ci dice che “Questo libro è scritto per coloro che hanno interessi intellettuali ma non sono matematici; è scritto per letterati, artisti, cultori di scienze umanistiche”. Ecco perché le spiegazioni sono semplici, accessibili a tutti, ma non annoiano gli esperti della materia. Per l’insegnante, il testo offre importanti spunti didattici; per gli alunni, la presentazione della matematica, chiara e completa, permette una maggiore comprensione della disciplina, pur partendo dal presupposto che, come ci dice l’autrice, anche il lettore ha degli obblighi per capire fino in fondo la trattazione: “Il lettore deve seguire le poche istruzioni, deve studiare davvero le figure, provare a fare semplici disegni e calcoli quando glielo si consiglia”.
“Sono portata a credere che una delle origini della matematica sia la natura giocosa dell’uomo, e per questa ragione la matematica non è solo una scienza, ma almeno allo stesso grado, anche un’arte.”
TRAMA:
Una ragazzina che ritiene di non amare la matematica rivolge alcune domande su questa materia a chi può darle risposte esaurienti. Le domande spaziano su tutta la matematica e sono molteplici gli argomenti toccati:
- i numeri: con il sistema binario e quello decimale, l’importanza dello zero e la notazione posizionale;
- la geometria: l’importanza della dimostrazione, spiegazione che non intacca la meraviglia, perché, come chiarisce l’insegnante, una volta tolto il mistero rimane la bellezza che è ancora più grande quando si capisce da dove è nata;
- l’algebra, resa ancora più affascinante dalle sue analogie con le indagini poliziesche, anche se, a differenza di queste, fare dell’algebra significa un po’ spazzare e un po’ triturare;
- i punti e le relazioni, che grazie a Descartes e Fermat sono stati elevati al rango di funzioni, con la geometria analitica;
- i problemi, il grande scoglio della matematica. Come ci si deve comportare per risolvere un problema? Non sembra troppo difficile, dalla spiegazione di Guedj, visto che bisogna mettere l’uno di fronte all’altro ciò che ti viene chiesto e ciò che conosci. Poi devi provare a passare dal secondo al primo: come posso rispondere alla domanda utilizzando ciò che conosco? Questa è la strategia che ci permette di affrontare qualsiasi problema, utilizzando i teoremi come fossero pezzi meccanici che si adattano perfettamente ai dati che ci sono stati forniti;
- il ragionamento: la vera potenza della matematica, che, attraverso le dimostrazioni, ci permette di ottenere verità inattaccabili, irrefutabili, eterne. Il ragionamento matematico richiede estremo rigore, ma ogni materia ne è dotata: Gran parte della forza della matematica e dell’interesse che suscita viene dal rigore con cui usa definire gli oggetti, stabilire i risultati, esaminare le dimostrazioni che elabora. Molto dell’odio che la matematica provoca nasce forse da questo rigore, dai profani considerato eccessivo: si ha il diritto di non amare la matematica, come si ha il diritto di non amare qualsiasi altra materia, ma non deve essere un vanto odiarla. È comunque sempre meglio conoscerla almeno un pochino, prima di dichiarare in modo definitivo che non la si ama.
COMMENTO:
Un testo semplice, che non presenta difficoltà matematiche, ma permette di fare un po’ di luce nel buio dell’odio che spesso abita i cuori degli studenti che non riescono a capire questa materia fino in fondo. La matematica spiegata alle mie figlie offre uno sguardo diverso, una spiegazione a tutte le obiezioni che vengono mosse da coloro che si vantano di odiare la matematica.
È consigliato soprattutto a coloro che sono convinti di odiare questa bellissima materia: può offrire una nuova visione della realtà a coloro che sono convinti che la matematica sia arida e brutta.
TRAMA:
L’intento di questo libro è di svelare la matematica nascosta nella vita quotidiana, rivelandocela in tutta la sua bellezza. Come viene chiarito dall’introduzione, il libro non si rivolge a matematici esperti, considerata la semplicità con cui sono proposti i contenuti e visto, soprattutto, che manca di approfondimento e rigore.
Il punto di partenza è la controintuitività nascosta in alcuni elementi della nostra quotidianità, come ad esempio la coincidenza di un compleanno nello stesso giorno, in un gruppo di cinquanta persone: la matematica ci svela come non si tratti di coincidenze e ci aiuta a spiegare quanto va contro la nostra intuizione. L’autore procede mostrandoci alcuni trucchi per eseguire le moltiplicazioni, sostenendo che le calcolatrici hanno sottratto parte della creatività insita nella scoperta del mondo dei numeri, ovvero ci hanno tolto il privilegio di scoprire alcuni degli straordinari schemi celati fra i numeri più semplici. Alcuni schemi interessanti ci si presentano anche con un semplice mazzo di carte: il fatto che un numero limitato di elementi sia sufficiente per creare una varietà infinita di schemi fa parte della bellezza della matematica.
Piegando un semplice foglio di carta possiamo avventurarci nel mondo dei frattali, o stupirci con il nastro di Möbius. Ma la matematica è nascosta anche negli indovinelli che contengono una certa dose di sorpresa, bellezza o humour, esattamente come un qualsiasi problema di matematica (!).
Il tema della casualità viene affrontato con il lancio di una o più monete, che viene ricollegato in qualche modo al triangolo di Tartaglia.
Il capitolo riguardante i palindromi offre numerose curiosità sui numeri, che possono essere utilizzate anche come simpatici giochi tra amici. Principe dei giochi (perlomeno negli ultimi tempi) è il Sudoku, non aritmetico (nel senso che non richiede la soluzione di operazioni tra numeri) ma sicuramente matematico, per quanto riguarda le strategie di soluzione. Così scopriamo che perché il Sudoku abbia un’unica soluzione è sufficiente che contenga 17 numeri, 18 se vogliamo ottenere delle simmetrie.
Nella soluzione dei problemi, non esiste un’unica strada e lo dimostra il teorema di Pitagora, visto che ne sono state escogitate ben 367 dimostrazioni. Per i matematici, è importante scegliere la strada più «elegante», termine con il quale è indicatoun metodo di risoluzione di un quesito che ha tre caratteristiche: è chiaro, logico e veloce. L’autore, attraverso alcuni semplici esempi, ci dimostra che per una soluzione rapida dei quesiti proposti, serve la capacità di fare un passo indietro e di osservare la situazione in un contesto più ampio, senza lasciarci trarre in inganno dai dettagli.
L’autore procede con l’esplorazione del triangolo di Tartaglia e della serie di Fibonacci, cui viene affiancata la serie di Lucas, che ha molto in comune con i conigli di Fibonacci: entrambe ci consentono di avvicinarci al rapporto aureo, entrato a far parte delle conoscenze della maggior parte dei non matematici con Il codice da Vinci, che l’autore ci aiuta a smascherare in molte delle sue falsità.
Il libro si chiude con un capitolo sull’infinito, per ricordarci che la matematica dell’infinito è diversa dagli altri tipi di matematica.
COMMENTO:
Il libro si presta ad una rapida lettura, vista la semplicità degli argomenti proposti e considerata la scarsa profondità con cui sono trattati i singoli temi. Proprio per questo motivo, bisogna tenere presente che si tratta di un “assaggio” delle bellezze della matematica, rivolto a chi di questa materia ha solo una conoscenza parziale e offuscata dalle difficoltà (scolastiche).
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